Archivio per la categoria ‘Economia’

NON BASTANO LE PROVINCIE, BISOGNA TAGLIARE LE REGIONI

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Lo ammettiamo: c’eravamo sbagliati. Avevamo peccato di ottimismo. Pensavamo che bastasse abolire le province (battaglia comunque giusta, che non abbandoneremo) per dare un po’ più di razionalità al nostro sistema pubblico, ridurre sprechi e privilegi, risparmiare qualche miliardo. Invece dovremmo mirare al bersaglio grosso: le regioni. Sparare sulla Sicilia è giusto ma in fondo fin troppo ovvio. Ha 5.2 miliardi di debito corrente, un bilancio solo apparentemente in pareggio, 90 consiglieri regionali tutti con il rango di deputati, e quindi i più pagati d’Italia (17 mila euro). Ha il record di baby pensionati e di indennità di pensionamento, nonostante i suoi abitanti continuino immancabilmente a svettare ai primi posti nelle classifiche di povertà «assoluta» e «relativa» come l’ultima dell’Istat. La regione, rigorosamente a statuto speciale, finanzia l’ippoterapia e i maestri di sci, e con l’attuale giunta di Raffaele Lombardo ha anche pagato tra il 2010 e il 2011 oltre 400 rinfreschi, il che ha contribuito agli ulteriori 1,9 miliardi d’indebitamento che in 24 mesi si è aggiunto ai 3,5 delle gestioni precedenti. «Un aumento minimo» dicono i due assessori (alla Sanità e all’Economia) protagonisti della «operazione verità» che ha portato alla brusca convocazione a palazzo Chigi di Lombardo e al suo probabile e imminente commissariamento. Sarà anche minimo, ma si tratta di un 50 per cento in più che, se avesse riguardato il debito italiano, ci avrebbe spediti automaticamente in default, con conseguente calata dal Brennero delle panzerdivisionen spedite da frau Angela Merkel. Ma, appunto, prendersela solo con la Sicilia e il suo presidente è fin troppo ovvio (anche se per la verità nessun capo di governo finora ci aveva provato, lasciando l’incombenza alla magistratura). Che dire delle altre regioni, speciali o ordinarie? Soltanto guardando alla sanità, l’indebitamento record è della Campania, seguita da Lazio, Puglia, Sicilia, e perfino il piccolo Molise rischia di esplodere quasi fosse un’area sub-tropicale a rischio di epidemie rare. Ma il Nord non sta messo molto meglio. I debiti sanitari gravano su Piemonte e Liguria; quanto alla Lombardia che a lungo ha costituito il benchmark, il modello virtuoso nazionale, vedremo che cosa racconterà davvero l’inchiesta su Formigoni e amici. Eppure di come si sia formato questo sistema distorto che non riesce ad amministrare circa 220 miliardi (le ricchezze a disposizione delle regioni) si sa ormai tutto. Gli snodi principali sono tre: l’istituzione delle regioni nel 1970; l’istituzione del servizio sanitario su base universale nel 1980, con il quale chiunque, anche i miliardari, hanno acquisito il diritto alle cure gratis, e il trasferimento alle regioni degli ospedali e dei poteri delle vecchie mutue; infine nel 2001 la riforma del titolo Quinto della Costituziona, varata in extremis dal moribondo governo dell’Ulivo, che concesse alle stesse regioni piena autonomia in fatto di sanità, oltre a una sfliza di poteri esclusivi e diritti di veto su materie come le infrastrutture, l’edilizia, l’ambiente. Tutti business sulla carta promettenti, che si sono spesso trasformati in gigantechi buchi neri. La riforma, infatti, ometteva di istituire oltre ai diritti i relativi doveri in fatto di controlli, bilanci in ordine, conformità con i budget nazionali e con le direttive europee. Senza contare i fondi comunitari, che nessuno, dalle Alpi a Punta Pesce Spada (Lempedusa) riesce a spendere. Nel marzo 2007 l’ex ministro socialista delle Finanze, Franco Reviglio, pubblicò sul sito lavoce.info uno studio sulle spese sanitarie regionali; un grido di allarme ben prima della grande crisi finanziaria che da lì a poco avrebbe travolto tutti, e che l’esperto di finanza pubblica della sinistra proponeva alla riflessione del secondo governo Prodi, quello dell’Unione. Reviglio rilevava che nel solo periodo 2001-2005, in seguito all’autonomia concessa dalla riforma costituzionale, si era formato un disavanzo medio di 4 miliardi, mentre la spesa sanitaria stava superando il 7 per cento del Pil. Tre regioni – Calabria, Lazio e Sicilia – sommavano allora il 68 per cento dell’indebitamento totale. Reviglio stimava inoltre che i crediti accesi dalle regioni con i fornitori, senza alcuna regola e controllo, avrebbero negli anni successivi aumentato la spesa del 30 per cento. Ma questo era ancora nulla. «Perché», osservava il dossier, «il vero problema sono debiti sommersi, stimabili in 38 miliardi, 24 dei quali verso fornitori». In altri termini, il costi non erano (e non sono) derivanti dal servizio ai cittadini, ma dalle spese per acquistare i beni dai privati. L’ex ministro aveva visto giusto, ma non poteva certo prevedere la spirale tra spese folli e tasse che la crisi mondiale avrebbe da lì a poco innescato. Per abbattere i debiti le regioni sono infatti state obbligate ad aumentare le imposte dirette, Irpef ed Irap, con percentuali che proprio nel Lazio hanno raggiunto il record e che si sommano a quelle comunali. Una cura obbligata in mancanza di autocontrollo, ma che ha prodotto i seguenti risultati: il progressivo abbassamento degli standard sanitari in cambio del progressivo innalzamento della pressione fiscale sui cittadini. Quanto alle imprese, l’Irap, un’idea dell’ex ministro Vincenzo Visco per sostituire e regionalizzare i contributi sanitari, si è via via trasformata in una delle gabelle più odiose perché non solo va a cercare di coprire buchi che con l’attività imprenditoriale non c’entrano nulla, ma colpisce soprattutto il numero di dipendenti e il costo del lavoro. Di conseguenza non solo le regioni erogano una pessima assistenza sanitaria, ma non svolgono neppure il loro altro compito di promuovere l’attività imprenditoriale e il lavoro. Un cane che si morde la coda e che di questo passo finirà per divorare se stesso. Fin qui la sorte delle regioni brutte, sporche e cattive. Ma che dire dei virtuosi tedeschi dell’Alto Adige, anzi, pardon, del Sud-Tirolo, e dei loro cugini stretti del Trentino? Si tratta di due province autonome, i cui benefici, nel caso di Bolzano, sono addirittura sanciti da un accordo internazionale, quello del 1946 tra Alcide De Gasperi e l’allora ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, firmato a Parigi e garantito nel 1960 e ’61 da ben due risoluzioni delle Nazioni Unite. Il bilinguismo ne è solo la parte più appariscente. La vera polpa sta nella possibilità concessa agli altoatesini di trattenere il 90 per cento di tutte le imposte raccolte sul territorio, distribuendo alla popolazione e alle aziende, sotto forma di mutui a tasso zero, gli eventuali residui di cassa. Il risultato? La Provincia di Bolzano vanta un tesoretto di circa sei miliardi di euro, mentre ogni singolo abitante, dai neonati ai centenari, riceve ogni anno dallo Stato 8.500 euro di trasferimenti fiscali, rispetto ai 2.200 della Lombardia e ai 1.800 del Veneto. La Svp, il partito egemone guidato dal presidente della provincia Luis Durnwalder, che con il collega trentino si alterna anche alla testa della regione autonoma, è poi abilissimo nello sfruttare le debolezze dei governi nazionali, che certo non difettano. Quando a Prodi mancavano un paio di voti, Durnwalder lì garantì in cambio di ulteriori sconti sul carburante. Quando la stessa cosa accadde con Berlusconi ottenne mano libera (cioè proprietà e introiti) sul parco dello Stelvio. Naturalmente i trentini non vogliono sentirsi i parenti poveri. Hanno già ottenuto, per gli insegnanti ed i dipendenti pubblici, un soprassoldo del 50 per cento in conto bilinguismo. Adesso mirano a sottrarsi alla spendig review sulle spese pubbliche che invece colpirà le altre amministrazioni dello Stato, ed anche le altre regioni, ordinarie e autonome. Con tanti saluti all’irredentismo ed a Cesare Battisti: bastano un museo nel castello del Buon Consiglio a Trento. Per il resto la manna parla ovviamente tedesco, mentre i risparmi finiscono in gran parte nelle banche austriache. Nel 2008 Durnwalder risultò da un’inchiesta del quotidiano di lingua tedesca Tageszeitung il politico italiano più pagato: 25.600 euro netti al mese di stipendio. «Me li merito», disse; poi ha annunciato un taglio. Resta il fatto che in tutto il Veneto, che pure non si lamenta, è partita la corsa dei comuni che vogliono farsi annettere al Trentino-Alto Adige, o in subordine al Friuli-Venezia Giulia. Capofila dei primi è Cortina d’Ampezzo, dei secondi Sappada; entrambi in provincia di Belluno. Così come in Piemonte si chiede il passaggio alla Val d’Aosta; ed in Lombardia addirittura al Canton Ticino. La realtà è che – a parte i pochi davvero ricchi e felici – le regioni, tutte, si avviano ad essere entità ed esperienze bollite. Sono le grandi malate dell’amministrazione italiana, e non solo per i buchi della sanità. E se le province sono sostanzialmente enti inutili, le regioni si stanno rivelando un fallimento. Certo, la Sicilia dei Lombardo e dei Cuffaro lo è anche sul piano politico ed etico: per esempio con i suoi infiniti trasformismi. È prassi che chi inizia il mandato con una maggioranza lo porti a termine con lo schieramento avverso: un fenomeno che è stato studiato e nobilitato alla voce «milazzismo» da quando nel ’58 Pci e Msi si allearono per sostenere il democristiano Silvio Milazzo contro lo stesso scudocrociato. “Tutto nel nome dei superiori interessi dei siciliani” dissero in un famoso comunicato congiunto comunisti e missini. Ma se Palermo è la patologia, Roma, Perugia, Bari, perfino Venezia e Milano rischiano di essere ben presto i simboli premonitori di un’epidemia. L’Umbria ha il record delle pensioni d’invalidità civile, seguita dalla Liguria. La Puglia di Nichi Vendola, in epoca di tagli alla spesa pubblica, ha pensato bene di rimettere a carico integrale della regione il famoso Acquedotto pugliese, il più grande e inefficiente d’Europa, noto per distribuire più che l’acqua, i favori. Domanda: ma che ce ne facciamo di queste regioni? Non era meglio lo Stato napoleonico? E dire che ci avevano perfino venduto il federalismo. Ora però arriveranno un bel po’ di «città metropolitane». Teniamoci stretti, e occhio al portafoglio. Marlowe, Il Tempo, 19 luglio 2012

