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TREMONTI RESISTE, MA I VELENI DI WOODCOCK DANNEGGIANO TUTTO IL PAESE

Pubblicato il 14 luglio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

«Hic manebimus optime».Tre­monti cita Tito Livio per dire che resterà qui a combattere, senza scappare, lasciandosi alle spalle le voci di resa, i pettegolezzi, le di­missioni, la bufera. Non molla. E butta in faccia agli speculatori una manovra ancora più dura. La scommessa del superministro è far approdare l’Italia in un porto si­curo. Tutto questo rischia di nau­fragare per l’azione di una procu­ra, che con l’ennesima inchiesta apparentemente senza prove, fat­ta di sussurri e grida, sta mettendo a rischio il portafoglio italiano. Questa procura ha due nomi e un cognome: Henry John Woodcock.

Sulla strada di Tremonti, e sul suo lavoro per tutelare l’Italia dagli squali, è apparsa un’onda anomala. Magari casuale. Magari non voluta. Ma sta lì e cresce insieme al suo carico di dubbi. È il fattore W.

E se tutta questa tempesta giudiziaria che ruota intorno a Tremonti fosse solo l’ultimo buco nell’acqua del pm Woodcock? Il dubbio maggiore è proprio qui. Alimentato dal capo della procura di Napoli, Lepore, che ieri s’è affrettato a dire che il ministro non è indagato.

Eppure i magistrati napoletani hanno lasciato che per giorni si speculasse, che per giorni si rincorressero le voci. Viene da chiedersi perché, allora. Forse non è neanche dolo, ma sfiga. A pensarci bene sarebbe la più masochistica delle beffe italiche. Nessuna accusa di disfattismo: il buon magistrato non aveva sicuramente come obiettivo lo scossone finanziario. Solo che se si dà uno sguardo al suo curriculum un po’di sfiducia c’è.Ormai ci siamo abituatiai processi celebrati sui giornali, ogni carta, ogni telefonata, ogni parola, nelle mani delle procure diventa pubblica piazza. È un vizio che già crea seri problemi di filosofia del diritto, morali: è giusto sputtanare senza processo chi si trova sotto indagine? La giustizia italiana non riesce, purtroppo, a essere al di sopra di ogni sospetto. Capitano strane coincidenze. Saverio Romano quando non faceva il ministro dell’Agricoltura era a un passo dall’archiviazione. Gli stessi pm di Palermo erano favorevoli. Poi, dopo avere salvato il governo, la sua situazione si aggrava. Il gip rigetta l’archiviazione. Viene rinviato a giudizio con l’accusa di concorso in associazione mafiosa. Troppo vicino a Berlusconi. Casualità, ma che si ripetono.

Il guaio è che il marchio d’infamia viene scolpito prima di qualsiasi processo. Di solito ci rimette solo chi si ritrova sulla gogna. Questa volta, nel caso che sfiora Tremonti, c’è però in ballo la fortuna dell’Italia. È il salto di qualità. Il fattore W. rischia di tradursi in bancarotta. Malfidàti? Forse. Ma qualche ragione c’è. Le grandi inchieste di Woodcock hanno sempre un finale sgonfio, come quei gialli che promettono bene ma all’ultima pagina ti lasciano con l’amaro in bocca: tutto qui?

Ecco come W. è diventato un’onda anomala. L’assalto degli speculatori al sistema Italia non parte dall’inchiesta su Milanese, però la fuga di notizie danni ne ha fatti. Tremonti finora era stato l’anticorpo contro il virus che ha steso la Grecia, debilitato la Spagna e spaventato mezza Europa. È un virus che si nutre di instabilità, paura e conti pubblici fuori misura. In Italia le condizioni per il suo assalto ci sono.

L’anticorpo era riuscito a rendere inefficaci i tentativi di far sviluppare la malattia. Il fattore W., con la sua inchiesta pubblica, ha reso più fragile e solo Tremonti. Ha fatto pensare agli speculatori che fosse arrivato il momento di attaccare il sistema, di concentrare sull’Italia le loro attenzioni, di assaporare una preda grossa.

