Archivio per la categoria ‘Economia’

NO, L’INCIUCIO NO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 2 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi domani sarà in aula alla Camera a fare il punto sulla crisi economi­ca. Ieri la nostra Borsa ha preso una brutta botta, più o meno in linea (fatta la tara sul­la situazione dei debiti) con quelle di Parigi, Ma­drid e Francoforte. Il mix tra la crisi americana e l’attacco degli speculatori sta facendo danni enor­mi. I governi nazionali fanno quello che possono per arginare l’onda. Quello italiano ha convocato per giovedì le parti sociali che avevano chiesto un vertice di svolta. Quando le cose girano al peggio tornano i vecchi riti della concertazione, come se sindacati e Confindustria avessero la bacchetta magica o la verità in tasca. Purtroppo è l’inverso. Proprio le parti sociali, complice una politica scel­lerata, sono le responsabili della mamma di tutti i mali, quel debito pubblico gigantesco accumula­to nei decenni di cogestione impropria della cosa pubblica. Dalle pensioni alla sanità, dal pubblico impiego alla grande impresa assistita, e più in ge­nerale agli aiuti di Stato non c’è voce importante della voragine di bilancio che non porti la firma di Cgil e industriali.

C’è quindi da fidarsi di una loro ricetta anti crisi? Non penso. Tasse in cambio di assunzioni, pace so­ciale barattata con la libertà d’impresa: questo è stata fino a ora la linea. E adesso che la melma è arri­vata al collo danno la colpa al governo, figlio del­l’unica politica, quella del centrodestra, che ha al­meno provato (fino ad ora senza raggiungere l’obiettivo)a invertire la rotta. Da Reagan in Ameri­ca alla Thatcher in Gran Bretagna, la recente storia dell’Occidente dimostra che un Paese lo si salva con un guida forte che ha il coraggio di mettere le parti sociali di fronte alle loro colpe e alle loro re­sponsabilità senza guardare in faccia a nessuno, di liberare energie. È quello che ci si aspettava da Tre­monti, è quello che ancora in molti si aspettano da Berlusconi e dal suo governo (in difficoltà ma anco­ra vivo). Il resto sono soltanto chiacchiere o mano­vre di palazzo per tentare l’ennesimo ribaltone. Il Giornale, 2 agosto 2011

ALTRA NAVE, ALTRO EQUIPAGGIO, di Mario Sechi

Pubblicato il 15 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti Giulio Tremonti ha usato la metafora del Titanic per definire la situazione dell’Italia. Bene. A questo punto, dobbiamo porci una domanda: chi guida il Titanic? Qualcuno risponderà prontamente: “Berlusconi!”. Qualcun altro però comincerà a pensarci meglio, poi alzerà la manina e dirà: “Sì, certo, il capitano del transatlantico è Berlusconi, ma a tracciare la rotta è Giulio Tremonti”. Altri diranno che la sala del comando non è più a Palazzo Chigi: “Be’, ma è chiaro che al timone in realtà c’è il presidente Giorgio Napolitano”. Infine una voce solitaria s’alzerà più in alto di tutte e dirà: “Il problema è che al timone non c’è nessuno e la nave va dritta verso l’iceberg”. Tutte queste risposte hanno una dose di verità, ma quel che emerge chiaramente sulla carta nautica è che un governo liberale, di centrodestra, vincente nel 2008 con la promessa della riduzione della pressione fiscale, sta votando una manovra di finanza pubblica che ha elevato i saldi aumentando le tasse, senza tagliare i privilegi della casta. Questa è la cifra politica della faccenda, il resto è tecnica contabile. S’è detto che questa manovra serve a fermare le speculazioni sul debito pubblico. Per ora i risultati sono scarsi. Anche ieri lo spread tra Bund e Btp è tornato a quota 300 punti e l’asta dei Btp a 15 anni ha fatto segnare un rendimento record del 5,9 per cento, il massimo dal lancio dell’Euro. Finanziare la nostra spesa, emettere debito, costa sempre più caro. E se l’obiettivo della manovra è quello di frenare questo rally, allora qualcosa non va.

Quel che non funziona Il Tempo lo ha messo nero su bianco: è una manovra depressiva, priva di tagli strutturali, una pioggia di gabelle senza prospettiva per la crescita economica. Con uno spirito di rassegnazione che rasenta l’istinto suicida, il Parlamento intero – destra e sinistra – sta abdicando allo sviluppo del Paese in nome di un rigorismo formale che si trasformerà in un cappio al quale finirà impiccata la politica e la classe dirigente che la sta interpretando in questa maniera. E’ proprio questo il problema dei problemi, il punto da cui parte tutto e sul quale si concentrano le attenzioni del mercato, degli speculatori buoni e cattivi: l’Italia è l’anello debole della catena che tiene insieme l’Euro. Attaccarla significa far ballare la rumba al Vecchio Continente, tedeschi compresi. Il problema è che a Berlino tutto questo lo capiranno solo quando sul campo sarà rimasto un numero impressionante di morti e di feriti. E’ già accaduto con la Grecia. Tutti sapevano che Atene truccava i conti dello Stato. Ma quando si è deciso di intervenire era già troppo tardi. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il meeting europeo che oggi doveva decidere che fare con l’allegra brigata spendacciona di Atene è stato rinviato per mancanza di soluzioni. La Grecia potrebbe perfino fallire e l’Eurozona continuare ad esistere senza enormi problemi. Ma se casca l’Italia viene giù anche l’Europa. Quel che tutti stanno facendo finta di ignorare è che un debito come quello italiano non è gestibile se non c’è una cura-shock sulla spesa e una crescita superiore all’asfittico uno per cento al quale siamo inchiodati. Sembra di stare sulla nave di Linea d’Ombra. Nel romanzo di Conrad si racconta l’odissea di un giovane capitano che prende il comando di una nave il cui precedente capitano è morto pazzo. E’ l’occasione della sua vita, ma la navigazione viene funestata prima dalle febbri tropicali poi dalla bonaccia. L’epidemia mette l’equipaggio fuori gioco. L’assenza di vento blocca il veliero come uno scoglio in mezzo all’oceano. Solo il capitano e il cuoco resistono. Alla fine, dopo due settimane, miracolosamente l’aria riprende a soffiare, la nave di moribondi giunge a Singapore, i malati vengono sbarcati, viene assunto un nuovo equipaggio, la nave riparte per un’altra avventura. No, non mi piace la metafora tremontiana del Titanic. Preferisco quella conradiana della Linea d’Ombra. All’Italia serve un nuovo equipaggio. Mario Sechi, Il Tempo, 15 luglio 2011.

