Archivio per la categoria ‘Giustizia’

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI VARA LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: UNA RIVOLUZIONE NECESSARIA

Pubblicato il 10 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il governo questa mattina ha approvato il disegno di legge costituzionale di riofrma della giustizia ed è deciso ad andare avanti sul progetto illustrato ieri dal ministro Alfano anche al Presidente della Repubblica. Un progetto che potrà essere migliorato ma che non dovrà essere snaturato. Conta il fatto che, finalmente, il governo abbia deciso di affondare il bisturi nel bubbone giustizia.

Angelino Alfano e Giorgio Napolitano Lasciamo stare Berlusconi. E lasciamo stare il solito giochino degli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo mobilitati alla ricerca, nelle pieghe di un testo che neppure conoscono, di trucchi e codicilli scritti ad personam per liberare il Cavaliere dai guai giudiziari. Lasciamola stare questa ricerca ossessiva. Che è, poi, niente altro che un modo per liquidare ogni tentativo di affrontare un problema, quello della riforma della giustizia, non più rinviabile. Conta, ormai, il fatto che il governo sia fermamente deciso ad andare avanti sulle linee del progetto illustrato ieri dal guardasigilli al Presidente della Repubblica e in via di approvazione oggi in sede di Consiglio dei Ministri. Un progetto che potrà essere, magari, migliorato ma che, almeno in alcuni punti chiave – separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura e riconoscimento del principio della responsabilità civile dei magistrati – non dovrà essere snaturato. Conta, insomma, il fatto che, finalmente, in qualche modo, il governo abbia deciso di affondare il bisturi nel bubbone giustizia.

Sì, perché, per dire le cose come stanno, sia lo squilibrio dei poteri dello Stato a favore del giudiziario sia l’amministrazione della giustizia – per colpa di un pugno di magistrati politicizzati o, nella migliore delle ipotesi, ammalati di protagonismo e alla ricerca di spicciola popolarità – hanno determinato, nel nostro paese, una situazione gravissima. L’uso politico della giustizia, per utilizzare la locuzione con la quale Fabrizio Cicchitto ha intitolato un suo documentato e coraggioso libro, ha creato una vera e propria emergenza democratica. La spregiudicatezza con la quale vengono utilizzati, da qualche magistrato impegnato, strumenti di indagine e la leggerezza con la quale vengono diffusi dati riservati e ininfluenti ai fini delle indagini lasciano non soltanto esterefatti ma anche seriamente preoccupati sulla salute dello Stato di diritto e sulla fine delle garanzie dei più elementari diritti di riservatezza. Un esempio solo. Un esempio che dimostra, complice certa stampa, il livello di aberrazione cui si è giunti. È quello della diffusione e pubblicazione, nel quadro di servizi giornalistici sull’indagine della procura milanese a carico del presidente del Consiglio per il cosiddetto caso Ruby, non soltanto del numero di un conto corrente personale presso un istituto bancario ma anche di movimenti che nulla hanno a che fare con l’inchiesta. Come, per esempio, le donazioni per il restauro di una parrocchia o la regalia a una squadra di calcio o, anche, gli accrediti versati a titolo di diritto d’autore dalla Siae a un Berlusconi chansonnier. Il fatto è di una gravità inaudita. Se è possibile andare curiosare, sindacare e mettere in piazza quanto e come – dei propri soldi – un individuo spende per arredare una o più stanza o per sistemare delle piante in giardino, allora si è passato davvero il segno. Altro che società democratica e liberale! Siamo in pieno regime poliziesco. Un regime di orwelliana memoria, dove ogni passo, ogni atto, ogni pensiero è controllato. La riforma della giustizia – in una situazione del genere e ben al di là di ogni considerazione personale sul caso Berlusconi – è una priorità assoluta. Riguarda il problema della necessità di riequilibrare i poteri dello Stato, attraverso il ristabilimento di pesi e contrappesi costituzionali, per evitare che il potere giudiziario, ormai preponderante sugli altri per loro debolezza o latitanza, diventi un potere assoluto esercitato attraverso la minaccia o il ricatto di una inchiesta più o meno fondata nei confronti di chi è percepito come avversario. Riguarda, in altre parole, l’urgenza di garantire il recupero delle condizioni necessarie per il corretto funzionamento di un vero Stato di diritto, fondato sulla separazione dei poteri. Soltanto così potrà essere evitato la “magistratocrazia” ovvero un “governo dei giudici” instaurato gradualmente attraverso una surrettizia e continua appropriazione di spazi di potere, quasi un “colpo di Stato” silenzioso, strisciante, disteso nel tempo ed effettuato attraverso una progressiva erosione dei diritti individuali. Allo stato attuale – tramontata, per il momento, la prospettiva di elezioni politiche anticipate – sembra che le condizioni per portare avanti, senza indugi e con energia, la riforma della giustizia ci siano. Ed è giusto che queste condizioni siano sfruttate al meglio. Ma è bene che il governo, e per esso Berlusconi, non dimentichi che – per quanto necessaria, prioritaria e imprescindibile – la riforma della giustizia è soltanto una di quelle riforme che i cittadini si aspettano dal governo di centro-destra e che andrebbe inserita in un più generale discorso di ammodernamento dell’intero edificio istituzionale e di riduzione del costo della politica. Francesco Perfetti, Il Tempo, 10 marzo 2011

