Archivio per la categoria ‘Giustizia’

BERLUSCONI SOTTOLINEA UN’ANOMALIA ITALIANA

Pubblicato il 12 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Tutte le oche starnazzanti del giustizialismo nostrano avranno un buon motivo per agitarsi incomposte, fare chiasso e suscitare polveroni di indignazione di fronte alle ferme e impolitiche dichiarazioni di Silvio Berlusconi all’uscita dal tribunale di Milano dopo l’udienza del processo Mediaset. Il premier, infatti, ha detto, senza mezze parole, di avere trascorso una «mattinata surreale ai limiti dell’inverosimile» ed ha aggiunto che il suo interrogatorio è stato «una perdita di tempo paradossale con un dispendio di risorse che grida vendetta». Il linguaggio è duro, ma l’analisi è esatta.

Come sempre, Berlusconi, piaccia o non piaccia, ha colto nel segno. Ha fatto bene, il Cavaliere, a presentarsi finalmente in tribunale e a sottolineare, al termine dell’udienza, il carattere surreale e paradossale di una situazione che vede il capo del governo costretto a mettere da parte l’agenda degli impegni, nazionali e internazionali, in un momento particolarmente difficile, come l’attuale, per rispondere alle accuse, più o meno fondate, che da un ventennio o giù di lì gli vengono mosse. Ha fatto bene, in tal modo, a sottolineare una anomalia tutta italiana. Altrove infatti – si pensi, per esempio, a quello che è accaduto in Israele o in Francia – le maggiori cariche istituzionali vengono sottoposte a processo per eventuali reati, e se del caso condannate, al termine del loro mandato. È una anomalia, lo ribadisco. È una anomalia che rivela il carattere imperfetto della nostra democrazia, la quale – dopo la bufera giudiziaria di Tangentopoli – è andata degenerando in un sistema oligarchico nel quale non esistono più né equilibrio né separazione dei poteri. E dove la magistratura, grazie all’eclissi della politica, ha finito per assumere, sempre di più, le connotazioni di una «casta» o, se si preferisce, di una «corporazione» incontrollata e incontrollabile, pronta a usare il «ricatto giudiziario» come un’arma nei confronti di chi rischia di metterne in crisi privilegi, poteri, rendite di posizione, attraverso la riforma di un sistema giudiziario unanimemente considerato inefficiente, non garantista, burocratizzato, inaffidabile e lento. Un sistema giudiziario, ancora, costruito sull’assurdo della confusione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante e, nella sostanza, vessatorio perché il cittadino ingiustamente processato o condannato non può far valere il principio della responsabilità civile dei giudici. Non basta, c’è di più.

Il carattere di «casta» o di «corporazione» della magistratura non lede soltanto gli interessi legittimi e i diritti dei singoli, ma collide con quello che si può definire «l’interesse nazionale». Ciò che accade in questi mesi e in questi giorni è sotto gli occhi di tutti. Il nostro Paese sta attraversando un periodo di emergenza, in gran parte riflesso di una grave situazione internazionale: minaccia di speculazioni economiche, ondate di immigrazione clandestina che rischiano di mettere in crisi precari o non consolidati equilibri socio-economici, tensioni fra l’Italia e altri paesi dell’Unione Europea – loro davvero sì – preoccupati del proprio egoistico «interesse nazionale», riaffiorare di antichi contrasti fra aree diverse del paese, emergere di pulsioni che esprimono la voglia, giusta o sbagliata che sia, di un ricambio generazionale. In una situazione del genere che cosa accade? Che il premier è costretto a mettere da parte i problemi del paese e a presentarsi davanti ai giudici. È una situazione surreale, come ha detto bene Berlusconi. Frutto, aggiungiamo, di una anomalia tutta italiana, che si concretizza nella subordinazione del potere politico – l’esecutivo e il legislativo – al potere giudiziario. Ma non basta.

L’invasione di campo della magistratura nella politica ha come conseguenza, diretta o indiretta, la «politicizzazione» della magistratura, o di parte di essa. L’obiettivo, tutt’altro che nascosto, sembra essere quello della eliminazione, con ignominia, di Berlusconi dalla scena politica, ottenuta da una magistratura trasformatasi in braccio armato dell’antiberlusconismo. Ma, quand’anche questo obiettivo fosse raggiunto, quale utilità ne verrebbe al Paese? Nessuna, se non quella, al fondo eversiva e rivoluzionaria, di ottenere un cambio di governo e di classe dirigente al di fuori dei meccanismi tipici di una democrazia liberale e rappresentativa, fondata cioè, per usare la classica espressione di Joseph A. Schumpeter, sulla «libera concorrenza per un voto libero».