..……Come dare torto a Sechi, come sempre lucido nella più assoluta indipendenza di giudizio?  La crisi economica non è solo italiana, ma planetaria e  investe l’Europa come l’America. Per cui la manovra varata dal governo e approvata a tambur battente ieri dal Senato e oggi dalla Camera era indispensabile e obbligatoria. Come indispensabili e obbligatori erano all’interno della manovra gli interventi che peseranno sulle spalle e nelle tasche degli italiani che di certo, anche di fronte alle terribili reralità dell’Irlnda e della Grecia,   non possono tirarsi indietro. Ma i sacrifici cui essi sono chiamati sarebbero stati più sopportabili se insieme a quelli imposti ai cittadini comuni ci fossero stati altrettanti e ben più vistosi sacrifici imposti alla “casta”. Questa invece ne esce indenne, o quasi, perchè i vantaggi di cui gode non sono stati neppure lontanamente scalfiti. E se è vero che a guidare la crociata per una manovra inflessibile è stato l’ex comunista e amico dei lavoratori Napolitano, è ancor più strano che questi non abbia usato piglio e cipiglio per imporre all’interno della manovra tagli vistosi e non apparenti ai tanti benefit di cui la “casta” gode e che nonostante la manovra sono destinati a rimanere. Tremonti ha tentato, ha solo tentato di “toccarli”, ma si è fermato non appena sono stati sollevati scudi da parte degli interessati. Che sono di ogni colore politico, perchè quando si tratta di difendere se stessi, i politici fanno fronte comune. Come in Puglia. La rivendicazione degli arretrati sui tagli alle indennità dei consiglieri regionali  annullati da una sentenza del Consiglio di Stato è di tutto lo schieramento politico, da destra a sinistra, passando per il centro. Come ovunque. La vergogna delle provincie con il suo esercito di politici nullafacenti e inutilmente logorroici come il presidente di quella di Bari, non accenna ad essere rimossa. Anzi, in Parlamento giacciono proposte di istituzione di nuove provincie, talune di modestissima entità, a riprova della scarsissima sensibilità della politica rispetto alla necessità di tagliare i già tanto elevvati costi della politica. L’altra vergogna, quella delle doppie e triple cariche, non supera la barriera della retorica disapprovazione e così quella dei favolosi rimborsi elettorali ai partiti che ha preso il posto del finanziamento pubblico bocciato a maggioranza bulgara dal referendum promosso dai radicali. E potremmo continaure a lungo, sottolineando sempre che la questione è assolutamente bibartisan, per cui ieri, mentre assistevamo alla sceneggiata del voto contrario alla manovra  da parte dei partiti della opposizione senza minimamente entrare nel merito dei problemi, pur avendo sostenuto poche ore prima di avere “ricette” alternative,  ci domandavavamo se talvolta a costoro, e a tutti,  non venga  in mente che “qua nessuno è fesso”. A buon intenditor, poche parole. g.


VOLTAGABBANA SULLE PROVINCIE: C’E’ CHI LE ABOLISCE SOLO A PAROLE

Pubblicato il 14 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

C’era questa cosa che diceva De Gasperi, peraltro il politico più frequentemente citato (a sproposito) dagli attuali parlamentari d’ogni colore. E niente, lui era convinto che «politica vuol dire realizzare», in questo senso intendendo il prender decisioni, tener fede agli impegni. Prendiamo questa nostra mania dell’abolizione delle Province, ente istituzionalmente superfluo che cosa 17 miliardi l’anno e pesa fiscalmente sugli italiani per 4,4 miliardi e mantiene senza una vera ragione 4.200 politici e sempre ogni anno paga oltre mezzo miliardo  di interessi passivi, visto l’indebitamento complessivo arrivato a 11 miliardi. Ecco, se ne discute da anni, e tutti lì a far di sì con la testa, ché «bisogna tagliare gli sprechi». Sì, questo a parole.  Poi, quando c’è per l’appunto da realizzare, magari votando “sì” al disegno di legge presentato lo scorso 5 luglio dall’Idv che per l’appunto delle Province disponeva l’eliminazione,  ecco, tutti a fischiettare, girarsi dall’altra parte, sperticarsi in improbabili distinguo. Risultato: no, niente, la legge non passa.
E per la verità scandalosamente pilatesco è l’atteggiamento del Pd. Neanche ha avuto il coraggio di votare contro (ché chissà la gente che cos’avrebbe pensato): ha preferito astenersi – e comunque, di fatto è stato come dire di no. Con il sindaco progressista di Firenze Matteo Renzi a commentare deluso, «il Pd ha perso un’ottima occasione per dare un segnale al Paese, avevamo da battere un rigore e non l’abbiamo neanche calciato».  S’è astenuto anche Veltroni, quello che durante la campagna elettorale del 2008 andava dicendo che «cominceremo da subito abolendo le Province nei grandi Comuni metropolitani», e però facendo trasparire l’insoddisfazione: «Io ero per votare insieme alle altre forze di opposizione per l’abolizione delle Province, poi mi sono adeguato alla decisione di astenersi» – ah, buona vecchia disciplina di partito. E addirittura surreale suona il percorso decisionale di Franceschini. Che a metà giugno, quando si decise di rinviare la discussione sul disegno di legge,  spiegò che «così almeno evitiamo di pregiudicare la discussione di merito sul riassetto delle Province». Poi, al momento del voto, ha preferito astenersi. Così non è che ha pregiudicato la discussione: l’ha proprio cassata.

Girandosi poi dall’altra parte, verso lo schieramento di maggioranza, le contraddizioni se possibile addirittura aumentano. In questo senso, buon profeta fu il brusco ma franco ministro Brunetta, che senza troppe ipocrisie così rispose un paio d’anni fa a uno studente della Luiss: servono le Province? «No». Quindi, alla Marzullo, si fece le domande poi dandosi le risposte: «Riusciremo a cancellarle nell’arco della legislatura? No. Farlo è fondamentale? No. Eliminandole si potrebbe risparmiare? Sì». A parte il “no” alla necessità di sopprimerle, su cui com’è ovvio non concordiamo, per il resto non fa una grinza.

