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IL PROGETTO TREMONTI PER UN FISCO LEGGERO, SEMPLICE MA RIGOROSO

Pubblicato il 15 giugno, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Un sistema con non più di tre aliquote sui redditi delle persone, e non più di cinque imposte. E’ la riforma vagheggiata ieri da Giulio Tremonti all’assemblea della Confartigianato. Il ministro dell’Economia ha dato la sensazione di indicare più un punto d’arrivo – la famosa legge delega – che non il taglio immediato chiesto dal Cav. e da Umberto Bossi per rimettere in sesto il centrodestra e l’alleanza con la Lega, oltre a ritrovare la sintonia con l’elettorato. Ciò che di sicuro è confermato dal dicastero di via XX Settembre è l’approdo oggi sui tavoli di Silvio Berlusconi, del governo e dello stato maggiore del Carroccio del risultato dei lavori delle quattro commissioni istituite da Tremonti per studiare le innovazioni tributarie: si tratterebbe di oltre 600 pagine.

La prima relazione, coordinata da Piero Giarda, riguarda gli sprechi da tagliare; la seconda, a opera di Vieri Ceriani, è la classificazione dei 471 regimi di deduzioni e detrazioni che valgono 190,3 miliardi l’anno; la terza è una ricognizione affidata al presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, su quanto si può ragionevolmente portare in chiaro dal sommerso. Infine la sintesi politico-decisionale, opera della Ragioneria e di Tremonti stesso. Su questa il ministro non ha ancora alzato il velo. “Però”, ha di nuovo precisato, “non si può pensare di fare la riforma tributaria in deficit, né sconquassando il bilancio dello stato. Piuttosto potrà essere avviata anche e soprattutto grazie al taglio dei costi della politica”. E quindi: “Meno aerei di stato e più Alitalia, meno benefici fiscali a quelli che hanno il gippone”. Non è ammissibile, secondo Tremonti, che “si può dedurre tutto, dalle palestre alle finestre”.

D’altra parte le cifre che continuano a giungere dai conti pubblici e dalla ricchezza privata confortano l’immagine tremontiana di un paese che cammina sulla lama del rasoio per il debito, mentre nel complesso la situazione patrimoniale ed economica, secondo il ministro, non è affatto sconfortante. Bankitalia ha registrato ieri un nuovo record per lo stock del debito pubblico che ha toccato ad aprile 1.890,6 miliardi di euro. A marzo aveva segnato un decremento a 1.868,2. Nello stesso periodo, però, le entrate fiscali fanno registrare un aumento del 6 per cento rispetto al 2010, e particolarmente buono è il risultato di aprile (27,5 miliardi). Al tempo stesso la crisi non ha intaccato il patrimonio finanziario delle famiglie italiane: una ricerca dell’Associazione italiana di private banking rivela che nel 2010 la ricchezza derivante da questo tipo di attività ha raggiunto 896 miliardi di euro, con un aumento del 3,2 per cento. Contrasti che corroborano l’appello di Tremonti a eliminare privilegi e sprechi, anche nel settore pubblico e nella politica. Qualcuno osserva che tra questi c’era il taglio delle province, cavallo di battaglia berlusconiano del 2008, al quale si sono opposti Lega e Partito democratico.

Ma l’intervento del ministro è stato più articolato di quel “voglio fare la riforma, ma mi occorrono 80 miliardi”, detto sabato scorso al convegno dei Giovani di Confindustria a Santa Margherita Ligure. In mezzo c’è stato ovviamente il referendum che nelle analisi segnalerebbe non solo la caduta di feeling del Cav., ma un vero smottamento della base del centrodestra. A tratti ieri Tremonti è sembrato tornare all’impostazione liberista del passato, come quando ha evocato “aliquote più basse possibili rappresentano il miglior investimento per ridurre l’evasione fiscale”. Ma la priorità è di sicuro la semplificazione, più che la riduzione secca della pressione complessiva. Attualmente le aliquote sul reddito delle persone fisiche sono cinque, tra il 23 e il 43 per cento, e incidono sui redditi che spaziano da 15 mila euro a oltre 75 mila, sui quali scatta il prelievo massimo. All’interno della prima fascia c’è una no tax area di 8 mila euro per i dipendenti e 4.800 per gli autonomi.

Nella legislatura 2001-2006 il Parlamento approvò una delega che prevedeva due sole aliquote flat, del 23 e del 33 per cento. Il progetto attirò accuse di incostituzionalità per la scarsa progressività, che si sarebbe dovuta recuperare rendendo detrazioni e deduzioni decrescenti in base all’imponibile. Ma la legislatura finì e la delega non divenne mai legge. Foglio Quotidiano, 15 giugno 2011