E quindi contro il sacrosanto e basilare principio, democratico e liberale, per il quale Berlusconi, in quanto capo del governo, dovrebbe essere giudicato per quello che effettivamente abbia fatto o non abbia fatto per il Paese. Una situazione, ribadiamolo ancora una volta, assurda e anomala. Che può e deve essere corretta solo attraverso una riforma organica della giustizia che riequilibri i poteri dello Stato. Francesco Perfetti, 12 aprile 2011

BERLUSCONI IN TRIBUNALE, MA NELL’AULA NON C’E’ SCRITTO:”LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI”

Pubblicato il 11 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

L’aula della Prima corte d’assise di Milano, dove si celebra per ragioni di spazio il processo a Silvio Berlusconi per la faccenda dei «diritti tv», è l’unica – tra le decine di aule del tribunale di Milano – dove non compare la scritta che «la legge è uguale per tutti». Un caso, una curiosità. Ma chissà se per il Cavaliere può essere considerata beneaugurante. Si tratta, d’altronde, della stessa aula dove Berlusconi comparve per l’ultima volta otto anni fa, al processo per la vicenda Sme. E infatti il presidente del Consiglio stamattina sembra muovervisi con dimestichezza: fin dal momento in cui entra da una porta laterale, compie un meticoloso giro di strette di mano all’affollata platea di avvocati, raddrizza il nodo della cravatta al figlio spilungone dell’avvocato Daria Pesce. E poi punta deciso il recinto dei cronisti. Le telecamere non sono ammesse in aula, ma nell’epoca dei telefonini e dei file Mp4, a raccogliere le esternazioni del capo del governo non sono solo taccuini, ma anche microcamere pronte a riversare su Internet le sue parole. Berlusconi lo sa e si concede a lungo, mentre in camera di consiglio il tribunale aspetta che tutto finisca per potersi presentare anch’esso in aula. Il Cavaliere accetta le domande, anche quelle – a dire il vero del tutto garbate – dei giornalisti «nemici». Ma a tenere il timone della conferenza stampa è lui. Ed è lui a mettere in chiaro i punti che nei giorni scorsi ha indicato come cruciali: la inconsistenza delle accuse che gli vengono mosse in questo e negli altri processi, e la battaglia «di civiltà» contro uno strumento investigativo, le intercettazioni telefoniche, che Berlusconi considera barbaro e inaffidabile. «Le voci si possono imitare, e con il computer è possibile fare di tutto». Il riferimento, ovviamente, è al processo per la vicenda Ruby, quello che riprenderà il 31 maggio, e che ha proprio nelle intercettazioni telefoniche il suo punto di forza. «Sta dicendo che le intercettazioni di quell’indagine sono state truccate?», gli chiedono. E Berlusconi: «Niente affatto, sto facendo un ragionamento generale». Però poi va avanti, e c’è un dettaglio che fa capire chiaramente che proprio ad alcune intercettazioni del «Rubygate» si sta riferendo.

Dice stamattina in aula Berlusconi: «Magari uno dice che bisogna ricostruire i fatti, e nei brogliacci invece trascrivono che vuoi costruire i fatti», nel senso di inventarli a tavolino. E c’è, come si vede, una bella differenza. In questo caso, il premier ha in mente un riferimento preciso: è la telefonata tra una delle sue segretarie e Barbara Faggioli, testimone del caso «Rubygate», intercettata dalla polizia e finita il 6 marzo sul «Corriere». «Noi la volevamo convocare perché è veramente indispensabile la sua presenza per cercare di costruire e verbalizzare le normalità delle serate del presidente», si legge nel testo trascritto dalla polizia. Ma secondo la difesa del premier nel nastro originale si sente chiaramente l’impiegata dire alla Faggioli «ricostruire», e non «costruire». Vedete, intende dire Berlusconi, come si fa in fretta a ribaltare il senso di una frase? L’offensiva del premier contro la «primavera dei processi» ha avuto questa mattina solo il suo capitolo iniziale. Oggi pomeriggio in aula resteranno a battagliare solo i suoi legali, impegnati in un braccio di ferro con la corte e con la Procura che vorrebbero scorciare la lista dei testimoni a difesa. Berlusconi (che già stamattina ha dato a chi gli stava vicino la sensazione di annoiarsi profondamente di fronte alla prolissità del rito) non ci sarà, perché le technicalities le lascia allo staff difensivo. Ma quando ci sarà da affrontare i passaggi cruciali, c’è da scommettere che tornerà a materializzarsi in aula. La strada la sa.

SENATO, IL CASO TEDESCO INCASTRA IL PD: LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI VOTA L’ARRESTO

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Roma Salvare dall’arresto il senatore Alberto Tedesco, facendo un regalo a Berlusconi, o affondarlo facendo del male a se stessi? Per il Pd, il dilemma che ruotava attorno al suo ex potente assessore alla Sanità della regione Puglia era lacerante. La riunione della giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato è andata avanti fino a tarda notte e alla fine ha bocciato con 10 no contro 9 sì la proposta del relatore Pdl Alboni di negare la richiesta di arresto per il senatore. La maggioranza si è spaccata perchè i due esponenti della Lega non hanno partecipato al voto. Hanno votato contro il documento Balboni 8 del Pd, un esponente dell’Idv e uno dell’Udc. La linea ufficiale, dettata dalla capogruppo Anna Finocchiaro e pubblicamente avallata da Pier Luigi Bersani è netta: «Non intendiamo sostituirci ai giudici, e abbiamo rispetto per il loro lavoro». Traduzione: l’autorizzazione all’arresto chiesta dai giudici al Parlamento va concessa.