.…………….Nel 1968 il solo MSI di Arturo Michelini, che doveva morire di lì a poco, combattè una generosa ma inutile battaglia in Parlamento contro l’istituzione delle Regioni. “No all’Italia in pillole” era lo slogan coniato per l’occasione che coincideva con le elezioni politiche di quell’anno che però registrarono un lieve arrettramento del partito che combatteva quella battaglia. Perduta, ovviamente, e vinta da quelli che predicavano la grande utilità delle regioni di cui tutti dicevano un gran bene. Si  visto quale è stato il bene, o meglio, per chi è stato un gran bene: politci trombati, burocrati inventati, esperti del nulla, consulenti di ogni specie e d’ogni risma, tutti attovogliati alle tavole regionali, con gradn dispendio di quattrini e di risorse. Sperare che si riesca a porre fine a questo bengodi è follia, visto, oltrettuo, che dopo un gran parlare, anche il governo dei tecnici (tecnici di che!?) ha alzato bandiera bianca sulla abolizione delle privincie. E ci potete scommettere, se dovessero nascere le città metropolitane, previste dalla legge 142 del 1990, cioè ben 22 anni fa,  statene certi che esse saranno un doppione delle Provincie che resteranno in piedi anche nelle 10 città che dovrebbero diventare “metropolitane”. Alla faccia delle riduzione dei costi della politica, gli unici che non saranno mai tagliati insieme alle tasse che strangolano i contribuenti italiani. g.