E però scoccia. Scoccia leggere le dichiarazioni d’intenti, le promesse, addirittura gli appelli. Sempre nel 2008, quando ancora Libero martellava sulla questione, il presidente dei deputati PdL Cicchitto commentava che «l’appello sull’abolizione delle Province va preso in seria considerazione dal centrodestra e dal governo, c’è un gran bisogno di tagli di spesa»: l’altro giorno ha invece votato contro.  E Michele Scandroglio, parlamentare berlusconiano e primo firmatario di una proposta di legge costituzionale per l’abolizione degli enti, uno che «se aboliamo le Province, inutili e costose, potremmo detassare per sempre le tredicesime»: almeno lui  avrà votato a favore? Macché: contrario. Così come contro ha votato persino Andrea Pastore, che nel 2008 aveva annunciato anche lui – e proprio a Libero – il disegno di legge di rito, considerando (allora) le Province enti da eliminare per ragioni «finanziarie, funzionali, etiche». E i 9-deputati-9 che, solo un anno fa, s’appellarono proprio a Cicchitto, visto che «l’abolizione delle Province è già stata approvata dagli italiani quando hanno eletto questa maggioranza e questo governo». Ecco le firme: ancora Scandroglio, poi Eugenio Minasso (che l’altro giorno ha però votato contro),  e Maurizio Bianconi (voto contrario), e Giorgio Stracquadanio (contrario), e Viviana Beccalossi (voto contrario), poi Santo Versace (che era assente), quindi Roberto Cassinelli e Pietro Laffranco (che perlomeno si sono astenuti), e infine Aldo Di Biagio. L’unico, quest’ultimo, che coerentemente con i passati convincimenti ha votato a favore della soppressione delle Province. Chissà come l’han guardato.

Che poi, a parte il voto parlamentare,  anche un autorevole esponente dell’attuale governo  come il ministro della Difesa La Russa s’è sempre dimostrato a favore, «invito anche la Lega a non opporsi alla chiusura di tutte le Province: non alcune sì e alcune no, che farebbe scatenare na guerra fra gli enti». E il sindaco di Roma Alemanno, «sono sempre stato favorevole all’abolizione delle Province». E anche Isabella Bertolini, vicepresidente del gruppo pdl alla Camera. La quale, pressoché contemporaneamente al voto contrario espresso in aula, ha annunciato che «sto predisponendo, insieme ad altri colleghi, un progetto di legge per abolire le Province che non abbiano almeno 500mila abitanti».  Forse è un’impressione, ma questa ci sembra d’averla già sentita. di Andrea Scaglia,14/07/2011, LIBERO

LO SFOGO DI MARINA BERLUSCONI A PANORAMA: MALGRADO L’ESPROPRIO HO FICUCIA NEI GIUDICI

Pubblicato il 14 luglio, 2011 in Economia, Giustizia, Politica | No Comments »

Sarà anche un’intervista «a mente fredda» quella concessa da Marina Berlusconi al direttore di Panorama Giorgio Mulè che la pubblica nel numero oggi in edicola. Ma è un’intervista in carne viva. Un’intervista di accuse roventi. Con gli artigli sguainati. Contro i magistrati autori della sentenza che, riaprendo ancora la «guerra di Segrate», condanna la Fininvest a risarcire con 560 milioni di euro la Cir di Carlo De Benedetti. Contro l’Ingegnere, titolare di «un capitalismo cannibale». Contro «certi politici più o meno improvvisati che costruiscono il consenso sull’aggressione all’avversario». Contro certi editori e giornalisti «che hanno trasformato l’informazione in un campo di battaglia». Ne ha per tutti il presidente della Fininvest e della Mondadori. Si salva solo «quella sinistra rispettosa e non forcaiola… che sarebbe un bene per tutti se riuscisse a farsi sentire».
Marina è decisa a dar battaglia ad oltranza. Se possibile, verrebbe da dire, ancor più del padre. E dunque, schiacciamo il tasto play e ascoltiamo il registratore di Panorama: «A mente fredda», va subito al sodo la primogenita di casa Berlusconi, «dico con chiarezza che c’è un tentativo, fin troppo evidente, di cancellare le nostre aziende dalla storia economica di questo Paese. E con altrettanta chiarezza dico che non ci riusciranno». Snocciola le cifre del contributo del gruppo all’economia italiana: ventimila posti di lavoro, un indotto di oltre 40mila solo per Mediaset, più di 2 milioni di euro tra imposte e contributi versati all’Erario, i primati all’estero. «È tutto questo che si colpisce, si ferisce e si insulta» con quella sentenza che ha realizzato «un esproprio inaccettabile». Una sentenza motivata da 283 pagine che Marina ha letto «con molta attenzione». Ma alla fine, dice, «non si può che arrivare a un’unica, ragionevole certezza: in Italia non esiste più la certezza del diritto. Da ogni pagina delle motivazioni emerge chiaramente l’intenzione di condannarci “a prescindere”».
Sulla scorta della denuncia dell’editore, il settimanale mondadoriano dedica la copertina a «La grande rapina», titolo su uno sfondo bianco dove spiccano i fori lasciati da degli spari. Fu solo uno dei tre giudici della Corte d’Appello di Roma che emise il famoso Lodo da cui tutto nacque a essere ritenuto colpevole di corruzione, ribadisce il presidente Fininvest. Gli altri due giudici non sono mai stati corrotti, e hanno sempre dichiarato di «aver studiato nei dettagli la causa e di non aver subito alcun condizionamento». Semmai, il Lodo deluse suo padre, amareggiato perché vide sfumare il sogno della «grande Mondadori». E accontentò De Benedetti, come dimostrano i suoi commenti all’indomani della sentenza nella primavera 1991 che Marina puntualmente riporta. «L’accordo di spartizione», disse l’Ingegnere all’epoca, «è positivo per una serie di ragioni. Cir ha fatto un investimento importante in Mondadori e ne esce con plusvalenze di qualche decina di miliardi e con liquidità per alcune centinaia di miliardi».
Per tutte queste ragioni, rivela la primogenita del premier, «stiamo preparando il ricorso in Cassazione perché, sapendo di essere nel giusto, siamo certi che le nostre ragioni non potranno che essere accolte». Perché, dice chiaro Marina, «anche dopo questo esproprio inaccettabile continuo ad avere fiducia nei giudici, resto convinta che la stragrande maggioranza dei magistrati faccia il proprio lavoro con onestà ed equità, che resti capace di distinguere i propri orientamenti dal proprio giudizio, basato soltanto sulla legge».