Il dottor Woodcock in fondo non si è mai trovato a proprio agio con le piccole storie. Non si è mai sentito semplicemente un pm, piuttosto un moralizzatore di costumi, soprattutto quando interrogava re, vip e veline. Per poi vedersi archiviare tutto. Questa volta il gioco rischia di andare al di là delle sue stesse intenzioni. Non è solo spettacolo, qui si scommette sul futuro dell’Italia. E chissà se in mano il dottor W. ha davvero le carte o è pronto a calare il suo ultimo bluff. Andremo a vedere. Ma quanto ci costa? Il Giornale, 14 luglio 2011

LODO MONDADORI: SCONFITTA DEI LEGALI E DELLA “LEGALITA’”

Pubblicato il 10 luglio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Niccolò Ghedini Nonostante lo sconto, la sentenza d’appello sul risarcimento Fininvest alla Cir di Carlo De Benedetti segna l’ennesima sconfitta dello staff legale di Silvio Berlusconi. Senza voler esprimere giudizi di merito né dare pagelle alla professionalità degli avvocati del premier, si può dire: nessuna sorpresa, visti i precedenti. Ripetiamo, la nostra è un’opinione politica che riguarda sia la (indubbia) persecuzione giudiziaria di cui il Cavaliere è stato vittima da quando è entrato in politica, sia le ancora più sbagliate e goffe campagne che Berlusconi ed il suo inner circle giuridico-governativo-parlamentare hanno promosso in quasi tutti questi anni sulla questione giustizia. È una lunga sfilza di cause perse sia nelle aule dei tribunali sia in quelle istituzionali. All’inizio di tutto c’è ovviamente il mai risolto conflitto d’interesse: e, diciamo la verità, non basta affermare che neppure la sinistra ha voluto affrontarlo per utilizzarlo a sua volta come pretesto. Eppure sarebbe bastato un blind trust serio, dal quale il Cavaliere potesse attingere i profitti ma dalla cui gestione fosse realmente interdetto. Qualcuno può davvero affermare che la capacità di nomina dei dirigenti e dei direttori di Mediaset e di Mondadori ha determinato le sorti elettorali dell’Italia e del centrodestra in particolare? Per non parlare della Rai: certo, il governo fa le nomine, con quali risultati però si vede. L’annuale telenovela intorno al contratto di Michele Santoro (e di Fazio, Floris, Dandini, Litizzetto e giù a scendere), ed i dividendi mediatici e pecuniari che puntualmente ne conseguono parlano da soli. Con il blind trust ci saremmo risparmiati inchieste come la memorabile RaiSet, nonché le varie serie di velinopoli e vallettopoli. Senza contare che una rinuncia vera e non di cartapesta da parte di Berlusconi ad occuparsi di tv pubbliche e private avrebbe automaticamente messo in mora il centrosinistra che, dal governo e dall’opposizione, nella Rai ha messo mani e piedi da ben prima che il Cavaliere fondasse il Biscione. Ma questa è solo una parte del problema, anche se è all’origine di tutto. Perché nei suoi ormai diciassette anni di prima linea nella vita pubblica, Berlusconi ha denunciato problemi e colpe reali del nostro sistema giudiziario, e ha spesso portato ed offerto se stesso come prova vivente ed evidente degli intrecci fra pm, giudici, politica e media. Due esempi su tutti: il bluff del teste Omega, cioè Stefania Ariosto, creato in provetta da quella Ilda Boccassini che tuttora continua ad inquisire Berlusconi (fatto che negli ordinamenti giuridici anglosassoni solleverebbe un conflitto d’interessi, ma dall’altra parte); e l’altrettanto grave invenzione del superteste Massimo Ciancimino, che doveva semplicemente dimostrare che Forza Italia organizzò le stragi mafiose del ‘92-’93. Ancora oggi se qualcuno va su Google e digita «stragi di mafia», come seconda voce esce «Berlusconi». In quei due processi, nelle clamorose storture che li hanno contraddistinti, era compreso quasi l’intero catalogo delle mostruosità e delle faziosità della nostra magistratura. La parte mancante sta nel ramo civile, e non è poco. Purtroppo anziché offrire la propria vicenda di vittima acclarata per fare di se stesso l’esempio e lo scudo per decine di migliaia di altre vittime meno importanti di lui, testimoniando con la pratica che i suoi problemi erano i problemi di tutti i cittadini, e quindi andavano risolti non con scorciatoie personali ma con una riforma complessiva del sistema, il Cavaliere e i suoi avvocati hanno finito per capovolgere l’ordine delle cose. Grandi riforme solo promesse e mai attuate. E, al loro posto, una miriade di leggi, leggine, commi che inevitabilmente sono, ed erano, risultati ad personam. Il problema di tutti è finito per diventare l’interesse di uno. L’interesse di uno è a sua volta divenuto il problema di tutti. L’ordine delle cose si è capovolto. Alla grande riforma – che può essere realizzata solo con il fair play istituzionale e la massima trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica – si sono sostituite i decreti e gli scudi firmati di volata, magari sotto dettatura dei Ghedini di turno, dai Cirami, Cirielli, Paniz: con tutto il rispetto, non passeranno alla storia dei riformatori di questo Paese. Quando si è voluto tenere più alto il tono, si è passati ai lodi affidati al presidente del Senato o al ministro della Giustizia. Il tutto per che cosa? Per finire triturati dal Quirinale, dalla Corte costituzionale, dal Csm, dal sindacato dei pm, quando non c’è stato l’aborto prematuro come per il recente comma salva-Fininvest (appunto) inserito in una manovra di aggiustamento dei conti pubblici chiesta dall’Europa. Il tutto nel tripudio dei media di sinistra, nell’imbarazzo dei liberali e dei moderati veri, a maggior gloria dello scandalizzarsi interessato dell’opposizione. Già, ma chi gli ha fornito le munizioni? Chi, in questi quasi vent’anni, è riuscito a perdere tutte le battaglie, legali e politiche? Il bilancio è questo: il Cavaliere è oggi privo di qualsiasi scudo, e deve corrispondere pronta cassa 560 milioni a De Benedetti. E questi sono problemi suoi. L’Italia ha ancora un sistema giudiziario penale e civile che fa vergogna, e questo è un problema di tutti. E per giunta se lo scrivi rischi la querela. Marlowe, Il Tempo, 10/07/2011

