Archivio per la categoria ‘Economia’

PAGHE..RAI, di Filippo Facci

Pubblicato il 27 novembre, 2010 in Costume, Economia | No Comments »

….Non siamo stati i soli a protestare per l’assurda idea del ministro Romani di imporre il pagamento del canone Rai a chiunque sia titolare id un contratto Enel e di inserire l’importo direttamente in bolletta. Ecco la sottile ironia di Filippo Facci su Libero di oggi che commenta la “ideona” di Romani.g.

Che ideona, era proprio il momento economico e politico ideale: proporre il pagamento automatico del canone Rai per chiunque abbia un semplice contratto di energia elettrica, cioè per chiunque, appunto. Al ministero dello Sviluppo economico non hanno vie di mezzo: o sono pagati a loro insaputa o pretendono che a nostra insaputa paghiamo noi.
È un temerario, Paolo Romani: ha ripescato questa sua idea fissa – già bocciata tempo fa – anche se una parte della maggioranza non è d’accordo; chi non possiede un televisore dovrebbe essere lui a dimostrarlo (inversione dell’onere della prova: molto garantista) senza dimenticare che già oggi dovrebbe pagare il canone Rai chiunque possegga anche solo una videocamera, un I-pod, un videofonino, una macchina fotografica digitale, uno schermo di computer (anche senza computer) e persino un videocitofono.

In Italia ferve il dibattito perché abbiamo il canone e pure gli spot, perché non si sa più che cosa sia un servizio pubblico, perché il mercato è cambiato, perché la gente è incazzata nera, soprattutto perché la Rai è uno spaventoso carrozzone con un passivo di centinaia di milioni e diecimila dipendenti, tremila precari, dirigenti nullafacenti, direttori disoccupati, società esterne, case di produzione, e amici, parenti, mamme, amanti, future ministre: avevamo solo il problema di rifinanziare tutto questo. Molto popolare, molto deregulation, molto governo del fare.

….Non siamo stati i soli a protestare per l’assurda idea del ministro Romani di imporre il pagamento del canone Rai a chiunque sia titolare id un contratto Enel e di inserire l’importo direttamente in bolletta. Ecco la sottile ironia di Filippo Facci su Libero di oggi dire la sua in proposito.

PRIVATIZZARE LA RAI? CERTO, ANZI NO

Pubblicato il 25 novembre, 2010 in Costume, Economia | No Comments »

Un giorno si e l’altro pure da ogni parte si alzano voci che vogliono privatizzare la Rai. Una per tutte? Quella del grillo parlante della politica italiana, cioè l’on. Fini che non passa ora del giorno che non salomoneggi ora su questo, ora su quello, per cui non poteva mancarne una sulla RAI. E per una volta siamo d’accordo con lui. Già, perchè di una Rai, falso servizio pubblico come questo non se ne può più. Di una Rai, per esempio,  che sperpera quattrini pubblici a proprio piacimento; o di una Rai che non è mai asettica e terzista, come dovrbbe essere un servizio pubblico; o di una Rai i cui programmi di approfondimento sono in verità solo vetrine dei conduttori che li usano per autoesaltarsi; o di una Rai che è una vera e propria fabbrica di nepotismo, anzi di un vero e proprio “familismo amorale” (è appena il caso di ricordare il caso della suocera dell’on. Fini, casalinga elevata a ruolo di impresaria televesiva….). E poi i compensi stratosferici che elargisce: due milioni di euro a Fabio Fazio la cui unica capacità è quella di balbettare frasi che non riesce mai a concludere; 800 mila euro a Santoro per fare processi mediatici a chi non può difendersi….già, un servizio pubblico che dà la parola ai fautori della eutonasia e quando le associazioni che sostengono il diritto alla vita chiedono di poter replicare si sentono respingere la richiesta da funzionari che si trasformano in padroni. E potremmo continuare  con questa Rai, servizio pubblico nel senso che appartiene a pochi. Allora è davvero il caso di privatizzarla la Rai, come in America. In America, compresa quella di Obama, che tanto piace ai democratici del nostro Paese, non esiste una TV pubblica, pagata con i soldi pubblici. Non ci hanno neanche mai pensato a farla perchè gli americani,  che i soldi li sudano, anche quando ne hanno molti, farebbero la rivoluzione, tutti, democratici e repubblicani, perchè gli uni e gli altri considerano la informazione uno dei pilastri della libertà e quando più la stampa è libera, cioè sottratta al controllo del potere  pubblico, tanto più ne guadagna la libertà di tutti. E ovviamente non c’è nessun canone da pagare. Ecco una tassa, il canone TV, che gli americani mai pagherebbero benchè  non si sottraggano al pagamento delle tasse, anche perchè in America l’evasione fiscale non si paga con  le sanzioni pecuniarie, anche con quelle,  ma anche finendo in galera. Al Capone, per dirne una, che fu uno dei gangster americani più pericolosi,  lui che era responsabile di crimini efferati ma dei quali non si riusciva a trovare le prove,finì in galera,  per dieci anni, perchè non aveva pagato le tasse. Ritorniamo al canone TV, perchè mentre da tutte le parti (ma lo si dice da anni e anni) si vuole privatizzare la Rai e conseguentemente abolire il canone TV che insieme all’ICI è la tassa più odiata dalgi italiani, al neo ministro dello Sviluppo Economico, Romani, è venuta una bella idea: far pagare il canone TV all’interno della bolletta della luce. Cioè, all’inizio dell’anno, magari con la bolletta di febbraio, tutti gli italiani titolari i di bolletta elettrica  si troverebbero all’interno di quella bolletta anche il canone della TV, a prescindere se la TV ce l’abbiano o meno e anche a prescindere se  vedano o meno i canali RAI, i quali quando sarà a regime il sistema del digitale terrestre si troverebbero ad essere in piccolissima  percentuale rispetto ai canali TV privati, molti dei quali si vedranno gratuitamente e  alcuni servizi,  chi li vuole, si sottolinea, chi li vuole, dovrà pagarli, e in questo caso eserciterebbe una scelta consapevole. Così non è per la Rai che propina a proprio piacimento programmi francamente ignobili, alcuni squallidi, altri orribili, e benchè non li si veda si è costretti a pagarli obbligatoriamente e preventivamente. Francamente questa iniziativa del ministro Romani ci lascia senza parole, specie perchè viene da un ministro che proviene dal mondo della comunicazione privata e che per primo dovrebbe considerare sacro il diritto all’autodeterminazione delle scelte di ciascuno. Speriamo che ci ripensi visto la assurdità di questa proposta e che invece lavori davvero per la privatizzazione della RAI, liberando gli italiani da certi imbarazzanti personaggi che nella TV libera faticherebbero a trovare platee  artificiosamente plaudenti. Significativo il caso Santoro che  quando lasciò la Rai per emigrare nelle reti Mediaset dell’odiatissimo Berlusconi collezionò bruttissime figure e bassissimi indici di asclto. Perchè  la TV libera rende liberi. Anche  da Santoro e compagnia cantando. g.