……….Finalmente. E il governo non si laasci intimidire da minacce e ritorsioni, da qualunque parti esse vengano. La riforma costituzionale della Giustizia ha un ritardo ventennale ed ora che è giunta in dirittura di discussione non la si fermi.

L’ANM ALL’ATTACCO DEL GIORNALE: ILLEGALE PUBBLICARE LE E.MAIL CONTRO IL GOVERNO

Pubblicato il 9 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Tira aria di golpe: le toghe si scambiano messaggi minacciosi contro il governo. Il Giornale le smaschera.  Il sindacato dei magistrati va subito all’attacco e chiede al Garante della Privacy di “aprire un’inchiesta”. Palamara denuncia: “Grave violazione della legge sulla riservatezza, è in atto una campagna di aggressione e delegittimazione della magistratura da tempo avviata dal Giornale“. E tace sulle minacce al Governo e al presidente del Consiglio.

Una “gravissima violazione della legge sulla riservatezza delle comunicazioni che si iscrive in una campagna di aggressione e di delegittimazione della magistratura da tempo avviata da quel quotidiano”. L’Associazione nazionale magistrati va subito all’attacco. Dopo la pubblicazione sul Giornale delle comunicazioni via mail tra le toghe che vogliono dare la spallata allo “zietto Berlusconi” (leggi l’articolo), il sindacato dei magistrati ha chiesto al Garante per la privacy di apre un’istruttoria.

In vista del varo della riforma della giustizia di domani sulla mailing list esplode la rabbia dei magistrati contro il premier Silvio Berlusconi e i suoi elettori. Questa mattina Il Giornale ha svelato le mail segrete in cui le toghe si organizzano per dare “una risposta corale” al governo e per far “togliere il disturbo” allo “zietto Silvio”. Mail che grondano odio. Ma una volta pubblicate il numero uno dell’Anm Luca Palamara è subito partito all’attacco per difendere la privacy dei magistrati. L’articolo, rileva Palamara nella sua lettera inviata al Garante, “costituisce una palese violazione delle disposizioni contenute nel codice della privacy, trattandosi di abusiva pubblicazione di messaggi che costituiscono corrispondenza privata, nell’ambito di mailing list il cui accesso è tassativamente regolato attraverso una iscrizione, effettuata solo previa identificazione del richiedente”. Non solo. Per Palamara, “la gravità dell’episodio è accentuata dalla diffusione di dati personali relativi agli autori dei messaggi, in particolare gli indirizzi, anche privati, di posta elettronica di magistrati”. La diffusione di tali dati, conclude il presidente dell’Anm, è avvenuta “nel quadro di un articolo giornalistico dal contenuto pesantemente diffamatorio, volto a delegittimare una delle fondamentali istituzioni dello Stato”.

Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera, sottolinea come l’Anm non sia intervenuta in casi simili. “Non ci pare, ha detto Costa, che i vertici dall’Amn abbiano fatto analoga segnalazione al Garante della privacy quando a essere sbattuti sui giornali sono stati i testi di intercettazioni di conversazioni private, coperte da segreto istruttorio o irrilevanti ai fini dei processi, oggettivamente spifferate agli organi di stampa da ambienti giudiziari. Questa è l’ennesima dimostrazione che per l’Amn esistono convinzioni e convenienze”. Fonte. Il Giornale, 9 marzo 2011

IL SEN. TEDESCO SI DIFENDE E ACCUSA VENDOLA: COLPA SUA, MI IMPOSE L’ASSESSORATO

Pubblicato il 9 marzo, 2011 in Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

L’audizione del senatore del Pd a Palazzo Madama
Saro: Pdl verso il no all’arresto. Il Pd resta spaccato

Amici-nemici: Vendola e Tedesco Amici-nemici: Vendola e Tedesco

Il senatore Alberto Tedesco è ascoltato dalla giunta per le immunità di Palazzo Madama che dovrà decidere se accogliere o no la richiesta d’arresto dei magistrati baresi. A carico di Tedesco ci sarebbero le accuse di concussione e corruzione. L’audizione è in corso, ma Giuseppe Saro del Pdl uscendo dalla giunta ha dichiarato di aver rivolto a Tedesco molte domande tra cui quelle legate al conflitto d’interesse esistente tra l’incarico di assessore alla Sanità (ricoperto all’epoca dei fatti) e le aziende dei figli e della moglie e dei fratelli.