...Senza voler gettare la croce sulle spalle dei singoli, non c’è dubbio che Marlowe centra il problema e interpreta i sentimenti di tutti gli elettori moderati di questo Paese. I problemi della giustizia sono sotto gli occhi di tutti, le storture cui si assiste sono note  a tutti, a prescindere dalle posizioni politiche. Però non si è mai messo mano seriamente ad una riforma che ponesse al centro del sistema giudiario i diritti dei cittadini che nessuno può o deve calpestare in nome di una presunta superiorità di una casta che risponde a se stessa, quella dei magistrati. . Quella della giustizia era non un problema ma “il” problema sul quale doveva misurarsi Berlusconi ed invece è rimasto tale e quale com’era prima della sua discesa in politica. E’ una delle principali se non la principale ragione della attuale  delusione dei cittadini verso il premier. Riuscirà nei due anni che resano dell’attuale legislatura a porre rimedio alla vergogna di cui parla Marlowe? Le scommesse sono aperte. g.

LA GIUSTIZIA BORDELLO DEL PM AMMAZZA BERLUSCONI

Pubblicato il 28 giugno, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

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Due ragazze, una delle quali con precedenti esperienze di sesso a pa­gamento, riescono a farsi invi­tare a una serata ad Arcore. Ce­nano con altra gente assieme a Berlusconi, poi tornano subi­to a casa non senza ringrazia­re via sms per la squisita accoglien­za e la bella espe­rienza. Sette mesi dopo leggono sui giornali dell’in­chiesta Ruby e, as­sistite da una avvo­catessa dell’Italia dei Valori, si fan­no­ avanti per chie­dere i danni mora­li, in quanto turba­te da quanto visto e letto.

La questione puzza lon­tano un miglio di furbata, ma non per il tribunale di Milano che ieri ha accolto la loro ri­chiesta di costituirsi parte civi­le. Se questo è l’inizio del pro­cesso al Bunga Bunga, figuria­moci la fine. Una sentenza di fatto già scritta, che per colpire Silvio Berlusconi passa anche attraverso Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, tutti e tre colpevoli di essere amici del premier e di aver frequentato Arcore con assiduità.

Ma ieri, prima udienza, i Pm sono andati anche oltre, definendo l’abitazione del pre­mier un bordello. Offesa a par­te, cosa ne sa un magistrato dei bordelli? Quando la sera un Pm si ritira a casa sua con l’amica che maga­ri ca­mbia ogni set­timana, la sua abi­tazione come la si definisce? Quan­do il medesimo è in libera uscita con l’amante, che succede? Commet­te un reato o sem­plicemente eserci­ta a modo suo le li­bertà fondamen­tali e individuali, comprese quelle di divertirsi e fornicare?