Perciò, per Marina è uno scandalo che alcuni magistrati di Milano, «e sottolineo Milano», condannino il gruppo del premier «a versare o meglio a finanziare con 560 milioni di euro l’editore di un gruppo che predica ogni giorno l’eliminazione politica di Silvio Berlusconi». E che, dice Marina, è capeggiato da un padrone che pratica un «capitalismo cannibale» costellato «di fallimenti industriali – a cominciare da quello, storico, dell’Olivetti – di incursioni manageriali molto discusse come i quattro mesi alla Fiat o i 40 giorni all’Ambrosiano di Calvi».
La guerra di Segrate, madre di tutte le guerre della seconda Repubblica, continua. Il Giornale, 14 luglio 2011

LO CHIEDE ANCHE LA BORSA: ITALIA, TAGLIA LA CASTA

Pubblicato il 11 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Secondo il Sole24ore, la politica pesa per 23 miliardi all’anno:gli stipendi degli onorevoli vanno dimezzati. E basta sprechi, a cominciare dalle Province

Piazza Affari manda segnali precisi: dopo il rosso di venerdì, un lunedì di passione aperto col -1,2%. In più, il nuovo record nel rapporto tra Btp e Bund tedeschi, con i titoli di stato italiani che hanno superato i 260 punti. Martedì inizierà la discussione della manovra e mai come in questo momento pare che il messaggio che arriva dai mercati sia uno solo: basta sprechi.

Politica pesante – Lo dice anche la stampa. Vitalizi, spese, sprechi. Consulenze, auto blu, rimborsi elettorali. E, aggiungiamo, Enti inutili a cominciare dalle Province. Secondo il Sole 24 Ore di lunedì la poltica pesa sulle tasche degli italiani 23 miliardi all’anno. Nel suo editoriale Fabrizio Forquet cita la morigeratezza ostentata di due padri della Patria, gli ex presidenti della Repubblica Enrico De Nicola e Luigi Einaudi, poi attacca: “Sono passati vent’anni da tengentopoli e quattro dal successo del libro sulla casta dei colleghi Rizzo e Stella. Ma nulla è cambiato. Usi e abusi sono gli stessi. E sono gli stessi, soprattutto, i costi”. Insomma, sostiene il Sole, “Nessun Paese che viole essere competitivo può allegramente sperperare risorse in una ‘esuberanza’ istituzionale che sa di spreco e irresponsabilità“.

Spendaccioni – Nel dettaglio, Camera e Senato spendono ogni anno 1,7 miliardi (oltre un milardio Montecitorio, 600mila euro Palazzo Madama), di cui 144 milioni in indennità, 96,1 milioni per i rimborsi spese (viaggi, bollette telefoniche e altro), 18,3 milioni in vitalizi agli ex parlamentari, 45,5 milioni per l’affitto di immobili utilizzati come sedi istituzionali. C’è poi il capitolo che riguarda l’intera macchina istituzionale, una burocrazia che succhia 21,3 miliardi all’anno: un miliardo di euro se ne va in auto blu, 180 milioni in rimborsi elettorali, 2,5 miliardi per le partecipate, 2,5 miliardi per le consulenze.

Enti territoriali – Consistente il ‘peso’ degli Enti territoriali. Regioni, Province e Comuni costano 8,6 miliardi, mentre gli Enti intermedi (Parchi, agenzie) ne costano 1,5. Numeri che destano preoccupazione. Ecco il perché della campagna di Libero contro gli sprechi di quegli enti superflui come, appunto, le Province. Ed ecco perché, inoltre, con la manovra dovrebbe arrivare un taglio sostanzioso allo stipendio dei parlamentari che, sempre secondo il Sole 24 Ore, dovrebbe venire dimezzato: l’indennità mensile degli onorevoli, infatti, potrebbe passare da 11.704 a 5.339 euro. Non sufficienti a rimettere, da soli, in sesto i conti dello Stato. Ma di certo un segnale che, in tempi di crisi

Bivio pericoloso – “L’economia italiana – scrive Franco Bruni su La Stampa è messa abbastanza male per precipitare nel baratro, se solo prosegue il deterioramento del meccanismo di decisione politico, ormai divenuto vero e proprio azzardo istituzionale. Ma ha anche potenzialità di resistenza e ripresa sufficienti per vedere ridursi rapidamente i pericoli e scendere il costo del ‘rischio Paese’: basta che dia qualche segnale indiscutibile di cessazione dei comportamenti caricaturali”. Il messaggio è chiaro: basta sprechi, basta indecisioni, basta prese in giro.

Appello all’unità – Di fronte allo scricchiolare di Piazza Affari, dalla politica arrivano segnali di impegno, se non ottimismo. “Se siamo seri – ha commentato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ci dobbiamo preoccupare”. L’opposizione depone, almeno a parole, l’ascia di guerra. Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini hanno annunciato riforme e liberalizzazioni da presentare insieme alla maggioranza. “Chi non combatte la speculazione internazionale contro l’Italia, chi diserta in questo momento da un impegno comune fa solo e semplicemente una scelta antinazionale. Noi non saremo mai tra questi”, ha scritto il leader Udc sulla sua pagina Facebook. Il segretario del Pd avverte che “siamo intenzionati a reagire coralmente a eventuali tentativi di ondate speculative che vogliono mettere in ginocchio il Paese che non sarà messo in ginocchio da nessuno”. Anche l’Idv assicura che pur non condividendo la manovra manterrà un atteggiamento “costruttivo”.

MARINA BERLUSCONI: E’ UN ESPROPRIO. SCANDALOSO ATTACCO A MIO PADRE

Pubblicato il 9 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Milano – Quella sul Lodo Mondadori “è una sentenza che sgomenta e lascia senza parole”. “Rappresenta l’ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico”. È questo il primo commento del presidente della Fininvest Marina Berlusconi alla sentenza d’appello. “Gia in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione”. Lo afferma il presidente Fininvest. “Anche di fronte ad un quadro così paradossale e inquietante, non ci lasciamo però intimorire”, sottolinea, aggiungendo: “Siamo certi di essere assolutamente nel giusto”.

La posizione di Marina “Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti nè nelle regole del diritto”. “È indiscutibile – evidenzia il presidente di Fininvest – che questo attacco abbia come principali protagonisti una parte della magistratura (e della magistratura milanese in particolare) e il gruppo editoriale che fa capo a Carlo De Benedetti. E adesso, con un verdetto che nega l’evidenza emesso dalla magistratura milanese, la Fininvest viene condannata a versare una somma spropositata proprio al gruppo De Benedetti. Una somma addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori”.