La linea ufficiosa, invece, è più sfumata, e il rischio di divisioni quando il voto su Tedesco approderà in Aula è molto alto. Per questo in molti, nel Pd, puntavano su un rinvio a dopo il 14 aprile, giorno in cui il Tribunale del riesame dovrà pronunciarsi sul ricorso di Tedesco contro la decisione del gip sul mandato di arresto: a quel punto sarebbe più facile allineare tutto il partito sulla decisione presa dal tribunale. E – soprattutto – speravano in un aiutino da parte del centrodestra, per evitare la galera. Ma quell’aiutino, stavolta, il Pdl non lo ha voluto concedere: «Se vogliono salvarlo ci mettano la faccia», è stato il messaggio arrivato, si dice da Berlusconi stesso, ai senatori di maggioranza.

Già, la coincidenza tra il caso Tedesco e lo scontro al calor bianco sulla giustizia tra maggioranza e opposizione ha complicato maledettamente le cose per il Pd. Nelle cui file c’è anche preoccupazione sulla linea di difesa che Tedesco adotterà, una volta che finisse dietro le sbarre: anche ieri, il senatore Pd ha chiamato in causa le responsabilità di Nichi Vendola nell’inchiesta sulla sanità: perché per me l’arresto e per lui l’archiviazione? è il succo del suo ragionamento. E il timore che si difenda rimpallando le colpe sull’intero sistema di governo del centrosinistra pugliese è forte. Ieri Tedesco ha annunciato che in Aula chiederà che si voti per l’arresto: «Non voglio sottrarmi al processo, anzi lo invoco»; poi però ha chiesto di essere di nuovo ascoltato dalla giunta per presentare nuova documentazione e «dimostrare che l’inchiesta è stata condotta con intento persecutorio». Il Pdl in giunta si è sfilato, e il Pd ha finito per approvare da solo la richiesta di audizione. «Evidentemente vogliono perdere tempo», dice il Pdl Balboni.
Per il principale partito di opposizione le scorciatoie sono precluse.

È stato Silvio Berlusconi in persona, raccontano i ben informati del Pd, a dare ai suoi un mandato preciso: se i democratici vogliono salvare il loro parlamentare dall’arresto, chiesto dai giudici pugliesi, dovranno votare esplicitamente contro. «Non contino su di noi e sul nostro garantismo – spiega un dirigente Pdl – per levargli le castagne dal fuoco: non gli permetteremo di fare i duri e puri alla Camera sul processo breve, e poi cercare l’inciucio sottobanco per salvare il loro uomo dai magistrati». Il che si tradurrà in una semplice mossa, quando il caso arriverà in Aula: il Pdl difenderà la posizione di principio contraria all’arresto in assenza dei presupposti di legge (flagranza, pericolo di fuga o di inquinamento delle prove), ma al momento del voto farà uscire dall’Aula gran parte dei suoi, costringendo il Pd a venire allo scoperto.

.……Forse il PD spera che il PDL e la Lega votino contro l’arresto e quindi potrà salvare la faccia: dire si all’arresto del suo senatore e contare sulle noste tesi garantiste della maggioranza per salvarlo. Non sarà così, perchè in Aula le castagne dal fuoco dovrà togliersele direttamente il PD perchè la maggioranza assicurererà il numero legale ma non parteciperà al voto per cui Tedesco seproverà la galera dovrà dire grazie al suo partito. g.

LA PIAZZA FERMA A TANGENTOPOLI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Palazzo Chigi Mentre scrivo questo articolo, un gruppo di manifestanti in piazza Montecitorio si esibisce al suono di tamburi, megafono e slogan che non lascia dubbi circa il suo nobile pensiero: «Berlusconi a San Vittore». Questa è la cifra dell’opposizione italiana – non tutta – un distillato d’odio e cieca volontà di annientare l’avversario con tutti i mezzi possibili, meglio se cruenti e fuori dalla politica. La character assassination, la campagna di sputi in faccia contro il leader espresso dal blocco sociale moderato è il vero tema persistente della nostra storia dagli anni Novanta ad oggi. Cominciarono con Craxi. Continuano con Berlusconi. E non si sono mai fermati. Le radici putrefatte di Mani Pulite hanno contaminato tutto il dibattito politico del Paese. Abbiamo avuto i nostri morti e tanti feriti. Ma tutto questo pare non averci insegnato niente e il clima che si respira è fetido. Ci sono fazioni che cercano l’incidente, la scintilla per innescare una guerra civile strisciante che giustifichi governi d’emergenza e altre sofisticazioni parlamentari che rispondono ai pericolosi giochetti del Palazzo Sommerso e di un establishment codardo al punto da esser silente di fronte alla mortificazione continua dei diritti individuali, della società liberale e della politica quale strumento per regolare la vita civile. Siamo di fronte a un fallimento collettivo e a uno scenario pieno di rovine fumanti: l’orologio dell’Italia è fermo al 1992 e, in fondo, leggere i nomi dei protagonisti della nostra tragedia, ci conferma la cristallizzazione del presente nel passato.