IN ITALIA PRESSIONE FISCALE AL 55%, E’ RECORD MONDIALE!

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Una busta paga

Nel 2012 la pressione fiscale effettiva o legale in Italia, cioe’ quella che mediamente e’ sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, e’ pari al 55%. Lo indica l’Ufficio studi di Confcommercio, precisando che si tratta di un record mondiale, e che la pressione fiscale apparente e’ al 45,2%. Il valore della pressione fiscale effettiva, precisa Confcommercio nel rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà, “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto”.

L’Italia si posiziona infatti al top della classifica davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%)e Svezia (48%). Fanalino di coda Australia (26,2%) e Messico (20,6%). “Non solo l’Italia è al primo posto” nel mondo, “ma è difficile che in un futuro prossimo saremo scavalcati” dagli altri Paesi, ha detto il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, spiegando che gli altri paesi alle spalle dell’Italia non solo stanno riducendo la pressione fiscale, ma hanno un sommerso economico molto ridotto rispetto a noi”. “Sotto il profilo aritmetico – si legge nel rapporto – il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali”.

L’Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e Pil: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto su 35 paesi considerati, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (entrambi 45,8%). Il dato è il livello più alto del periodo per il quale si dispone di statistiche attendibili, precisa il rapporto, spiegando che il balzo del 2012 “é dovuto alla strategia di restrizione fiscale che dovrebbe portare il nostro Paese al close to balance nel 2013″. Tra il 2000 e il 2012, mentre la pressione apparente media è scesa di nove decimi nell’area euro e di un punto nell’Ue27, l’Italia è tra gli unici Paesi europei ‘grandi’ ad aver innalzato il prelievo: +3,4 punti percentuali, insieme al Portogallo (+3 punti) e Francia (+0,4 punti). E anche nel mondo, dove prevale la tendenza alla riduzione, l’Italia guida la classifica, seguita dal Giappone (+2,9 punti).

Il sommerso economico in Italia è pari al 17,5% del Pil e l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). E’ quanto emerge dal rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà dell’Ufficio studi di Confcommercio, che precisa che il 17,5%, che si riferisce al 2008 ma si può ipotizzare costante fino ad oggi, posiziona l’Italia al primo posto nel mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) ma è una tendenza moderatamente alla riduzione. Fonte ANSA, 19 luglio 2012

RAI: ECCO LA SOBRIETA’ DI MONTI, UN MILIONE DI EURO PER DUE

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Roma – Super poteri (al presidente) e superstipendio (al direttore generale). Inizia con poca sobrietà la stagione Rai dei manager-banchieri in quota Monti. Il sacrificio, se c’è stato, non è stato il loro. In due fanno più di 1milione di euro di compensi: 650mila per il Dg Gubitosi, e – anticipano fonti Rai, perché lo stipendio verrà formalizzato nei prossimi giorni – circa 430mila per la presidente Tarantola (trattamento simile a quello che aveva a Bankitalia e al predecessore Garimberti).