MENO TASSE. PIU’ CORAGGIO

Pubblicato il 11 giugno, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi Si sta preparando una riforma fiscale a due stadi, come i contendenti: Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Il primo stadio, da attuare quest’anno (ma dopo aver garantito al ministro dell’Economia la blindatura della manovra da 45 miliardi entro il 2014) è il segnale che il Cavaliere vuol lanciare subito agli elettori. Consisterebbe in un taglio di tre punti dell’aliquota Irpef più bassa, oggi al 23 per cento sui redditi fino a 15 mila euro. E di un micro-taglio dell’Irap di 0,5 punti che allevierebbe la parte di questa imposta scervellata che si paga in relazione alla manodopera, la famigerata tassa sul lavoro. Poiché siamo sul filo del rasoio con l’Europa, questi sgravi dovrebbero essere a costo zero, cioè trovando le risorse all’interno dello stesso sistema fiscale. E dunque in primo luogo aumentando di un punto l’Iva ordinaria (oggi al 20 per cento) e ridotta (oggi al 10). Poi iniziando a disboscare la giungla 476 deduzioni e detrazioni, spesso frutto del pluridecennale lavoro delle lobby. Infine, se servirà, innalzando l’imposta sugli interessi, oggi al 12,5 per cento. Risultato? Sui primi 15 mila euro di reddito imponibile si pagherebbero 450 euro di tasse in meno l’anno, 37,5 al mese. Non cambia la vita, ma per chi campa con quegli introiti è comunque qualcosa. Attenzione, però: parte del risparmio verrebbe restituita a causa di quel punticino in più di Iva. Un motorino da 3 mila euro ne costerebbe 30 in più. Duemila euro di bollette l’anno, altri 20. Mille euro di fatture mediche altri dieci. E così via. Un mobile, un cellulare, una vacanza, tutto costerebbe di più. Ne varrebbe la pena? In linea di principio sì: il trasferimento delle imposte dalle persone alle cose è in tutti i sistemi fiscali avanzati, ed è anche un impegno di questo governo. All’atto pratico, però, andrebbe raffrontato all’effettivo beneficio iniziale. Nel 2008 i contribuenti che hanno dichiarato fino a 15 mila euro di reddito sono stati circa 20 milioni su un totale di 41. Ma occorre tenere conto della fascia esente che nel lavoro dipendente riguarda i redditi fino a 8 mila euro, e per gli autonomi fino a 4.800. Oltre dieci milioni di persone, e proprio quelle a reddito più basso, non avrebbero quindi benefici, mentre pagherebbero l’Iva maggiorata.

L’alternativa allo studio è ridurre l’aliquota media del 27 per cento pagata sui redditi da 15 a 28 mila euro: riguarda in primo luogo 15 milioni di contribuenti, più tutti quelli che stanno sopra. Ma per finanziare il doppio sgravio – di tre punti più uno – non ci sono le risorse, e dunque si parla del calo di un punto delle due aliquote più basse, dal 23 al 22 e dal 27 al 26. Questa operazione farebbe risparmiare al contribuente medio italiano, con reddito di poco inferiore a 30 mila euro, 280 euro l’anno. Ne beneficerebbero più persone, 35 milioni di contribuenti, i tre quarti del totale, ma con un sollievo ancora minore. Infatti mentre il costo della prima operazione è di 13,7 miliardi, quello della seconda è più o meno la metà. Lo sgravio mignon consentirebbe di evitare l’aumento della tassa sui risparmi, operazione invisa al Cavaliere e ai suoi elettori; e forse di togliere qualcos’altro dall’Irap. Fin qui l’assaggio per il prossimo anno. Dopodiché Tremonti presenterebbe la riforma vera e propria attraverso una delega che produrrebbe benefici concreti entro il 2013, anno elettorale. Si sa già però che il ministro intende muoversi sugli stessi binari: riducendo le imposte dirette e aumentando le indirette, disboscando le agevolazioni, innalzando la tassa sugli interessi. Va benissimo, ma la domanda è un’altra: basterà per ridurre la pressione fiscale complessiva, che l’anno scorso è stata del 42,8 per cento del Pil, largamente al di sopra della media europea? Certamente no, se la delega verrà attuata spostando imposte da una parte all’altra. Altra domanda: è davvero questa la riforma di cui ha bisogno il Paese per rilanciarsi? Ecco: secondo noi bisognerebbe partire proprio da qui. Per avere una pressione fiscale di tipo europeo, cioè leggermente al di sotto del 40 per cento, e quindi pensare davvero di rilanciare la crescita, occorre finanziare i tagli con altre risorse. E siccome varrà sempre il principio per cui non si può farlo in deficit, bisogna potare altrove, al di fuori dell’area tributaria. Insomma, rispetto all’idea tremontiana della riforma a costo zero, si deve osare di più. Ma in che modo? Non siamo la Ragioneria dello Stato, ma qualche idea ci viene in mente. In attesa dei famosi tagli verticali, cioè nel merito, alla spesa pubblica. Per esempio: ricordate la più volte promessa abolizione delle province? Si è detto che non renderebbe nulla perché gli impiegati andrebbero ricollocati.