Berlusconi, Di Pietro, D’Alema, Veltroni, Fini, la procura di Milano, sono attori sui cui volti si sono disegnate più rughe ma il copione recitato è sempre lo stesso. Il popolo italiano ha in parte subito e in parte assecondato questa rappresentazione. Il dinamismo insolito dell’uomo di Arcore in condizione di perenne emergenza, assalto e delegittimazione, piano piano si è affievolito, fino a sconfinare nell’errore politico e nella incomprensibile leggerezza. Le energie di Berlusconi si sono concentrate nel rispondere colpo su colpo ad avversari la cui manovra aggirante era fatta non con i normali e legittimi mezzi della politica ma con l’uso massiccio della cavalleria corazzata della magistratura. Si è peccato moltissimo nell’analisi di questo fenomeno: si è visto un disegno per cui le toghe erano un braccio armato della politica, sotto-ordinate rispetto a un partito o a una sua fazione più ideologizzata. In realtà penso che le cose siano andate in maniera molto diversa e che non esista alcuna mente o regista occulto, piuttosto un ordine – quello giudiziario – che per debolezza dei partiti s’è trasformato in un contropotere che ormai seleziona la classe dirigente, funge da terza Camera e domina politica e vita pubblica.

Tutto questo ha fatto deragliare il treno delle riforme necessarie, alimentato i sogni di chi spera di ereditare i voti di Berlusconi da destra e dal centro, impedito alla sinistra di evolversi, di passare dal socialismo reale al riformismo senza impantanarsi nelle secche del post-comunismo e finire tragicamente prigioniera degli estremisti che fischiano, urlano, agitano le manette, sognano la forca e piazzale Loreto, ma non hanno un’idea sul futuro di questo luogo che è profondamente sbagliato definire oggi un Belpaese. Mario Sechi, Il Tempo, 6 aprile 2011


IL COLPO BASSO DEI MAGISTRATI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, all'uscita di Palazzo di Giustizia di Milano per il processo Mediatrade Delle due l’una. Alla Procura di Milano o sono terribilmente diabolici o sono incredibilmente sfigati. Altro non si riesce a dire di fronte allo stupore manifestato dal capo di quell’ufficio, Edmondo Bruti Liberati, per le tre o più telefonate del presidente del Consiglio sfuggite agli omissis imposti dalla sua qualità di parlamentare e rimaste arbitrariamente fra le 20 mila pagine depositate agli atti del processo Ruby. Che si apre oggi con il cosiddetto, roboante rito immediato. La registrazione di quelle telefonate, per il cui uso giudiziario occorreva chiedere l’autorizzazione alla Camera, non aggiunge praticamente nulla al bagaglio delle accuse di concussione e di uso della prostituzione minorile rivolte a Silvio Berlusconi. Sono utili, ora che se ne conosce il contenuto, solo a danneggiarne ulteriormente l’immagine perché lo mostrano alle prese con affari non di Stato ma di pelo. Servono insomma a sputtanarlo, per usare una franchezza di linguaggio doverosa con i lettori. D’altronde, lo sputtanamento del presidente del Consiglio è apparso sin dal primo momento l’effetto oggettivamente prioritario del procedimento avviato dalla Procura milanese con un impiego eccezionale di uomini e di mezzi: eccezionale, vista anche la carenza di organico e di fondi lamentata di recente dallo stesso capo dell’ufficio per contestare la precedenza data ad altri aspetti del sistema giudiziario dalla riforma della giustizia messa in cantiere dal governo del Cavaliere. In attesa che il buon Bruti Liberati si faccia un’idea di come e perché siano rimaste negli atti del processo Ruby carte che dovevano restarne fuori, e magari promuova le debite iniziative contro i responsabili, ci sia consentito di rilevare quanto meno la frequenza francamente insopportabile degli incidenti, chiamiamoli così, che si verificano nei suoi uffici e dintorni. Non sono mancate in passato conseguenze persino mortali, se ricordiamo, fra l’altro, i suicidi di Sergio Moroni, Gabriele Cagliari e Raul Gardini fra il 1992 e il 1993, durante la stagione di «Mani pulite». Appartiene al capitolo degli infortuni impuniti della Procura di Milano anche il famoso avviso di garanzia al già allora presidente del Consiglio Berlusconi nell’autunno del 1994, notificatogli praticamente a mezzo stampa, visto che l’interessato ne conobbe l’esistenza da un titolone di prima pagina del Corriere della Sera. Tutto avvenne con una tempistica mediatica e politica che irritò pubblicamente persino l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, di certo non sospettabile di insofferenza o di ostilità verso i suoi ex colleghi magistrati. Quell’avviso, riguardante peraltro un procedimento destinato a risolversi nell’assoluzione di Berlusconi, arrivò mentre l’indagato era ancora impegnato a presiedere a Napoli un summit internazionale sulla lotta alla criminalità. E accelerò lo sganciamento dal governo già avviato dalla Lega, con il conseguente approdo alla crisi. Esso fornì inoltre l’occasione all’allora sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro di offrirsi al suo superiore, Francesco Saverio Borrelli, per «sfasciare» Berlusconi con un interrogatorio dei suoi. L’operazione l’avrebbe poi proseguita come politico. È un’altra delle combinazioni diaboliche della Procura milanese, che da quegli anni è passata più volte di mano ma senza uscire mai da quel clima. È curioso che, fra i protagonisti di oggi, ad avvertire e denunciare per primo l’anomalo clima giudiziario di Milano non sia stato Berlusconi. Al quale il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Cascini non perdona di avere recentemente definito la Procura ambrosiana una specie di «avanguardia rivoluzionaria»: tanto non glielo perdona, da avergli appena contestato «la legittimità storica, politica, culturale» e non ricordo cos’altro ancora per proporre e sostenere una riforma della giustizia. No, ad avvertire e denunciare per prima quel clima fu Ilda Boccassini, sì proprio lei, l’attuale accusatrice di Berlusconi nel processo Ruby. Fu lei il 25 maggio 1992 a puntare l’indice anche contro i colleghi del tribunale ambrosiano in un’accorata e vibrante commemorazione del suo collega ed amico Giovanni Falcone, appena ucciso dalla mafia nell’attentato di Capaci. «L’ultima ingiustizia – gridò testualmente la Boccassini – Giovanni la subì dai giudici di Milano. La rogatoria per lo scandalo delle tangenti gliel’hanno mandata senza gli allegati. Mi telefonò e mi disse: che amarezza, non si fidano del direttore degli affari penali» al Ministero della Giustizia. A Milano, quindi, parola della Boccassini, il povero Giovanni Falcone, ormai a due passi dal suo appuntamento eroico con la morte, non era considerato dai suoi colleghi tanto affidabile da ricevere incartamenti completi sulle inchieste riguardanti il finanziamento illegale della politica e la corruzione che spesso l’accompagnava. Erano inchieste particolari pure quelle. Delle quali per sua fortuna il povero Falcone non fece in tempo a vedere tutti gli sviluppi e sbocchi. Ne avrebbe troppo sofferto per la concezione alta ch’egli aveva della Giustizia e della sua professione, anzi missione, di magistrato. Francesco Damato, Il Tempo, 6 aprile 2011