Gubitosi, indicato dal premier già un mese fa per la direzione generale Rai, lascia un posto (da consulente?) in Bank of America per un contrattone a vita a Viale Mazzini, tempo indeterminato, con un fisso di 400 mila euro, più 250mila per l’incarico di Dg. Vuol dire che nel momento in cui Gubitosi lascerà la poltrona di direttore generale, la Rai dovrà trovargli un’altra sistemazione interna se non vorrà pagare a vuoto mezzo milione di euro l’anno, cose che già succedono in Rai. Dopo le polemiche sul super ingaggio il Cda ha rimodulato il contratto, abbassando la parte fissa, che pesa di più sul bilancio e che inizialmente era di 500mila euro, e alzando quella variabile. Ma il totale resta sempre quello, 650mila euro. L’unico che si è astenuto sul contratto di Gubitosi è stato il consigliere del Pdl Antonio Verro, mentre gli altri hanno dato il via libera alla richiesta della Tarantola, che subito dopo la nomina del dg ha tirato fuori il contratto con cifra e inquadramento massimo, a tempo indeterminato, chiedendo al consiglio di ratificare. Ora l’unico spiraglio per un cambiamento viene da Luciano Calamaro, il magistrato della Corte dei conti che vigila sulle delibere del Cda Rai. In consiglio, l’altro giorno, Calamaro si è riservato di analizzare il caso del maxistipendio di Gubitosi e della sua assunzione in Rai. Il «Salva italia» del governo, nel caotico iter sui tetti dei manager pubblici, esclude dall’ultima versione i membri delle authority e quelli della Rai. Che dunque possono sforare il limite di 300mila euro l’anno. Ma la giurisprudenza sulla Rai è complessa, e la Corte dei conti dovrà valutare se l’acquisto a peso d’oro del neo dg Gubitosi, dopo il trucco dei 100mila euro spostati dalla parte fissa a quella variabile dello stipendio, sarà corretto in tutto e per tutto.Il caso però è già politico. Orfini, delegato del Pd per le questioni Rai, parla di un «passo falso» del Cda, e anche da Udc, Idv, Lega e sindacati arriva la stessa critica. Né i consiglieri di Pd e Udc, però, hanno avuto da ridire sul compenso di Gubitosi. Ora si passa al secondo capitolo, quello dei super poteri della Tarantola, che ieri, nel Cda, voleva chiudere subito la partita. La regola prevede però che passino 48 ore, al massimo 24 in casi urgenti, tra la consegna delle carte al Cda e il voto. Il solito Verro ha quindi chiesto di rimandare a stamattina la decisione sulle deleghe della Tarantola. Il documento che andrà in approvazione, dopo faticose limature soprattutto sulla parte delle nomine, prevede che il presidente possa decidere contratti fino a 10milioni di euro (purchè «coerenti» con le scelte del Cda); e poi che spettino a lei e al dg tutte le nomine «non editoriali» di primo e secondo livello. Che vuol dire tre quarti delle poltrone, e non solo quelle puramente «corporate»: dalle direzioni Risorse umane alla Produzione tv, dalle Risorse televisive alle Relazione Esterne. Tutte, di fatto, tranne Reti, Testate, Intrattenimento, Fiction e Teche, che parte dei consiglieri, dopo un dibattito, sono riusciti a «strappare» dal controllo della Tarantola. Ma è ovvio che il governo avrà un peso anche nelle nomine editoriali, come quelle dei tg. La Tarantola è una fiera sostenitrice delle pari opportunità per le donne. E di sicuro gradirebbe qualche donna ai vertici di reti o tg. Magari partendo dal Tg1.Il Giornale, 19 luglio 2012

.……….Eccola la sobrietà dell’era Monti: mazzate di tasse sulle spalle dei pensionati con 50o euro al mese e centinaia di migliaia di euro all’anno per i “sobri” manager di stato, ultimi in ordine di tempo la neo presidente dfella Rai e il neo direttore generale, entrambi pupilli di Monti, ai quali andranno, in due, più di un milione di euro all’anno. Alla faccia della sobrietà e del contenimento della spesa pubblica. g.

ECCO I TAGLI CHE NESSUNO VUOL FARE: NIENTE TETTO ALLE “PENSIONI D’ORO”.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Ritirato l’emendamento che le riduceva a 6mila euro al mese, consentendo un risparmio di 2,3 miliardi di euro l’anno solo sulle pensioni pubbliche e se esteso al settore privato consentirebbe un risparmio di 15 miliardi l’anno. Conflitto di interessi dei ministri e sottosegretari “tecnici.”

Lungi da noi dire che, nel dire no al taglio delle pensioni d’oro, i membri dell’esecutivo Monti abbiano guardato in primis alle loro tasche, presenti o future. Ma, come si dice, i numeri non mentono. E in questo caso dicono che alcuni membri dell’esecutivo si troverebbero la pensione che già percepiscono severamente decurata dal proposto tetto di 6mila euro netti al mese. E altri, secondo quanto scrive Il Fatto quotidiano, se la troverebbero in futuro, visto quanto guadagnano oggi.

L’emendamento taglia-pensioni d’oro, presentato dal parlamentare del Pdl Guido Crosetto e che consentirebbe un risparmio di 2,3 miliardi solo sulle pensioni pubbliche e di 15 se fosse applicato anche al settore privato, è stato ritirato dopo le insistenti “pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto. “Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione il sottosegratario all’economia Gianfranco Polillo. Proprio lui che è titolare di una pensione di 9.541,13 euro netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di servizio come funzionario della Camera. E che col tetto fissato a 6mila euro si troverebbe a perdere 3.541 euro al mese.

Tra i beneficiati dal mancato tetto ci sarebbe anche Elsa Fornero. Il ministro del Lavoro nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una pensione al limite della “soglia Crosetto”. Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti al mese, frutto di una lunga carriera nell’amministrazione statale con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972. Il ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria”, pari a circa 20mila euro mensili. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Massimo Vari percepisce 10.253,17 euro netti al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale. da Libero, 3 luglio 2012

BUFERA SU MONTI E MOODY’S

Pubblicato il 5 giugno, 2012 in Economia, Giustizia, Politica | No Comments »

Sul web le voci della partecipazione del premier al board di Moody’s proprio quando l’agenzia di rating bollò l’Italia come “Paese a rischio”. Palazzo Chigi smentisce

Un brutto sospetto è circolato nelle ultime ore sul web. Il presidente del Consiglio Mario Monti avrebbe fatto parte del board di Moody’s proprio quando l’agenzia di rating tirava bordate contro l’Italia e faceva affondare l’economia del Belpaese nel baratro della recessione e della crisi economica.

Il premier Mario Monti

Adesso, proprio Moody’s è indagata, insieme a Fitch e a Standard & Poor’s, dalla procura di Trani per manipolazione di mercato. Palazzo Chigi si affretta a spiegare che il Professore è stato membro del “senior european advisory board” dell’agenzia “dal luglio 2005 al gennaio 2009, periodo in cui ricopriva l’incarico di presidente dell’Università Bocconi”.

