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L’ITALIA IN PROCURA, SI SALVI CHI PUO’

Pubblicato il 29 gennaio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Ripartono i processi al premier L’Italia è un tribunale all’aperto. Un’inchiesta in corso perenne. Politici, imprenditori, dipendenti pubblici, showgirl. Non si salva nessuno. Da Milano a Trani, passando per Firenze, Roma e Napoli: uno scandalo senza fine. L’ultima (ieri) è l’inchiesta sui rifiuti aperta dalla Procura di Napoli. Un terremoto giudiziario: 14 arresti e 38 indagati. Tra gli «eccellenti» finiti in manette l’ex prefetto Corrado Catenacci, l’ex braccio destro dell’ex sottosegretario alla Protezione Civile Guido Bertolaso, Marta Di Gennaro, e l’ex direttore generale del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini, ora commissario in Abruzzo. Tra gli indagati l’ex presidente della Campania Antonio Bassolino. Nel corso delle indagini è stata accertata l’esistenza di un accordo illecito tra pubblici funzionari e gestori di impianti di depurazione campani che ha consentito, per anni, lo sversamento in mare del «percolato» (un rifiuto liquido pericoloso prodotto dalle discariche di rifiuti solidi urbani), in violazione delle norme a tutela dell’ambiente. Ma è solo l’ultima. Al tribunale di Santa Maria Capua Vetere c’è il processo al coordinatore del Pdl campano Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Mentre a Firenze, a Perugia, a L’Aquila e a Roma è in scena l’inchiesta sui Grandi eventi. A processo il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, l’ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l’ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis e gli imprenditori Francesco Maria De Vito Piscicelli e Riccardi Fusi. Coinvolto anche l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Poi c’è l’indagine «Casa di Montecarlo». Protagonisti il presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini, e il cognato Giancarlo Tulliani. Il 2 febbraio ci sarà la camera di consiglio che dovrà decidere sulla richiesta di archiviazione per l’ex leader di An e il senatore Francesco Pontone, accusati di truffa aggravata.

Il tesoriere del partito e il presidente della Camera erano stati tirati in ballo per la casa lasciata in eredità ad An da una militante. L’immobile era stato poi venduto ad una società off shore che, a sua volta, l’aveva rivenduto a un’altra società. Il «passaggio» sarebbe avvenuto ad un prezzo più basso rispetto ai valori di mercato e a beneficiare di ciò sarebbe stato Giancarlo Tulliani, misterioso inquilino (e proprietario) di quell’abitazione. A quanto sembra, però, finirà tutto in una bolla di sapone. Il contenuto degli atti inviati dal governo di Santa Lucia sulla titolarità delle società che si sono succedute nella proprietà dell’immobile «appare del tutto irrilevante circa il thema decidendum» sostiene la Procura di Roma. Poi ci sono i processi del premier. Attendono Berlusconi sia la richiesta di giudizio immediato per il caso Ruby sia la ripresa di altri tre procedimenti. L’intenzione della Procura di Milano, è di chiedere in tempi brevissimi, «presto, prestissimo», il processo per il Cavaliere in relazione alle accuse di concussione di funzionari della Polizia e prostituzione minorile, nell’ambito dell’inchiesta sulle feste ad Arcore che vede indagati anche il giornalista Emilio Fede, Lele Mora e la consigliera regionale lombarda Nicole Minetti. A metà febbraio i pubblici ministeri Boccassini, Forno e Sangermano potrebbero notificargli i capi d’imputazione riassuntivi del quadro di indizi e prove raccolti negli ultimi mesi e meritevoli, a loro avviso, di essere approfonditi in un processo col rito immediato.