Certo, ma a fine carriera non dovrebbero essere rimpiazzati. E comunque dai dati forniti dall’Unione province italiano salta fuori che non si tratterebbe di bruscolini: il costo complessivo delle 109 province, tra spese correnti e in conto capitale, è di 20 miliardi l’anno. Delle spese correnti, due terzi servono per il mantenimento della macchina burocratica. Dunque si potrebbero risparmiare in partenza 3-4 miliardi l’anno, che aumenterebbero con il decrescere dei dipendenti. Ma non solo. Ci sono gli stipendi dei presidenti (da 4 a 7 mila euro) e dei vice (da 3 a 4.500) ed i gettoni di assessori e consiglieri. I costi per le campagne elettorali. Vogliamo tenerci bassi e dire che in partenza si possono risparmiare 4-5 miliardi l’anno e a regime quei famosi venti? Andiamo avanti. Il governo aveva annunciato la riduzione del 20 per cento dei consiglieri comunali, che in città come Roma, Milano, Napoli, Torino erano ben 60 e con le ultime amministrative sono in effetti scesi a 48. Risparmio stimato, 213 milioni. Ma ci si può chiedere: perché a palazzo Marino, e naturalmente in Campidoglio, devono sedere 48 consiglieri mentre a Montecitorio ci sono 630 deputati ed a palazzo Madama 315 senatori? Dove stanno le proporzioni? Il congresso americano conta 435 deputati e 100 senatori: vogliamo ipotizzare che le decisioni che prende siano abbastanza rilevanti? Se riducessimo a 30 il numero dei consiglieri nelle città maggiori, ed a 20 in quelle minori, la nostra vita pubblica ne risentirebbe? Quei 213 milioni aumenterebbero ad ben oltre mezzo miliardo l’anno. A cui si aggiungerebbero i risparmi su auto blu, segreterie, cellulari, uffici, campagne elettorali. Proseguiamo. Roma, per fare un esempio a noi vicino, ha 20 municipi. Con relativi mini-sindaci, assessori e consiglieri. New York ha cinque distretti, o contee. Si potrebbe trovare una via di mezzo? O ancora: la Sicilia ha 90 deputati regionali, 14 più del senato australiano.

Ma anche Lombardia (80) e Lazio (70) non scherzano. Tirate le somme, noi contribuenti italiani manteniamo 120.490 consiglieri comunali, 3.246 consiglieri provinciali, 35.254 assessori comunali, 858 assessori provinciali, 1.117 consiglieri regionali. Circa 170 mila poltrone. Riducendole della metà arriveremmo a un altro miliardo di risparmi strutturali. Prendiamo il Cnel, Consiglio generale economia e lavoro. Costa 25 milioni l’anno, non molto direte, ma i suoi dirigenti viaggiano intorno a stipendi dai 300 ai 500 mila euro, ed i dipendenti intorno ai 100 mila. Il punto però è: a che serve? La Corte costituzionale e la Corte di Cassazione hanno rispettivamente 14 e 37 magistrati; la Corte suprema americana – che grosso modo riunisce le competenze di entrambe – ne ha nove. E così il Consiglio costituzionale francese. La Corte suprema inglese ha 12 giudici, quella tedesca 16, quella spagnola 12. Poi noi abbiamo il Consiglio di Stato (101 giudici) ed i Tar (392): un esercito di 493 magistrati amministrativi, ai quali si aggiunge qualche migliaio di dirigenti, direttivi, impiegati di concetto, esecutivi, dattilografi e ausiliari suddivisi in sei livelli di carriera e stipendi. E tralasciamo la giustizia penale e civile. Ci fermiamo qui per ora. Abbiamo fornito alcuni esempi di tagli per finanziare una riforma fiscale vera: tagli non solo possibili, ma doverosi. Per restituire ai contribuenti soldi veri, e per dimostrare che ridurre i costi della politica e delle poltrone si può. Un segnale – chiamiamo le cose per nome – etico. Marlowe, Il Tempo, 11 giugno 2011

FISCO PIU’ UMANO, STOP ALLE GANASCE

Pubblicato il 2 giugno, 2011 in Economia | No Comments »

Stop alle cosiddette “ganasce fiscali”, cioè le riscossioni coattive, verso quegli imprenditori che per difficoltà economiche temporanee sono morosi verso Equitalia e gli altri enti di riscossione: lo chiede una risoluzione approvata con voto bipartisan dalla commissione Finanze della Camera.

Il documento, a prima firma di Maurizio Bernardo (Pdl), chiede anche di togliere ad Equitalia la riscossione delle multe e riportarle in capo ai comuni. Il testo potrebbe diventare un emendamento al decreto Sviluppo.

La risoluzione impegna il governo a “introdurre elementi di maggiore flessibilità nelle procedure di riscossione coattiva nei confronti di quegli imprenditori che dimostrino di non essere in grado di ottemperare alle scadenze fiscali e contributive per una temporanea difficoltà economica legata alla congiuntura negativa, attraverso un intervento normativo teso a rendere strutturale la possibilità di concedere al debitore un nuovo piano di rateazione, in caso di mancato pagamento di una o più rate determinato da un comprovato peggioramento della situazione di difficoltà economica del debitore stesso”.

Inoltre il governo dovrà rivedere la disciplina della riscossione degli importi “non significativi”, cioè inferiori a 2.000 euro, in modo tale che l’agente della riscossione sia “tenuto semplicemente ad inviare al debitore solleciti di pagamento”.

Maggioranza e opposizione chiedono poi all’esecutivo di “rivedere il meccanismo di espropriazione sugli immobili, elevando a 20.000 euro l’importo al di sotto del quale non è possibile iscrivere ipoteca ovvero procedere ad espropriazione, prevedendo inoltre che, qualora il debitore risulti proprietario di un solo immobile nel quale abbia la propria residenza l’iscrizione ipotecaria sia necessariamente preceduta dalla notifica di una comunicazione preventiva che assegni al debitore stesso un termine di trenta giorni per effettuare il pagamento, prima che si proceda all’iscrizione del gravame”.