Ghedini: “Faremo ricorso” “La Corte d’Appello di Milano ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per se erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest” dice l’avvocato Niccolò Ghedini, avvocato del premier, secondo il quale ora la Cassazione “non potrà che annullare la sentenza”. Secondo Ghedini la sentenza “è la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d’Appello non sospenderà l’esecutività della sentenza – prosegue l’avvocato del premier – tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza”. Il Giornale, 9 luglio 2011

LODO MONDADORI: “SCIPPO” A BERLUSCONI CHE DEVE PAGARE SUBITO 560 MILIONI DI EURO

Pubblicato il 9 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Milano - Rapina doveva essere e rapina è stata. La Fininvest sarà costretta a versare a De Benedetti 560 milioni di euro per il Lodo Mondadori e la sentenza è immediatamente esecutiva. I giudici della seconda corte d’Appello di Milano hanno atteso la chiusura settimanale delle Borse poi hanno emesso il verdetto di secondo grado. Fininvest condannata a pagare il maxi risarcimento da 540 milioni di euro, a cui si sommano 20 milioni di euro di spese legali e interessi legali maturati dall’ottobre 2009. Una cifra nettamente inferiore ai 750 milioni disposti in primo grado dal giudice Raimondo Mesiano. Si tratta del risarcimento di Carlo De Benedetti per i danni causati dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò la fine del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori. La sentenza è immediatamente esecutiva. Quindi Berlusconi è costretto a pagare subito, sperando di rivedere il fiume di soldi tornare indietro se e quando la Cassazione dovesse ribaltare la sentenza. Un risarcimento record, oltre mille miliardi delle vecchie lire, che i legali di Fininvest considerano sproporzionato anche perché la quota del Biscione in Mondadori oggi vale 300 milioni.

Le motivazioni dei giudici “La sentenza Metta fu ingiusta”. È quanto sostengono i giudici della seconda sezione civile del tribunale di Milano che hanno condannato oggi la Fininvest a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti per il “Lodo Mondadori”. Secondo i giudici “con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato”. Il riferimento è alla decisione del 24 gennaio del 1981 della Corte d’Appello di Roma che stabilì invece nulli gli accordi intervenuti in precedenza tra la famiglia Formenton e la stessa Cir riconsegnando così la Mondadori a Berlusconi.

Lo “sconto” Decisiva nel determinare lo “sconto” a Fininvest  è stata la consulenza tecnica d’ufficio depositata nel settembre scorso. Lo studio aveva rivelato che il valore delle società oggetto dello scambio (tra cui L’Espresso e Repubblica) era diminuito tra il giugno del 1990 e l’aprile del 1991, periodo durante il quale ci fu la trattativa. Inoltre, i giudici non hanno riconosciuto il danno di immagine, sancito invece dalla sentenza di primo grado, per la Cir. Secondo il collegio, presieduto da Luigi De Ruggero, anche se la sentenza Metta le avesse dato ragione, la Cir comunque non sarebbe stata in grado di costituire la ’grande Mondadorì, perchè la politica non avrebbe mai avallato questa soluzione, privilegiando invece una spartizione tra i gruppi facenti capo a De Benedetti e Berlusconi. Non ci sono state peraltro, aggiungono i giudici, significative variazioni del valore delle azioni Cir in Borsa, dopo il verdetto firmato da Metta.  Il Giornale, 9 luglio 2011

TAV: E’ TORNATA L’ITALIA DEL NO, di Bruno Vespa

Pubblicato il 5 luglio, 2011 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

E’ tornata in pista l’Italia del no. L’Italia che resta l’unica grande nazione d’Europa senza nucleare, ma non vuole nemmeno le centrali a carbone e blocca la costruzione dei rigassificatori, nell’illusione che le energie alternative possano darci da sole tutto il necessario per illuminare, scaldare, produrre a prezzi compatibili. L’Italia che boccia la partecipazione dei privati alle società pubbliche che distribuiscono l’acqua senza porsi il problema di chi tirerà fuori i 60 miliardi d’investimenti necessari a costruire una rete che non perda metà del prodotto. E adesso rispunta l’Italia del No Tav e del no alla gestione dei rifiuti in Campania con i criteri in vigore nel resto del mondo industrializzato.
Ci sono voluti 800 poliziotti in prima linea e 1.200 carabinieri di riserva per aprire lunedì 27 giugno il cantiere della Val di Susa dopo un decennio di scontri e di progetti variati: appena tre giorni prima del termine ultimo stabilito dall’Europa per non ritirare i 671 milioni del primo finanziamento. Ma intanto, nello stesso decennio, i francesi (che pure qualche mugugno hanno dovuto subirlo) hanno scavato tre gallerie per 9 chilometri. Perché da noi solo con i lacrimogeni e con presidi permanenti di forze dell’ordine si può raggiungere una faticosa normalità?

E Napoli? Dopo 15 anni di Rinascimento di Antonio Bassolino è cominciato un nuovo ciclo: la Rivoluzione di Luigi De Magistris. In una raffinata intervista ad Andrea Marcenaro per Panorama, il nuovo sindaco di Napoli si è collocato un gradino sopra Pier Luigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Gli altri sono leader di partito, lui è un leader politico. Mentre guarda legittimamente a esportare a Roma la Rivoluzione napoletana, De Magistris deve affrontare lo sgradevole problema dei rifiuti. I cinque giorni in cui tutto sarebbe stato risolto, secondo le promesse elettorali, sono passati da un pezzo. Deve di nuovo intervenire il governo e non si sa come la storia andrà a finire. Il sindaco sostiene di avere bisogno solo di un paio di mesi per tamponare l’emergenza, poi la raccolta differenziata risolverà ogni cosa. C’è naturalmente da augurarselo, anche se in nessuna città italiana, nemmeno quelle che hanno avviato il percorso virtuoso da molti anni, la differenziata ha risolto da sola il problema, senza discariche e senza termovalorizzatori. De Magistris ha sposato in pieno la linea di Alfonso Pecoraro Scanio, l’ex leader dei Verdi la cui carriera politica è stata stroncata proprio dai rifiuti di Napoli. Dice contro ogni evidenza che l’impianto di Acerra (aperto a suo tempo dal governo Berlusconi con lo stesso spiegamento di forze richiesto dal cantiere No Tav) è sufficiente da solo, gli altri tre faticosamente previsti non servono. Che San Gennaro l’assista.
La tragedia italiana sta nel fatto che i no al nucleare, ai consorzi pubblici o privati per l’acqua, alla Tav, ai termovalorizzatori non sono l’eccezione, ma la regola. Sono la punta clamorosa di un iceberg che vede le lobby di ogni settore paralizzare la modernizzazione del Paese.

I professori non vogliono essere giudicati e non accettano che i migliori di loro guadagnino di più. Di qui prima la lotta, poi la resistenza passiva alla riforma Gelmini alla quale si sono opposti fermamente anche i baroni universitari timorosi di perdere antichi privilegi di casta. Gli studenti fanno di malavoglia i test internazionali di valutazione. I medici si oppongono alla chiusura di tanti piccoli e inutili ospedali dove si fa un numero d’interventi così ridotto da non garantire una qualità minima, mettendo in pericolo la salute dei cittadini che pure si battono perché quelle strutture restino in piedi. Gli avvocati boicottano la mediazione obbligatoria che fa risparmiare ai cittadini anni di processi (e di parcelle).