Il vero bordello è quello che, su più fronti, sta combinando la magistratura etica che vuole stabilire ciò che è reato non in base ai fatti ma alla morale piegata a scopi po­litici. Così alla sbarra finisco­no i rapporti tra maggiorenni consenzienti. Credo che pochi magistrati salverebbero la fac­cia da una simile gogna. Lo so per certo. Il Giornale, 28 giugno 2011

ANCHE LA SINISTRA STUFA DEI PM GUARDONI

Pubblicato il 24 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

E  alla fine della storia la P4 potrebbe anche mangiarsi i pm. Avrebbe potuto essere l’atteso colpo fatale a Berlusconi, dopo Bunga Bunga, elezioni e referendum: l’inchiesta basata sul nulla, in cui si contesta l’impalpabile reato di associazione segreta al lobbista Luigi Bisignani, intimo del vicepresidente del Consiglio Gianni Letta. Poco più di un pretesto attraverso il quale sputtanare tutto il governo, dando in pasto all’opinione pubblica giudizi sui colleghi, sulle leggi, critiche a Berlusconi, insulti, arrabbiature. Il grimaldello è quello solito, le intercettazioni usate per fotografare lo squallore della politica,  mettere nero su bianco odi e rivalità e far saltare tutto il sistema berlusconiano. Questa volta però nel copione si è inserito un fuori programma. Certo il contenuto delle telefonate non dà del governo un’immagine idilliaca ma l’opinione pubblica nel complesso no deplora, l’indignazione non è quella sperata, le geremiadi dei vari Flores D’Arcais e Travaglio scaldano solo gli anti-berlusconiani più estremi.
E la politica, anche quella di sinistra, non cavalca l’indagine. Anzi: Antonio Di Pietro dichiara che nelle intercettazioni dei ministri non si ravvisano profili di reato. Massimo D’Alema lo segue a ruota. Francesco Rutelli arriva addirittura a proporre una legge che istituzionalizzi e regolamenti le lobby, cioè l’oggetto dell’inchiesta sulla P4.  Il paladino dell’Associazione nazionale magistrati Fini sentenzia che «sarebbe brutto se il governo cadesse per interferenze esterne alla politica» e arriva a chiedere una norma che regolamenti le sbobinature. Il vicepresidente del Csm, il terzo polista Vietti, si unisce: «non è mai troppo tardi per una legge del genere».  È fin troppo facile per il pdl Cicchitto chiedere «la fine del gioco al massacro»,  e per il ministro uscente Alfano presentare il conto: le intercettazioni costano tanto e rendono poco, e lo Stato ha un debito di un miliardo di euro causato dalle spese folli delle procure.

Stavolta il tiro al piccione Silvio non sembra riuscire. Una novità in parte possibile proprio per le attuali difficoltà del premier. Indagini e pm sono stati determinanti nel fiaccarlo. Adesso però il Caimano fa meno paura. Adesso anche la sinistra sente l’odore del potere e, con esso, la minaccia che le Procure libere di colpire impunemente rappresentano. L’obiettivo di ridimensionarle e rendere il Palazzo meno ricattabile sembra contagiare tutto il sistema politico. L’inconsistenza penale dell’inchiesta P4, la vacuità dell’attività investigativa, il velleitarismo di certe toghe appaiono così  evidenti a tutti. E non è da escludere che tutti spingeranno per rimettere nel loro recinto i pm. Lo strapotere dell’Anm rischierebbe di finire quindi come tutti gli strapoteri: per bulimia.
Chiunque mastichi e viva di politica si rende conto che l’inchiesta P4 manca delle basi, perché va a indagare le relazioni, le strategie, il dare-avere, in ultima sostanza l’essenza della politica. Ne dà un quadro sconfortante, certo ma non sufficientemente terribile da far crollare il sistema. E la politica reagirà  per sopravvivere. Speriamo sia la volta buona. di Pietro Senaldi,24/06/2011, Libero

UNA LEZIONE AMERICANA, di Mario Sechi

Pubblicato il 24 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Luigi Bisignani Negli Stati Uniti uno come Bisignani non esisterebbe. In Italia invece sì. E la colpa non è certo sua, ma di un sistema che preferisce lasciare le relazioni pubbliche e il lobbismo nel limbo dell’incerto piuttosto che regolarle con una legge che imponga trasparenza. Sono stato un bel po’ di volte a K Street a Washington e al Congresso americano. Ho visto come funziona il rapporto tra lobbisti e congressmen. Gli interessi sono palesi, emergono nella loro sana dinamica, sono certificati, nessuno si straccia le vesti, questa è la differenza tra un grande Paese e un piccolo villaggio di furbetti ipocriti. Negli Stati Uniti le telefonate e i verbali impaginati in questi giorni non avremmo mai potuto leggerli. E la colpa non è certo dei giornalisti, ma di un sistema giudiziario e legislativo che è un colossale colobrado a dispetto degli strepiti e dell’indignazione che si professano ma poi non si tramutano in atti concreti, cioè buone leggi per tutelare non solo la privacy ma anche e soprattutto per separare le buone inchieste da quelle cattive. Quella istruita dal procuratore Woodcock – lo scrivo con grande rispetto per la magistratura – è una cattiva inchiesta. Priva di tatto istituzionale, guardona, voyerista, pettegola, gossipara, da coiffeur, ma senza per ora lo straccio di una prova che regga il processo. Di inchieste sui giornali ne ho viste decine e decine. Ma di sentenze esemplari che rispettano le premesse ben poche. Mi sarebbe piaciuto udire un monito del Presidente della Repubblica sull’eruzione di verbali che forse denunciano un costume ma non accertano un reato. Silenzio. Ma non dispero. Napolitano non vuole lo sfascio. E non è mai troppo tardi per applicare una lezione americana. Mario Sechi, Il Tempo, 24 giugno 2011

