Archivio per la categoria ‘Giustizia’

LA CASA DI MONTECARLO: FINI ANDRA’ DA INDAGATO AL PRIMO CONGRESSO DEL SUO PARTITO PERSONALE

Pubblicato il 3 febbraio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Gian Marco Chiocci – Massimo Malpica

Ha sbagliato i calcoli un’altra volta. Travolto dallo scandalo della casa di Montecarlo (di proprietà del cognato Giancarlo Tulliani) il presidente della Camera era certo di presentarsi al congresso fondativo del Fli dell’11 febbraio libero dalla pendenza giudiziaria che lo vede a tutt’oggi sott’inchiesta per truffa. E invece, purtroppo per lui, l’indagato neo-giustizialista Gianfranco Fini, quello che dispensa consigli all’indagato Berlusconi, arriverà all’appuntamento con quest’onta poiché il gip Figliolia ha preferito rimandare al 2 marzo la decisione sull’archiviazione richiesta da una procura sin qui molto attenta a non esporre alla gogna mediatica e giudiziaria l’ex delfino di Giorgio Almirante. Sarà dunque curioso vedere come si comporterà il Grande Moralizzatore di fronte ai suoi fedelissimi, lui che da un po’ di tempo ha scoperto una vena giustizialista «che – per dirla con Storace – porta a chiedere le dimissioni di chiunque sia sotto indagine. Se crede nelle parole che pronuncia, questo è il momento di far seguire i fatti».
Ieri mattina bastava mettere a confronto le facce degli autori dell’esposto de la Destra (Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte) con quella, attonita, dell’avvocato-deputato finiano Giuseppe Consolo, per capire come la decisione del gip abbia scombussolato i piani del massimo inquilino di Montecitorio che dal 28 luglio, giorno dello scoop del Giornale sull’appartamento monegasco, si è espresso in ogni sede possibile, per 48 volte, a favore della magistratura. Il giudice ha accolto l’istanza presentata dall’avvocatessa Mara Ebano per conto dei denuncianti de La Destra per vagliare la documentazione proveniente da Santa Lucia che i solerti pubblici ministeri avevano invece bollato come «irrilevante».
Ora non sappiamo se corrisponda al vero quel che minaccia Storace («in questo mese sarà possibile produrre ulteriore documentazione e Fini resterà indagato») ma è sicuro che da Montecarlo rischiano di uscire, a brevissimo, ulteriori rivelazioni sull’affaire immobiliare del Principato. Se saranno rilevanti per la decisione del gip è presto per dirlo. Di sicuro potrebbero avere una certa attinenza col filmato del Tg1 – preannunciato ieri dai ricorrenti contro la richiesta d’archiviazione – nel quale l’imprenditore italomonegasco Garzelli riferisce di aver ricevuto mandato direttamente dal principe Alberto di mettersi a disposizione dell’autorità giudiziaria. Nell’intervista alla tv di Stato Garzelli parla dei suoi rapporti con Tulliani e con la sorella Elisabetta per la sistemazione dell’alloggio al 14 di rue Boulevard Charlotte, e rileva che in una telefonata il cognato più famoso d’Italia gli disse che il giorno prima Fini e la compagna erano stati a Montecarlo e si erano lamentati per aver trovato la casa non abitabile. Se le cose stanno come le racconta Garzelli, siamo di fronte a un altro testimone che smentisce Fini sulla sua presenza a Montecarlo. Il Giornale, 3 febbraio 2011

IL BRACCIO VIOLENTO DEI MAGISTRATI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 2 febbraio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il braccio violento della magistratura ieri ha col­pito noi del Giornale . Una bravissima colle­ga, Anna Maria Greco, è sta­ta svegliata da poliziotti in­viati da una pm di Roma. Gli uomini della Procura so­no entrati nella sua camera da letto, l’hanno fatta spo­gliare e hanno eseguito una perquisizione corporale. Sotto la sua biancheria cer­cavano le fonti di una noti­zia, quella che la cronista ha portato e pubblicato sul Giornale nei giorni scorsi. Come mai tanta ferocia? Semplice, la notizia non ri­guardava Berlusconi, non svelava segreti personali di qualche politico di centro­destra, ma interessava Ilda Boccassini, la pm di Milano impegnata nella caccia al premier sul caso Ruby.

Par­liamo non di gossip, ma di atti giudiziari, quelli del pro­cesso cui fu sottoposta la Boccassini anni fa perché sorpresa in atteggiamenti imbarazzanti in luogo pub­blic­o con un giornalista di si­nistra. In un Paese dove i pm foraggiano regolarmen­te giornalisti amici, alla fac­cia del segreto istruttorio, non è possibile pubblicare notizie che la casta delle to­ghe non voglia. Anche se ve­r­e dalla prima all’ultima pa­rola. Quello di ieri non è stato soltanto un attentato alla li­bertà di stampa.

È stato un atto di violenza privata ordi­nato da una donna, la pm di Roma,contro un’altra don­na in nome di un’altra don­na (la Boccassini). Cioè la giustizia trasformata in un fatto personale, una squalli­da e vigliacca vendetta, per­petuata con l’uso della for­za dello Stato. Questa pm non è un magistrato, si com­porta da mascalzona che abusa del suo potere: fa toc­care una donna giornalista, fa sequestrare i computer di suo figlio, curiosa nella vi­ta degli altri senza motivo. Che cosa pensava di trova­re la maestrina del diritto? Un indizio sulle fonti delle nostre notizie? Povera illu­sa, lei e quegli arroganti di Repubblica che due giorni fa hanno aizzato, per nome e per conto della Procura di Milano, i magistrati a darci la caccia indicando la possi­bile talpa all’interno del Csm. Roba da radiazione dall’Ordine dei giornalisti, che ovviamente non ci sarà perché fra prepotenti ci si protegge. Ormai siamo alla dittatu­ra delle Procure.