I magistrati non vogliono sentire parlare di una riforma che sarebbe solo un timido avvicinamento all’organizzazione internazionale prevalente. I farmacisti fecero l’inferno quando Bersani stabilì che le aspirine si potessero vendere anche nei supermercati. L’Ordine dei giornalisti continua ad accettare iscritti destinati alla disoccupazione. E si potrebbe continuare. L’Italia è ferma. Viva il no! Bruno Vespa, Panorama

QUEI BALZELLI DELLA DESTRA, di Marlowe

Pubblicato il 5 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti Nulla ci toglie l’idea che il miglior spot per il governo non sia tanto la sua attività, ma quella dell’opposizione. Un giorno di Val di Susa messa a ferro a fuoco dai No-Tav, di deliri grillini e di relativi balbettii sull’asse Vendola-Pd-L’Unità possono oscurare la sesquipedale fesseria della stretta sulle pensioni. Né ci convince la presa di distanza dalla violenza del Pd: parlare di squadre militarizzate “infiltrate nella protesta”, oppure come fa in maniera surreale il quotidiano fondato da Gramsci di “governo che si dilegua”, non costituisce quella condanna senza se e senza ma di cui parla Bersani. Se si condanna, lo si fa e basta. Per esempio dicendo a chiare lettere che nessuna alleanza sarà possibile a sinistra con chi ostenta comprensione verso questi ecologisti armati di ordigni all’ammoniaca. Alla stessa maniera se occorreva una prova evidente che non si smaltiscono i rifiuti senza discariche e senza termovalorizzatori, ecco il primo mese da sindaco di Napoli di De Magistris. L’ex pm, ormai affrancato da Di Pietro, aveva promesso di ripulire la città in cinque giorni: ne sono passati 35, il problema è di dove spedire l’immondizia, la colpa è ovviamente del governo e di altri oscuri complotti; ma ora neppure le giunte rosse vogliono prendersi questa spazzatura. Per la quale, tra l’altro, salta fuori che sono ancora da pagare i conti dovuti alle regioni “solidali” per l’export di immondizia partenopea degli anni scorsi. Le magagne, le ambiguità, l’assenza di cultura di governo di gran parte della sinistra non ci impedisce però di insistere sulle iniquità (gravi) e sulle debolezze (ancora più gravi) che Il Tempo ha individuato fin dal primo giorno nella manovra firmata da Berlusconi e Tremonti. Il testo inviato ieri mattina al Quirinale non solo conferma il blocco parziale o totale della rivalutazione delle pensioni a partire dai 1.500 euro (lordi), ma contiene un’altra bomba assai poco intelligente sganciata stavolta sulla testa dei risparmiatori. Cioè di quell’ampio popolo che ha finora tenuto in piedi il Paese, garantendo oltretutto la famosa e ampiamente pubblicizzata sostenibilità del debito pubblico. Si tratta di questo: il bollo sui depositi titoli, per il quale era già previsto l’aumento a 120 euro (da 34,2) manterrà questa soglia nell’immediato, ma dal 2013 subirà un’altra torchiatura. Potrà cioè salire fino 150 euro per le somme inferiori a 50 mila euro, ed a 380 per quelle superiori. Stiamo dunque parlando di una gabella che non solo si avvia a più che decuplicare, ma, fatti due conti, si mangia una fetta abbondante del rendimento atteso. Trecentottanta euro su 50 mila rappresentano circa un punto percentuale (lo 0,76): rispetto ad una remunerazione lorda non speculativa ipotizzata del 3 per cento essi rappresentano circa un terzo. Che superano già con le imposte attuali sugli interessi del 12,5 per cento. Figuriamoci quando queste imposte, con la annunciata legge delega sul fisco, diverranno il 20. È così che si tutela il risparmio? Nel testo inviato a Giorgio Napolitano rispunta poi il taglio al 30 per cento degli incentivi per l’energia verde che la grandissima parte dei consumatori paga attualmente con un sovrapprezzo in bolletta. Nonostante la sua apparente valenza antiecologista, su questo punto non abbiamo personalmente nulla da obiettare. Se la green economy è anche un business, e altamente remunerativo per chi la produce, è il momento che cominci a camminare un po’ più sulle proprie gambe, e non su quelle degli utenti di energia non verde. Come del resto sta avvenendo in tutto il mondo. Del resto dopo la pietra tombale sul nucleare, le fonti alternative diverranno ben presto un obbligo per il mix energetico del Paese; e quindi si ridurrà il bisogno di incentivi. Come abbiamo detto resta per ora lo scandalo delle pensioni. Sul quale pare sia in atto nel governo uno scaricabarile, che ovviamente ci auguriamo si concluda con un emendamento al momento del passaggio in Parlamento: come ha chiesto Raffaele Bonanni, cioè un leader sindacale in ottimi rapporti con il governo (e in particolare con Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi), non un duro antipatizzante del centrodestra. È possibile che l’avere introdotto qualche altra gabella, o ridotto alcuni sgravi, precostituisca le condizioni per coprire l’eventuale correzione della stretta sulla previdenza. O per un suo spostamento verso gli assegni più alti, in nome di una sorta di equità. Ciò che davvero non riusciamo ancora a comprendere è come nessuno, dal Cavaliere al ministro dell’Economia, si sia ancora reso pienamente conto che non si scherza con chi ogni mese fa i conti con entrate sui 2 mila euro e conta gli spiccioli uno ad uno. Tanto più dopo avere annunciato, ma in grandissima parte resi futuribili e «salvo diritti acquisiti», tagli ai costi della politica. I diritti acquisiti non valgono per tutti? Le sforbiciate sono immediate solo nel paese reale, fuori dal Palazzo, dalle authority, dagli assessorati? Per tagliare seriamente i vitalizi, per adeguare gli stipendi di eletti e burocrati pubblici alla media «dei cinque maggiori paesi europei» è davvero necessario mettere al lavoro per mesi una commissione di studio, o basterebbe farsi mandare in tempo reale qualche cifra da Bruxelles, raffrontarla alle nostre, e quindi applicare lo stesso trattamento e gli stessi tempi utilizzati per i pensionati? Conosciamo la giusta ossessione, in particolare di Tremonti, per le pagelle europee, per il collocamento dei titoli pubblici, per le agenzie di rating. Che chiedono introiti certi e strutturali. Ma che cos’ha di strutturale questo congelamento di due anni? A meno che non lo si voglia rendere permanente, non era più logico, più europeo e soprattutto più equo aggiungere un altro tassello alla riforma della previdenza, innalzando in tempi ragionevoli e non biblici l’età di pensionamento delle donne? La nostra idea resta sempre la stessa: il marcamento a uomo in atto da troppo tempo, i sospetti e le gelosie, stanno infettando il centrodestra dei vecchi vizi della sinistra. A cominciare dalla perdita di contatto con la realtà. Che si recupera solo con la politica: quella giusta, con meno nomine e acclamazioni e più attenzione e orecchio alla gente comune. E dire che un tempo, in questo, Berlusconi era un mago. Avanti così, e Tav o non Tav finirà come alle ultime amministrative: tutti lì a chiedersi il perché. Il Tempo, 5 luglio 2011