IL METODO WOODCOCK: D’ALEMA SCHIFATO DAI PM. E IL CSM NON DICE NULLA? di Vittorio Feltri

Pubblicato il 24 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Saremo venali, ma la cosa più interessante emersa fin qui dall’indagine sulla P4,una loggia talmente segreta da essere sulla bocca di tutti, è il costo delle intercettazioni telefoni­che che, trascritte su carta, hanno riempito la bellezza di 19mila pagine, al confronto delle quali Guerra e Pace è una «breve». Il debito accumulato dalla Giustizia con le aziende spe­cializzate nell’a­scolto delle conversazioni pri­vate ammonta a oltre un miliardo di euro. La sbalorditiva cifra non riguarderebbe soltanto l’inchiesta relativa ai presunti intrighi di Luigi Bisignani, che si ignora come facesse a intriga­re, visto che trascorreva tutto il suo tempo a dire bischerate al cellulare, anziché a conclu­dere affari.

Vabbè, transeat. Non siamo stati noi del Giornale ad accerta­re la somma investita dagli inquirenti per sa­pere la rava e la fava, più fava che rava, bensì il guardasigilli,Angelino Alfano,che ne ha rive­lato l’­entità durante una tavola rotonda orga­nizzata da Confindustria. La fonte della noti­zia è dunque autorevole. Speriamo che Giu­lio Tremonti venga informato della spesa. Co­sì si renderà conto dove prendere il soldi per abbassare le tasse: basta eliminare le intercet­tazioni inutili, stavo per dire cretine, e automa­ticamente le aliquote Irpef possono scendere almeno di un punto. Altro che spaccarsi la te­sta per individuare altri sprechi. Più spreco di questo… Sempre per essere precisi e documentati, aggiungiamo che non siamo noi ad afferma­re l’inutilità delle «spiate» elargite alla stampa negli ultimi giorni, ma addirittura il rappre­sentante di maggior spicco dell’opposizione: Massimo D’Alema,un politico con i baffi.Del quale riportiamo la dichiarazione: «Leggia­mo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che fare con vicende penali ma sono sgradevolmente riferite a vicende personali. Non è una cosa positiva».

E se lo dice lui, che è di sinistra e pertanto intelligente per definizio­ne, bisogna credergli. Concludiamo il nostro pistolotto giudizia­rio con una curiosità. Nelle pagine interne, il lettore avrà modo di dare un’occhiata ad alcu­ne fotografie. Ritraggono parlamentari (Scajola e Papa del Pdl) intenti a farsi i cavoli loro. Chi e perché li ha immortalati? I segugi di una Procura incaricati di tenerli sotto osser­vazione. Tutto regolare? Ci piacerebbe avere una risposta dal Csm, cioè dal Consiglio superiore della magistratu­ra. Al quale auguriamo buon lavoro. Il Giornale, 24 giugno 2011

CASO BISIGNANI: L’UNICA VERITA’ E’ CHE I PM VOGLIONO COLPIRE GIANNI LETTA

Pubblicato il 16 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Puntuale come un orologio svizzero la magistratura ir­rompe sulla scena politica. Accade ogni volta che il clima nella maggio­ranza si scalda. L’ultima è stata Ilda Boccassini a ins­e­rirsi con il bunga bunga tra il tentato golpe di Fini e la campagna elettorale delle amministrative. Adesso che Berlusconi torna a scricchiolare è il turno di un’altra grande firma del parco pm, quel Henry John Woodcock da Napo­li, già famoso per inchieste mediaticamente esplosive quanto giudiziariamente inconsistenti. Non lo cono­sco, ma nel mio piccolo ho avuto a che fare con lui quando spedì otto carabi­nieri a Milano per perquisi­re le mie case e il mio uffi­cio. Il reato? Aver scritto un articolo su Emma Marce­gaglia, presidente degli in­dustriali. Sono passati otto mesi e non ho ancora avu­to il piacere di essere inter­rogato. Passati i giorni dei titoloni sul direttore inda­gato tutto è sparito nel bu­c­o nero della giustizia inef­ficiente e politicizzata, ov­viamente a spese nostre.