NAPOLITANO DICE NO ALLA CRISI, MA FINI SE NE FREGA

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Economia, Politica | No Comments »

La manovra è un tassello fondamentale della politica di stabilità. Una crisi di governo oggi rischia di trasformarsi nel detonatore di una crisi finanziaria di cui non possiamo prevedere gli esiti. Le parole di Napolitano dovrebbero riportare i marziani di Futuro e Libertà sulla terra.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Mentre Italo Bocchino affermava che «la crisi ci sarà», dal Quirinale giungevano parole che dovrebbero riportare i marziani di Futuro e Libertà sulla terra. Giorgio Napolitano chiede che la Finanziaria sia approvata senza incertezze, che il ciclo virtuoso che ha tenuto saldi i conti pubblici italiani prosegua e la stabilità di governo in un momento di grande fibrillazione dell’economia mondiale sia garantita. Napolitano frena Fini. Niente crisi, please. Proprio ieri su Il Tempo Francesco Damato e Marlowe hanno spiegato le ragioni per cui un intervento del capo dello Stato era auspicabile e la linea del controllo della spesa della finanza pubblica non è una variabile a disposizione dei finiani, ma un impegno continuo preso dall’Italia nei confronti delle istituzioni internazionali. Pochi giorni fa due agenzie di rating – Standard & Poors e Fitch – hanno confermato la loro valutazione positiva per i conti pubblici dell’Italia, ma entrambe hanno anche lanciato un avvertimento: serve stabilità e una crisi di governo può essere letale per il Paese. Sono certo che l’Ufficio per gli Affari Finanziari della Presidenza della Repubblica ha letto con molta attenzione i documenti delle agenzie di rating. E sono altrettanto certo che Napolitano ha tirato un sospiro di sollievo. L’Italia emette titoli di debito che servono a finanziare l’attività dello Stato, sono il nostro ossigeno quotidiano. E la credibilità delle istituzioni è fondamentale per il collocamento di questi titoli.
Come abbiamo ampiamente documentato con i nostri articoli in tutti questi mesi, l’Italia non ha fatto la fine della Grecia e – per ora – non corre i rischi di altri Paesi del Club Med (Portogallo e Spagna in particolare) e in queste ore dell’Irlanda, grazie alla saggia gestione del debito e della spesa da parte del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il nostro Paese è sottoposto a una vigilanza costante dei mercati e in ogni momento possiamo essere il bersaglio di un attacco speculativo. Basta mostrarsi deboli, far trasparire incertezza. Nelle operazioni finanziarie la dimensione psicologica è dominante e la paura un elemento decisivo per pigiare o no il pulsante della vendita o dell’acquisto. Qualche mese fa più di un tentativo è stato fatto per darci una spallata e farci cadere nel baratro del caos finanziario. Queste azioni sono andate a vuoto perché il governo ha risposto bene, il sistema bancario è ancora solido e il risparmio delle famiglie italiane una certezza che in molti ci invidiano. La manovra economica che in queste ore è in discussione alla Camera è un tassello fondamentale di questa politica di stabilità. Una crisi di governo oggi rischia di trasformarsi nel detonatore di una crisi finanziaria di cui non possiamo prevedere gli esiti. Ma per i falchi finiani tutto questo sembra essere un aspetto marginale del quadro politico, un particolare trascurabile e per niente decisivo. Si tratta di un atteggiamento irresponsabile e viene proprio da quella fazione che vuol presentarsi agli occhi degli italiani come forza di cambiamento. Basta rileggere l’intervento di Fini dell’altro ieri per rendersi conto che l’economia e le tasche degli italiani non sono il primo pensiero di Futuro e Libertà. La motivazione profonda dell’azione degli scissionisti del Pdl non è animata da nobili ideali politici. I finiani hanno in mente solo e soltanto il logoramento costante del governo e del presidente del Consiglio e la sua sostituzione previa lenta e inesorabile consunzione. Il regime change , il cambio di Cavaliere e cavallo sono l’unico vero obiettivo per cui Fini e i suoi alleati hanno aperto la ditta di demolizioni che ha come ragione sociale Futuro e Libertà.