.…..Ci sa tanto che l’effetto positivo della elezione di Alfano a segretario nazionale del PDL è già stato assorbito dalle contradditorie decisioni in materia economica che la manovra appena approdata al Quirinale ha posto in essere. I semplici annunci, come quelli di ridurre i costi della politica e della casta che sono esorbitanti, anzi pazzeschi, non batano più, specie se raffrontati alle misure, quelle si concrete, che riguardano la gente comune sulle cui spalle pesano ancora una vlta  i costi della manovra. Di questo passo forse il centrodestra arriverà al 2013 ma nonostante l’opposizone ce la metta tutta per rimanere al palo, gli elettori, loro malgrado, potranno decidere diversamente. Ovviamente in attesa  di constatare che gli uni sono uguali agli altri. g.

Ecco le pensioni da tagliare

Gli assegni agli ex consiglieri regionali del Lazio: da 3 a 6 mila euro al mese

Il Consiglio regionale del lazio Alberti Evelina 5.890

Amati Matteo 5.890

Antinucci Rapisardo 5.890

Benedetto Raniero 5.890

Bernardi Enzo 5.890

Berti Mario 5.890

Celori Luigi 5.890

Lazzaro Bruno 5.890

Libanori Franco 5.890

Luzzi Tommaso 5.890

Marroni Angiolo 5.890

Maselli Francesco 5.890

Paladini Stefano 5.890

Panizzi Gabriele 5.890

Spazzoni Raniero 5.890

Splendori Franco 5.890

Troja Giacomo 5.890

Ziantoni Violenzio 5.890

Cancrini Luigi 5.780

Foglietta Alessandro 5.780

Gaibisso Gerardo 5.780

Gallenzi Giulio Cesare 5.780

Molinari Antonio5.780

Cavallo Anna Rosa 5.610

Ciofi Degli Atti Paolo Emilio 5.610

Colombini Leda 5.610

Di Bartolomei Mario 5.610

Maceratini Giulio 5.610

Pallottini Luigi 5.610

Ranalli Giovanni 5.610

Santarelli Giulio 5.610

De Jorio Filippo 5.440

Landi Bruno 5.270

Alba Rosa 5.150

Anderson Massimo 5.150

Angeletti Severino 5.150

Antonini Giovanni 5.150

Arbarello Paolo 5.150

Badaloni Pietro 5.150

Bagnato Agostino 5.150

Bonadonna Salvatore 5.150

Bonotto Gianpietro 5.150

Borgna Giovanni 5.150

Bruni Francesco 5.150

Cacciotti Gioacchino 5.150

Cerri Umberto 5.150

Collepardi Danilo 5.150

Corradi Guerrino 5.150

Coviello Pasquale 5.150

D’Amata Fernando 5.150

Della Rocca Riccardo 5.150

Dell’Unto Paris 5.150

Di Tillo Renato 5.150

D’Ovidio Angelo 5.150

D’Urso Filippo 5.150

Ferroni Andrea 5.150

Finestra Aimone 5.150

Gargano Simone 5.150

Hermanin De Reichenfeld Giovanni 5.150

Marcialis Giuseppina 5.150

Massimiani Elido 5.150

Massolo Oreste 5.150

Mastrantoni Primo 5.150

Minnucci Biagio 5.150

Muratore Antonio 5.150

Natalini Giuliano 5.150

Paliotta Giuseppe 5.150

Pasetto Giorgio 5.150

Quattrucci Mario 5.150

Redler Adriano 5.150

Santini Rinaldo 5.150

Saraceni Vincenzo Maria 5.150

Simeone Domenico 5.150

Tuffi Paolo 5.150

Vitelli Pietro 5.150

Robilotta Donato Rosario 4.900

Diana Lino 4.675

Limido Gabriele 4.675

Napoletano Pasqualina 4.675

Prestagiovanni Bruno 4.590

Verzaschi Marco 4.463

Leopardi Eugenio 4.340

Cirilli Fabrizio 3.825

Luciani Enrico 3.825

Montali Sebastiano 3.825

Di Paola Crescenzo 3.400

Tola Vittoria 3.400

Abbate Antonio 3.150

Ambrosi De Magistris Renato 3.150

Anderson Guido 3.150

Anversa Luisa 3.150

Bafundi Gianfranco 3.150

Barbaranelli Fabrizio 3.150

Battaglia Augusto 3.150

Bettini Goffredo 3.150

Borgomeo Luca 3.150

Bottaccioli Francesco 3.150

Brancati Antonietta 3.150

Brianti Paola 3.150

Brisca Lidia 3.150

Brocchieri Gigliola 3.150

Canali Luigi 3.150

Caponetti Claudio 3.150

Carapella Giovanni 3.150

Carelli Rodolfo 3.150

Celestre Angrisani Luigi 3.150

Ciancarelli Luigi 3.150

Ciani Fabio 3.150

Ciaramelletti Luigi Stefano Paolo 3.150

Cioffarelli Francesco 3.150

Corradi Consuelo 3.150

Costi Robinio 3.150

De Lucia Vezio Emilio 3.150

De Marco Antonio Ciro 3.150

De Mauro Tullio 3.150

Delle Fratte Antonio 3.150

Delle Monache Angelo A. 3.150

Di Francesco Tommaso 3.150

Di Resta Domenico 3.150

Donato Pasquale 3.150

Ercoli Roberta 3.150

Fauttilli Federico 3.150

Federico Maurizio 3.150

Gallucci Domenico 3.150

Gargano Domenico 3.150

Gentile Giuseppe 3.150

Giocondi Roberto 3.150

Giorgi Giov. Battista 3.150

Guerra Paolo Emilio 3.150

Laurelli Luisa 3.150

Luciani Antonio 3.150

Lucisano Pietro 3.150

Lumbroso Giovanna 3.150

Luna Maria Annunziata 3.150

Mariani Giuseppe 3.150

Marigliani Piero 3.150

Masci Giuliano 3.150

Massimi Anna Maria Grazia 3.150

Mattoni Guglielmo 3.150

Mezzabotta Loredana 3.150

Miceli Giacomo 3.150

Nistri Paolo Emilio 3.150

Osio Arturo 3.150

Pazienza Michele 3.150

Pietrini Vincenzo 3.150

Pigliacelli Augusto 3.150

Pizzo Anna Evelina 3.150

Pizzutelli Vincenzo 3.150

Proietti Carlo 3.150

Quarzo Salvatore 3.150

Rea Romolo 3.150

Ricci Achille 3.150

Rinaldi Vladimiro 3.150

Romano Raffaele 3.150

Scalabrini Laura 3.150

Scalchi Ada 3.150

Schietroma Gian Franco 3.150

Signore Antonio 3.150

Socciarelli Candido 3.150

Sodano Ugo 3.150

Speranza Francesco 3.150

Turina Gianni 3.150

Urbano Ettore 3.150

Vitelli Angela 3.150

Zaccheo Vincenzo 3.150

Zanon Antonio 3.150

Ciaraldi Wanda 2.850

Schietroma Fabio 2.850

Pineschi Massimo 2.680