L’ultima impresa del no­stro magistrato eroe è aver ottenuto gli arresti domici­liari per Luigi Bisignani, un signore tanto sconosciuto dal pubblico quanto noto tra i potenti di ogni colore, ordine e grado. Un lobbi­sta che si muove dietro le quinte da anni con alterne fortune. Secondo Woo­dc­ock era a capo di una log­gia segreta ( P4),di un’asso­ciazione criminale con di­ramazioni nella politica, nelle grandi imprese, nei giornali. Peccato che il gip che doveva autorizzare la più grande retata della sto­ria, lette le carte gli ha dato un gigantesco due di pic­che: bel teorema ma non ci sono le prove. Su dicianno­ve capi di accusa (manca­vano stupro e omicidio) al momento sono rimasti in piedi violazione del segre­to istruttorio e favoreggia­mento. Ma tanto è bastato per fare esplodere la bom­ba mediatica: «Associazio­ne segreta e corruzione, ar­restato Luca Bisignani», ti­tolava ieri il sito del Corrie­re della Sera , distorcendo i fatti, nome compreso.

Prepariamoci quindi a una nuova macelleria me­diatica e a un fiume di car­te il cui contenuto ( le ipote­si dei pm) verranno spac­ciate per verità e sentenze. Un primo obiettivo questa macchina infernale l’ha già ottenuto: gettare om­bre su Gianni Letta (come sull’ex direttore generale della Rai Masi e altri anco­ra), il cui nome risulta nel primo malloppo di docu­menti come amico di Bisi­gnani e percettore di favori non meglio identificati. Tanto per cambiare nel mi­rino c’è il cuore del berlu­sconismo.

Infangare, destabilizza­re, queste sono le ormai note parole d’ordine. In questo caso ammantate dal fascino di una presun­ta società segreta sul mo­dello P2. Che tra l’altro,co­me noto, non è mai stata un’associazione crimina­l­e come da sentenza defini­tiva della Cassazione che mandò completamente assolti tutti gli iscritti. Ave­re rapporti, tessere relazio­ni non è reato. Spiare a ca­so, con intercettazioni tele­foniche e ambientali, nel­la vita delle persone (an­che in quella dei potenti) non sarà reato ma è inde­gno di un paese civile. Co­me sostiene Sgarbi, dob­biamo fare qualche cosa per salvarci dall’oppress­io­ne di una condanna prima del giudizio. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 16 giugno 2011

LA CORTE COSTITUZIONALE HA DECISO: IN PUGLIA “SOLO” 70 CONSIGLIERI. DICHIARATA INCOSTITUZIONALE LA LEGGE CHE AUMENTAVA A 78 I COMPONENTI DEL CONSIGLIO REGIONALE

Pubblicato il 15 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Consiglieri di maggioranza

ROMA – La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10 della legge regionale della Puglia sull’elezione del consiglio regionale e del presidente della giunta, che determinava un numero di consiglieri (78) superiore a quello dello statuto regionale che fissa in 70 il numero dei consiglieri regionali.

La Corte di Appello, al momento della proclamazione, attribuì prevalenza allo Statuto bloccando la nomina di otto consiglieri di maggioranza. Questi presentarono ricorso al Tar. I giudici amministrativi, quindi, rimisero la questione alla Corte costituzionale che ha stabilito l’illegittimità di quanto previsto nella legge regionale.

L’eccezione di incostituzionalità della legge regionale era stata sollevata dinanzi al TAR di Bari dal deputato europeo Salvatore Tatarella assistitito dall’avv. Giuseppe Mariani di Bari le cui argomentazioni hanno convinto i giudici della Consulta che le hanno accolte.

Ppertanto rimangono fuori dal Consiglio Regionale gli 8 candidati, tra cui Alfonso Pisicchio, attualmente vicesindaco di Bari, che avevano chiesto al Tar di “eleggerli”.

L’ASSASSINO BATTISTI LIBERO. ITALIA VITTIMA DI CARLA’, SARKO’ E NAPOLITANO, di Maria Giovanna Maglie.