Il Quirinale esprime una giusta preoccupazione e invita le forze politiche alla responsabilità, ma se il buongiorno si vede dal mattino – e dalle parole che i finiani pronunciano in queste ore – non c’è da avere molta fiducia. Sono quasi certo che l’appello di Napolitano cadrà nel vuoto, che le sue parole saranno poco più di una testimonianza. Non viviamo tempi in cui la correttezza istituzionale abita a Palazzo. Napolitano indica una priorità precisa, fissa il suo faro su un punto dell’agenda politica, ma il cono di luce di Fini illumina ben altri soggetti e rivela scenari inquietanti per chiunque abbia a cuore le sorti del Paese. Futuro e Libertà ha attaccato il cuore della politica tremontiana, cioè uno dei capisaldi del governo, e demolendo l’opera del ministro dell’Economia ha innalzato la bandiera della spesa facile e suonato la carica dell’assalto alla diligenza. Come ricordavamo ancora ieri con Marlowe, appena qualche settimana fa l’Italia ha collocato sul mercato 60 miliardi di titoli di Stato, mentre la Spagna era obbligata ad alzare i suoi rendimenti a causa degli scoperti creatisi nelle sue aste. A dicembre per l’Italia scadrà una tranche di titoli di Stato per altri 36,7 miliardi di euro. Tutto questo conta qualcosa per Fini? La sua voglia famelica di crisi, crisi strisciante, crisi latente, crisi mai conclamata, crisi letale come una inguaribile febbriciattola tropicale, crisi senza freni e paletti istituzionali, quella crisi la pagheranno gli italiani. Tutto questo sarebbe ampiamente sufficiente per dire che siamo di fronte a un’operazione che fa impallidire qualsiasi sfasciacarrozze, ma in realtà siamo di fronte a una situazione paradossale in cui l’interesse pubblico è dimenticato, allontanato come un fastidio in nome di un antiberlusconismo di regime che non ha alcuna remora a buttare tutto all’aria per un piccolo calcolo di potere. È un triste Paese il luogo dove pochi giornali hanno l’onestà di ricordare la vera posta in gioco, è un Paese irrimediabilmente malato quello che abbandona l’interesse nazionale e mette a repentaglio la sua stabilità economica. Mentre gli americani stampano moneta senza freni, l’Euro è sottoposto a tensioni fortissime, la Cina e le tigri asiatiche stanno organizzando la contromossa valutaria, il debito sovrano continua ad essere l’oggetto della speculazione degli gnomi finanziari, l’Italia si gratta la testa di fronte a una crisi di governo surreale.
È una corsa folle verso il caos, Napolitano se ne è reso conto e prova a tirare il freno a mano, ma temo che la sua mossa non riuscirà a fermare un’auto impazzita che finirà per carambolare sulla testa dei cittadini ignari di tutto questo. Soprattutto per queste ragioni Berlusconi deve andare in Parlamento e chiedere subito il voto di fiducia. Chi grida alla tirannia del Cavaliere, abbia il coraggio di far cadere il governo e poi spiegare agli italiani che saranno loro a pagare la salatissima bolletta dello scontro finale. Il partito finiano ha addosso le ragnatele di una politica vecchia, sa di anni Ottanta, di spesa galoppante, regime partitocratico e irresponsabilità di fronte al popolo sovrano. Quando tutto questo pasticciaccio brutto sarà compiuto, qualcuno si incaricherà di tirare le somme. Se vince il partito della restaurazione, presto o tardi la storia dipingerà impietosamente il vero scenario e vedremo con orrore quale opera mostruosa sono riusciti a compiere gli sfascisti che guardano al futuro minando la nostra libertà.