Per quanto riguarda poi il meccanismo di calcolo delle sanzioni tributarie, esso andrà riformato “in particolare escludendo forme di anatocismo, legate all’applicazione di ulteriori interessi sulle sanzioni e sugli interessi di mora maturati per il mancato pagamento dei debiti tributari, limitando la crescita degli oneri connessi ai ruoli esecutivi e rivedendo il meccanismo dei compensi di riscossione”.

Infine, in vista dell’attuazione del federalismo fiscale, la risoluzione chiede al governo “la riorganizzazione del sistema della riscossione coattiva da parte dei Comuni, verificando in tale contesto l’opportunità di concentrare l’operatività di Equitalia sulla riscossione dei crediti di natura tributaria e contributiva, lasciando al sistema della riscossione degli enti locali la competenza in materia di riscossione delle altre entrate di spettanza dei medesimi enti locali”.

Che cosa cambia tra Fisco e contribuente

II limite al blocco fino a duemila euro - Accordo tra maggioranza e opposizione per introdurre modifiche alle ganasce fiscali, che scattano dopo una serie di solleciti di pagamento ai contribuenti sia per le tasse sia per le multe dei Comuni. Sotto importi complessivi per 2.000 euro spariranno le ganasce e l’ente riscossore sarà tenuto solo a inviare al debitore solleciti di pagamento.

Niente ipoteca fino a 20 mila euro - Uno dei poteri dell’amministrazione finanziaria in caso di mancato pagamento delle imposte è il pignoramento degli immobili. Per quanto riguarda l’espropriazione degli immobili questa procedura potrà avvenire solo per importi superiori ai 20 mila euro. Al di sotto di questa soglia non sarà possibile iscrivere a ipoteca ogni tipo di immobile intestato al debitore.

La scadenza slitta di 60 giorni - Dal primo luglio scatta l’accertamento esecutivo e va in pensione la cartella esattoriale. La casa è messa al centro delle attenzioni del Parlamento anche per altri aspetti. Se il debitore è proprietario di un solo immobile nel quale abita, può ottenere uno slittamento di 60 giorni per effettuare il pagamento ed evitare il pignoramento.

SE ADESSO TREMONTI VA ALL’ATTACCO DI TREMONTI, di Nicola Porro

Pubblicato il 20 maggio, 2011 in Economia | No Comments »

Ieri il ministro dell’Economia, che è an­che ministro delle Finanze, Giulio Tre­monti ha chiesto un alleggerimento de­gli eccessi fiscali. Bene,benissimo.Il di­rettore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Be­fera, braccio armato degli esattori di casa nostra, solo una settimana fa aveva scritto ai propri dipendenti di non andarci giù trop­p­o duri nella riscossione delle presunte tas­se non pagate.

Bene, benissimo. Però cerchiamo di non prenderci per i fondelli. Nel 2010 lo Stato ha incassato il 15 per cento in più rispetto all’anno preceden­te, proprio grazie alle nuove misure antieva­sione. Si parla di quasi 9 miliardi di euro pio­vuti nel bilancio dello Stato. Cosa sta succe­dendo dunque? Una cosa molto semplice. Fino a qualche anno fa, anche se è poco elegante dirlo, alcu­ni italiani si aggiustavano il carico fiscale con qualche sotterfugio. Le aliquote sul red­dito e quelle sull’impresa sono proibitive. Si immagini che in Italia esiste un’imposta sulle imprese che si paga anche se si perdo­no quattrini e cresce con il crescere del nu­mero dei propri dipendenti e degli interessi passivi che si pagano in banca. Un cocktail micidiale soprattutto in momenti di crisi, in cui le imprese provano a non licenziare, ma hanno conti in banca sempre più in rosso. Ebbene l’amministrazione finanziaria non ha concesso più sconti.

Ha individuato de­gli strumenti estremamente efficaci per in­cassare il maltolto. Ha infatti preso di mira i due oggetti fisici che più stanno a cuore agli italiani: casa e auto. Se non paghi ti confisco l’una e l’altro. L’uovo di Colombo. A ciò si aggiunga il meccanismo perverso dell’accertamento.Come dice bene il sena­tore-Compagna in un disegno di legge appe­na presentato: si chiama accertamento, ma in realtà è un atto impositivo. Decine di let­tori ci hanno spiegato la pratica. Il funziona­rio pubblico viene in azienda e ti contesta X di imposte evase. Sarà tuo onere dimostra­re che ciò è totalmente falso. E spesso e vo­lentieri conviene chiudere la pratica là, per non finire in Commissione e pagare parcel­le. Il rapporto annuale della Guardia di fi­nanza ha certificato che il 50 per cento degli accertamenti viene annullato dalla giusti­zia tributaria.

Ma non tutti hanno la voglia, la forza, e la cultura per opporsi. Per farla breve il ministro Tremonti ci ha salvato dalla sindrome greca, ma non dal­l’oppressione fiscale. Che pure è sempre stato un suo cavallo di battaglia. Oggi chie­de ciò che ci avrebbe dovuto già dare. Ma soprattutto occorre risolvere un equivoco. A parte la patologia del sistema (il funziona­rio che ci prova, come abbiamo illustrato) le cartelle, e i ruoli esattoriali, insomma i 9 miliardi di euro riscossi nel 2010, non sono mica figli dell’abuso. Sono il risultato di un sistema fiscale onerosissimo. Il ministro delle Finanze chiede giustamente maggio­re rispetto per i contribuenti, ma si dimenti­ca che il rispetto maggiore lo si dà riducen­do un carico insopportabile.