Che deci­dono che cosa si deve pub­blicare sui giornali. Via libe­r­a a tutto quello che può in­fangare Berlusconi e il suo governo, nulla che possa gettare un’ombra su lorsi­gnori. La Boccassini amo­reggiava con un giornalista in luogo pubblico e per que­sto è finita sotto processo? Che cosa pretendevano, di tenerlo segreto? Mi spiace per loro, non è stato così e non sarà così in futuro. I ma­gistrati hanno già tante im­munità, non saremo noi a rendere il loro scudo tom­bale. Scriveremo tutto ciò che riusciremo ad accertare, e penso anche molto presto. Ci arrestino, se credono, questi pm senza senso del­lo Stato che continuano a chiudere gli occhi davanti allo scempio perpetuato ogni giorno dai giornalisti amici. Non mi meraviglie­rei visto che ieri sono arriva­ti a indagare un ministro, Frattini, per un discorso pronunciato davanti al Se­nato, pur di tentare di salva­re la faccia all’amico Fini. Se così siam messi, della magistratura non possia­mo avere più né rispetto né fiducia. Il Giornale, 2 febbraio 2011

……………….E’ superfluo, ma ugulmente esprimiamo tutta la nostra solidarietà al Giornale, alla giornalista Annamaria Greco, al direttore Akessandro Sallusti, e con loro ci dmandiamo: possono i magistrati considerarsi non più un Ordine come stabilisce la Costituzione e trasformarsi in un Potere che scavalca anche la volontà popolare in un sistema di democrazia rappresentativa? Certamente no, ma asta accadendo e tutti, davvero tutti, dobbiamo preoccuparcene. g.

LA GIORNALISTA DEL GIORNALE ANNA MARIA GRECO: IO, PERQUISITA ALL’ALBA A CASA E COSTRETTA PERSINO A SPOGLIARMI

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

La giornalista racconta in un file audio la perquisizione subita questa mattina per l’articolo pubblicato sul pm Ilda Boccassini (cronaca). “E’ stata un’esperienza allucinante. Le forze dell’ordine avevano avuto mandato di compiere anche perquisizioni corporali. Hanno rovistato nella mia biancheria intima”. FILE AUDIO ASCOLTA LA SUA TESTIMONIANZA

Trattata come uno dei peggiori criminali: i carabinieri in casa a cercare tra le carte e i computer, i famigliari impauriti, la perquisizione personale per trovare “prove” anche nella biancheria intima. La nostra collega Anna Maria Greco racconta in un file audio la perquisizione subita questa mattina per l’articolo pubblicato sul pm Ilda Boccassini. “E’ stata un’esperienza allucinante – racconta la giornalista che da quindici anni si occupa di Giudiziaria per il Giornale -  le forze dell’ordine avevano avuto mandato di compiere anche perquisizioni corporali. Hanno rovistato nella mia biancheria intima”. Poi precisa i particolari: “Sono arrivati all’alba e mi hanno costretta a spogliarmi. Volevano verificare che non nascondessi documenti nella biancheria intima”.

Il racconto dell’odissea La nostra cronista racconta l’odissea terminata solo nel tardo pomeriggio. “Mi sembra tutto un quadro mai visto – racconta la nostra giornalista – è un attentato alla nostra professione. Se non si può più pubblicare atti che io ritengo non coperti da segreto, atti vecchi di trent’anni, parte di un procedimento chiuso, è chiaro che c’è un attacco al nostro lavoro”. “Quel che poi mi sembra ancor più grave – aggiunge la Greco – è la denuncia fatta di una mia presunta fonte, e il mio nome sbattuto in prima pagina da un collega di un altro giornale, che mi ha additato prima ancora che vi fosse qualsiasi azione giudiziaria. E’ una guerra fra colleghi. Chi ne uscirà male, alla fine, lo ripeto, è la nostra professione”. “Questa mattina sono stata svegliata dai carabinieri – racconta ancora la cronista ripercorrendo l’odissea vissuta oggi – hanno perquisito la mia abitazione, prima delle 9, e poi siamo andati in redazione”. FONTE: IL GIORNALE, 1 FEBBRAIO 2011

……………….Cosa  aggiungere alla drammatica testimonianza della giornalista del Giornale trattata come una delinquente comune, come una terrorista, solo per aver scritto un articolo sulla PM di Milano Ilde Boccassini non riportando fatti falsi ma fatti veri, oggetto di un procedimento disciplinare vecchio di 30 anni? Siamo alla frutta o al delirio di onnipotenza di una certa magistratura politicizzata che spinge il Paese sempre di più verso una deriva poliziesca. Solo in un regime di tal fatta potrebbe accadere ciò che oggi è accaduto alla giornalista Greco come l’altro ieri capitò ai giornalisti Porro e Sallusti, anch’essi perquisiti all’alba sino nelle mutande alla ricerca forsennata e ossessiva delle “prove”, quella volta per un presunto dossieraggio sulla Marcegaglia che si rivelò una bufala. Nell’America di Nixon mai un magistrato osò perquisire la sede del Wasghinton Post o la casa dei due giornalisti di quel giornale  che con la loro inchiesta costrinsero il capo della più potente e trasparente democrazia del mondo a dimettersi. In Italia avvengono cose che ci fanno rabbrividire e che ci fanno temere sempre più per le nsotre libertà individuali e per i nostri diritti fondamentali tra cui c’è quello che nessuno, ripetiamo, nessuno è al di sopra degli altri. g.

LA PERQUISIZIONE AL GIORNALE: “STATO DI POLIZIA, CENSURA”. ANCHE IL PD S’INDIGNA

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Dure le reazioni della politica alle perquisizioni ordinate dai pm romani nella redazione romana del nostro quotidiano e nell’abitazione privata della nostra giornalista . Indignazione anche da sinistra. Severe critiche da Merlo (Pd) e Giulietti (Articolo 21). Nucara parla di “stato di polizia”. L’ordine dei giornalisti del Lazio: “Un provvedimento che sa di censura

Per una volta si indignano anche a sinistra per la perquisizione a casa e in redazione della cronista del Giornale, Anna Maria Greco. “È una strana perquisizione quella avvenuta nella sede del Giornale. Del resto, le perquisizioni nelle sedi dei giornali sono sempre inquietanti e preoccupanti, qualunque giornale sia. Ma nello scontro sempre più violento e radicale tra la politica e la magistratura, non credo che debbano pagarne le conseguenze anche i giornalisti. Comunque, le perquisizioni nelle redazioni dei giornali sono sempre una brutta pagina per la democrazia e per la libertà di in formazione” dice Giorgio Merlo, Pd, vice presidente Commissione Vigilanza Rai. Dalla stessa parte anche Giuseppe Giulietti, di Artciolo 21: “Le perquisizioni nella sede dei giornali non ci piacciono mai e dunque non ci piacciono neppure quelle nella sede de il Giornale. Allo stesso modo tuttavia non ci piace né il metodo Boffo né quello Bocassini e tanto un meno un conflitto di interessi che diventa manganello da sbattere sulla testa di chi non piace al presidente del consiglio editore. Forse le perquisizioni, per essere efficaci, dovrebbero svolgersi in altri palazzi e non in redazione”.