ECCO LA LOBBY OSCURA CHE PUO’ CONDIZIONARE LA POLITICA E L’ECONOMIA

Pubblicato il 13 ottobre, 2010 in Economia, Politica | No Comments »

di Francesco Forte – Il Giornle – 13 ottobre 2010

Non sarà la Spectre e neanche la P4, ma ciò che ha dichiarato il dottor Arpisella, addetto stampa del presidente della Confindustria sulla esistenza di una «sovrastruttura» che condiziona la politica e l’economia e anche i media, non può essere ignorato. È vero che egli ha detto di avere scherzato, ma la smentita in questi casi è normale ed egli è entrato nei dettagli facendo esempi inquietanti. E quindi il quesito rimane.

I gruppi di pressione esistono in tutte le democrazie. E non c’è bisogno di Carlo Marx per sostenere che le grandi imprese si possono accordare fra loro per condizionare le scelte pubbliche e i media. Wilfredo Pareto, il più illustre economista e sociologo italiano e uno dei maggiori del mondo della prima metà del Novecento, ha teorizzato l’esistenza di un’alleanza fra i grandi gruppi finanziari e i partiti di sinistra, a spese della classe dei risparmiatori. Il condizionamento di questi interessi economici sulla politica e sull’economia non è una fantasticheria. E osservo che c’è un lupus in fabula, un lupo nella favola, cioè un esempio concreto che riguarda le vicende della Confindustria dell’ultimo periodo e che coinvolge in modo improprio anche il Giornale.

Il nuovo presidente Emma Marcegaglia ha modificato la linea precedente della Confindustria basata sui contratti nazionali di lavoro, con la Cgil come interlocutore privilegiato, e quindi sull’unità sindacale. In tale modello, che piaceva molto ad alcuni grandi gruppi, lo Stato interveniva con sovvenzioni alla Fiat e di altri complessi, nel nome del sostegno dell’occupazione a spese del contribuente. Nel 2009 nel nuovo contratto metalmeccanici è emersa la contrattazione aziendale in deroga a quella nazionale, sottoscritta da Cisl e Uil, ma non da Cgil. Emma Marcegaglia, nuovo presidente di Confindustria, ha sostenuto la contrattazione aziendale e in particolare il contratto di Sergio Marchionne per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco. Ma poiché la Confindustria, pur essendoci il contratto del 2009, non aveva revocato il contratto nazionale del 2008, che non contemplava queste deroghe, la Cgil ha fatto causa alla Fiat per la violazione del contratto del 2008, che essa aveva firmato, adducendo che per lei non era valido quello del 2009, che non ha sottoscritto. Marchionne si è visto costretto a dire che se la Confindustria non avesse disdettato il contratto del 2008, la sua impresa sarebbe uscita dalla Confindustria. A questo punto la Confindustria ha disdettato il contratto del 2008 sfidando i furori della Cgil.

Per molti mesi la Confindustria ha vissuto con due contratti nazionali, uno nuovo firmato da Cisl, Uil e altri liberi sindacati, e uno vecchio in cui rimaneva la firma della Cgil, che non aveva sottoscritto il nuovo. Come si spiega questo anomalo comportamento di Emma Marcegaglia presidente di Confindustria, fautrice e promotrice del nuovo contratto? Forse la minoranza di Confindustria costituita ha più potere reale di quelli che siano i suoi numeri. Forse i voti non si contano, ma si pesano e ci sono alcuni voti che pesano di più. Non è la Spectre o la P4 ma c’è qualcuno che conta di più. E, guarda caso, gli articoli contro il gruppo industriale Marcegaglia, in cui lo si accusa di vari reati, con la cultura del sospetto sono venuti dai giornali di sinistra perché la presidente della Confindustria sostenendo la linea della contrattazione decentrata, a cui è contraria la Cgil, che è un bacino di voti della sinistra, era considerata berlusconiana, peccato gravissimo. Nessuno ha accusato questi giornali di dossieraggio né li ha intercettati. Il Giornale che si è limitato a ripubblicare questi articoli è stato accusato di dossieraggio ed è stato infangato, mediante l’uso di intercettazioni telefoniche tolte dal loro contesto e rese possibili solo dal fatto che in Italia questa materia non è regolata con criteri di Stato di diritto, ma con quelli di uno Stato inquisitorio. Le lobbies, le interferenze delle concentrazioni di potere economico su quello politico e sull’economia esistono in ogni democrazia. Ma la libertà di stampa, il divieto di abuso delle intercettazioni, le regole di apertura dell’economia alla sfida dei mercati, senza le stampelle dello Stato a spese dei cittadini, sono rimedi necessari per ridurre questi abusi e collusioni e il condizionamento dei poteri impropri su quelli propri.