Tedesco, riferisce Saro, è stato chiaro. «Avrei voluto essere nominato presidente del Consiglio regionale, ma il governatore Nichi Vendola si impuntò. Nel caso avessi rifiutato la delega alla sanità sarebbe stata crisi con la caduta della giunta». Il senatore Saro, inoltre, appellandosi al garantismo ha fatto intendere che il Pdl dirà no ai magistrati baresi, mentre il problema resta circoscritto in casa Partito democratico (quello in cui è stato eletto Tedesco). Il Pd è diviso a metà tra garantisti e giustizialisti.

Rosanna Lampugnani, Il Corriere del Mezzogiorno, 9 marzo 2011

MAGISTRATI ALL’ASSALTO PER IMPEDIRE LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Pubblicato il 9 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Domani il Consiglio dei ministri affronta la ri­forma della giustizia. Dall’opposizione arri­va qualche timido segnale di apertura aldialogo.Non c’è da illudersi, ma meglio del solito no a priori. Sulle barricate resta­no invece i magistrati, o meglio quei magistrati che vogliono continuare a fare politica oltre che gli affari loro. Oggi pubbli­c­hiamo la mailing list dei magi­strati, cioè il sistema di posta elettronica dove le toghe si scambiano pareri e concorda­no iniziative al riparo da orec­chie indiscrete. Quello che po­tete lettere sulle nostre pagine è sconcertante. Dal­lo scambio di email emerge non soltanto un clima d’odio con­tro la maggioran­za politica, il Parla­mento, le toghe più moderate. Ci sono infatti le pro­ve che alcuni ma­­gistrati hanno nel mirino Silvio Ber­l­usconi come per­sona, a prescindere da ipotesi di reato. Questi signori fanno politica, vogliono interferire sul potere legislativo, e per di più in orario di ufficio, come si evince dalle stampate dei mes­saggi che si scambiano.

Fa effetto vedere un giudice chiamare il premier «lo zietto Berlusconi» con tono dispre­giativo e porsi il problema che una volta fatto fuori lui andrà affrontato il problema dei suoi elettori, cioè di dodici milioni di italiani che il vertice della magistratura evidentemente considera degli imbecilli e for­se anche dei pericolosi crimi­nali.

Ma quale indipendenza poli­t­ica: c’è una parte di magistrati che nel segreto della posta elet­tronica getta la maschera e non solo,tanto che più d’uno si dice preoccupato per la fred­dezza di alcuni amici della sini­stra, cioè del socio di maggio­ranza.

Più persone togate, quindi, si stanno mettendo d’accordo riservatamente per intralciare e contrastare la libera attività del Parlamento. Se non fosse­ro magistrati, rischierebbero l’incriminazione per associa­zione segreta e a delinquere da parte di loro colleghi che vedo­no complotti ovunque. Pur­troppo non è una esagerazio­ne, ne sanno qualche cosa quei malcapitati finiti in que­ste ore nella ridicola inchiesta su una fantomatica P4, presun­t­a lobby sovversi­va, per la quale ie­ri sono stati per­quisiti gli uffici del finanziere Francesco Mi­cheli. Ne so qual­che cosa io, che per aver scritto un articolo sulla presidente di Confindustria, Emma Marcega­glia, mi sono ritro­vato inquisito e perquisito.

Sarebbe orribile, ma interes­sante, perquisire case e uffici di quei magistrati così dichiarata­mente schierati contro Berlu­sconi e contro chiunque gravi­ti nell’area del centrodestra. Magari si scoprirebbe che non sono poi così indipendenti co­me sostengono, che hanno per­so i requisiti mini­mi per svolge­re uno dei mestieri su cui si reg­ge una società civile. Cioè quel­l’imparzialità che garantisce ai cittadini il diritto di essere giu­dicati in base a fatti certi, prova­ti al di là di ogni ragionevole dubbio e non sull’onda di teo­remi e pregiudizi politici.

Domani sapremo quali sono le intenzioni del governo. Spe­riamo solo che, a differenza di quanto si è visto in questi 18 an­ni di Seconda Repubblica, que­sta volta agli annunci seguano i fatti. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 9 marzo 2011

I PM VOGLIONI INSTAURARE LO STATO DI POLIZIA

Pubblicato il 8 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Per contrastare l’annunciata riforma “epocale” della Giustizia i magistrati “democratici” hanno annunciato lotte e scioperi che hanno sapore di ricatto vero la classe politica. Riucatto orribile perchè messo in atto a “mano armata”

I magistrati imbocca­no la linea dura con­tro l’annunciata ri­forma della giusti­zia, annunciano sciope­ri e quant’altro. È una mi­naccia che sa di ricatto al­la classe politica, un ri­catto orribile perché messo in atto a mano ar­mata. Se un insegnante si oppone alla riforma della scuola, può andare in piazza o salire sui tet­ti. Un magistrato invece può sventolare avvisi di garanzia e far sentire il tintinnare di manette. Può distruggere uomini (alcuni in passato sono fisicamente morti per ac­canimento giudiziario), può stroncare carriere, rovinare famiglie, azzop­pare aziende, cambiare il corso della politica con assoluta discrezio­nalità e impunità anche di fronte a casi clamoro­si di abuso di potere ed errori come abbiamo do­cumentato nell’inchie­sta pubblicata nei giorni scorsi. E tutto sorretto da una stampa complice di una delle battaglie più illiberali e pericolose nella storia della Repub­blica.