Pubblicato il 10 giugno, 2011 in Cronaca, Giustizia, Politica estera | No Comments »

Se Cesare Battisti, assassino, rapinatore, terrorista e delinquente comune, evaso, criminale incallito mai colto nemmeno da un secondo di ravvedimento, se ne sta già pancia all’aria su una spiaggia di Ipanema con garrotina, fidanzata giovanissima al seguito, attribuiamo le responsabilità a tutti coloro che insieme ai giudici brasiliani devono condividerle. È il Brasile, dove fa il presidente della Repubblica una ex terrorista mai pentita che ha seguito le orme del suo predecessore e grande ipocrita, Lula, il quale con Parigi a suo tempo si accordò proprio sullo sporco scambio. È la Francia che anche con questo presidente continua la vecchia applicazione della furbesca dottrina Mitterrand, non è vero madame Sarkozy, e lo fa sulla pelle degli italiani. È tutta l’Europa che non ha alzato un dito ancora una volta, ovvero ha confermato come se ne infischia dei diritti dell’Italia, dagli sbarchi di clandestini alla riconsegna di un criminale, provate a immaginarvi se fosse stato un tedesco, e come non capisce che la dottrina Mitterrand, ovvero un interessato rifugio ai terroristi dei Paesi alleati per strizzare l’occhio ai radical chic di casa ed evitarsi terroristi interni, è possibile anche oggi, e voglio vedere che succede se uno Stato democratico si mette a ospitare terroristi baschi o corsi o irlandesi e via così.
Infine, ma solo nell’ordine, è l’Italia stessa, con un governo che non ha saputo fare la voce grossa e farsi valere sul serio, e soprattutto un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che si è speso malamente nella vicenda. Senza nulla togliere infatti a debolezze e carenze dell’esecutivo e della nostra diplomazia, è indubbio che il Colle negli ultimi mesi si sia candidato e comportato da guida forte di politica estera, con tanto di endorsement alle bombe “umanitarie” sulla Libia, di iniziative tra Israele e palestinesi, di rapporti diretti e amicali ostentati con la Casa Bianca. Bene, oggi giustamente Napolitano dichiara che la decisione del Tribunale supremo brasiliano «assume un significato gravemente lesivo del rispetto dovuto sia agli accordi sottoscritti in materia tra l’Italia e il Brasile sia alle ragioni della lotta contro il terrorismo condotta in Italia, in difesa delle libertà e istituzioni democratiche, nella rigorosa osservanza delle regole dello Stato di diritto». Ma qualche tempo fa diceva rassegnato addirittura che non eravamo stati in grado di far capire agli altri la verità sui nostri anni di piombo. Colpa degli italiani dunque, oppure un’antica consuetudine dell’ex partito comunista con le pratiche di accoglienza dei radical chic francesi? Questo è il bel risultato ed è inutile sostenere che la decisione della Corte Suprema brasiliana sia stata una sorpresa, al contrario tutto era preordinato da quando ai servizi francesi scappò di mano – ops… – il latitante Battisti, e certamente dall’ultimo giorno di presidenza di Lula.

Battisti infatti non arriva in Brasile per caso. Scappa dalla Francia grazie alla complicità dei servizi di sicurezza francesi, con il  sostegno importante di un nutrito gruppo di politici e intellettuali francesi e italiani di sinistra, con agganci pesanti nell’establishment politico e giudiziario brasiliano. Al potere c’è infatti un partito di sinistra erede della lotta alla dittatura, che contiene di tutto, dai cattolici agli estremisti rossi. Battisti viene così trasformato, in palese imitazione degli anni di Mitterrand a Parigi, in un martire degli anni di piombo italiani. Lula accontenta i suoi ministri estremisti, non interviene. Il responsabile della Giustizia, Tarso Genro, lo proclama addirittura rifugiato politico. Le sue sorti vengono seguite anche dalla coppia presidenziale francese Sarkozy-Bruni, Carlà è amica della scrittrice Fred Vargas, la principale sostenitrice di Battisti. Quanto alla politica del Brasile, certamente Lula e ora la molto più sprovveduta ma fedele Dilma contano sul fatto che liberando Battisti i rapporti con l’Italia non saranno compromessi e, certamente, l’Italia ha lasciato intendere loro con la scarsa determinazione mostrata che possono infischiarsene di principi e ideali di giustizia. Lula ha fatto il suo capolavoro,  passare per un’icona della sinistra mondiale no global pur stringendo accordi importanti con chiunque, da Cuba a Chavez all’America dei tempi di Bush.