In Italia scoppia la bufera contro le agenzie di rating. La procura di Trani sta mettendo sotto la lente di ingrandimento le accuse, i giudizi e i tagli di rating che negli ultimi anni hanno colpito il Belpaese contribuendo ad affossarne la solidità e a minarne la tenuta. Giudizi che, molto spesso, venivano comunicati a mercati ancora aperti. Tagli di rating che agli inquirenti sono sembrati un vero e proprio strumento per colpire l’Italia. Proprio oggi la sede di New York di Standard & Poor’s è stata indagata dai pm di Trani per manipolazione del mercato. È un nuovo fascicolo-stralcio che segue la chiusura delle indagini notificata nei giorni scorsi a cinque persone: l’ex presidente di S&P Deven Sharma, l’attuale responsabile per l’Europa Yann Le Pallec e i tre analisti senior del debito sovrano che firmarono i report sotto accusa Eileen Zhang, Frank Gill e Moritz Kraemer. Per quanto riguarda gli uffici italiani il pm di Trani Michele Ruggiero ha indagato l’amministratore delegato Maria Pierdicchi. Nel mirino le ore immediatamente precedenti la comunicazione ufficiale di S&P sul taglio di due gradini del rating al debito sovrano dell’Italia del 13 gennaio scorso: da A a BBB+.

Sulle stesse agenzie di rating i pm di Trani stanno indagando dal 2010 dopo la denuncia congiunta di Adusbef e Federconsumatori. Il 6 maggio del 2010 un report pubblicato da Moody’s bollava l’Italia come “Paese a rischio”. Da quella denuncia l’inchiesta si è allargata a Fitch e Standard & Poor’s per i giudizi che hanno contribuito a far precipitare la situazione politica fino alle dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi. D’altra parte l’ex premier ha ripetuto più volte di aver lasciato la presidenza del Consiglio per il bene del Paese. Sei mesi dopo l’attacco di Moody’s, Mario Monti diventava premier e sul web è stata ventilata da diversi blog l’ipotesi (rilanciata dal sito Dagospia) che il Professore potesse finire coinvolto nell’indagine di Trani. Palazzo Chigi ha subito spiegato che la partecipazione di Monti al board di Moody’s comportava “la partecipazione a due-tre riunioni all’anno”, dal luglio 2005 al gennaio 2009, che non avevano per oggetto, “neppure in via indiretta”, la valutazione di stati o imprese sotto il profilo del rating.

Contattati in mattinata, gli uffici londinesi di Moody’s non ci hanno ancora fatto sapere il ruolo di Monti all’interno dell’agenzia: dopo averci chiesto il motivo del nostro interesse sul ruolo del Prof dentro a Moody’s, sono scomparsi nel nulla. Restiamo in attesa di una risposta ufficiale. Ad ogni modo, presa per buona la smentita di Palazzo Chigi, resta comunque che dal 2005 il Professore era “international advisor” per la Goldman Sachs, una delle più potenti banche del mondo che ha contribuito a mettere in ginocchio l’economia greca. Ma questa è tutta un’altra storia. Forse. Andrea Intini, Il Giornale, 5 giugno 2012

.…………..Quando tuona, piove, recita un vecchio adagio. Aspettiamo per vedere in quali mani ci hanno messo un pugno di politici vili e sprovveduti. g.