……….Speriamo che Temonti, e non solo lui, legga questo editoriale di Nicola Porro, vice direttore de Il Giornale, che condividiamo dal primo all’ultimo rigo, dalla prima all’ultima parola. Ma non basta. Gli italiani sono oppressi oltre che da un carico fiscale insopportabile, da altri balzelli che rasentano il sistematico ricatto a loro danno. Prendi il sistema assicurativo. Da qualche tempo, tutte le compagnie assicuratrici nel settore automobilistico,  allorchè  a un assicurato capita  un incidente automobilistico  del quale sia ritenuto responsabile o corresponsabile, alla scadenza dell’anno contrattuale riceve la comunicazione di disdetta unilaterale da parte dell’assicurazione. Cioè, le assicurazioni vogliono solo clienti che paghino e che non arrechino alcun “fastidio”, altrimenti lo mandano via. La conseguenza è che il malcapitato è costretto a cambiare assiocurazione e la nuova gli propone (impone!) contratti che vedono moltiplicato per 5, 6, anche 10 volte, il precedente premio. Insopportabile. Dicono le assicurazioni che a tanto sono costrette per via dei tanti falsi incidenti che ci sono in giro, un giro di truffa che le danneggia. E sia. Ma questo non può essere imputabile al cittadino onesto, cioè alla stragrande maggioranza degli automobilisti  i quali pagano l’assicurazione obbigatoria per ricevere in cambio, quando ve ne sia bisogno, assistenza e supporto. Non può essere che le assicurazioni debbano incassare il premio senza fornire servizi. Non sappiamo come si chiami ciò ma di certo non ha a che vedere con qualcosa di corretto. Ecco, anche in questo Tremonti  e il governo hanno il dovere di intervenire. Pena la più ovvia delle conseguenze: la scelta degli automobilisti di evadere l’obbligo assicurativo e affidarsi alla fortuna. E se la fortuna non li assiste,  in caso di incidenti, i costi saranno a  carico dell’erario pubblico. g.

GUERRA IN LIBIA: PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN DIFFICOLTA’, A CASA IL 70% DEI LAVORATORI

Pubblicato il 15 maggio, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Lo dice senza remore, lo testimoniano i dati in suo possesso: «sono migliaia i posti di lavoro persi dall’inizio della guerra», ammette Alfredo Cestari, presidente della camera di Commercio ItalAfrica Centrale. La diapositiva scattata dall’associazione (registrata al ministero per il Commercio Estero) non induce all’ottimismo. Soprattutto per le piccole e medie imprese, che «fino al 2010 erano stabilmente impegnate in Libia» e per le quali «l’acquisizione di commesse permetteva loro di mantenersi in vita in Italia», dice Cestari.

Solo «il 30% del personale si è salvato attraverso la sua riconversione e il riutilizzo in altri ambiti aziendale», si legge nella nota diffusa dall’associazione. Un’ecatombe soprattutto per quegli imprenditori che avevano spostato in Libia il loro core business, convinti che il trattato di amicizia italo-libico firmato quasi tre anni fa potesse essere il garante dei loro commerci. Il raìs sembrava essersi ammansito dopo la crisi dell’86 (con attacco missilistico a Lampedusa) e i Piccoli sono andati a rimorchio delle grandi aziende di casa nostra, costruendo un principio d’indotto anche sull’altra sponda del mediterraneo.

Lavoravano nella subfornitura edilizia, dietro le commesse vinte da Impregilo e Astaldi, nel settore dei trasporti per Iveco e Grimaldi e avevano sfruttato l’onda lunga che i contratti di fornitura di petrolio e gas vinti da Eni (e la sua controllata Saipem), Edison e Tecnimont, potevano garantire per un buon approvvigionamento energetico. Ecco perché si erano spinti anche in mercati inesplorati, come quello dei mangimi (come la romagnola Martini Silos), nel settore delle telecomunicazioni (dietro il colosso Telecom, anche la Sirti, che produce appunto impiantistica per le reti di telecomunicazioni) e nella meccanica industriale, come la bolognese Technofrigo (impianti di refrigerazione) e la cremonese Ocrim (molini).

Spiega Cestari: «il bombardamento dei siti di estrazione di petrolio da parte di Gheddafi significa che sarà quasi impossibile per l’Eni riprendere la fornitura a guerra finita (rispettando così i contratti già firmati, ndr.)». E teorizza un conto a dieci cifre – già da ora – per tutto il sistema-Italia: «il volume d’affari che si è interrotto ha abbondantemente sfondato il tetto di 100 miliardi di euro». E se il colosso di San Donato Milanese ha potuto reggere l’onda d’urto, per le imprese dell’indotto i «licenziamenti e le procedure di cassa integrazione» sono state inevitabili. Il Corriere della Sera, Fabio Savelli, 14 maggio 2011