IL COLPO BASSO DEI PM. PROCESSATE LA BOZZASSINI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

La legge è uguale per tutti, tranne che per i magistrati che possono tranquilla­mente calpestarla sapen­do di rimanere impuniti. A oc­chio, infatti, i pm della procura di Milano hanno commesso un re­­ato, trascrivendo e allegando ad atti pubblici tre intercettazioni te­l­efoniche del presidente del Con­siglio senza l’autorizzazione del Parlamento. Nelle ventimila pa­gine che costituiscono l’atto di accusa del caso Ruby ci sono in­fatti tre conversazioni tra il pre­mier e tre ragazze. Se n’è accor­to, ma guarda la coincidenza, il Corriere della Sera proprio alla vi­gilia dell’apertura del processo. Nulla di sconvolgente, anzi, sem­mai il contrario. Le conversazio­ni denotano confidenza, affetto, gli interlocutori parlano di Ruby e delle sue vicende con preoccu­pazione. Nulla di più. Su questo tema la legge è chia­ra. Primo: i telefoni di deputati e senatori non possono essere in­tercettati. Secondo: se intercet­tando una persona terza, gli in­quirenti si rendono conto che stanno ascoltando la voce di un parlamentare, l’operazione va subito interrotta.

Terzo: se i pm si accorgono solo a cose fatte del­­l’indebito ascolto, i nastri e le tra­scrizioni devono essere buttati, a meno che la Camera di riferi­mento, interpellata, non decida diversamente. Nel caso in questione tutto ciò non è accaduto. Ilda Boccassini e compagni se ne sono fregati della legge. In un Paese normale oggi sarebbero sotto inchiesta, come capita a qualsiasi cittadino che non rispetta le regole. Ma il nostro non è un Paese normale, quindi nulla accadrà, anche se è venuto il momento di ribellarsi. È assurdo che il presidente del Consiglio debba finire sotto pro­cesso pe­r una telefonata al massi­mo inopportuna ( quella alla que­stura di Milano) con un fascicolo d’accusa di ventimila pagine e 130 testimoni, e un pm debba far­la franca per un reato assai più grave non solo contro Berlusco­ni ma contro tutta la Camera dei deputati, la cui inviolabilità è san­cita dalla Costituzione.

Oggi dovrebbe suonare alta la voce del presidente della Came­ra, a difesa dei suoi uomini, della politica tutta e degli elettori. Gianfranco Fini ha invece visto bene di stare zitto, perdendo co­sì quel poco di dignità che anco­ra gli era rimasta. Se c’era qual­che residuo dubbio sulla sua complicità con i pm ammazza Berlusconi, direi che da oggi non c’è più.E Napolitano?Dove è fini­to i­l garante della legge e della Co­stituzione? Sparito, anche lui. In questo Paese guidato da co­dardi a pecoroni di fronte a tre pm arroganti, ci vorrebbe qual­cuno che ripristinasse la legalità di uno Stato democratico. Quan­d­o gli arbitri tifano per una squa­dra, nella fattispecie quella dei pm, la partita è truccata. La Boc­cassini ritiene di non aver com­messo reati? Che si è trattato di uno sbaglio? Che era un suo dirit­to farlo?