Cicchitto attacca “Ho già avuto modo di dire che sono contrario a ogni speculazione sulla vita privata, sia che investa con centinaia di intercettazioni Berlusconi, sia che riguardi rivelazioni su episodi personali riguardanti la Boccassini” dice Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. “Detto questo, però, il meccanismo investigativo che oggi colpisce così duramente il Giornale, in quanto tale, e la giornalista Anna Maria Greco è del tutto inaccettabile e gravissimo, poiché rappresenta un autentico attentato alla libertà di stampa che deriva chiaramente dalla logica aberrante dei due pesi e delle due misure. In passato, infatti, di fronte a plateali violazioni del segreto istruttorio non c’è stato (salvo rare eccezioni) alcun intervento della magistratura. Del tutto inusitato, al limite dell’incredibile, è il trattamento riservato ad un membro del Csm, che non credo abbia precedenti nella storia della Repubblica. Più in generale, è ancor più incredibile il ben diverso trattamento riservato da un lato al Giornale e dall’altro alle testate di opposta collocazione politica”.

Nucara parla di stato di polizia “Si perquisiscono le abitazioni dei giornalisti. Si intercettano i cittadini e si inibiscono i politici. Le libertà non contano nulla. Siamo a un passo dallo stato di polizia” dichiara il segretario del Pri, Francesco Nucara, commentando la perquisizione dell’abitazione della nostra Greco e della redazione de Il Giornale. Nucara esprime inoltre “piena solidarietà” alla Greco.

L’ordine parla di censura “La perquisizione nella sede di un giornale lascia sempre l’amaro in bocca perché sa di censura, di limitazione al diritto di cronaca”. Così Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma commenta il fatto del giorno. “Un’altra perquisizione nella sede di un quotidiano. Non è la prima, né purtroppo, sarà l’ultima. Stavolta ne ha fatto le spese il Giornale, ‘reo’ di aver pubblicato una notizia che aveva un suo fondamento di verità. Dov’è il peccato? – chiede Tucci – Dove la scorrettezza? Quale tipo di reato hanno commesso i colleghi?. Qui non è in gioco né la destra, né la sinistra. Né la maggioranza o l’opposizione – conclude -. È in gioco la libertà di stampa che in un paese civile e democratico non può mai essere messa in dubbio”.

I senatori del Pdl La notizia della perquisizione nell’abitazione della cronista del Giornale e nella redazione del nostro quotidiano dopo la pubblicazione di documenti riguardanti il pm di Milano, Ilda Boccassini, ha suscitato un coro di proteste dei senatori del Pdl. “Un’iniziativa scandalosa. Le perquisizioni al Giornale della procura di Roma per aver pubblicato un articolo sugli amori boccacceschi della dottoressa Boccassini dimostrano ancora una volta l’atteggiamento vessatorio di una certa magistratura” protesta il senatore Achille Totaro mentre il vicecapogruppo Francesco Casoli parla di “intimidazioni degne della peggior dittatura comunista” nei confronti dei cronisti del Giornale invocando analoghe azioni della magistratura verso “quei giornalisti di testate di sinistra, perennemente impuniti, che passano regolarmente notizie e fango su indagini su Berlusconi”. Secondo il senatore Cosimo Izzo, “è partita la caccia contro chi si oppone al potere delle procure rosse” e “le perquisizioni sono una chiara intimidazione alla libertà di stampa e al diritto di cronaca. Mentre dalle pagine dei giornali di sinistra – sostiene Izzo – è consentito rovesciare vagonate di fango sul presidente Berlusconi in spregio a qualsiasi segreto istruttorio, il Giornale viene violato per aver scritto di una vicenda vecchia e datata”. “Chi tocca la magistratura di sinistra muore” sostiene la senatrice Laura Bianconi che si chiede “come mai questo stesso rigore non sia stato utilizzato per altri giornali, come la Repubblica, il Fatto o l’Espresso che per settimane hanno pubblicato notizie coperte dal segreto istruttorio”.

……………Il presidente Napolitano che pare stia soffrendo per lo scontro sempre più eclatante tra le istituzioni,  perchè non interviene per fermare l’azione devastatrice di certa magistratura che è invasiva e perniciosa delle altrui lenzuola e quando si tratta delle proprie innalza la baionetta? Tra l’altro, presso il CSM i carabinieri per ordine della Procura di Roma hanno apposto i sigilli agli uffici del consigliere del CSM leghista Brigandi accusato di essere stato la talpa che avrebbe passato alla giornalista del Giornale le notizie sullla azione disciplinare cui fu sottoposta 30 anni fa la PM Ilde Boccassini. E ove pure così fosse, neanche un segreto atomico rimane tale dopo 30 anni. Del resto, perchè  sappiamo tutto di tutti ma non possiamo sapere della Boccassini e dei suoi amori giornalistici? g.

CASO RUBY: IL COLLOQUIO IMMAGINARIO TRA LA PM BOCCASSINI E BERLUSCONI, di Vittorio Sgarbi

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

“Le nostre coordinate sono la le­galità, l’obbligatorietà dell’azio­ne penale e l’uguaglianza dei cit­tadini di fronte alla legge in un quadro di Stato di diritto”. Sono parole del procuratore generale di Milano Manlio Minale. Pren­diamole per buone. E valutiamo le circostanze. Il reato di cui deve rispondere il presidente del Consiglio, e lui solo, è prostituzione con una minorenne.

Alcune intercettazioni, vaghe, affiancate ad altre relative a un clima di disponibilità sessuale di alcune maggiorenni, potrebbero dare consistenza a questa ipotesi di reato. Ma è evidente a tutti, con riferimento al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge proclamato da Minale, che Silvio Berlusconi non è l’unico maggiorenne che avrebbe potuto avere rapporti sessuali con Ruby. Alcune esplicite telefonate fanno riferimento a «clienti» e a pagamenti per prestazioni.

Dunque vi sono altri attori di questo reato e altri, numerosi, indagabili. Vi risulta che sia stata aperta un’inchiesta, in nome della conclamata «obbligatorietà dell’azione penale»? Eppure non sarà impossibile, e neanche difficile, attraverso utenze telefoniche e testimonianze, risalire ad altri «clienti» della minorenne, ovvero ad altri supposti criminali. Qualcuno dirà: ma il presidente del Consiglio ha telefonato in questura per aiutarla, scoprendo il suo interesse. Peggio, osserveremmo gli altri che l’hanno usata senza aiutarla. Infatti Ruby non solo non ha denunciato Berlusconi, ma lo ha liberamente e spontaneamente assimilato alla Caritas, intendendo che le aveva fatto soltanto del bene. Se, quindi, da una parte lui nega d’aver avuto rapporti; dall’altra lei lo riconosce come benefattore, dov’è il reato?