.………..Senza essere economisti o esperti in poltica economica, non abbiamo nascosto i nostri dubbi e le nostre perplessità per la partecipazione ad una guerra voluta da francesi e inglesi con il supporto del più grande bluff della politica di tutti i tempi, Obama. A Inglesi e francesi non gliene frega un fico secco dei diritti umani dei libici, la cui stragrande maggioranza, tra l’altro, non apprezza il loro intervento sul suolo di una Nazione sovrana e per di più membro dell’Onu, a loro importavano solo le ricchezze della Libia il cui principale interlocutore economico, sino alla guerra, era l’Italia. All’Italia, dunque, dal punto di vista economico, e se si vuole, anche cinico, la guerra era l’ultima cosa che poteva volere. Era chiaro a tutti, sinache a noi, ma non lo era (o lo era?) alle opposizioni, dal PD all’Udc, passando per il FLI, che hanno sbraitato  (fsolo per far male al governo e finendo per fare male all’economia italiana) sino a quando il governo, cedendo alle pressioni politiche, ha ceduto e fatto guerra alla Libia e quindi al ruolo italiano in quella parte del nordafrica e al ruolo delle imprese italiane che ora sono costrette a licenziare migliaia di lavoratori, aggravando la crisi  del nostro Paese. Con chi dobbiamo congratularci? g.

SVOLTAS EPOCALE, PUNITI I FUNZIONARI DEL FISCO CHE VESSANO I CONTRIBUENTI

Pubblicato il 5 maggio, 2011 in Economia | No Comments »

Diventa illecito disciplinare l’eccesso di controlli nei fiscali nei confronti delle imprese. E un imprenditore che si sente il fiato del fisco sul collo potrà segnalarlo e far avviare una procedura disciplinare. E’ sola una delle ultime novità introdotte nel pacchetto delle venti misure fiscali del “decreto sviluppo” del governo, il cui scopo è la semplificazione del rapporto tra contribuenti e imprese. Un altro cambiamento previsto riguarda le modalità dei controlli.

Infatti, le verifiche amministrative sotto forma di accesso effettuato da qualsiasi autorità competente dovranno rispettare una serie di regole. Innanzitutto, il controllo dovrà essere unificato e dovrà avere una cadenza semestrale e durare massimo quindici giorni. Se solo una di queste condizioni venisse disattese, l’impresa potrebbe considerarsi eccessivamente oppressa e potrebbe configurarsi un illecito disciplinare.

Nelle altre disposizioni previste nel decreto si prevede inoltre che la Guardia di Finanza d’ora in poi operi in borghese, mentre saranno escluse dalle nuove modalità di controllo i casi straordinaria di verifiche per salute, giustizia ed emergenza. Infine, il coordinamento dei controlli effettuati a livello “substatale” (regioni, comuni, province) sarà affidato allo Sportello unico per le attività produttive o alle Camere di commercio.

Il richiamo di Befera No a soprusi ed arroganza nei controlli, “finendo quasi per apparentare l’azione del fisco a quella di estorsori”. Va invece applicato un “semplice regola: quella del rispetto” che i contribuenti riconoscono invece nella maggior parte delle verifiche. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera fa un duro richiamo al rispetto delle regole nell’attività di controllo da parte degli uomini del fisco, ai quali invia una lettera aperta sul sito intranet dell’Agenzia. L’attività di controllo “può rilevarsi veramente efficace solo se corretta e non è tale quando esprime arroganza o sopruso”. Si tratta di “gravi comportamenti”, spiega Befera, e quindi “gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa”. 5 MAGGIO 2011

CELENTANO IN DELIRIO:”I NUCLEARISTI? DEMENTI”. E SE IL DEMENTE FOSSE LUI?

Pubblicato il 29 aprile, 2011 in Costume, Economia | No Comments »

Farneticazioni deliranti. Insulti intrisi di odio e conditi con una pseudo coscienza ambientalista. L’ultima lettera di Adriano Celentano – ormai troppo vecchio per vestire i panni del ragazzo della via Gluck – è indirizzata alla redazione del Fatto Quotidiano. Un appello a “studenti, comunisti, fascisti, leghisti e operai costretti a lavorare nell’insicurezza” per affossare il nucleare in Italia: “Essere nuclearisti  non è solo una bestemmia, ma significa essere dementi fin dalla nascita”. Ma a leggere lo sproloquio del Molleggiato viene da chiedersi se il demente non sia proprio lui.

C’era un tempo in cui Celentano inviava le sue lettere al Corriere della Sera. Erano i tempi in cui il cantautore cercava di accreditarsi come il guro ambientalista super partes. Arci noti i suoi attacchi contro i palazzinari milanesi. Oggi il Molleggiato fa un salto avanti. E scrive al quotidiano di Travaglio & Co. per sostenere – apertamente – la battaglia dell’idv di Antonio Di Pietro. Il referendum conhtro il nucleare, contro la privatizzazione dell’acqua e contro il legittimo impedimento. Il bersaglio – manco a dirlo – è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, colpevole di “sfidare l’intelligenza anche di chi lo ha votato, nella sua demoniaca voglia di avvelenare gli italiani”.

Celentano ne ha un po’ per tutto. Anche per il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani. “Che peso può avere oggi la saggezza degli italiani – si chiede il cantautore – se poi chi ci governa fa dei discorsi cretini”. Perché per Celentano chi non la pensa come lui è un cretino, un demente. “Berlusconi – attacca – è ormai in preda a uno stato confusionale”.