BERLINO RIPETE L’ERRORE E DISTRUGGE L’EUROPA, di Marlowe

Pubblicato il 2 giugno, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

La disoccupazione in Italia vola al 10.9% nel primo trimestre 2012, era all’8.6 un anno fa. Si tratta di 646 mila donne, uomini e soprattutto giovani che hanno perso il lavoro. A loro si aggiungono altri 38 mila tra marzo e aprile. Il resto d’Europa non sta meglio: la zona euro (11 per cento di disoccupazione) peggio dell’Unione a 27 (10.3), il che la dice lunga su che cosa sia diventata la moneta comune.
E attenzione: nell’eurozona provvedono ad abbassare la media la Germania, con disoccupati in calo al 5.4, l’Austria (3.9), l’Olanda (5.2). Se volevamo una rappresentazione sulla pelle della gente di che cosa sia lo spread, eccola. La Germania e i suoi alleati, che si finanziano a tasso zero il debito pubblico e forniscono denaro al settore privato, aumentano posti di lavoro e retribuzioni. Tutti gli altri nel girone infernale: noi come la Francia, e la Spagna che ha ormai più disoccupati della Grecia.
Colpa solo dell’egoismo teutonico? Certo che no: Atene, lo sappiamo, ha truccato i conti (ma questo accadeva tre anni fa), Madrid ha le banche in disordine. Ciò che però aumenta in misura direttamente proporzionale all’acuirsi dei problemi è l’indifferenza dell’establishment berlinese. Poche ore dopo la diffusione dei dati sul lavoro, la Bundesverband deutscher Banken (Bdb), l’associazione delle banche tedesche, si è detta contraria a un fondo europeo di garanzia dei depositi. È una misura minima – in Italia funziona dalla crisi del 2008 – per evitare l’assalto agli sportelli. Peccato che la stessa Bdb abbia comunicato con preoccupazione l’esposizione di Francoforte e dintorni – soprattutto la Commerzbank – verso la Spagna, con investimenti immobiliari per 112 miliardi di euro che ora il sistema finanziario renano cerca di ridurre con un ritiro di capitali da 90 miliardi. In questo caso nulla da dire in fatto di azzardo morale, denaro dei contribuenti e quant’altro? Oltre tutto sarebbe il caso di ricordare che già nel 2009 il governo della Merkel ha fatto approvare dal Bundestag una legge che consente di nazionalizzare le banche, tagliata su misura per la Hypo Real Estate, specializzata in «pfanbriefe»: la versione germanica dei subprime americani. Ma secondo Berlino se la Spagna (e anche noi) ricapitalizzasse le banche dovrebbe mettere l’equivalente nel bilancio pubblico; la Germania no, potrebbe conteggiarlo a parte utilizzando le deroghe impiegate a mani basse per la riunificazione.
La faccenda è stata al centro di una lite tra la Merkel, Barack Obama, Francois Hollande e Mario Monti durante la teleconferenza di mercoledì pomeriggio. La Cancelliera ha pronunciato tutti «nein»: «Non regaleremo soldi alle banche spagnole». Ecco perché poche ore dopo Monti ha detto «la Germania deve riflettere profondamente e rapidamente». Parole chiare solo agli addetti ai lavori, e infatti un’altra caratteristica di questa crisi è l’opacità delle informazioni a opinioni pubbliche sempre più allarmate. Che però capiscono quanto basta: il lavoro si riduce ovunque, tranne in Germania e dintorni. Il denaro si restringe per tutti, a eccezione della Germania. Ma la Germania impone alla Grecia, con il 25 per cento di disoccupati ed il 50 per cento tra i giovani, di tagliare immediatamente 15 mila posti di lavoro nel settore pubblico, e altri 200 mila nei prossimi anni. E chiede alla Spagna, dopo averne foraggiato le speculazioni finanziarie, di cavarsela da sola, possibilmente non disturbando le vacanze sulla Costa del Sol dei pensionati di Colonia e Monaco di Baviera. In tutto ciò lampeggiano sinistri bagliori di storia. Non solo ad Atene o a Roma. Ha detto al Corriere della Sera Joschka Fischer, già ministro degli Esteri della coalizione rosso-verde di Gerhard Schroeder: «Per due volte nel Ventesimo secolo la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione europea abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». In termini più pragmatici lo conferma lo stesso Schroeder: «Quello che fa il governo tedesco non ha alcun senso né politico né economico». Ma allora perché la Merkel dice solo dei no? «Semplice: perché pensa in termini elettorali, di potere politico interno. E sbaglia: perderà le elezioni». Non sappiamo se l’ex cancelliere difenda il proprio orto. Ma osserviamo certi segnali, che spesso valgono più di tante analisi. La vittoria dei socialisti in Francia su una linea anti-Merkel ha fatto esultare chi non ha mai pensato di votare a sinistra. Esattamente come l’80 per cento degli europei (stime dei network televisivi) ha fatto il tifo per il Chelsea nella finale di Champions contro il Bayern. Ieri Silvio Berlusconi ha detto: «Si deve porre il problema della Germania in Europa. Se continua così, esca dall’euro». Questo, e non l’«idea pazza», anzi balorda, che l’Italia cominci a stampare euro con la propria zecca, è il nocciolo del problema. La Germania contro il resto d’Europa? Misurate i fischi alle Olimpiadi di Londra. Marlowe, Il Tempo, 2 giugno 2012

LO SPREAD E’ ALLE STELLE: VOLA OLTRE I 490 PUNTI….E MONTI TACE

Pubblicato il 1 giugno, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Nuovo balzo in anti dello spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi. La pressione sui titoli di Stato torna a farsi sentire e l’indice segna valori da capogiro.

Ribassi sulla Borsa di Francoforte

Ribassi sulla Borsa di Francoforte
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Questa mattina il differenziale sulla piattaforma Reuters è balzato  sopra i 490 punti base arrivando a toccare i 491 punti. Il rendimento del decennale è al 6,06%. Sulla piattaforma Bloomberg, che si basa invece su un diverso benchmark, il differenziale è a 478 punti base.

Torna a farsi sempre più vicina la soglia drammatica dei 500 punti base. Dopo aver sfondato i 450 punti lo spread tra Btp e Bund non arresta la propria corsa all’insù. Una corsa che torna a preoccupare fortemente Piazza Affari e i principali mercati finanziari del Vecchio Continente. A Milano l’indice Ftse Mib, che raggruppa i 40 principali titoli quotati a Piazza Affari, cede oltre l’1,94% a 12.617 punti, ritoccando così il suo precedente minimo storico del 9 marzo 2009, quando chiuse a quota 12.621. A creare tensioni e aumenti sui rendimenti dei titoli di Stato sono stati i dati dell’Istat sulla disoccupazion che, nel primo trimestre, è balzata al 10,9% segnando il valore più elevato dal 1999. Secondo l’indagine, in un solo mese si sono infatti persi 28mila posti di lavoro. Dopo precedenti tentativi di calmieramento, a tarda mattina i rendimenti dei Btp decennali sono così tornati a tendersi. Fonte: Il Giornale, 1 giugno 2012

.………..Naturalmente l’unto da Dio signor Monti tace e non ci inonda delle sue “illuminate”  considerazioni sullo spread che vola alle stelle nonostante la cura da cavallo cui ci ha sottoposti, con una presisone fiscale che evidentemente non è servita a nulal, salvo a fargli conquistare per tutta la vita la carica di senatore a vita e quel che più conta la non disprezzabile indennità di 25 mila euro al mese. Per questa cifra l’ultima baggianata che ha detto è stata quella di bllccar eper tre anni il calcio e per la qual cosa si è guadagnato sul campo la definizione di ignorante e cretino affibbiategli dal presidetne di una società di calcio che gli ha ricordato cxhe il calcio versa llo stato dagli 800 al miliardo di euro l’anno. Forse per questo per l’impennata dello spread ha preferito tacere. g.

L’80 % DEI PROVENTI DI EQUITALIA VENGONO DAI LAVORATORI A REDDITO FISSO

Pubblicato il 19 maggio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »


Ricordate i “botti” fiscali di Capodanno per festeggiare (in anticipo) i primi cento giorni del neo premier Rigor Montis? Con la perla delle Dolomiti, Cortina d’Ampezzo, presa d’assalto dai cacciatori di scontrini fiscali. E con i grandi giornali a brindare all’inconsueta messinscena pirotecnica. Anche se Lor signori della carta(straccia), e i suoi direttori, più che applaudire al blitz degli esattori facevano festa per una ragione assai meno nobile: lo scampato pericolo di una patrimoniale secca che avrebbe colpito le tasche dei loro editori.