LE CONSULENZE, OVVERO GLI SPRECHI DELLA CASTA

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Economia, Politica | No Comments »

di Giacomo Susca

In un anno le collaborazioni esterne concesse da Regioni ed enti locali sono aumentate del 13,9 per cento con una spesa di 1,39 miliardi di euro. Negli elenchi spuntano anche esperti in “educazione degli adulti” e in cambiamenti climatici

Avanti, c’è posto. Il club delle consulenze, generosamente elargite dagli enti locali, è sempre aperto a nuovi invitati. La casta dei trecentomila «tecnici» lavora, più o meno nell’ombra ma comunque degnamente stipendiata, e munge la vacca tricolore. Finché ce n’è. Tenetevela voi, la crisi.
A scapito di ogni dieta auspicata, promessa e sbandierata (a destra come a sinistra), il carrozzone delle pubbliche amministrazioni si gonfia ogni anno a ritmi poco incoraggianti per i prodighi fan dell’austerity a parole. Ecco perché i numeri raccolti dal ministero della Funzione pubblica guidato da Renato Brunetta, evidenziati da Italia Oggi, suonano perfino beffardi. Nel 2009 il numero di incarichi esterni affidati a vario titolo dalle autonomie sono cresciuti a quota 299.281, con un incremento del 13,9% per cento rispetto all’anno precedente (quand’erano 262mila). La spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche restituisce le proporzioni della cuccagna. Così sono volati via un miliardo e 390 milioni di euro in un anno, anche qui la manica s’è allargata di un buon 10,6% sul totale messo a bilancio nel 2008.
Controindicazioni della trasparenza: i calcoli del dicastero di palazzo Vidoni potrebbero essere addirittura al ribasso, visto che le liste degli incarichi si riferiscono al 60% degli enti locali, quelli che hanno risposto all’appello. Tutte le Regioni e almeno i Comuni più rappresentativi figurano nelle tabelle ministeriali. Regalando numerose sorprese.
LA GEOGRAFIA DEL PRIVILEGIO
Il vizietto di contornarsi di collaboratori e consiglieri, del resto, è tendenza comune da Bolzano a Palermo nonché trasversale agli schieramenti della politica. E, per una volta, il Mezzogiorno appare pure parsimonioso avendo aumentato il ricorso alle consulenze in valore assoluto «solo» del 9,2 per cento, a fronte del +16,8% del Nord e del +13,7 del Centro. Per capirci, nella provincia di Trento si è passati da 8mila a 12mila consulenti nel giro di un anno. Unici casi virtuosi in termini di risparmio sono in Valle d’Aosta, Umbria, Puglia, Molise, Liguria, Sardegna. Lo spesa intanto (come gli sprechi?) esplode in Alto Adige, Calabria ed Emilia Romagna.
UN ESPERTO PER TUTTO
Naturale, allora, cedere alla tentazione di spulciare negli elenchi. Scoprire che il Belpaese, quanto a folklore, non si smentisce mai nemmeno sulla carta intestata dei contratti. Niente paura, sono rapporti di lavoro a termine, obietterà qualcuno dalle poltrone del potere. Ma quant’è bello fare il «precario di lusso» a libro paga dei governi locali… Che a meritare l’incarico sia un vip oppure un oscuro funzionario, infatti, non fa molta differenza. Per esempio, il sindaco Pd di Genova Marta Vincenzi ha scelto l’archistar inglese Richard Burdett per «l’attività di supporto nelle funzioni di indirizzo in materia urbanistica»: quasi 195mila euro per le prestazioni offerte in un anno e mezzo. E il Co.co.co. Nando Dalla Chiesa ha aiutato la Vincenzi per la «promozione della città e dei progetti culturali» con cachet di 140mila euro in un anno. Letizia Moratti, a Milano, verserà 400mila euro in quattro anni e mezzo al garante «per la tutela degli animali». Quasi 100mila in un anno, in vece, a colui che si sta applicando all’«atlante dell’agricoltura milanese». E si è discusso tanto, quest’estate, nei corridoi di Palazzo Marino a proposito del rinnovo del contratto da 60mila euro lordi a Red Ronnie, l’ex dj addetto all’immagine del sindaco Moratti nei video sul web.

Ad Ancona la giunta rossa di Fiorello Gramillano onora di 53mila euro e rotti in due anni la responsabile di «Ancona città d’asilo». Nel capoluogo marchigiano tre mesi di impegno in qualità di «project manager» sui cambiamenti climatici nel tempo valgono un onorario dell’ordine dei 100mila euro. A Napoli, Rosetta Russo Iervolino corrisponde alla curatrice d’arte tedesca, Julia Draganovic, 200mila euro in due anni per svolgere attività di direttore artistico delle mostre temporanee presso il Pan, il Palazzo delle arti partenopeo, secondo i maligni non proprio preso d’assalto dagli appassionati. Sempre a casa di Pulcinella un consulente chiamato a «rappresentare il Comune di Napoli nei rapporti intercorrenti con i competenti organismi nazionali e internazionali» nell’ambito del Forum delle culture, da qui al 2013 incasserà un assegno da 84mila euro. E la Regione Campania, da par suo, foraggia una coppia di consulenti «in materia di educazione degli adulti» per 300mila euro in 5 anni. L’amministrazione Caldoro ha ereditato, tra le altre voci, anche il corposo contratto dell’esperta in cooperazione internazionale: circa 150mila in due anni e mezzo per «l’assistenza tecnica al punto di contatto nazionale del Programma PoMed». In Sicilia il governatore Raffaele Lombardo si è avvalso della «collaborazione specialistica» dei super-tecnici, da 106mila in due, i quali hanno studiato in 11 mesi di mandato il «ciclo teso della filiera dell’ortofrutta» in Trinacria. Solo casi spot, del resto l’elenco è sterminato.
UNA CURA POSSIBILE
Nella giungla insidiosa delle collaborazioni il ministro Brunetta ha già piantato un paletto. A partire dal prossimo anno, tutti gli enti pubblici (università a parte) dovranno attenersi a un tetto di spesa in consulenze e contratti esterni con il limite del 20 per cento del valore «investito» nel 2009. Manovra – stima Italia Oggi – da un miliardo di euro. La toppa giusta alle tasche bucate di certi amministratori?