O dovremo pensare che se suor Rita Giarretta e le suore Orsoline del Santo Cuore di Maria, che gridano contro Erode, aiutano e assistono una giovane, che si mostra loro riconoscente, possono rischiare di essere indagate dalla Boccassini? Allo stato,l’apparente paradosso vede una vittima che non si sente tale, e per difendere la quale si apre un’inchiesta. Ma non è giustizia, converrà Minale, quella che fa pagare a uno, scelto per avversione politica, le colpe di molti, evidenti, dimostrabili e protetti dall’azione penale per una evidente ipotesi di corruzione, o di omissione di atti di ufficio della magistratura inquirente. In termini tecnici quella che si impone a Silvio Berlusconi non è una azione giudiziaria, da cui altri sono miracolosamente preservati (pur essendo i loro nomi certamente registrati e identificabili nei tabulati telefonici), ma una ordalia.

Si chiede a Berlusconi di dimostrare che ha fatto quello che non ha fatto, in una prova del fuoco, «per un giudizio di Dio» che vede e sa ciò che gli uomini non vedono e non sanno. Nell’ordalia milanese (e quindi di discendenza longobarda) l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato vengono stabilite sottoponendolo a una prova dolorosa o a un duello. È esattamente quello che sta accadendo con lo sputtanamento mediatico e la continua esortazione a presentarsi ai giudici per farsi processare in un duello senza esclusione di colpi e con vergognose intercettazioni di conversazioni private e di sfoghi di ragazze Somma iniuria .

È questo il passaggio ritenuto obbligatorio per mostrare il rispetto delle regole, requisito necessario per un uomo di Stato. Così dichiara, per esempio, il liberto berlusconiano Pisanu, e però lui, come altri, sembra dimenticare un principio cardine della Costituzione e l’indipendenza e l’autonomia dei poteri. E come può essere garantita, perduta l’immunità parlamentare, quando un potere, arbitrariamente decide di prevalere e di incriminare? Dico arbitrariamente perché l’inchiesta si apre su uno e non su altri possibili responsabili dello stesso reato, facendogli scontare la differenza: incrimino te, in quanto presidente del Consiglio, gli altri non mi interessano. Evidente discriminazione. Evidente abuso, evidente violazione dell’autonomia del potere esecutivo.

Cosa vuol dire: «Berlusconi chiarisca la sua posizione davanti ai magistrati ». Quale posizione? Quella è già chiarita, da una parte e dall’altra, con inequivocabili testimonianze. Non si vuole che Berlusconi chiarisca, si vuole da lui un atto di sottomissione. Da lui, come presidente del Consiglio, chiamato davanti a un tribunale supremo, in evidente contrasto con l’autonomia dei poteri prevista dalla Costituzione. Non importa quello che Berlusconi dirà. Si pretende che, in nome del popolo italiano, egli si presenti. Lo si vuole spogliare della sua dignità politica di presidente del Consiglio e di deputato per ridurlo a imputato, meno uguale degli altri che imputati non sono e non sono stati.

La loro «posizione» non interessa. La magistratura vuole avere il dominio del campo, giocare in casa. Il rito ben conosciuto da Berlusconi che lo ha applicato nei rapporti con gli alleati, invitandoli a discutere e a trattare sempre a casa sua. Per il «dominio del campo» appunto. Tutti sono andati a casa sua, Casini, Fini, Bossi, Dini, Mastella e anche Martinazzoli, Segni. In sedi parallele e alternative a Palazzo Chigi (Arcore, Palazzo Grazioli), anche ministri e presidenti della Camera e del Senato; lui non è mai andato a casa loro. Conosciamo le dimore del presidente del Consiglio, non quelle dei suoi alleati ministri. Allo stesso modo i magistrati lo vogliono nel «loro» palazzo.

Per dargli ordini, per controllarlo in spazi definiti e conosciuti: «Imputato alzatevi!». E a quali domande dovrebbe rispondere o, persino, avvalersi della facoltà di non rispondere? Possiamo immaginare l’interrogatorio. Ilda Boccassini: «Declini le sue generalità ». L’imputato: «Silvio Berlusconi nato a Milano il 29 settembre 1936».
I.B : «Professione?». S.B : «Capo del governo». I.B : «Lei conosce detta Ruby? ». S.B : «Sì». I.B : «Le risulta che fosse minorenne al tempo del vostro primo incontro?». S.B : «No. Mi disse di avere 24 anni». I.B : «Ha fatto sesso con lei pagandola?». S.B : «No. Non l’ho toccata e aggiungo che era alta 15 centimetri più di me. L’ho ammirata danzare, come Salomé. Capisco le ragioni di Erode ma anche quelle del Battista». I.B : «Non avete mai avuto rapporti sessuali». S.B : «Mai». I.B : «Risultano però versamenti a suo favore. Come li giustifica?». S.B : «Sono regali, manifestazioni di generosità e di affetto. Come ai miei figli.D’altra parte, Ruby, come altre, potevano tranquillamente lavorare in trasmissioni televisive con regolare contratto, come alle “Pupe e i secchioni”e a “Uomini e donne” e, finite le registrazioni, venire con il loro agente a visitare il famoso e ammirato proprietario delle televisioni, come fa qualunque attrice con il produttore. Amicizia, divertimento, non sesso». I.B : «E perché telefonare alla questura per fare liberare Ruby?». S.B : «Per informarmi. Avendo il dubbio che fosse congiunta di Mubarak, mi preoccupai di impedire un possibile incidente diplomatico come quello occorso tra la Svizzera e la Libia dopo l’arresto a Ginevra del figlio di Gheddafi ». I.B : «Altro da dichiarare?». S.B : «Non ho capito di quale reato sono chiamato a rispondere». Questo, all’incirca è l’andamento dell’interrogatorio per offrire chiarimenti tanto cari a Pisanu. Difficile che possa venire fuori di più; e quello che Berlusconi potrebbe dire già lo sappiamo, ma dopo gli infiniti insulti, la mortificazione e l’umiliazione di ragazze che speravano, motivatamente, di poter lavorare in televisione, di avere trovato attenzione e protezione (senza essere in alcun modo prostitute, come sono state ingiustamente considerate), dopo le insostenibili oscenità di Giuseppe D’Avanzo, le ricostruzioni di serate di festa come orge, la demonizzazione del clima da discoteca senza particolari eccessi (abbiamo dimenticato la situazione nella quale fu trovato Lapo Elkann?), occorreva la sottomissione per manifesta condotta viziosa. Sono di Berlusconi ovviamente, gridando allo scandalo. In fondo c’è sempre qualcosa di sordido nel sesso. Ma non si discute quello di Mapplethorpe, Pasolini, Bacon, Withkin, Vendola. In questo caso riservatezza e rispetto della vita privata. D’altra parte si chiama privata. In un’altra intervista non immaginaria al membro del Csm e già procuratore della Repubblica di Venezia Vittorio Borraccetti abbiamo letto. D: «In questi anni l’abbiamo vista sempre impeccabile in giacca e cravatta nel suo ufficio. Com’è Borraccetti nella vita privata?». R: «Proprio perché è privata preferisco non parlarne. Solo una cosa le rivelo. Non amo molto le cravatte, preferisco le polo». Berlusconi in privato ascolta e fa ascoltare l’«Uccello di fuoco» anche alla sedicente nipote di Mubarak. La sua presenza gli ha incendiato la casa. È stata esplosiva. Oggi l’Egitto brucia.E supremo paradosso Mubarak salva Berlusconi. Fonte: Il Giornale, 1 febbraio 2011