Eppure a leggere la lettera di Celentano viene proprio da chiedersi se sia stata scritta da una persona non disturbata. Il Molleggiato si rivolge, infatti, a Silvia, cioè “ciò che è rimasto della coscienza” del premier. “Per meglio identificarla a chi legge – spiega Celentano – la chiamerò con lo stesso nome del presidente del Consiglio, ma al femmile, poiché mi piace immaginare che la voce della coscienza abbia piuttosto i modi dolci e gentili di una bella figura femminile che non quelli rudi e maschili”. Un delirio, appunto. Un delirio infarcito di insulti in cui si accosta il nucleare al caso Ruby, “il malsano gesto di Lassini” alle berzellette del Cavaliere. “Non si tratta più di destra o sinistra – continua nella farneticazione – per capire che un uomo come Berlusconi non solo non può governare l’Italia, ma nessun paese. Al massimo lui e i suoi falsi trombettieri possono andare bene per una piccola tribù, dove tutti quanti, raccolti intorno al capo, si nutrono a vicenda della loro stessa falsità“.

Ci vuole un immane sforzo per portare a termine la lettura. Non solo perché i deliri del Molleggiato sono pesanti da digerire, ma anche perché il nuovo tribuno del Fatto – nell’intento di smascherare le “spaventose bugie” di un premier “senza un minimo di pudore” – non ha né capo né coda. Chiama a raccolta le truppe anti Cav per far cadere il governo ma, come al solito, non va oltre allo scherno e agli insulti. Ancora una volta non si capisce a quale titolo Celentano dia titoli a destra e a manca: sta a vedere che lo strambo sia il Molleggiato e non il Cav… Andrea Indini, Il Giornale, 29 aprile 2011

……Premesso che noi siamo, da sempre, nuclearisti convinti, e premesso che non ci passa “manco per la capa” di dare del demente a chi nuclearista non lo è, capita spesso che chi non abbia molti argomenti a supporto delle sue tesi e talvolta quando avverte disagio a sostenerle , dia del demente a chi non  la pensa come lui. Ma si dà il caso che spesso ad essere demente davvero (da ricovero immediato negli appositi reparti psichiatrici) è proprio chi dà del demente all’altro….torneremo sull’argomento perchè ci capita per le mani un caso di demenza semigiovanile che merita approfondimenti. g.

BERLUSCONI DIFENDE IL NUCLEARE: STOP SOLO PER EVITARE CHE IL REFERENDUM POSSA FAR SALTARE PER SEMRE L’OPZIONE DEL NUCLEARE

Pubblicato il 26 aprile, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Berlusconi difende il nucleare: stop solo per saltare referendum

Roma, 26 apr. (TMNews) – Lo stop del governo al referendum non è un addio definitivo all’energia prodotta dall’atomo. Piuttosto è una pausa temporanea per evitare che il referendum di giugno, dopo la tragedia di Fukushima, affossasse definitivamente il piano italiano di ritorno al nucleare. A chiarirlo è stato lo stesso premier Silvio Berlusconi nel corso dell’incontro bilaterale Italia-Francia a Villa Madama. “Se fossimo andati oggi – ha detto Berlusconi – a quel referendum il nucleare non sarebbe stato possibile per molti anni a venire”. Berlusconi ha infatti voluto sottolineare che il governo italiano resta convinto che “l’energia nucleare sia il futuro per tutto il mondo”. Pertanto vanno avanti anche gli accordi che l’Italia ha già stretto con la Francia e in particolare quello tra l’italiana Enel e la francese Edf: “I contratti continuano – ha precisato il premier – non vengono abrogati”. Nel corso della conferenza a Villa Madama Berlusconi ha ricordato come l’Italia negli anni ‘70 fosse all’avanguardia nella realizzazione di centrali nucleari, progetti che, a causa “dell’ecologismo di sinistra che si è messo di traverso”, ha dovuto abbandonare. Da allora l’Italia ha acquistato, ha spiegato il premier “tutta l’energia che consuma dall’estero”, con un aggravio su famiglie ed imprese del 30-40 o anche 50 per cento di costi aggiunti”. “L’evento giapponese, a seguito dei sondaggi che abitualmente facciamo sull’opinione pubblica, ha spaventato ulteriormente i nostri cittadini”, ha ammesso Berlusconi. È per questo che il governo “responsabilmente – ha detto Berlusconi – ha ritenuto di introdurre questa moratoria per restare nel nucleare e far sì che si chiarisca la situazione giapponese e che magari dopo uno o due anni si possa ritornare ad avere una opinione pubblica consapevole della necessità di tornare all’energia nucleare”. ANSA, 26 APRILE 2011

NONOSTANTE TUTTO SONO ANCORA PER IL NUCLEARE, di Marcello Foa

Pubblicato il 26 aprile, 2011 in Economia | No Comments »

Nonostante Fukushima, continuo ad essere favorevole all’energia nucleare. La mia posizione è pragmatica: considerati i limiti produttivi delle energie rinnovabili, il progressivo esaurimento del petrolio, gli elevati standard di sicurezza delle nuove centrali e la necessità di sottrarsi o comunque di limitare la dipendenza dall’estero, ritengo che un Paese moderno debba coprire con l’energia nucleare una parte del proprio fabbisogno.

Per sempre? No, fino a quando non verranno sviluppati metodi alternativi che consentano di produrre grandi quantità di energia con minori inquinamenti e rischi rispetto al nucleare e a petrolio-gas. Qualche tempo fa ad esempio ho visto un filmato sull’energia marina che mi ha affascinato per le sue straordinarie potenzialità. E’ credibile? Realizzabile? Non sono un esperto e dunque non so valutarne l’attendibilità, però varebbe la pena di considerarle attentamente. nel frattempo, però, il nucleare resta – a mio giudizio – una variabile obbligata.