Prima di allora però c’è un’altra data importante per Berlusconi: martedì, quando la Minetti, accusata di favoreggiamento della prostituzione, si presenterà davanti ai magistrati. Passiamo a Mediaset. Sarà celebrato dai vecchi giudici il processo sui diritti tv in cui Berlusconi risponde di frode fiscale. Il Csm, su richiesta del presidente del tribunale di Milano Livia Pomodoro, ha riapplicato per sei mesi rinnovabili i giudici che erano stati trasferiti ad altri incarichi, il presidente del collegio Davossa che è presidente del tribunale di La Spezia, e i giudici a latere Guadagnino e Lupo andati nel frattempo in altre sezioni del tribunale. Il processo riprenderà il 28 febbraio. Poi ripartiranno anche gli altri due procedimenti che riguardano il Cavaliere: quello che ha coinvolto l’avvocato Mills, dove Berlusconi risponde di corruzione in atti giudiziari, e quello Mediatrade, in cui tra gli imputati c’è anche Pier Silvio Berlusconi. Non si salverà nemmeno il ministro Franco Frattini, denunciato, sempre per la vicenda Montecarlo, da un militante di Fli per abuso d’ufficio. Insomma, una grande Procura. A misura di Italia. Alberto Di Majo, Il Tempo, 29 gennaio 2011

ECCO PERCHE’ GLI ITALIANI NON SI FIDANO PIU’ DELLA GIUSTIZIA

Pubblicato il 24 gennaio, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

“Fu nelle notti insonni,
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore”
per imboccar la strada
che dalle panche d’una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d’un tribunale
giudice finalmente
arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva Vostro Onore
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio
prima di genuflettermi
nell’ora dell’addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio”

Fabrizio De André, in “Un giudice” del 1971, cantava di un nano che, da tutti deriso, studia e diventa magistrato. E diventa carogna, perché è nel timore che incute agli imputati che trova vendetta, cioè la cura al suo disagio. Trovarsi davanti una persona del genere in un contenzioso non renderebbe certo tranquilli, e, anche se questo è solo un caso limite e di fantasia, un certo riscontro con la realtà lo si può intravedere.

L’Eurobarometro, il consorzio interuniversitario della Commissione europea, riporta che solo il 37 per cento degli italiani ha fiducia nella giustizia del nostro paese e che negli ultimi dieci anni il valore ha oscillato tra il 31 per cento il 47 per cento. Ma non ci si stupisca, il dato anche in Europa è lo stesso: 43 per cento in media. In paesi come Francia, Inghilterra e Spagna, il numero delle persone che confidano nella giustizia si attesta attorno al 39 per cento, al 48 per cento e al 40 per cento. Solo la Germania, tra i grandi, è sopra la metà: il 58 tedeschi si fida dei giudici.

AnalisiPolitica ha realizzato diversi sondaggi sull’argomento ed è possibile approfondire la prospettiva con cui gli italiani guardano i propri magistrati. I temi sono molti e sono anche oggetto di proposte politiche recenti o meno recenti. Per esempio, il tema della responsabilità civile dei magistrati fu una grande battaglia vinta dai Radicali nel 1987 con un referendum che portò all’approvazione della legge Vassalli, da molti tutt’ora ritenuta eludente. L’86 per cento degli italiani è d’accordo sul fatto che “un magistrato che sbagli, deve essere responsabile della propria azione”. O come quello della riforma del Csm: per il 68 per cento degli intervistati “i giudici dovrebbero essere controllati da un organo indipendente, non composto da altri magistrati come loro”. Non è un dato trascurabile, soprattutto quando il 56 per cento cioè la maggioranza, pensa che “sovente i magistrati agiscano con fini politici” e infatti per due cittadini su tre “spesso, in Italia, la magistratura non è imparziale come dovrebbe essere”.

Anche questioni più vicine al cittadino.
Per l’85 per cento degli italiani, “se i condannati scontassero sempre la pena per intero, ci sarebbero molti meno reati” e “spesso le forze dell’ordine catturano i criminali, ma la magistratura li rilascia con troppa facilità” (62 per cento). In qualche modo viene pure invocata una riforma della legge Gozzini: per i tre quarti delle persone “spesso i permessi e gli sconti di pena ai carcerati, vengono dati senza che essi se lo meritino veramente”, rendendosi necessario un cambiamento di tale prassi (76 per cento).