Andate a rileggere che cosa scrisse dei magistra­ti Repubblica quando in­dagarono e arrestarono per tangenti il suo edito­re De Benedetti, che co­sa disse Fini quando ven­­ne intercettata la sua pri­ma moglie Daniela, cosa confidò D’Alema all’epo­ca dell’inchiesta su di lui per la scalata Unipol. Le dichiarazioni di Berlu­sconi, a confronto, sem­brano quelle di un mode­rato. Poi il vento è cam­biato.
Improvvisamen­te, per questi signori, la magistratura è diventa­ta un totem, sacro, intoc­cabile. Come per miraco­lo le inchieste si sono al­lontanate dal loro cer­chio magico, per coinci­denza Fini e D’Alema si sono messi di traverso a qualsiasi progetto di ri­formare la casta delle to­ghe. Ed è iniziata una ma­novra a tenaglia contro Berlusconi e i suoi uomi­ni. I pasdaran che guida­no la rivolta dei magistra­ti non sono più servitori dello Stato, vogliono co­stituire uno Stato nello Stato, quello di polizia che non riconosce il po­tere legislativo e si auto­proclama indipenden­te. Intanto l’Italia conti­nua a scivolare indietro nella classifica dell’effi­cienza della giustizia, un carrozzone che man­gia milioni a intercetta­re, meglio spiare, nelle vite degli altri ma che poi non sa acciuffare in tempi decenti l’assassi­no di una ragazzina usci­ta da una palestra. Ma questo è vietato dirlo, al­trimenti si commette il delitto di lesa maestà e si può finire nei guai per­ché la giustizia non guar­da in faccia a nessuno ma sa bene dove indiriz­zare lo sguardo. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 8 marzo 2011

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: INTERVISTA A MAURIZIO GASPARRI, PRESIDENTE DEI SENATORI DEL PDL

Pubblicato il 8 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Maurizio Gasparri Nel Consiglio dei ministri straordinario di giovedì gli elementi chiave della riforma «epocale» della Giustizia cominceranno a prendere forma. Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, tiene i piedi per terra, ma sembra fiducioso. «Sono anni che ci lavoriamo, vogliamo ridurre la politicizzazione delle correnti della magistratura, mica – come ci accusano – ammazzare i processi».

Senatore perché è necessario riformare la Giustizia? «Questa riforma più che necessaria è urgente. Dobbiamo ristabilire una volta per tutte il rispetto dei ruoli. Oggi nel nostro Paese la separazione dei poteri praticamente non esiste più. La magistratura invade quotidianamente il campo della politica, imponendo ai partiti della sinistra un ruolo subalterno. Una volta era il partito comunista a manovrare Magistratura Democratica. Adesso sono i magistrati comunisti che hanno in mano un partito democratico indeciso e confuso. La separazione delle carriere e la riforma del Csm serviranno a rimettere ogni cosa al proprio posto».

Questa la riforma costituzionale. Poi ci sono le azioni che il governo intende perseguire con legge ordinaria. Quelle che fanno più discutere… «C’è la ridefinizione del rapporto tra magistratura e polizia giudiziaria e quella dei tempi dei procedimenti. Mentre le polemiche si concentrano sul cosiddetto processo breve e tutti pensano ai procedimenti di Silvio Berlusconi, nessuno dice che ogni giorno in Italia vanno in prescrizione circa 500 processi che niente hanno a che fare con il presidente del Consiglio. Questo vuol dire che ogni anno evaporano nel nulla circa 200 mila controversie giudiziarie».

Da cosa dipende? «Nella giustizia italiana non c’è più la certezza dei tempi del giudizio. Tantissimi processi, per intervenuta prescrizione, non arrivano mai a sentenza. E chi decide quali processi far evaporare e quali mettere in calendario? I magistrati. Sono loro che decidono in modo del tutto arbitrario quali dibattimenti dotare di una “corsia preferenziale” e quali lasciar cadere nel dimenticatoio. Dobbiamo limitare questo loro potere e restituire ai cittadini il diritto sacrosanto di avere una sentenza in tempi certi: dagli otto ai quindici anni di tempo per i tre gradi di giudizio, a seconda della gravità dei reati».