Per questo non approvo la decisione del governo italiano di rinunciare alle nuove centrali; non la approvo ma non mi meraviglia. E’ appena uscito un sondaggio dal quale risulta che oggi gli italiani temono il nucleare più … dei giapponesi vittima di Fukushima. Secondo un sondaggio Win-Gallup-Doxa in Italia i contrari sono il 74% della popolazione, in Giappone il 47%. Nel mondo in media il numero dei contrari al nucleare è passato dal 32% nella situazione pre-catastrofe all’attuale 43%, con un incremento quindi del +11% rispetto al periodo precedente alla tragedia di Fukushima.

Più contrari dell’Italia sono l’Austria (90%), la Grecia (89%), mentre in Germania i contrari sono saliti al 72%.

E questi dati spiegano più di qualunque analisi le ragioni dello spettacolare dietro front della Markel e di Berlusconi: non possono andare contro opinioni così radicate, perlomeno non in prossimità di elezioni. La Merkel, infatti, ha svoltato prima delle elezioni del Baden Wuerttemberg, anche se la giravolta non è servita a evitare una sconfitta annunciata. Berlusconi non teme la sconfitta nel feudo di Milano (dove è improbabile che Pisapia riesca a battere la Moratti), ma vuole evitare il ballottaggio e deve evitare il referendum di giugno, proprio sul nucleare.

Morale: le decisioni sono state prese in fetta, dettate prevalentemente da motivi contingenti. E’ possibile che Berlusconi, scampato il rischio referendum ci riprovi, ma non ne sono certo, perchè l’onda emotiva di Fukushima si farà sentire a lungo, come accadde per Chernobyl. E come allora rischiano di essere sacrificati gli interessi strategici di lungo periodo dell’Italia. Che infatti soffrirà pagherà bollette sempre più salate e sarà sempre più ricattabile.

Ne valeva davvero la pena? Marcello Foa, giornalista, dal suo blog

…………….Condividiamo! g.

LA BENZINA ALLE STELLE. GLI ESPERTI: VOLA VERSO I 2 EURO A LITRO

Pubblicato il 12 aprile, 2011 in Economia | No Comments »

Cresce, cresce, cresce ancora. Il prezzo di benzina e gasolio, spinto non conosce pause. La crisi libica, le tensioni generalizzate in Medioriente e le rivolte che stanno sconvolgendo il mondo arabo spingono verso l’alto i costi del greggio. La verde sfiora 1,6 euro, il diesel supera l’1,5, con un piccolo contributo dovuto anche alle accise introdotte per garantire l’aumento del Fus (fondo unico per lo spettacolo), ma senza dimenticare che i “dazi” che ancora si pagano al distributore sono relativi alla guerra d’Abissinia (1935), ai terremoti di Irpinia, Belice e Friuli, più la tragedia del Vajont e altre, varie ed eventuali. E gli esperti, come sicuramente si può classificare Christophe de Margerie, (direttore generale e presidente della francese Total), avvertono: “I 2 euro al litro sono inevitabili. Ma se sarà troppo presto è inevitabile ripiombare nella crisi”.

Nuovi aumenti Ancora rialzi per i carburanti, che raggiungono nuovi record. La benzina ha toccato quota 1,590 euro per due diverse compagnie mentre il diesel supera per la Q8 la soglia di 1,5 euro, attestandosi a 1,501 euro il litro con un rialzo di 8 millesimi in un solo giorno. Tutte le compagnie petrolifere hanno ritoccato al rialzo i propri prezzi. L’ultimo rincaro dell’Eni ha fatto da traino a una raffica di incrementi dei prezzi raccomandati dei carburanti anche per tutte le altre compagnie. Con effetti che, sui prezzi praticati, hanno portato a superare lo stesso market leader. Il tutto in uno scenario delle quotazioni internazionali che non sembra mostrare flessioni. I prezzi praticati proseguono di conseguenza la salita mentre le no logo restano abbastanza stabili.

Verso quota 2 euro La benzina a 2 euro al litro “è inevitabile. La vera questione è quando? Bisogna sperare che non arrivi troppo presto altrimenti le conseguenze saranno drammatiche”. Così il presidente e direttore generale di Total, Christophe de Margerie, in un’intervista a Le Parisien, il giorno dopo l’annuncio del governo francese di una tassa per le compagnie petrolifere in Francia. “Che cosa può far impazzire ancora di più i prezzi del barile di petrolio? una rivolta generalizzata nei principali paesi produttori. Oggi – sottolinea de Margerie – l’attenzione è rivolta giustamente alla Libia, allo Yemen o alla Siria. Ricordiamoci che un solo paese com l’Arabia Saudita produce 9 milioni di barili al giorno. Se venisse a mancare sul mercato, i prezzi diventerebbero incontrollabili. È uno scenario certo poco probabile, ma che sottolinea la fragilità della situazione. Senza parlare poi della parità euro-dollaro che svolge un ruolo molto importante”. Per il patron di Total “meno male che l’euro è risalito altrimenti la fattura sarebbe stata ancora più dolorosa”.