Nell’opinione pubblica, neanche il sistema giudiziario è immune alla corruzione. Il 39 per cento degli italiani ritiene che vi sia diffusa la pratica delle tangenti. E se il 17 per cento afferma che nell’ultimo anno gli sia stato richiesta la bustarella, un quarto di essi dice che quelle pressioni venivano proprio dell’apparato della giustizia.

Concludendo, è fuor di dubbio che l’istituto della magistratura sia e debba essere uno dei capisaldi di qualsiasi sistema democratico, ma è altrettanto chiaro che in Italia la maggior parte della gente pensa che ci sia più di un ambito da riformare. Quel che sottolineava De André e che probabilmente in molti altri pensano, è che un giudice sia pur sempre un uomo e che come tutti gli uomini possa sbagliare. Fonte: Il Foglio, 24 gennaio 2011

CASO CUFFARO: UN ARRESTO. TANTI IPOCRITI.

Pubblicato il 24 gennaio, 2011 in Giustizia | No Comments »

Totò Cuffaro La sentenza della Cassazione chiude un processo a Salvatore Cuffaro (che ha un altro procedimento in corso), ma apre un problema politico e istituzionale gigantesco. Siamo arrivati a un tale livello di follia collettiva si sono così intricati i rapporti fra politica e giustizia, che si può assistere allo spettacolo del partito in cui Cuffaro milita, un partito d’opposizione, l’Unione di Centro, assieme al quale si schiera la maggioranza di centro destra, che solidarizzano con il condannato, pur affermando di rispettare la sentenza. Come se il rispetto delle sentenze possa consistere nell’eseguirne il dispositivo e considerarne falso il contenuto. Già, perché se si giudica, come la sentenza fa, Cuffaro un politico che, approfittando della sua posizione, ha favorito la mafia, allora quel giudizio ricade sul suo partito e sui suoi amici, che, oltre tutto, si trovano in Parlamento grazie al determinate contributo dei voti cuffariani. Insomma, la via dell’«umano dispiacere», scelta da Pier Ferdinando Casini e Marco Follini, non sta in piedi.

La solidarietà espressa da Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliarello non può essere letta se non come un contrasto totale con il merito e il dispositivo della sentenza. Da ieri definitiva. È molto, ma non basta. Perché la via della condanna è stata scelta dalla Corte di cassazione, confermando la sentenza di secondo grado, dopo che il procuratore generale, ovvero colui il quale rappresenta le ragioni della sentenza di merito e, quindi, la pretesa punitiva dello Stato, aveva sostenuto, argomentando nel dettaglio, che l’aggravante mafiosa non era affatto provata. Insomma: è vero che Cuffaro passò delle notizie a Michele Aiello, è vero che aderì ad alcune sue raccomandazioni, ma lo fece pensando di rendere piaceri ad un uomo potente, non di favorire gli interessi della mafia. Che Cuffaro fosse consapevole di questo, secondo il procuratore generale, non era stato accertato dal processo e, quindi, aveva invitato la Corte a rinviare la posizione dell’ex governatore siciliano, ora anche ex senatore.

Ma i giudici, appunto, sono stati di diverso avviso. E qui si apre una questione: è il procuratore generale, Giovanni Galati, ad aver preso lucciole per lanterne, o le due sentenze di merito ad avere indotto la cassazione a non indebolire l’impianto accusatorio? La vedo così: se l’accusatore riconosce alcune ragioni, importanti, dell’accusato è segno che si tratta di un procuratore onesto e coraggioso, ma se la sentenza gli dà torto, affermando che la pena da scontare è superiore a quella da lui richiesta, allora è un incapace. Qualcuno ha sbagliato, ed è bene che si sappia. Il nostro discorso civile si è così corrotto, ci si è così abituati a vedere politici che cercano di evitare il processo e assassini che fanno marameo da lontano, che sembra accettabile esprimere un rispetto formale e un dissenso sostanziale. Invece no, non si può. Io posso ben dire che una sentenza è sbagliata, posso giudicarla malissimo, possono dire che i giudici non ci hanno capito niente, senza per questo far venire meno il rispetto per la giustizia. Qui,