I magistrati sono già sul piede di guerra. Hanno annunciato uno sciopero immediato… «I magistrati devono applicare le leggi. Devono capire che non sono loro i legislatori. Uno sciopero delle toghe è un atto ai limiti dell’eversione».

Anche l’opposizione è insorta, Di Pietro parla di «deriva fascista»… «Vogliono far credere all’opinione pubblica che noi siamo nemici della Giustizia, quando i veri nemici sono quei magistrati, come era Di Pietro non molto tempo fa, che hanno smesso di indagare quando non era più conveniente farlo. Quando hanno scoperto che i soldi di Enimont portavano a via delle Botteghe Oscure, ex sede del Pds. È grazie a quei mancati processi che adesso c’è chi ha costruito un partito la cui unica ragione di vita è l’essere contro Berlusconi».

Pier Ferdinando Casini, invece, rimane a guardare. Non accetterà leggi ad personam, ma non sbarra la strada alla riforma. «Qui i provvedimenti ad personam sono stati presi contro Berlusconi, e non a favore. Intanto (nel caso Ruby, ndr) gli è stato negato il giudice naturale, sia per sede territoriale (che sarebbe stato Monza), sia per competenza (che sarebbe stato il tribunale dei ministri). Poi è stato negato alla sua difesa, come è successo solo alcuni giorni fa all’avvocato Ghedini, di far ascoltare dei testimoni. E infine, pur di colpire il presidente del Consiglio, sono stati sovvertiti i tempi della prescrizione del processo Mills, dal momento che la procura di Milano ha iniziato a calcolarli non dal momento in cui Mills avrebbe ricevuto i soldi, ma da quando avrebbe iniziato a spenderli. Ribaltare questo accanimento è un’opera di giustizia».

Al di là delle polemiche, Casini voterà la riforma? «Le polemiche riguardano le leggi ordinarie. La riforma costituzionale è un’altra cosa. Ci lavoreremo a fondo e ci confronteremo con tutte le forze dell’opposizione. Casini alla fine sarà dei nostri, ma spero lo siano tutti».

I futuristi con Briguglio hanno annunciato un «Vietnam parlamentare»… «No, non rispondo a interlocutori minori».


RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: STAVOLTA NON CI FERMERANNO

Pubblicato il 7 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

E’ quello che dichiara in un intervista al Tempo il capogruppo alla Camera del PDL, Fabrizio Cicchitto:Ci sono le condizioni.

Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto «La riforma della Giustizia non è ancora arrivata in porto perché in questi anni all’interno della maggioranza prima l’Udc e poi Fini hanno bloccato elementi importanti». Lo dice il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ottimista sulla possibilità di portare a casa comunque il risultato di un cambiamento delle norme che regolano l’organizzazione giudiziaria. «Con l’uscita di Fini dal Pdl, e la maggiore omogenizzazione delle forze che sostengono il governo, può essere la volta buona» aggiunge Cicchitto. E il traguardo è ancora più vicino visto che la riforma «epocale» della giustizia ha incassato il via libera della Lega. «Ci sarà il nostro appoggio» ha annunciato il leader del Carroccio, Umberto Bossi.

Si tratta di un terreno minato da più di 15 anni. È così certo della vittoria? «I tempi sono maturi perché il dato vero è che, dal 1991 in Italia, siamo in una fase nella quale con caratteristiche diverse la giustizia è stata utilizzata a fini politici».

Cosa è cambiato in questi anni? «Nel 1992 la magistratura si è rivolta principalmente contro cinque formazioni politiche salvaguardando la sopravvivenza dell’ex Partito Comunista. Dal ‘94 in poi la stessa operazione è stata fatta con Silvio Berlusconi. Il retroterra culturale della richiesta di riforma è dunque politico».

Questo spiega anche lo scontro tra le diverse forze politiche sul tema. «Esatto. Il terreno nel quale si gioca il futuro della riforma non è neutro ma appunto politico. Ed è questo che ha finora condotto a uno scontro così duro».

Il disegno di legge andrà in porto questa volta? «Le condizioni ci sono. L’uscita di Gianfranco Fini dalla maggioranza ha reso quest’ultima più omogenea sul tema».

Avrete bisogno anche di un sostanziale appoggio dell’opposizione. «Se non ci sarà un’ampia convergenza andremo al referendum costituzionale».

Pensate di trovare sostegno nei banchi della minoranza? «Per ora non capisco l’atteggiamento dell’onorevole Casini. Quanto al Pd ci sono indubbiamente parti alleate con una certa magistratura che non vogliono che la politica metta le mani sulle regole della giustizia. È un settore dell’opposizione che sostiene il partito dei giudici e difficilmente sarà a favore della nostra proposta. Ci sono anche voci a favore ma per ora sono elementi singoli come il senatore Morando e la senatrice Chiaromonte. Il complesso del Pd sta allo stato purtroppo su tutt’altre posizioni».