Già, i Poteri marci che, rispetto ai lavoratori dipendenti, non hanno il prelievo alla “fonte” (dalla busta paga) e a volte godono pure dell’Iva al 4%. Oltre a poter schierare, sul campo fiscale, agguerriti tributaristi. Nel caso di controversie con l’agenzia delle entrate. Lusso che non un artigiano o un bottegaio di paese.

L’Italia del commercio non è soltanto Cortina o via Montenapoleone.
Storia vecchia, si dirà, ma finora non si era mai visto un governo composto di tanti garruli Superciuk. Stiamo parlando dell’antieroe dei fumetti creato da Max Bunker, l’opposto di Robin Hood, che ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Nel suo pamphlet sui contribuenti-sudditi “La mano che prende, la mano che dà“, edito da Raffaello Cortina, il filoso tedesco Peter Sloterdijk, osserva che il giornalismo politico dei nostri giorni “riformula in mille varianti quattro luoghi comuni”. E tra questi “luoghi comuni” c’è, da parte della stampa, quello di sollevare solo polveroni.

“E il buon uso dello scandalo – osserva Sloterdijk – diventa uno strumento per tenere in vita il potenziale utopico del modo di vivere politico chiamato democrazia”.

Nell’Italia degli Indignados à la carte (dei padroni) c’era, addirittura, chi parlava di “rivoluzione delle tasse” dopo aver assistito ai fuochi fatui accesi dalle fiamme gialle nel ricco presepe ampezzano. Senza nemmeno aver dato una sbirciatina su come funziona e opera davvero la burocratica macchina trita-contribuenti avviata dai vari governi della cosiddetta seconda Repubblica.

Una struttura dai costi di gestione mostruosi: oltre un miliardo di euro l’anno. Pagati ovviamente, dai poveri tartassati di turno.
I ricavi di Equitalia? Qualche spicciolo di milione.
Del resto, sosteneva l’ex presidente americano Ronald Reagan “chi paga le tasse è uno che lavora per lo Stato senza essere un impiegato statale”.

Così, nell’ubriacatura (fiscale) di fine anno qualcuno anche a sinistra-sinistra (il Fatto) scambiava pure l’amministratore di Equitalia, il puffo Attila Befera, per un Lenin dell’aggio (altrui).Tant’è, che il Signorotto delle imposte con “tassi di usura” (9%), attratto dal profumo d’incenso che lo stava avvolgendo, si è presentato davanti alla folla di adulatori (i media) per promuovere il marchio Equitalia. Che grazie agli exploit televisivi di Befera, rovesciando lo slogan di una ditta di cucine, ben presto è diventato il più odiato dagli italiani.

E il risultato più grave e negativo delle performance di Attila è stato soltanto uno: nel giro di pochi giorni l’agenzia delle entrate, e i suoi solerti dirigenti, sono diventati un simbolo del male e l’obiettivo sconsiderato di violente e ingiustificate contestazioni.
Tutte azioni condannabili senza se e senza ma.

A tirare sassi contro le vetrine di Equitalia non erano però i proprietari di auto Suv o i bottegai infedeli, come avevano immaginato i soloni di carta(straccia).
A gridare la propria protesta erano i milioni di cittadini a reddito fisso. Lavoratori la cui dichiarazione fiscale è fatta, tra l’altro, dai propri datori di lavoro.

Secondo alcune stime, mai smentite dai gabellieri di Stato, l’80% degli incassi di Equitalia proviene dalle tasche dei salariati dipendenti, pensionati e da piccoli professionisti.
Spesso vessati per qualche centinaio di euro (il mancato pagamento del canone Rai) con ganasce alla propria auto o l’iscrizione d’ipoteche sulle abitazioni.

I Grandi Profitti, invece, possono dormire sonni tranquilli anche sotto il governo di Rigor Montis e del suo scudiero (fiscale) Attila Befera.
Così nel panorama dell’informazione, che dovrebbe rappresentare l’opinione pubblica, ancora una volta sono stati i propri lettori a far cambiare registro ai giornali.
E poi gli editori si lamentano della perdita di copie in edicola!

Una valanga di lettere spedite alle redazioni ha fatto giustizia su come funziona davvero (In)Equitalia.
Eppure, facciamo l’esempio del Corrierore guidato stancamente dal disincantato Flebuccio de Bortoli, aveva sotto mano la coppia di Gabibbo alle vongole, i mitici Stella&Rizzo, per andare a dare almeno un’occhiatina su come funziona e opera la burocratica macchina da guerra pilotata da Attila Befera.
Niente, invece.

Dei due Indignados à la carte (dei padroni) uno era impegnato a fare le bucce a qualche disgraziato delle comunità montane; l’altro a difendere l’ing. Giuseppe Orsi, amministratore di Finmeccanica, che è accusato di “riciclaggio internazionale” dai giudici di Napoli.
Se fosse stato un parlamentare con un simile fardello (inquisitorio) sulle spalle, Sergio Rizzo, ne avrebbe chiesta la decapitazione sulla piazza del Parlamento.

E nemmeno una riga si è letta su chi oggi guida la politica fiscale dell’Italia.
Il premier Rigor Montis o Attila Befera?
Dopo la sciagurata soppressione del ministero delle Finanze per creare un superministero dell’Economia – accorpando insieme Tesoro e Bilancio -, la delega nel campo dei tributi è stata lasciata dal governo dei bocconiani, come ha ricordato il professor Enrico De Mita sul “Sole 24 Ore”, all’Agenzia delle entrate.
Con i risultati politici, economici e sociali che sono sotto gli occhi di tutti.