invece, si è ribaltato tutto: quelli che invocano sempre le toghe ti danno del delinquente anche dopo che ti hanno assolto e quelli che sono amici dei condannati si dicono solidali, ma rispettosi. Non ha senso. Gli uni e gli altri testimoniano la morte della giustizia. Gli amici politici di Cuffaro non hanno scelta: o lo rinnegano, oppure affermano, a chiare lettere, che le sentenze (primo e secondo grado più cassazione) sono sbagliate. Chinano il capo davanti alla pena da scontarsi, come saggiamente ha fatto il diretto interessato (con anche un toccante riferimento alla propria cultura e ai figli), ma tengono la testa alta al cospetto di un giudizio che condanna anche loro, contrastandolo. La via scelta, invece, è un codardo sgattaiolare. Che è inguardabile dal punto di vista della stoffa personale, ma anche cieco da quello politico.

Difatti, il successore di Cuffaro alla Presidenza della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, è attualmente in carica grazie all’appoggio del Partito Democratico, che alle elezioni lo aveva avversato. Lasciamo perdere i trasformismi. Lombardo provvide, fin dall’inizio, a mettere in giunta magistrati della procura di Palermo (anche colui il quale sostenne l’accusa contro il carabiniere Carmelo Canale, avendo tre volte torto), ma non per questo è riuscito a controllare il fronte giudiziario, tanto che si ritrova indagato per mafia. Posto che Lombardo è innocente, posto che il Pd applica a intermittenza il principio delle dimissioni cautelari, che succede se, per malaugurata ipotesi, fosse condannato? Gli manifestano solidarietà umana, rispettando quelli che ne hanno accertato la mafiosità? Ci arriva un cretino a capire che è assurdo, ma non ci arriva una classe politica che se le fa sotto e non è degna d’essere considerata classe dirigente. Davide Giacalone, Il Tempo, 23 gennaio 2011

……Davide Giacalone, autorevole notista politico de Il Tempo, nell’articolo che pubblichiamo,  ha usato,  ovviamente  meglio di noi, le argomentazioni  da noi esposte a proposito del caso del sen.  Cuffaro nella nota del 22 gennaio intitolata: da Casini a  Fini la fiera  delle ipocrisie.   Ci fa piacere di non essere stati i soli a farvi riferimento.  g.

PER TOGLIATTI LA CORTE COSTITUZIONALE ERA UNA “BIZZARRIA”

Pubblicato il 13 gennaio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

La Corte Costituzionale è già in Camera di Consiglio per deliebrare intorno alla legge ordinaria  sul “legittimo impedimento” varata dal Parlamento in attesa di legiferare con legge costituzionale la materia oggetto della legge. In attesa di conoscee la sentenza della Corte, pubblichiamo una nota che evidenzia come sin dalla discusisone nell’Assemblea Costituente questo organo abbia acceso il dibattito politico, sino ad essere definito dal Togliatti una “bizzarria2, evidentemente molto prima che lo stesso concetto fosse enunciato da Berlusconi. Ecco la nota a firma di Francesco Perfetti.