LA MAGISTRATURA ITALIANA E’ INTOCCABILE NONOSTANTE I SUOI ERRORI COSTINO 400 MILIONI ALLE TASCHE DEI CITTADINI

Pubblicato il 30 gennaio, 2011 in Economia, Giustizia | No Comments »

di Anna Maria Greco

La Casta, com’è stata chiamata quella dei magistrati, difende se stessa con la giustizia «domestica» e corporativa. Quella del Csm, dove si celebrano i processi promossi dai titolari dell’azione disciplinare: il ministro della Giustizia e il Procuratore generale della Cassazione.
Nell’ultimo decennio in Italia la media dei magistrati colpiti dalla rimozione dall’ordine giudiziario per gravi illeciti disciplinari, è di 1,3 ogni anno. Tra il 2000 e il 2007 la sanzione più grave è stata applicata 6 volte, nel triennio 2008-2010 ha riguardato 7 toghe. Nel 2008 le sanzioni disciplinari di vario grado hanno colpito meno dello 0,5 per cento dei magistrati.
Per il Pg della Suprema Corte Vitaliano Esposito, che ne ha parlato all’inaugurazione dell’anno giudiziario, qualcosa sta cambiando. Ma rimane il fatto che l’altissimo numero degli esposti di privati cittadini, dice l’alto magistrato, «è la testimonianza più evidente dell’insoddisfazione, largamente diffusa, per il “servizio giustizia”». Delle 1.382 denunce arrivate lo scorso anno alla Procura generale ne risultano 573 di privati, anche se per Esposito in realtà sono molti di più per un errore di classificazione.
Le cause intentate dai cittadini vittime di ingiusta detenzione o errori giudiziari, negli ultimi 10 anni sono costate allo Stato italiano circa 400 milioni di euro.
A questa insoddisfazione dei cittadini, secondo il Pg, «non si può sempre ovviare con lo strumento disciplinare, concepito dal legislatore come rimedio specifico per reprimere situazioni di grave patologia comportamentale dei magistrati». Esposito sottolinea che ci sono «altri strumenti» nell’ordinamento per contrastare i comportamenti colpevoli dei magistrati.
Il problema è che leggi come quella sulla responsabilità civile delle toghe, rimangono lettera morta. E i dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia dicono che nella classifica della severità delle sanzioni applicate ai suoi membri, la magistratura italiana si trova al sesto posto fra i Paesi del Consiglio d’Europa.
Spesso non solo giudici e pm non pagano per inchieste basate sul nulla, violazioni dei criteri di competenza, dispendiose e spettacolari azioni che portano dopo anni ad archiviazioni, ma neppure questo ha riflessi sulla loro carriera politica, come dimostrano tanti casi di promozioni e normale scalata nella carriera malgrado curricula fortemente macchiati.
Nella recente riforma dell’ordinamento giudiziario si pone fine all’automatismo e si introducono le valutazioni periodiche di professionalità e produttività, ma il sistema è ben lontano dall’essere a regime. Ci vorrebbero, tra l’altro, gli standard di produttività delle toghe previste dalla legge. Per il settore civile, però, è partita in grave ritardo questo mese solo la prima sperimentazione in tre città (Bologna, Firenze e Caltanissetta), mentre per il penale siamo in alto mare.
Il Pg della Cassazione spiega che da due anni trasmette al Csm fascicoli da archiviare perché non sono stati individuati comportamenti illeciti, che però evidenziano «vistose cadute di professionalità, non solo tecnica», perché se ne tenga conto nella progressione di carriera e per l’attribuzione di incarichi direttivi. Ma è il Csm a decidere e la forza delle correnti a Palazzo de’ Marescialli è sempre forte.

Quello dei ritardi nel deposito delle sentenze è un problema enorme. Ed Esposito denuncia: «Non siamo più in grado neanche di pagare gli indennizzi dovuti per la violazione dei canoni di un giusto e celere processo (legge Pinto, ndr.». La Corte europea di Strasburgo ci ha condannato per 475 casi di ritardi nel pagamento dei risarcimenti: si è passati da quasi 4 milioni di euro del 2002 agli 81 del 2008, di cui ben 36,5 non ancora pagati. Esposito richiama i capi degli uffici giudiziari, chiede controlli maggiori per velocizzare i tempi della giustizia e smaltire l’arretrato che soffoca i tribunali. Ma sono richiami che sentiamo ogni anno e quasi sempre rimangono inascoltati. Fonte: Il Giornale, 30 gennaio 2011

DA NAPOLITANO SERVE CHIAREZZA. NON UN MONITO.