da Il Giornale del 20 settembre 2010.

.…Non basta! Occorre vietare il ricorso alle consulenze esterne  pecie se prima d non si è  verificata l’eventuale esistenza di analoghe e idonee  professionalità  all’interno dell’Ente. E  comunque tra le figure da vietare sempre e dovunque  c’è quella dei cosiddetti “portavoce” che sono uno scandalo nello scandalo. Alla Provincia di Bari dove “impera” il neosatrapo  Schittulli che uno giorno si e l’altro pure conciona sugli sprechi (degli altri) e piange lacrime (di coccodrillo) sui giovani senza lavoro, lo stesso Schittulli dal giorno dopo la sua elezione ha nominato il suo bravo e personale “portavoce” al prezzo di 68 mila euro all’anno, cioè circa 5.700 euro al mese. Il quale “portavoce” in oltre un anno e mezzo di mandato non ci risulta che  abbia mai aperto bocca, anche perchè il logorroico Schittulli parla sempre e solo lui. Non solo. Il suddetto portavoce, pensionato dello Stato a migliaia di euro al mese,   è oltretutto un quasi settantenne…..E poi Schittulli si dice “il nuovo”….. lui è il vecchio (in tutti i sensi) che avanza…… g.

LA STABILITA’ DEL GOVERNO BERLUSCONI E’ GARANZIA PER L’ITALIA

Pubblicato il 10 settembre, 2010 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Il presidente russo Dmitry Medvedev e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Silvio Berlusconi sbarca oggi in Russia, a Yaroslav, per partecipare ad un Forum sulla democrazia che il Cremlino ha l’ambizione di trasformare in una Davos d’Oriente. Ma il clou della visita è il pranzo sul Volga con Dmitri Medvedev: i capi della superpotenza vogliono capire gli sviluppi della politica italiana, e soprattutto se il Cavaliere resterà al governo. Già all’inizio della settimana Vladimir Putin aveva dichiarato – fatto inusuale per gli standard diplomatici russi – di «seguire con attenzione la situazione dell’Italia», augurandosi continuità nell’azione di Berlusconi. Il motivo è evidente: in questi due anni l’Italia è diventata per Mosca un partner economico e strategico di primo livello pur non rinnegando l’appartenenza al campo moderato ed occidentale. E dunque ciò che avviene a palazzo Chigi, e la sua stabilità, è per la prima volta rilevante sulla scena internazionale. Tutto questo vale assai più dei comizi di Gianfranco Fini ed anche delle pernacchie di Umberto Bossi.

Il fondatore di Futuro e Libertà nella sua intemerata di Mirabello non è riuscito a tirar fuori una sola proposta economica con un minimo di concretezza. Anzi, ha dato la sensazione di una certa nostalgia per lo Stato spendaccione e assistenzialista: non basta parlare di ricambio generazionale, di diritti dei precari o di federalismo solidale; bisogna anche indicare con quali risorse finanziarie e quali strumenti di mercato si intendono affrontare i problemi.

Quanto a Bossi, la sua visione delle cose economiche appare tuttora ancorata al localismo: può portare consensi in campo sociale, però non sta dietro a processi che spesso sfuggono alle grandi potenze e ad intere macro-aree, figuriamoci se possono essere controllati da Bergamo o Treviso. La Lega continua saggiamente ad affidarsi all’acume di Giulio Tremonti, tuttavia non è andata esente da qualche scivolata, a partire dalle fondazioni bancarie nelle quali ha voce in capitolo, fino al caso attuale del governatore del Friuli-Venezia Giulia, pizzicato ad utilizzare l’auto blu per scopi personali. Il famoso slogan «Roma ladrona» andrebbe revisionato. Ma se questi sono, diciamo così, problemi di crescita, quelle di Fini appaiono come vere lacune politiche e culturali.