Quali sono le norme più importanti nel testo che la maggioranza ha predisposto? «Lo sdoppiamento delle carriere e dei Csm. E dall’altra parte un parziale recupero dell’autonomia da parte degli organi di polizia».

L’accusa più ricorrente verso la riforma è che serva a salvare Berlusconi dai suoi guai giudiziari. Cose risponde? «Le vicende giudiziarie di Berlusconi non sono personali ma sono il risvolto dell’anomalia italiana che si chiama uso politico della giustizia».

Non sarà che la tesi del complotto e della persecuzione paga sempre nei confronti dell’opinione pubblica? «Non è esatto. La persecuzione giudiziaria nei confronti di Berlusconi è nei fatti. L’attacco è stato scientifico. Prima ci hanno provato con la corruzione, poi con le inchieste di mafia e le bombe. Non hanno ottenuto nessun risultato così lo hanno attaccato sulla vita privata. Quest’ultimo aspetto non veniva toccato in Italia dal caso Montesi. E anche questo dà l’idea che le stanno provando tutte».

L’anomalia italiana: l’uso politico della giustizia ha una motivazione. Una ragione che possa spiegarla? «Le ragioni sono molteplici. Come il fatto che l’Italia ospitasse il più grande Pci dell’Occidente che non è diventato dopo il muro un vero partito socialdemocratico. Ma anche il fatto che all’interno della magistratura ci sia una componente con forte politicizzazione come Magistratura Democratica che ritiene il diritto lo strumento per la trasformazione rivoluzionaria del sistema». Filippo Caleri, Il Tempo, 7 marzo 2011

DUE PESI E DUE MISURE: QUANDO LA PM MILANESE ILDA BOCCASSINI DIMENTICO’ UN INNOCENTE 9 MESI DIETRO LE SBARRE…E NON LE E’ SUCCESSO NIENTE

Pubblicato il 6 marzo, 2011 in Giustizia | No Comments »

Gli scheletri di Ilda la rossa. Agli agenti non arrivò mai l’ordine del magistrato di rilasciare un ragazzo slavo rilasciato per “false generalità“

Milano – Ci sono detenuti e detenuti. Innocenti o presunti tali costretti a restare in cella per un errore o una dimenticanza. A Milano negli anni Ottanta i detenuti in attesa di giudizio erano abbastanza numerosi. Questa è la storia di due persone, diversissime. Per una singolare coincidenza succede che lo stesso magistrato chieda da un lato la scarcerazione di uno e si «dimentichi» in cella l’altro. Lei è Ilda Boccassini, agli albori di quel decennio già magistrato rampante e super protetta dall’ombrello di Magistratura democratica. Assieme ad altre toghe della sua corrente, Ilda il 17 febbraio del 1981 mette la sua firma sotto una lettera appello, pubblicata dal Manifesto, per chiedere che Mario Dalmaviva, da 36 giorni in sciopero della fame venga trasferito dalle carceri speciali per terroristi a un penitenziario comune. Scrivono i magistrati di Md: «Il regime carcerario speciale è del tutto al di fuori dei principi costituzionali». Dalmaviva, un pubblicitario che giocava in Borsa per finanziare il movimento studentesco, era accusato da due pentiti Br, Fioroni e Sandalo, ed era coinvolto nella famigerata operazione 7 aprile, la maxi inchiesta voluta dall’allora pm di Padova Pietro Calogero, che emise in tutto 22 mandati di cattura contro i leader di Autonomia operaia come Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone, accusati di associazione sovversiva e banda armata. Tutti prosciolti con formula dubitativa nel 1984 in primo grado, poi condannati in appello e in Cassazione. Dalmaviva fu condannato a sette anni di carcere, ridotti poi a quattro e già scontati col carcere preventivo. Lo stesso giorno dell’appello proprio il Manifesto pubblica la notizia dello spostamento di Dalmaviva in una cella comune. E quando il procuratore capo della Repubblica di Milano chiede al Csm la censura per la Boccassini (lei e Francesco Greco vennero sospesi dal «turno esterno») Md insorge: «L’impegno politico non è causa di turbamento nel corretto esercizio delle loro funzioni». Amen.
Pochi mesi dopo, il 13 novembre 1981, finisce a San Vittore un ragazzo di origine slava, Mirsaad Adzimuhovic. E lì resta per nove mesi, fino al 26 luglio. Fermato e portato in caserma per «false generalità», venne interrogato 4 giorni dopo dalla Boccassini. Il fermo, secondo il pm, non fu convalidato, ma all’ufficio matricola del carcere secondo l’agenzia Ansa non arrivò mai. Sempre secondo la Boccassini il verbale di carcerazione venne «smarrito». A marzo Adzimuhovic scrisse una lettera al giudice di sorveglianza e un magistrato dell’ufficio gli rispose due giorni dopo che doveva considerarsi «a disposizione della procura». Passarono altri mesi e il detenuto chiese di parlare col giudice di sorveglianza Francesco Maisto. Fu lui a chiedere al pretore la scarcerazione del detenuto, che scattò solo alcuni giorni dopo che la procura l’aveva a sua volta disposta. Il caso indignò l’opinione pubblica, tanto che alcuni parlamentari chiesero al ministro di Grazia e Giustizia quali provvedimenti avrebbe adottato per «accertare le responsabilità del drammatico episodio» e come sarebbe stato risarcito l’uomo per la «sconcertante negligenza dei pubblici poteri». Il Giornale, 6 marzo 2011