Pubblicato il 30 gennaio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Occhio al Quirinale. Dove il presidente della Repubblica, giustamente preoccupato per un marasma che non è più soltanto politico ma anche istituzionale, ha maturato la decisione di «dire e fare qualcosa», come hanno riferito ai giornali quanti lo frequentano abitualmente. Qualcuno si è anche avventurato ad anticipare date o circostanze dell’intervento del capo dello Stato incorrendo in una smentita: quella, per esempio, opposta ieri ad un quotidiano che aveva preannunciato per martedì prossimo una convocazione sul Colle dei presidenti dei due rami del Parlamento. Fra i quali peraltro si è appena consumato, sia pure a distanza, cioè per interposte persone, uno scontro durissimo per il maledetto affare finiano della casa di Montecarlo. Che nei giorni scorsi è approdato nell’aula di Palazzo Madama con una interrogazione parlamentare, assai scomoda per il presidente della Camera Gianfranco Fini, alla quale le opposizioni sostengono che il presidente del Senato Renato Schifani avesse concesso maliziosamente una corsia preferenziale non dovuta, con la complicità del ministro degli Esteri Franco Frattini. Ma, per non stare a ripetere cose ancora fresche di stampa, torniamo al Quirinale. Per fortuna Giorgio Napolitano era calvo già prima della sua elezione a capo dello Stato, il 10 maggio 2006. Sennò, i capelli gli sarebbero caduti in queste settimane per lo spavento procuratogli dalle cronache politiche e giudiziarie, che non risparmiano ormai niente e nessuno sull’accidentato terreno delle istituzioni.

Dove è comparsa la sigla internazionale che il direttore de Il Tempo Mario Sechi ha con ragione riproposto ai lettori mutuandola dal linguaggio termonucleare dei militari: Mad, che in italiano significa mutua distruzione assicurata. Abbiamo, fra l’altro, un presidente del Consiglio braccato contemporaneamente dal presidente della Camera, che ne reclama pubblicamente le dimissioni; dalle opposizioni parlamentari, che infornano mozioni di sfiducia come pane nel forno senza riuscire però a sfornarlo; dalla loro stampa fiancheggiatrice; da canali televisivi privati e pubblici, a dispetto della favola che gliene attribuisce un odioso controllo, e da una magistratura impegnata da anni a rivoltarne le aziende, gli affari e ora anche le lenzuola e le mutande. Abbiamo una Corte Costituzionale che prima accetta il ricorso ad una legge ordinaria, pur bocciandone il contenuto, per fornire al capo del governo ed altre fra le maggiori autorità dello Stato uno scudo giudiziario adatto non a cancellare ma a rinviare i processi a loro carico al momento in cui cesseranno dai loro incarichi, e poi boccia lo strumento della legge ordinaria quando le viene a tiro in un nuovo testo. Che il presidente della Repubblica non ha esitato a promulgare ritenendolo conforme, nei contenuti, alle indicazioni precedentemente espresse dagli stessi giudici costituzionali. Abbiamo un Consiglio Superiore della Magistratura, peraltro presieduto per norma costituzionale dallo stesso capo dello Stato, che con le cosiddette pratiche a tutela processa praticamente i politici che si permettono di criticare i magistrati ma non i magistrati che attaccano i politici, ne contestano le iniziative parlamentari e disattendono, con una interpretazione a dir poco fantasiosa, le leggi che il Parlamento osa approvare senza il consenso del sindacato delle toghe.

Abbiamo magistrati -sempre loro- che dovrebbero rispondere civilmente, cioè economicamente, dei loro errori per volontà espressa a stragrande maggioranza dal popolo in un referendum, ma che poi sono stati praticamente messi al riparo da una legge della quale non si può neppure ipotizzare, e tanto meno chiedere, una modifica senza essere tacciati di «eversione». Che è anche l’accusa mossa in questi giorni al presidente del Consiglio per avere contestato, come pure la legge gli consente, la competenza funzionale o territoriale, o entrambe, degli inquirenti milanesi che lo accusano di concussione, peraltro senza che vi sia un concusso dichiarato, e di prostituzione minorile, pur trattandosi di una minorenne, ora maggiorenne, che nega di aver fatto sesso con lui. A questo punto un intervento del capo dello Stato occorre veramente, e finalmente. Ma che non sia, per carità, l’ennesimo monito più o meno generico, che ormai non servirebbe più neppure a placare la sua coscienza. Ci vuole un intervento preciso, in cui si capisca chiaramente chi ha più torto o ragione.

«I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato» hanno certamente il loro giudice nella Corte Costituzionale, come dice l’articolo 134 della Carta della Repubblica, ma il loro arbitro politico nel capo dello Stato. Che si trova nella singolare situazione di gestire un capitolo forse ancora più drammatico e confuso di quello vissuto come presidente della Camera fra il 1992 e il 1994. Allora la magistratura -sempre lei- ghigliottinò la Prima Repubblica, non immaginando uno sbocco elettorale vinto da un incomodo chiamato Berlusconi: proprio lui, il Cavaliere. Francesco Damato, Il Tempo,30/01/2