Il presidente della Camera può strappare applausi facili alzando la voce sulle «genuflessioni a Gheddafi»: dimentica di aver firmato (assieme a Bossi) una legge contro l’immigrazione clandestina che solo ora, grazie ai buoni rapporti con il regime di Tripoli, ha prodotto risultati. Ma soprattutto trascura gli interessi strategici dell’export delle imprese italiane: la sensazione è che Fini sia un po’ regredito alla dimensione di An, o del Msi, cioè ad una iper-valutazione della politica pura con una sostanziale indifferenza per la concorrenza ed il mercato. Di fatto tutti i dossier più importanti, e che richiedono saldezza e continuità nell’azione del governo (con o senza elezioni) continua ad averli in mano Berlusconi. Dal nucleare, sul quale la Lega ha pure assunto un atteggiamento ambiguo, alle infrastrutture, fino ai debiti-monstre ereditati nelle regioni e nei capoluoghi del centro-sud, Roma in testa. Senza ovviamente trascurare l’evoluzione della crisi: abbiamo dati sopra le attese sulla vendita di case, e stime deludenti dell’Ocse e del Fondo monetario sul Pil. Se fossimo negli Usa daremmo più importanza ai primi, perché certificano un dato di fatto rispetto a previsioni; ma soprattutto perché fotografano una certa ritrovata fiducia patrimoniale degli italiani; mentre il Pil, indicatore in movimento, può nascondere molte cose, dal sommerso alla propensione delle imprese ad investire all’estero. In ogni caso non c’è affatto da abbassare la guardia. Né tantomeno da cambiare governo dell’economia; caso mai da potenziarlo. I grandi accordi in campo energetico, dal nucleare agli approvvigionamenti di gas dalla Russia e alle concessioni petrolifere dell’Eni in Libia, sono stati negoziati personalmente dal Cavaliere. E qui il discorso dell’interim allo Sviluppo economico non regge, visto che dall’altra parte ci sono Sarkozy, Putin e Gheddafi.

Stessa cosa si può dire per il riposizionamento della Finmeccanica dopo i problemi incontrati con la Casa Bianca di Barack Obama: il gruppo di Guarguaglini deve per forza andare a contendere a Francia e Inghilterra i mercati emergenti, nonché tornare, appunto, sul nucleare. Dove però Gianranco Fini (anche Umberto Bossi, ma sorprende meno) appare davvero a corto di strategie è su come affrontare, da Roma in giù, il dilemma sintetizzabile in «debiti contro sviluppo».

Non è un dibattito accademico, ma una realtà che incide mese dopo mese sulle tasche dei contribuenti o sull’avvio di un’impresa. E forse non a caso tutti i principali amministratori locali – Gianni Alemanno, Renata Polverini, Giuseppe Scopelliti – benché provengano dall’area di An o dai suoi paraggi, si sono ben guardati dal seguire il loro antico leader. Si tratta, per fare l’esempio di Roma e del Lazio, di proseguire la gestione commissariale di un debito di venti miliardi e contemporaneamente amministrare la capitale ed una regione con il secondo Pil d’Italia. La continuità è un obbligo. Non c’è spazio per i comizi. Ps. Non abbiamo neppure sfiorato le ricette economiche della sinistra. Non è una dimenticanza: semplicemente non risultano pervenute. (Il Tempo- 10 settembre 2010)

LE SPESE PAZZE DELLE REGIONI: BEN 178 SEDI NEL MONDO

Pubblicato il 27 giugno, 2010 in Economia, Politica | No Comments »