Fontana Enrico 2.530

Grosso Maria Antonietta 2.530

Marrazzo Pietro 2.530

Alagna Roberto 2.380

Padovano Rita 2.380

Danese Luca 2.231

Di Stefano Enzo 2.231

Fichera Daniele 2.231

Forlani Alessandro 2.231

Renzi Paolo 2.231

Temperini Domenico 2.231
A QUESTI SI AGGIUNGONO 40 ASSEGNI DI REVERSIBILITÀ

MANTENERE POLITCI E CASTA? COSTA 24 MILIARDI L’ANNO….

Pubblicato il 4 luglio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il presupposto lo abbiamo capito: dobbiamo arrivare al pareggio di bilancio entro il 2014 e quindi nei prossimi quattro anni saremo costretti a trovare risorse per circa 47 miliardi di euro. Il perché anche: ce lo chiede l’Europa e se dovessimo sforare, le agenzie di rating (le ormai arcinote Standard & Poor’s e Moody’s) starebbero lì pronte a dirci che non siamo affidabili con la conseguenti inevitabili punizioni (leggi aumento degli interessi da pagare sul debito). Quella che ci manca è una risposta a una domanda che sorge spontanea: ma perché i nostri governanti si accaniscono contro chi arriva a stento a fine mese con una pensione da 1.400 euro e non danno invece una bella sforbiciata ai costi della politica? Domanda retorica. La risposta è facilmente intuibile. Poco difendibile però, soprattutto se si vanno a vedere i numeri. E a questo ci ha pensato la Uil. Il sindacato guidato da Luigi Angeletti che in uno studio elaborato qualche settimana fa, e che Libero aveva pubblicato, metteva nero su bianco una cifra che anche a ripubblicarla ci sembra sbalorditiva: ogni anno i costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a 18,3 miliardi; a questi sono da aggiungere i 6,4 dovuti a un sovrabbondante sistema istituzionale. Il totale è: 24,7 miliardi. Circa 646 euro a contribuente. Facendo due calcoli: se per i prossimi quattro anni i politici dimezzassero le spese che ruotano intorno al loro complesso mondo, l’Italia non avrebbe più il problema del deficit e i pensionati dormirebbero sonni molto più tranquilli. Anche perché  non stiamo parlando di una ristretta cerchia di grandi menti che prestano il loro nobile servizio per migliorare la vita dei cittadini, ma di 1,3 milioni di persone che vivono, direttamente o indirettamente, di politica.

I CASI ECLATANTI
Qualche esempio: abbiamo 145 mila tra parlamentari (nazionali ed europei), ministri (e sottosegretari), e amministratori locali (sindaci, presidenti, assessori e consiglieri vari); 24 mila stipendiati nei consigli di amministrazione delle 7 mila società, enti e consorzi delle pubbliche amministrazioni; e una miriade di consulenti e addetti agli uffici di gabinetto.

Tanto per intenderci: il funzionamento degli organi dello Stato centrale (presidenza della Repubblica, presidenza del Consiglio, Camera dei deputati, Senato della Repubblica e Corte Costituzionale) quest’anno ci costa più di 3,2 miliardi di euro. Cento milioni in più servono, invece, per garantire la corretta azione di Regioni, Province e Comuni.  Mentre altri 529 se ne vanno per Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Cnel, Csm e Consiglio giustizia amministrativa della Regione Sicilia.

LE PROPOSTE
Obiezione: mica sarà possibile tagliare tutto? Certo che no, ma di spazio per razionalizzare ce n’è e tanto. Qualche spunto ce lo dà la stessa Uil. Lo studio del sindacato evidenzia che “se le Province si limitassero a spendere risorse, soltanto per i compiti stabiliti per legge, il risparmio sarebbe quantificabile in un miliardo e duecento milioni di euro all’anno”. Niente male. E poi continua: “Inoltre, se si accorpassero gli oltre 7.400 Comuni al di sotto dei 15 mila abitanti, il risparmio ammonterebbe a tre miliardi e duecento milioni”. Non stiamo parlando di proposte che arrivano da Marte, ma di provvedimenti annunciati più volte dai politici, sia di destra che di sinistra, che però non hanno mai trovato terreno fertile in Parlamento.  Altri esempi? “basterebbe una più sobria gestione del funzionamento degli uffici regionali – si legge ancora nel documento – per risparmiare altri 1,5 miliardi di euro e oltre 500 milioni l’anno potrebbero arrivare da una razionalizzazione del funzionamento dello Stato centrale e degli uffici periferici”. Del resto il decentramento amministrativo avvenuto in questi anni (si pensi agli esempi dei ministeri del Turismo, dei Giovani, degli Affari regionali e di vari dipartimenti affidati a diversi sottosegretari) dovrebbe andare proprio in questa direzione.

Morale della favola: se l’obiettivo è dare una bella sforbiciata alle spese della casta senza ridurre i servizi ai cittadini, una soluzione si trova. E quella proposta dalla Uil fa al caso nostro: decurtiamo del 20% i 18 miliardi e passa di costi diretti e indiretti della politica e aggiungiamoci i risparmi per l’efficientamento delle istituzioni pubbliche. La somma di 3,7 più 6,4 fa 10 miliardi e passa all’anno. In quattro anni più di 40 miliardi. Non sono i 47 della manovra, ma basterebbero per “zittire” l’Europa e assicurare una vecchiaia tranquilla a chi vive della propria pensione. LIBERO, 4 LUGLIO 2011, di Tobia De Stefano