L’IMPASSE DI BERLUSCONI: FACCIA LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA ALTRIMENTI RISCHIA DI CADERE

Pubblicato il 29 gennaio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Da due settimane ci ro­toliamo nella storia di Ruby. Ne ho fin so­pra i capelli. Ormai detesto i Tg, i talk show mi danno l’orticaria, apro malvo­lentieri i giornali. Perché arro­vellarci ancora sui festini di Arcore di cui conosciamo ogni dettaglio? I nemici han­no insultato il Cav in tutte le salse e ora sono a corto di ag­gettivi. Noi abbiamo fatto la nostra parte segnalando l’ipo­crisia delle toghe e i buchi dell’inchiesta fon­d­ata su ciance tele­foniche e confi­denze di ragazze allo sbando. Nulla c’è più da capire ma ci parliamo ad­dosso come se la faccenda fosse an­cora da esplorare. Mi viene da dire che stiamo ruban­do ai lettori il prez­zo del giornale se non fosse che stampa e tv sono solo lo specchio di una fabbri­ca di veleni che sta altrove. La vera colpa dell’impantana­mento è dei politici. Sono lo­ro che rimestano, trasfor­mando il Palazzo in un polla­io. Come in un raduno di beo­ni, si rinfacciano alla rinfusa le escort del Cav, la villa finia­na di Montecarlo, l’orecchi­no di Vendola, le banche di D’Alema, i trans di Marrazzo. Una rissa puerile che suscita pena. Che siano gli odiatori del Cav a razzolare, non meravi­glia. Bersani punta a cacciar­lo; Casini pensa di fare la mo­sca cocchiera d i u n centro destra orfa­no; Fini non pensa ma si uni­sce al coro. La speranza dei tre tordi è meravigliosamen­te riassunta da Rosy Bindi: «Berlusconi vada i n esilio su­bito e tra quindici anni gli chiederemo scusa». Dunque, d a loro, ci si deve aspettare tutto. M a che inve­ce sia il Cav – e dietro di lui i suoi – a rimuginare su Ruby, è una cretinata opposta al suo interesse. Sembra non capire che se non afferra il bandolo e mette fine alla ca­nizza, a rosolare sullo spiedo resta lui. Alla fine – ne sono certo – gli daranno ragione, m a a babbo morto. Così il pre­mier avrà perso l’unico treno che giustifica la sua presen­za a Palazzo Chigi: governa­re. L a smetta, i l Cav, d i rodersi e replicare agli attacchi col­p o s u colpo. Stia dieci gradi­n i più su, come s i conviene a l massimo responsabile del Paese, e s i getti l’inchiesta al­l e spalle, affidandosi agli av­vocati. Convochi oggi stesso – non domani – il Consiglio dei ministri e approvi tante d i quelle riforme d a imbottir­c i l a legislatura. Smaltisca i n una volta l’intero arretrato: riforma della Giustizia, quel­la federale, quella fiscale, il programma dei lavori pubbli­ci ecc. Vedrà che effetto stu­pefacente. Da subito, Ruby scomparirà dalle pagine dei giornali e dai palinsesti tv. E mentre noi c i sentiremo libe­rati, Santoro e Repubblica si precipiteranno a criticare il Consiglio dei ministri, le ri­forme, la miopia del governo e co­stringeranno Bersa­ni & co a inventare nuove invettive per ripetere la vecchia solfa. Ma vivaddio, s i tornerà alla politi­ca, al dibattito, a confrontarsi sulle cose. Sarà finalmen­te il governo a scri­vere lo spartito, non la solita toga astiosa. E stia anche certo il Cavaliere che s e lavora e diri­ge, sarà molto più difficile per i p m imbrigliarlo con in­chieste a capocchia. Un’inge­renza giudiziaria piena di malanimo può attecchire nell’opinione pubblica solo quando il governo batte la fiacca. S e invece è vigoroso e attivo, il magistrato userà cautela per non essere taccia­to di arbitrio. È una legge di natura che vale anche nei rapporti istituzionali: al de­bole v a i l peggio, a l forte l’ap­poggio. Credo di pensare quello che una parte dei lettori pen­sa. Infatti, mi regolo così: se l o provo io, l o sentiranno an­che loro. Non m i illudo però che i l Cav, dall’oggi a l doma­ni, metta fine al battibecco su Ruby soffocando i propri rancori per fare prevalere gli obiettivi che si era prefisso. N é credo, come h o fantastica­to, che convocherà ad horas uno storico Consiglio dei mi­nistri per trasforma­re l’Italia nel Paese liberale che h a pro­messo e dare final­mente a i suoi eletto­ri la soddisfazione attesa da lustri. Facciamo appello al governo e ai parla­mentari del centro­destra e diciamo quello che molti at­tendono: la ricrea­zione è finita, avete solo 3 0 mesi per farvi valere. Detto da altri apparirebbe una sortita polemica, detto da noi ha il suono di una voce che viene dal profondo del corpo elettorale. Siamo considerati «il gior­nale d i famiglia» – come s e gli altri fossero orfani di Cir, Fiat e Della Valle – e destinati perciò, secondo gli idioti, a stare un passo indietro ri­spetto al Cav. Dimostriamo che, quando serve, siamo noi a dare il là. Giancarlo Perna, Il Giornale, 29 gennaio 2011

IPOCRISIE IN TOGA, di Filippo Facci

Pubblicato il 29 gennaio, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

Ieri è stato inaugurato l’anno giudiziario, cerimonia che ogni anno che passa appare sempre di più una specie di rito funebre in memoeria di quella che fu la Giusitizia in Italia. Ieri il PG della Cassazione ha ribadito lo sfascio della giustizia in Italia e però ha ribadito la necessità del riserbo. Ecco il commento di Filippo Facci, opinionista fuori degli schemi.

Tanto varrebbe abolirle, queste pompose cerimonie dense di solenni auspici dei quali i destinatari se ne fregano regolarmente. È tutto l’anno, che è giudiziario: quello politico, istituzionale, mediatico, quello che in realtà viene inaugurato a settembre e dovrebbe essere officiato solennemente da tutti i suoi protagonisti: presenti i magistrati – certo – ma anche i politici, e i ministri, i giornalisti, i conduttori televisivi, insomma tutti gli attori del serial che prosegue da una vita. Berlusconi con la Boccassini, Santoro con Di Pietro, Bocchino con Ghedini: dovrebbero intervenire tutti alla cerimonia tra frizzi e lazzi, strizzando l’occhio al pubblico come per dire: vi faremo divertire anche quest’anno, a però anche quest’anno, ahinoi, scusateci, saremo costretti a rinviare l’ordinaria amministrazione di un Paese, la normalità democratica,  l’equa divisione del poteri, queste cose.
Ormai è surreale che si celebri questa messa mentre attorno scoppiano le granate: sembra l’ora del te chiamata in mezzo a un’orgia cannibalesca. Non c’è da prendersela con Vitaliano Esposito, il procuratore generale della Cassazione cui è toccato aprire la cerimonia e ripetere stancamente sempre le stesse-stesse-stesse cose: che la giustizia è al fallimento, che i tempi della giustizia eccetera, che manca questo e quest’altro, che l’organico bla bla. Ma lui queste cose deve dirle, fa soltanto il suo dovere, no? Ed è per dovere, chiaro, che anche quest’anno ha ripetuto la nenia del «dovuto riserbo» cui le toghe dovrebbero attenersi, e chi non lo fa «non si rende probabilmente conto che una notizia o un giudizio da lui riferita o espresso, data la funzione svolta, assume una rilevanza tutt’affatto diversa da quelli provenienti dalla generalità dei cittadini». E già, il problema è che il magistrato non se ne rende conto: ecco perché «al riserbo», ha detto il procuratore generale, «non sempre i magistrati si attengono». Davvero? Gli risulta questo? Tranquilli, il solito colpo al cerchio precede il solito colpo alla botte: «Questo non vuol significare una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Costituzione a tutti i cittadini; si vuol solo segnalare la necessità di riserbo, equilibrio e prudenza, ai quali deve essere improntato il comportamento dei magistrati anche fuori dall’esercizio delle funzioni».