TUTTI GLI ERRORI DEI GIUDICI. PERCHE’ NON PAGANO?

Pubblicato il 5 marzo, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Un deputato del Pdl, Luigi Vitali, ha presentato un disegno di legge che prevede la prescrizione veloce dei processi per gli imputati che abbiano più di 65 anni e nessun precedente penale. A naso la norma toglierebbe Berlusconi dalle grinfie della magistratura. L’opposizione ha gridato subito allo scandalo senza prima accertarsi di come stavano le cose. E cioè che i vertici del Pdl, Cavaliere in testa, avevano già bocciato senza appello l’iniziativa personale del collega Vitali. A sinistra ci sono rimasti male perché già assaporavano il piacere di scatenare i Travaglio e l’opinione pubblica contro l’ennesimo tentativo di fare approvare una legge ad personam cucita su misura per il premier. Noi invece ci siamo rimasti bene perché vuol dire che si abbandona definitivamente l’ipotesi di rompere l’accerchiamento giudiziario cui è sottoposto Berlusconi non attraverso provvedimenti di emergenza che lasciano il tempo che trovano (come dimostrano i tentativi del passato) ma affrontando il problema alla sua radice. Il che accadrà la prossima settimana, quando in Consiglio dei ministri entrerà la riforma della giustizia. Da quel momento si misurerà, fuori da ogni equivoco e sospetto, la reale intenzione di tutta la classe politica a risolvere una delle grandi emergenze del Paese, quella appunto della giustizia.

I nodi da risolvere sono due. Il primo è quello di ridare alla politica quella autonomia rispetto al potere giudiziario, disgraziatamente buttata via 18 anni fa sull’onda dello choc di tangentopoli. È urgente che ministri, deputati e senatori si riapproprino del diritto all’immunità che era sancito nella costituzione.

Il secondo nodo riguarda invece tutti noi, comuni cittadini prigionieri di una casta, quella dei magistrati, che rifiuta di autoriformarsi per conservare privilegi, potere e una immunità che non ha pari al mondo. Quando un chirurgo sbaglia ad amputare una gamba viene cacciato sui sue piedi. Se un pm o un giudice sbaglia, clamorosamente ed evidentemente, nulla accade. Le loro incapacità e lentezze causano drammi personali e danni ingenti alla nostra economia, tenendo lontano dal mercato investitori stranieri e scoraggiando i nostrani. Negli ultimi sette anni, su 1.010 magistrati finiti sotto processo disciplinare, 812 sono stati assolti, 126 sono stati ammoniti, 38 censurati, 22 multati e soltanto 6 rimossi. Nessun ordine professionale ha una casistica di autointervento sui propri iscritti così blanda.

Che un magistrato sia infallibile, sempre in buona fede e comunque in sé, è una leggenda da sfatare. Sono uomini come tutti, con i loro limiti e convinzioni. Da oggi pubblichiamo una serie di storie raccolte dal collega Stefano Zurlo che i giornali gazzette delle Procure si guardano bene dal raccontare. Partiamo con tre casi: quello del giudice che non paga il conto al ristorante e in risposta alle proteste del gestore manda i carabinieri, quello del pm che chiede l’elemosina sotto il tribunale e che pur giudicata incapace di intendere e volere resta al suo posto, e quello del pm che fa ipnotizzare un imputato per saperne di più.
Siamo d’accordo: nessuna legge ad personam, ma per favore una legge sì, e subito. Il Giornale, 5 marzo 2011

TEDESCO SFIDA VENDOLA:”PERCHE’ IO IN CELLA? LUI E’ UN PRIVILEGIATO

Pubblicato il 4 marzo, 2011 in Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

Lo sfogo dell’ex assessore Pd che rischia l’arresto per la sanitopoli pugliese. “Sulle nomine Asl hanno accusato me di concussione, lui no”

E chi deve capire, capisca: «La fattispecie del reato era pressoché identica e i fatti contestati erano sovrapponibili al 90 per cento.Evidentemente c’è un atteggiamen­to diverso da parte dei procuratori, e fran­camente non riesco a capire perché». Le parole dell’ex assessore Alberto Tedesco, diventato senatore del Pd dopo le sue di­missioni dalla giunta Vendola, alle prime avvisaglie di un epilogo devastante dell’in­chiesta sulla malasanità pugliese, sono in­dirizzate proprio al governatore. Un mes­saggio diretto al «presidente Vendola», al­l’ «amico» Nichi, al «mio candidato» che, ribadisce il senatore sotto richiesta d’arre­sto da parte del gip di Bari, personalmente ha appoggiato in due distinte occasioni elettorali. Riuscendo persino, alle ultime consultazioni, nel 2009, a convincere lo scettico D’Alema che non era affatto con­vinto di voler concedere il bis al leader di Sinistra e Libertà.