Bene, lo sostenga davan­ti a un giudice, se avrà ragione verrà assolta altrimenti si bec­cherà una condanna, esatta­mente come lei pretende di fare con i suoi imputati. Per fare que­sto ci vorrebbe però un giudice indipendente dalle procure, che oggi non esiste, perché come no­to cane non mangia cane, soprat­tutto se entrambi portano la to­ga. La separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante prevista nella riforma della giustizia appena av­viata dal governo, non è più rin­viabile. Che oggi inizi pure il processo del secolo, illegittimo nella sede (ieri il Parlamento ha votato che Milano non ha titolo per proce­dere e che se ne deve occupare il tribunale dei ministri), nella so­stanza (nessuna delle presunte vittime sostiene di esserlo), e ora anche nella forma in quanto in­quinato da intercettazioni illega­li. Basta che tutta questa messa in scena non la si chiami giusti­zia. Il Giornale, 6 aprile 2011

CASO RUBY: LA CAMERA DICE SI’ AL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA POTERI DELLO STATO

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Sarà conflitto di attribuzione sul processo Ruby. L’assenso della Camera è stato dato con una votazione senza registrazione. Il margine di vantaggio a favore della richiesta, avanzata dalla maggioranza, è stato di 12 voti, come ha precisato al termine il presidente della Camera, Gianfranco Fini: 314 i sì, 302 i no. I deputati Libdem Daniela Melchiorre, Italo Tanoni e Aurelio Misiti, hanno votato insieme alla maggioranza a favore del conflitto di attribuzione in aula alla Camera. La richiesta in tal senso era stata avanzata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili, Fabrizio Cicchitto, Marzo Reguzzoni e Luciano Sardelli.  5 APRILE 2011

CASO RUBY: E ARRIVO’ IL GIORNO DELLA NMACELLERIA

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ci siamo. Ancora 24 ore e lo show può co­minciare. Anche se sarà una partenza falsa, senza star e comparse e con una seconda puntata tra qualche mese. Dopo tan­to parlarne, l’affare Ruby ap­proda domani in tribunale ma non ci saranno né l’im­putato Silvio Berlusconi né le ragazze già bollate, pro­cessate e condannate da una campagna stampa sen­za precedenti. La procura di Milano ha chiesto e otte­nuto il rito immediato, so­stenendo che le prove era­no schiaccianti. E qui c’è la prima bugia, altrimenti non si spiegherebbe la ne­cessità di convocare 132 te­stimoni, un numero che non trova pari neppure nei grandi processi di terrori­smo o mafia. Per puntellare il farneticante teorema, i pm hanno smosso mari e monti, usato sofisticate tec­nologie, messo sottosopra le case e la vita privata di de­cine di ragazze, spiato tutti gli ospiti della residenza di Arcore.

Eppure il dibatti­mento si apre senza accusa­to, accusatore e vittime. Non c’è una parte lesa,qual­cuno o qualcuna che accusi Berlusconi di violenza, mo­l­estia, abuso, né per il reato di prostituzione né per quel­lo di concussione. In realtà di vittime questa farsa giudiziaria ne ha già fatte. Sono le persone coin­volte in uno scenario costru­ito ad arte per infangare. Senza nessuno scrupolo, i pm milanesi hanno messo agli atti testimonianze di mi­tomani che sostengono di aver incontrato nelle cene gli attori George Clooney e Belen Rodriguez,la condut­trice Barbara D’Urso, le poli­tiche Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Daniela Santanchè. Sarebbero do­vute bastare queste dichia­razioni, e due veloci verifi­che, per archiviare il caso co­me una grande bufala. Alcu­ni di questi signori non han­no mai messo piede ad Ar­core, altri non lo mettono da anni, altri ancora ci sono ovviamente stati per incon­tri politici ben documenta­bili. Ruby ha addirittura rac­contato di essersi prostitui­ta a Milano con il calciatore Cristiano Ronaldo quando questi stava giocando dal­l’altra parte del mondo.

Più che un processo, quel­lo che si sta aprendo è un ca­so di macelleria mediatica. Foto private, sequestrate nei telefonini di alcune ra­gazze, spacciate come pro­va d­i festini ad Arcore quan­do si trattava invece di scatti fatti da tutt’altra parte. Frasi rubate da decine di migliaia di intercettazioni telefoni­che che senza alcun riscon­tro sono state spacciate per verità giudiziarie.
La storia è assai più sem­plice. Una ragazza scaltra e irrequieta, Ruby, minoren­ne per l’anagrafe ma non nel corpo e nella testa, soste­nendo di essere la nipote di Mubarak e mentendo sulla sua età, riesce ad avvicinare Berlusconi e frequenta alcu­ne cene ad Arcor­e in compa­gnia di altre ragazze maggio­renni.
Dal presidente riceve aiuto per mettere in piedi una attività imprenditoria­le (un centro estetico). Quando una notte viene ar­­restata per una lite con una coinquilina, Berlusconi chiama il funzionario per se­gnalare che c’è la possibili­tà, in assenza dei suoi geni­tori, di affidarla a una perso­na maggiorenne ( Nicole Mi­netti). Una prassi consenti­ta dalla legge tanto che in quell’anno,2009,la Questu­ra di Milano l’aveva adotta­ta ben 57 volte. Un’inchie­sta del ministero dell’Inte­r­no ha poi accertato che non fu compiuta alcuna irregola­rità. Tutto il resto è semplice intrusione, per di più violen­ta, nella vita privata di perso­ne maggiorenni, libere e consenzienti, qualsiasi co­sa sia successa nelle cene e nei dopocena. Si può discu­t­ere su questioni di opportu­nità e stile, non di reati. La vera porcata non è quello che abbiamo letto fino ad ora, ma quella fatta da chi ha voluto tutto questo solo per fare cadere il governo. Il Giornale, 5 aprile 2011