Oh, dopo queste parole cambierà certamente tutto. Sono parole identiche a quelle ripetute come mantra a ogni Anno giudiziario, ma chissà, magari è la volta buona. E non dite che stesse riferendosi alla Procura di Milano e allo storico colabrodo che rende superfluo, ormai, separare l’irrilevante dal penalmente rilevante, le inchieste dai processi, i colpevoli dai prosciolti: è chiaro che non parlava di Boccassini e company. Sentite questa, per capirci: «La giustizia non ha bisogno di audience, ma di fiducioso rispetto», perché «desta perplessità» la partecipazione a talk show dove si ricostruiscono delitti alla «ricerca di una verità mediatica diversa da quella processuale». E ancora: «il Diritto non si applica nel dibattito sui media», altrimenti si incorre in «sanzioni disciplinari». Anche queste parole sono state pronunciate all’inaugurazione dell’Anno giudiziario: ma a quello dell’anno scorso. E l’anno scorso, poi, il ritornello fu lo stesso: è chiaro che non ci si riferiva a questo e quello, si parlava in generale. Cioè a nessuno, come quest’anno e come sempre: sono vacue dichiarazioni d’intenti che fotografano soltanto, nelle forme e nei toni,  la sacralità con cui la magistratura ammanta la propria separatezza dalla realtà. È il trionfo delle parole separate dai fatti, com’è sempre accaduto e come pure accadrà anche ’stavolta. I magistrati italiani, negli anni, hanno detto ogni cosa, fatto ogni piazzata, diffuso ogni cartaccia, scaldato ogni platea possibile scatenando le più varie reazioni: e mai una sola volta sono stati seriamente incolpati e puniti. Non lo sono stati per l’azione disciplinare promossa infinite volte dai ministri guardasigilli degli ultimi vent’anni, figurarsi se si è mai mosso seriamente il Csm. Cane non mangia cane, magistrato non punisce magistrato: però, ecco, fanno dei bellissimi discorsi alle aperture degli anni giudiziari.

Di importanti e sterili raccomandazioni pronunciate in occasioni analoghe, andando indietro negli anni, se ne trovano quante ne volete: e tutti ogni volta ad annuire, come no, certo, bravo, ha ragione. Seguiva qualche titolino di giornale. La reprimenda più dura, a proposito di paventati illeciti disciplinari,  forse rimane quella del 1994 a opera del procuratore generale presso la Corte Cassazione Vittorio Sgroj. Sentite un po’: «Ogni giorno», parole sue, «si assiste a una serie di condotte che, se non provenissero da magistrati che vanno spesso sui giornali, potrebbero interessare i titolari dell’azione disciplinare … In Italia esistono magistrati intoccabili che possono aver acquisito una immunità disciplinare per aver acquistato benemerenze. Mi chiedo quanto il titolare dell’azione disciplinare possa ritenersi libero di esercitarla senza essere accusato di ritorsione». Non male, considerando che era il 1994 e che Vittorio Sgroi , dato il suo ruolo, era peraltro il titolare dell’azione disciplinare. I giornali titolarono: «In Italia esistono magistrati intoccabili». E quali? È semplice, dati alla mano: tutti. Se poi sono milanesi, vabbeh. Filippo Facci

29/01/2011

IN GALERA CHI TOGLIE LA SPAZZATURA DA NAPOLI

Pubblicato il 29 gennaio, 2011 in Cronaca, Economia, Giustizia | No Comments »

I rifiuti invadono le strade di Napoli I prossimi funzionari pubblici che saranno chiamati a occuparsi della spazzatura napoletana, come d’ogni altro disastro ambientale provocato dall’incuria degli amministratori locali e dagli interessi della criminalità organizzata, saranno fortemente tentati di rifiutare. In alternativa potrebbero chiedere, in via cautelare, una casa all’estero, un conto nei paradisi fiscali e un passaporto diplomatico, in modo da potere scappare nel caso qualche procura decidesse che la colpa del disastro non è di chi lo ha provocato, ma di chi ha tentato di porvi rimedio. Quando la protezione civile fu chiamata a Napoli, cosa si pensava che potesse fare? Credevano che facessero sparire la mondezza per incanto, disintegrandola fuori dall’atmosfera terrestre? Avevano a che fare con discariche chiuse, sotto sequestro della magistratura o sature. Se così non fosse stato non si sarebbe provocata alcuna emergenza, semmai un accumulo, da smaltirsi in fretta e, tutto sommato, in modo semplice. Il problema è strutturale, invece, perché non si sapeva dove metterla.

Gli uomini al servizio dello Stato, un prefetto e il personale della protezione civile, avranno anche sbagliato, ma se fossero stati disponibili luoghi e modalità per fare sparire il tutto, nel rispetto formale e sostanziale della norma, semplicemente si sarebbe dovuto mandare al manicomio quanti non avevano provveduto prima. Hanno agito, quindi, in condizioni d’emergenza. Ricordo una telefonata fra di loro, raccolta dagli inquirenti e prontamente passata ai giornali (è il rito post moderno della malagiustizia medioevale), nel corso del quale uno diceva all’altro che in una tale discarica c’era ancora posto, si poteva usarla. Peccato che, codicilli alla mano, era da considerarsi satura. E allora? dovevano mangiarsela? Decisero di procedere, come avrebbe fatto qualsiasi persona sensata. O, meglio, qualsiasi sconsiderato che crede di adempiere ad un dovere e non ha fatto i conti con l’irresponsabilità di massa. Difatti, ora sono al gabbio. Accusati di reati ambientali, hanno perso la libertà. Di taluni si dice con il «beneficio» degli arresti domiciliari, come se fosse una scelta di bontà e non una modulazione relativa alla pericolosità sociale.

E la minaccia, per la collettività, non sono quanti hanno seppellito Napoli sotto al pattume, ma quanti hanno provato a rimuoverlo. Arrestati, dunque. Pensavano di scappare all’estero? No, erano a casa. Possono inquinare le prove? A parte il triste umorismo, relativo all’inquinamento dell’inquinamento, se la procura ha raccolto le prove non c’è nulla da inquinare. Come, del resto? Mica possono cambiare le carte del depuratore. Possono reiterare il reato? Tanto per fare un esempio, la dottoressa Marta Di Gennaro è in pensione. Al massimo può reiterare buttando qualche cartaccia lontano dai cestini. Però sono detenuti, le loro foto si trovano sui giornali, il loro nome infamato, a qualche anno di distanza da un qualsiasi processo e a imperituro monito di quanti s’azzardino a fare il proprio dovere guardando al risultato anziché alla forma. Serva d’esempio per le forze dell’ordine, cui già s’è portato quello di carabinieri impegnati a perseguire la mafia e processati (poi, molto poi, assolti) per mafia. Quindi, la (im)morale di questa storia è: il burocrate faccia il burocrate, si trinceri dietro la mezza manica e se ne freghi delle conseguenze per gli altri, quel che conta, per lui, è solo il rispetto scrupoloso, maniacale e immobilista di tutte le norme e regolamenti. Si blocca tutto, ma la procura non verrà a svegliarti e ammanettarti. Davide Giacalone, Il Tempo, 29/01/201