Abbiamo avuto e abbiamo a che fare con dei banditi, che siano a Parigi o a Brasilia. Siamo ancora in tempo a sostenere che la dottrina Mitterrand è ipocrita e pericolosa, che pregiudica le relazioni tra Stati di diritto e democratici, che chi la applica ne deve pagare pesanti conseguenze, diplomatiche e commerciali? In tempo saremmo pure, dubito che ne abbiamo la volontà. di Maria Giovanna Maglie, Libero, 10 giugno 2011

BRASILE A MANO ARMATA: IL PLURIOMICIDA BATTISTI LIBERO. SCHIAFFO ALL’ITALIA

Pubblicato il 9 giugno, 2011 in Giustizia, Politica estera | No Comments »

Due schiaffi, uno dei quali durissimo, all’Italia. Prima per 6 voti a 3 il Supremo tribunale federale di Brasilia, dopo una discussione fiume, ha rigettato senza nemmeno analizzare nel merito il ricorso presentato dal governo italiano nei confornti della decisione dell’ex presidente Lula di non estradare il terrorista rosso Cesare Battisti. Secondo i giudici brasiliani, la decisione di Lula è internazionale, e come tale non può essere contestata da un governo differente da quello verdeoro. Poi la terribile, sanguinosa, beffa: Cesare Battisti è libero. Dopo la decisione sulla non-estradizione, la Corte ha dibattuto sul rispetto da parte di Lula del trattato di estradizione in vigore con l’Italia. Dalla decisione sarebbe dipesa la liberazione di Battisti, in carcere da quattro anni. Il tribunale ha deciso che non ci sono state violazioni: Battisti, poiché non considerato estradabile, può tornare in libertà, alla faccia dei quattro omicidi e dell’ergastolo che pende sulla sua testa. Durissime le reazioni in Italia. Il premier Silvio Berlusconi ha espresso il suo “vivo rammarico” per la decisione che è arrivata da Brasilia, e poi ha aggiunto che “l’Italia continuerà la sua azione e attiverà le opportune istanze giurisdizionali per assicurare il rispetto degli accordi internazionali che vincolano i due Paesi”. L’ultima strada che il nostro Paese può percorrere per assicurare Battisti alla giustizia, ora, è quella del ricorso presso la Corte internazionale dell’Aja. Per l’Unione Europea, ha spiegato la portavoce della commissaria alla Giustizia, Viviane Reding, “il rilascio e la mancata estradizione di Battisti restano una questione bilaterale tra Italia e Brasile”.

.……..Se il Brasile fosse la Libia o come la Libia,  ci aspetteremmo che il presidente Napolitano, indossando uno dei suoi eleganti doppiopetti, ordinasse all’Aereonautica italiana di andare a bombardare Brasilia dove stanotte si è commessa una grave ingiustizia ai danni dell’Italia, del suo Capo, del suo Gocverno, del suo Parlamento, sopratutto del suo Popolo. Ma non accadrà. E non accadrà nulla, salvo le dichiarazioni di rito, le deplorazioni di facciata, il dolore per i familiari dei morti innocentiassassinati da un teppista da quattro soldi che si è trasformato in  squallida icona della sinistra mondiale per sottrarsi alla pena inflittagli per gli omicidi compiuti.  Rimarrà sulla sedia a rotelle il povero Torreggiani, il figlio dell’orefice assassinato da Battisti a Milano, rimasto a sua volta ferito e costretto da allora ad un vita da paraplegico. Certo,  gli perverranno le solite dichiarazioni di solidarietà, ma fra qualche giorno rimarrà solo con il suo dolore e il suo tormento, con la sua rabbia e il suo disatteso diritto alla giusitizia, con la g minuscola, quella che si è presa gioco di lui e dei tanti come lui per i quali giustizia non ci sarà mai. A Brasilia, l’ex operaio Lula  brinderà con il suo protetto  che ha salvato dal carcere dove doveva marcire sino alla fine dei suoi giorni per espiare gli assassinii compiuti e un giorno o l’altro magari ritornarà pure  in Italia per essere ricevuto con tanto di corazzieri che gli presenteranno le armi. E gli italiani? e l’Italia? Rimarranno con le braghe in mano a fare la figura degli scemi. Perchè, naturalmente, si manterranno tutti i rapporti commeciali con il Brasile e chissà, in un prossimo futuro, anche quelli artistici, magari avendo di fronte a rappresentare il Brasile proprio Battisti.Che vergogna per l’Italia e gli italiani. p.

P.S. Per l’unione Europea la faccenda Battisti riguarda solo i rapporti Italia-Brasile. Proprio come per l’invasione degli immigrati. Insomma noi stiamo in Europa solo per farci contare i peli delle scope. Per il resto dobbiamo vedercela da soli. Che ci stiamo a fare im Europa?