PROCESSO BREVE APPROVATO IN SETTE GIORNI: INTERVISTA AL RELATORE PANIZ

Pubblicato il 1 aprile, 2011 in Giustizia | No Comments »

Libero-news.it

A

lla Camera, negli ultimi due giorni, si è vissuto un clima da vero e proprio saloon: è rissa permanente sul processo breve, la legge che prevede un taglio ai tempi per la prescrizione nel caso in cui si è incensurati. Il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, parla del testo con il suo relatore, il parlamentare del Pdl Maurizo Paniz. Il colloquio è andato in onda ne La Telefonata di Mattino 5.

Ci vuole spiegare perché la sua legge divide così tanto maggioranza e opposizione?

Francamente non ne ho idea. Chi conosce la legge sa che è una legge di civiltà che introduce un principio, per effetto del quale gli incensurati vanno trattati in maniera leggermente migliore rispetto ai recidivi. Tutto ciò a differenza di quanto accade ora, perché in questo momento la legge in vigore fa sì che incensurati e recidivi, quanto ai tempi di prescrizione, siano trattati in maniera analoga. Io non credo che sia giusto, perché credo che chi è incensurato abbia diritto a un trattamento diverso da chi è già stato condannato, perché ha una progosi di delinquenzialità che è diversa.

La accusano però di usare due pesi e due misure, e dicono che è incostituzionale questo.

Questa legge interviene su un testo normativo che è in vigore da cinque anni e che divide in tre categorie. La terza è quella dei delinquenti abituali.

Quindi già ora non tutti gli italiani sono uguali davanti alla legge?

Ci sono incensurati e recidivi, messi nella stessa categoria, e poi i delinquenti abituali. Hanno tre trattamenti differenziati. Per i termini di prescrizione è più pesante per i delinquenti abituali. A me pare che trattare nello stesso modo incensurati e recidivi, inseriti nella stessa categoria, sia sbagliato.

Paniz, ma dicono che il suo provvedimento farà andare in archivio 150mila procedimenti giudiziari.

E’ una bugia autentica. In archivio non andrà nessun procedimento. E’ espressamente preciso che la norma non si applichi al secondo o terzo grado, che potrebbero subire una conseguenza letale.

Tipo il caso Tanzi?

Non subiràè nessuna consegueunza. Si applica solo ai processi di primo grado, perché se i processi di primo grado subiscono gli effetti di questa norma vuol dire che sarebbero comunque destinati alla prescrizione. Quindi, dichiararla sei mesi prima o sei mesi dopo agli effetti penali è la stessa identica cosa.

Lei è il realtore di questo disegno di legge. Quando verrà approvato?

Penso nel corso della settimana prossima.

Con altre polemiche immagino?

Io credo che ce ne saranno altre, ma credo che nascano da una situazione di fondo che affonda le sue radici a due o tre anni fa, quando questa legge era nata. Quando è nata ed approvata dal Senato, effettivamente, nel testo originario ammazzava qualche migliaia o forse qualche decina di migliaia di processi. Prevedeva dei tempi stretti per la celebrazione dei processi. Avendo io previsto che questa legge non si applichi più ai processi in corso, questo effetto non si verifica. Credo che molti abbiano un convincimento totalmente sbagliato generato dal convincimento che la legge sia rimasta immutata nell’effetto letale che oggi non c’è più.

Dicono che questa legge serva a Berlusconi per accorciare il suo procedimento. Che risponde?

E’ totalmente indifferente per il presidente Berlusconi. Il processo Mills si prescrive a gennaio dell’anno prossimo. Da qui a gennaio tutti i cittadini italiani sanno che non potrebbero mai essere celebrati tre gradi di processo per il presidente Berlusconi.

E’ impossibile, tecnicamente, arrivare a sentenza definitiva.

E sono già passati undici anni, e non siamo nemmeno vicini alla conclusione del primo grado, e poi mancano anche il secondo e il terzo. La prescrizione sarebbe matematica al gennaio del 2012 senza cambiare alcunché. Quindi dichiararla a gennaio del 2012 o dichiararla a settembre o a maggio del 2011 non cambia assolutamente niente. Per tutti gli altri processi di Berlusconi, il tempo per completarli è talmente lontano, che i giudici fanno in tempo a fare primo, secondo e terzo grado indipendentemente dal fatto che abbiano prescrizione più o meno veloce.