L’atto d’accusa di Tedesco colpisce ovvia­mente la magistratura barese che a suo di­re (ma lo scrive anche il gip De Benedictis, proprio nell’ordinanza con cui chiede l’au­torizzazione per l’arresto dell’ex assesso­re) avrebbe valutato in modi diversi episo­di praticamente identici evidenziati dalle informative dei carabinieri. La vicenda esa­m­inata riguardava una rimozione e una no­mina nella Asl di Lecce. E i pm avevano ini­zialmente contestato a Tedesco la concus­sione, mentre su Vendola, che a quei «mo­vimenti » diede il suo assenso, non imputa­no che un legittimo, seppur criticabile, spoil system . Poi cambiano i reati, viene contestato l’abuso d’ufficio e non la con­cussione. Ma quasi in contemporanea per quell’episodio nella Asl salentina Vendola viene archiviato dal gip Di Paola, mentre un altro gip, De Benedictis, appunto, ritie­ne sussistenti i gravi indizi di colpevolezza. I dubbi, dunque, non sono solo di Tede­sco. Che ora, sulla graticola, si mostra più che mai insofferente per le prese di distan­za dei suoi «ex» amici. Non solo Vendola, appunto, ma anche Michele Emiliano, sin­daco di Bari e, secondo quanto disse Ven­dola nel suo interrogatorio con i pm, gran­de sponsor e «blindatore» di Tedesco come responsabile della Sanità pugliese, alla fac­cia del conflitto d’interesse (i figli del sena­tore sono, da sempre, molto attivi nel busi­ness delle protesi).

Ed ecco dunque Tedesco partire all’attac­co, intervistato dal Tg1. «Quanto a Nichi Vendola- scandisce il politico appena auto­sospeso dal Pd- i miei rapporti si sono inter­ro­tti improvvisamente il giorno dopo la rie­lezione di Vendola a governatore della Pu­glia, dopo che ho fatto per la seconda volta la campagna elettorale per lui, esprimen­domi a suo favore, anche interloquendo di­rettamente con il presidente D’Alema che non era convinto di questa ricandidatura». La storia è nota:il Pd non vorrebbe accredi­­tare l’ascesa politica di Vendola, spinto dal­la base nonostante i disastri sanitari del suo primo quadriennio da governatore. Te­desco, che a febbraio s’era fatto da parte do­po aver saputo che era indagato, dice di es­sersi speso per il «suo» presidente. Che og­gi gli volta le spalle. Come pure Emiliano. I due? Per Tedesco «Sono due facce della stessa medaglia. Ti blandiscono, ti inseguo­no quando puoi essere utile a una causa, e naturalmente poi ti scaricano immediata­mente ». Ogni riferimento ai distinguo del­l’ultim’ora, e all’atteggiamento ondivago del Pd sulla posizione da prendere per l’ar­­resto, non sono nient’affatto casuali. Invece di difendersi dalle accuse di aver costruito un sistema di malaffare nel settore di riferimento del suo assessorato, Tedesco sfrutta le telecamere del telegiornale di Min­zolini per togliersi i proverbiali sassolini dal­le scarpe, e per lanciarli contro gli ex alleati. Un messaggio, forse, diretto anche ai vertici del Pd (e più precisamente a D’Alema) che appaiono in imbarazzo sulla posizione da prendere sulla richiesta d’arresto per il sena­tore. Baffino, finora, sulla scottante storia pugliese ha solo cercato di salvare se stesso, prendendo le distanze dall’imprenditore Tarantini, quello che portava escort al vice di Vendola, Frisullo, e a palazzo Grazioli (ri­cordate la D’Addario?). E tacendo su Tede­sco, che pure era un suo fedelissimo. Ora, sull’onda giustizialista di Ruby,il partito de­mocratico sembra essere tornato quello dei tempi dell’ex governatore Ottaviano Del Turco, ammanettato e scaricato politica­mente prim’ancora che quell’inchiesta sul­la malasanità abruzzese evidenziasse ag­ghiaccianti anomalie. Sull’arresto del suo senatore il Pd non sa davvero che pesci pren­dere. E quel «messaggio» in codice al Tg1 complica maledettamente le cose. Fonte: Il Giornale, 4 marzo 2011