E sorprende che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, scrupoloso garante della Costituzione non si sia accorto, come osserva ancora Enrico De Mita, che è proprio la carta repubblicana che “affida concretamente e non apparentemente la politica tributaria al Governo e al Parlamento”.

Altrimenti, in assenza di un’azione istituzionale, si finisce sotto la scure del gabelliere-riscossore Attila Befera.
E gli italiani onesti, per citare nuovamente il filosofo Peter Sloterdijk, sono trasformati “da cittadini di uno Stato a titolari di un codice fiscale”. 19 maggio 2012

.……….Scriveva Svetonio che “il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle”

LA CORSA ALLO SPORTELLO IN GRECIA E IN SPAGNA. E’ LA FINE? SPERIAMO DI NO.

Pubblicato il 18 maggio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Quando il popolo corre allo sportello, le cose cominciano a prendere una piega incontrollabile perché a dominare è la paura. In Grecia e Spagna siamo a questo punto: i correntisti chiedono il cash perché non hanno fiducia nelle banche. Atene torna alla Dracma? Si ritirano euro per evitare la svalutazione. Bankia viene salvata dal governo spagnolo? Todos caballeros, ma meglio non fidarsi di chi sta in piedi con i soldi pubblici. Questo è il sentimento irrazionale che anima i mercati.
È un film già visto nella storia dell’economia mondiale. Quello che fa scuola è il crac del 1929. La lezione degli anni Venti è grandiosa e terribile. Rileggere il «Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith è più che un tuffo nel passato, un’emersione straordinaria nel presente: in quelle pagine ci sono tutti gli attori di oggi. Le Borse che guadagnano e perdono punti a raffica da un giorno all’altro, i politici che guardano, litigano, ma non capiscono cosa sta succedendo, gli speculatori che ci marciano alla grande e il popolo – ah, il popolo – che pensa alla crescita esponenziale, al guadagno infinito e facile. Irrazionalità. Azzardo. Casinò. Al punto da far scrivere a Galbraith: «Nessuno fu responsabile del grande crollo di Wall Street. Nessuno manovrò la speculazione che lo precedette. Entrambi furono il prodotto della libera scelta e della libera decisione di migliaia di individui. Questi non furono condotti al macello. Vi furono spinti dalla latente follia che ha sempre travolto la gente presa dall’idea di poter diventare ricchissima». Accadde con la speculazione sui tulipani. Figuriamoci, la storia si ripete. E mentre i governi non trovano una soluzione cartesiana al caos finanziario che sta uccidendo l’economia europea, i popoli trovano nell’irrazionalità la risposta: la fila allo sportello. Quando ieri sui terminali dei computer è comparsa la notizia della corsa al contante in Spagna, ero in compagnia di due signori che la finanza la conoscono fin troppo bene. Ragionavamo sulla possibile rottura dell’Eurozona. Eravamo fermi alla guerra del Peloponneso. Ma il fumo che saliva era quello del vulcano iberico. Ci siamo guardati in faccia. Frase sottintesa: «È finita». Poi sono rientrato in redazione e mi sono chiesto: è davvero il game over? Una cosa è discutere del «Grexit», dell’uscita di Atene dall’Euro, un’altra è ipotizzare un contagio continentale che parte con la corrida. Un punto è indiscutibile: senza risposte credibili dei governi, il panico prenderà il timone della nave. E la condurrà sugli scogli.
Sulla nave ci siamo anche noi italiani. Bisognerebbe ricordarlo ai politici.Mario Sechi, Il Tempo, 18 maggio 2012

BLOCCARE EQUITALIA, METTE SUL LASTRICO LE PERSONE: IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA PUGLIA ALL’UNANIMITA’ CHIEDE LA MODIFICA DEL SISTEMA SANZIONATORIO EL BRACCIO ARMATO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE.

Pubblicato il 16 maggio, 2012 in Economia | No Comments »

BARI – Il Consiglio regionale della Puglia ha approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale si chiede che il presidente della giunta regionale, Nichi Vendola, e l’intero esecutivo pugliese intervengano presso il governo Monti affinché vengano riviste le modalità del sistema sanzionatorio di Equitalia. Con l’ordine del giorno si chiede che Vendola, insieme con la giunta, attivi con il presidente del Consiglio dei ministri «ogni possibile iniziativa che preveda una immediata risoluzione per le imprese già in difficoltà» per evitare le situazioni di disagio sociale che si vengono a creare e l’aumento del fenomeno dell’usura.

LE ACCUSE – Le procedure esattive di Equitalia e le fasi esecutive delle stesse – si sottolinea nell’ordine del giorno – «si contraddistinguono per l’abnorme peso (spesso superiore al 50% del debito originario) delle sanzioni accessorie, degli interessi e degli altri costi. Questo costituisce un’autentica prevaricazione, che sfugge ad ogni controllo di legalità e di legittimità, riservando solo all’esito di un giudizio (non breve) la soddisfazione delle ragioni del debitore escusso, che spesso nel frattempo esaurisce la possibilità di saldare il debito dovuto». Fonte: Il Corriere del Mezzogiorno, 16 maggio 2012

……………….Monti, piuttosto che  far finta di comprendere  le  “legittime proteste” dei cittadini ma allo stesso tempo  far finta di niente sui metodi di Equitalia e sui sistemi di riscossione e di determinazione delle sanzioni, intervegna per porre fine a questi metodi che mettono sul lastrico la gente anche solo per una multa non pagata, come ha denunciato alla unanimità il Consiglio Regionale della Puglia.