Con 61 sedi sparse in 31 Paesi, di cui ben dieci solo in Cina, è il Veneto a guidare la classifica delle “spese pazze” che le Regioni fanno per la diplomazia. Lo riferisce il Corriere della Sera che, in un dossier del Tesoro, ha scoperto che sono 178 gli uffici aperti un po’ in tutto il globo, dalla Bulgaria a Portorico passando per il Vietnam, dagli enti locali regionali. “Le Regioni italiane hanno all’estero qualcosa come 157 uffici, ai quali si devono aggiungere i 21 di Bruxelles” spiega il quotidiano milanese, sottolineando che nessun governatore vuole inoltre rinunciare ad “un’antenna nel quartier generale dell’Unione europea”. “Che senso ha per una Regione come il Molise con 320 mila abitanti mantenere un ufficio a Bruxelles, peraltro pagato un milione 600mila euro, oltre ai due di Roma?” si domanda Sergio Rizzo nell’articolo, raccontando che la Lombardia ha 29 uffici sparsi dalla Moldova al Perù, e “quattro in Russia (esattamente come la Regione Veneto)”. “Il Piemonte presidia 23 Paesi esteri con la bellezza di 33 basi” prosegue il Corriere, tra cui “due in Corea del Sud, altrettanti in Costa Rica (perché il Costa Rica?), altri due in Lettonia (perché la Lettonia?)”. A New York “gli uomini dell’ex governatore Salvatore Totò Cuffaro si ritrovarono in ottima compagnia, quella dei dipendenti della Regione Campania, allora governata da Antonio Bassolino, che aveva preso in affitto un appartamento giusto sopra il negozio del celebre sarto napoletano Ciro Paone. Costo: un milione 140 mila euro l’anno”. “A quale scopo – continua il quotidiano – se lo chiese nell’autunno del 2005 Sandra Lonardo Mastella, in quel momento presidente del Consiglio regionale, visitando una struttura il cui responsabile, parole della signora, ‘viene solo alcuni giorni ogni mese’. Struttura per la quale venivano pagati tre addetti il cui compito consisteva nell’organizzare, per promuovere l’immagine regionale, eventi ai quali non soltanto non partecipava ‘alcun esponente americano’, ma nessuno ‘che parlasse inglese’. Il Corsera prosegue con gli esempi, rivelando, ad esempio, che in Cina ci sono “ben sette enti locali italiani” (Marche e Piemonte qui hanno quattro sedi ciascuna), mentre “la Valle D’Aosta, che non sazia della sede di Bruxelles, ne ha pure una in Francia”. “Quello che non dice, il dossier del Tesoro, è quanto paghiamo per tale gigantesca e incomprensibile Farnesina in salsa regionale” denuncia l’articolo, concludendo che “il sospetto, diciamolo chiaramente, è che nella maggior parte dei casi l’utilità di tutte queste feluche di periferia sia perlomeno discutibile”.
Ci domandiamo, perchè le Regioni che si battono il petto per i tagli del governo, non iniziano a tagliare queste spese pazze e allucinanti che sono un vero e proprio schiaffo agli italiani che stringono la cinghia e che non ricevono neppure buoni servizi dalle Regioni spendaccione?

BERLUSCONI CONFERISCE UN’ALTRA DELEGA AL MINISTRO FITTO

Pubblicato il 10 giugno, 2010 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

Il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, avrà la delega sul Dipartimento per le politiche di sviluppo e i fondi Fas. La decisione è stata comunicata nel corso del Consiglio dei ministri di questa mattina. Nella nota diffusa da Palazzo Chigi a seguito della seduta si legge che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, «ha annunciato al Consiglio la sua intenzione di integrare l’incarico già conferito al ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, con la delega di funzioni in materia di interventi per la coesione territoriale».
E, in coerenza con quanto disposto dal Dl manovra «ed anche al fine di valorizzare al massimo gli interventi per le aree sottoutilizzate», Fitto «si avvale del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del ministero dello Sviluppo economico (ad eccezione della Direzione generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali), con le funzioni connesse che integrano la sua delega».

Con questa delega attribuita a Fitto, Silvio Berlusconi rilancia il piano per il Sud che era stato avviato da Claudio Scajola poi dimessosi da ministro dello Sviluppo economico. Il Dps, infatti, è stato gestito fino all’interim da Scajola e si è in particolare dedicato alle politiche per la promozione del Mezzogiorno. Il dipartimento delle Politiche per lo sviluppo (Dps), che comprende i fondi Fas e i fondi comunitari, e che con la manovra è stato ‘tolto’ al ministero dello Sviluppo Economico e inserito fra le competenze della presidenza del Consiglioed è stato ora assegnato al ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto.

—--La notizia del nuovo prestigioso ed importante incarico affidato dal presidente Berlusconi al ministro Fitto ha suscitato viva soddisfazione negli ambienti politici pugliesi, in primo luogo negli ambienti del PDL i cui responsabili regionali,  Amoruso e Di Staso,  hanno diramato un comunicato per esprimere il plauso del partito  e gli auguri di buon lavoro al leader del PDL pugliese cui viene  ulteriormente riconosciuta capacità ed esperienza.

Alle altre,  uniamo le nostre congratulazioni e i nostri auguri.

NUCLEARE: fa più danni un viaggio in aereo che una centrale dietro casa

Pubblicato il 28 febbraio, 2010 in Economia | No Comments »

Il nucleare fa paura? O, peggio, il nucleare va bene, purchè non sia vicino casa? Allora è bene sapere che una centrale nucleare di nuova generazione irradia alla popolazione meno di un milionesimo di sievert (la misura delle radiazioni) all’anno, ovvero un valore 10 volte inferiore a quello di una normale radiografia o di un viaggio aereo intercontinentale. E comunque ben al disotto delle dosi naturali che circolanonel’ambiente (2,5 millisevert l’anno)Consolerà anche sapere che i 436 reattori nucleari in funzione nel mondo, dopo Chernobyl, hanno lavorato senza incidenti per un perido pari a 15 mila anni; che sono in grado di resistere anche a un attacco aereo come quellio dell’11 settembre: e che proprio sulla sicurezza si gioca la sfida tra il reattore AP 1000 dell’americana Westinghouse e il modello EPR della francese Areva. Il primo si basa su sistemi di sicurezza passivi, in grado di agire anche in assenza di elettricità e senza intervento dell’operatore. Il secondo vanta quattro sistemi di sicurezza indipendenti a collocati in edifici separati. (da Panorama 25.2.2010).