Non si prescrive nulla. Paniz, lei è anche un avvocato. Ma secondo lei in questo clima c’è la possibilità di fare una riforma della giustizia?

Si deve fare la riforma, con il massimo della collaborazione di tutti. Tutti devono capire che i cittadini italiani non sono contenti di come funziona la giustizia oggi.

Ma qualcuno dell’opposizione c’è che ha la disponibilità di parlare con voi per la riforma?

Qualcuno c’è. Anzi, più di qualcuno.

Sul processo breve le hanno detto qualcosa?

Ci sono molte persone che riconoscono a quattr’occhi che è una norma di civiltà assolutamente giusta. Ma ci sono anche considerazioni di carattere politico per le quali si tenta di raggiungere un obiettivo politico, quello della denigrazione della maggioranza, per poter raggiungere qualche risultato mediatico che consenta di dimostrare che questo Stato è ingovernabile. E’ un effetto che però con questa legge non ha nulla a che fare.

BERLUSCONI SI PRESENTA IN TRIBUNALE ED E’ BAGNO DI FOLLA

Pubblicato il 28 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi è tornato dopo otto anni in un’aula di tribunale, a Milano, per l’udienza preliminare del processo Mediatrade in cui è imputato per frode fiscale e concorso in appropriazione indebita per vicende legate all’acquisizione negli Stati Uniti di diritti televisivi per la trasmissione di film. L’udienza si è svolta a porte chiuse e i cronisti sono stati tenuti all’esterno del palazzo di Giustizia, dove si sono anche radunati un gruppo di sostenitori del premier, mobilitati a colpi di sms dal coordinatore lombardo del Pdl, il sottosegretario Mario Mantovani, e uno di contestatori, guidati da Pietro Ricca e da alcuni simpatizzanti dell’Italia dei Valori. Tra i due gruppi c’è stato uno scambio di cori: da un lato i sostenitori del premier che all’interno di un gazebo hanno gridato: «Silvio, Silvio», «Hip hip urra» e hanno cantato «Sei un mito» sulle note della canzone degli 883. Dall’altra parte della strada gli oppositori che hanno urlato: «Dimissioni», «Processo», «Vergogna». I due gruppi hanno continuato a fronteggiarsi verbalmente per qualche tempo anche dopo la partenza dell’auto del premier.

L’udienza è durata circa un’ora e mezza. All’uscita dal tribunale è stato subito circondato da fotoreporter e dai manifestanti. Berlusconi non si è sottratto al bagno di folla e ha indugiato davanti all’auto a favore di telecamere, alzandosi anche in piedi a salutare sul predellino della vettura, ripetendo di fatto lo stesso gesto di piazza San Babila che portò al rilancio della sua figura e alla nascita del Pdl. «Questa mattina è andata bene» ha detto il capo del Pdl nelle poche battute scambiate con i cronisti che si trovavano più vicini alla sua auto.

Durante l’udienza preliminare Berlusconi non ha reso alcuna dichiarazione. Il presidente del Consiglio si è limitato ad ascoltare senza chiedere di intervenire. Il processo è stato poi aggiornato al 4 aprile: anche in quell’occasione, quando saranno ascoltati i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro che si occupano del caso, il Cavaliere ha detto di voler essere presente: «Mi sto preparando». Due giorni dopo, il 6 aprile, ci sarà invece la prima udienza per il processo sul cosiddetto caso Ruby.

Poco prima di avviarsi al processo, Berlusconi era intervenuto al telefono alla trasmissione di Maurizio Belpietro su Canale 5: «Sono l’uomo più imputato della storia e dell’universo» aveva detto, sottolineando che il processo Mediatrade è «il venticinquesimo processo»contro di me e che anche questo rientra nel tentativo della sinistra di cercare di eliminare il maggior ostacolo alla presa del potere». Ha inoltre detto che quelle contro di lui sono «accuse infondate e ridicole». Entrando nel merito ha spiegato: «Io questo Frank Agrama l’ho conosciuto negli anni Ottanta e poi non l’ho più visto. In Mediaset non mi sono mai occupato dei diritti televisivi, è un fatto che dal ‘94 mi sono allontanato dalle aziende per dedicarmi al Paese». E ancora: «Non c’è stato un solo dollaro che sia passato a me da parte di questo Agrama». La Procura di Milano, ha aggiunto, «ha dimostrato di avere contro di me una volontà persecutoria che non si ferma neanche di fronte al ridicolo» perché «non avrei avuto nessun interesse a pagare tangenti se fossi stato socio di Agrama». Poi la stoccata ai giudici della Consulta: le convocazioni ai processi, ha sostenuto, sono «conseguenti a quella incredibile sentenza della Corte Costituzionale che ha deciso che soltanto in Italia un presidente del Consiglio possa essere sottoposto al processo, distogliendo la sua attenzione dall’incarico e dalla funzione pubblica. In tutti gli altri Paesi succede che i processi si sospendono fino al termine del suo incarico». Il Corriere della Sera, 28 marzo 2011