Durante la discussione generale sul progetto di Costituzione, Palmiro Togliatti parlò della istituenda Corte Costituzionale  come di una «bizzarria», come di un «organo che non si sa cosa sia e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero a essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del parlamento e della democrazia, per essere giudici». Le parole del leader comunista esprimevano la profonda diffidenza sua e del suo partito per un organo, pensato come tecnico e svincolato dalla politica, che essi temevano potesse diventare uno strumento in grado di condizionare o frenare l’operato del Parlamento.
Alla base di questa diffidenza c’era l’idea che si dovessero rafforzare i caratteri «giacobini» della Costituzione. Il che spiega, per esempio, l’opposizione dei comunisti alla proposta di Giovanni Leone di escludere dal diritto di eleggibilità alla Corte quei cittadini che avevano ricoperto o ricoprivano cariche politiche in quanto questa situazione avrebbe potuto limitarne la serenità di giudizio. Proprio uno dei maggiori costituenti comunisti, Renzo Laconi, replicò che sarebbe stato assurdo discriminare gli uomini in due categorie in modo tale che «da una parte siano coloro che militano nella politica e dall’altra coloro che non vi militano». D’altro canto, anche un esponente comunista di rilievo come Fausto Gullo sostenne la necessità che la Corte fosse, persino sotto il profilo della sua composizione, «un organo eminentemente politico» capace di interpretare la temperie e le tensioni politiche presenti nel Paese nella presunzione che la legge non sia affatto qualcosa di «statico e di fisso» ma abbia, «specialmente dal punto di vista politico», una sua vita e un suo dinamismo. Il richiamo alle discussioni che, all’epoca della Costituente, riguardarono il carattere, la composizione e le funzioni della futura Corte Costituzionale è opportuno, oggi, alla vigilia della sua pronuncia sulla legge sul «legittimo impedimento».
È opportuno, questo richiamo, perché quel dibattito fa intendere come il problema della «politicità» della Corte Costituzionale abbia accompagnato la nascita di quest’organo e la sua stessa storia. In fondo, l’istituzione della Corte, avvenuta nella seconda metà degli anni cinquanta, fu il risultato di una scelta tutta «politica»: l’attuazione del dettato costituzionale – il discorso vale, ovviamente, anche per altri istituti come per esempio il Csm – fu infatti lenta, tardiva e incerta. Si realizzò solo dopo che la fine del centrismo degasperiano ebbe portato una modifica degli equilibri politici e avviato la stagione della cosiddetta «partitocrazia». È più che comprensibile il fatto che la Corte Costituzionale sia, in realtà, per la sua composizione, un organo politico le cui decisioni, o sentenze, riflettono gli equilibri politici dei suoi componenti. Le indiscrezioni e i rumors che filtrano dalle ovattate sale della Consulta sul numero e persino sui nomi dei giudici che sarebbero favorevoli o contrari al ricorso sulla costituzionalità della legge sul legittimo impedimento sono una precisa indicazione del peso che la politica militante finisce per avere sulle decisioni della Corte. La quale – lo si ricorda per inciso – sul cosiddetto Lodo Alfano giunse persino (e poco contano di fronte alla realtà dei fatti le causidiche negazioni) a contraddire una sua precedente deliberazione. Non c’è affatto da scandalizzarsi se Berlusconi (o chi per lui) sostiene che la Corte attuale ha una maggioranza di sinistra: è la pura e semplice verità. Anche la sentenza sulla legge relativa al legittimo impedimento che verrà diffusa oggi – quale che sia – è una sentenza «politica».
Lo è non solo e non tanto per le conseguenze che essa potrà determinare sulla politica italiana e per le polemiche che potrà innestare, contribuendo a innalzare o a raffreddare la temperatura politica del Paese. Lo è per il fatto stesso che i giudici costituzionali abbiano accettato di pronunciarsi sulle tre ordinanze trasmesse dal Tribunale di Milano in ordine alla sospensione dei processi Berlusconi-Mills, Mediaset e Mediatrade. Da una lettura attenta delle tre ordinanze, infatti, si nota che tutte chiedono alla Corte Costituzionale di dichiarare l’incostituzionalità della legge per una presunta violazione dell’articolo 138 della Costituzione. Questo articolo di tipo «procedurale», come è noto, individua e disciplina il complesso iter di formazione delle leggi costituzionali. È intuitivo che, prima di poterne invocare la violazione, sarebbe necessario appurare se la legge contestata abbia natura costituzionale, se – in altre parole – essa abbia leso un qualche principio della Costituzione. L’invocazione dell’articolo 138, così come è stata fatta, significa, in una battuta, confondere, la medicina con la malattia perché quell’articolo ha anche, evidentemente, il carattere di sanare un eventuale vizio di costituzionalità. Un vizio che deve però essere riconosciuto. È pur vero che, delle tre ordinanze, una contesta anche la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, quello relativo all’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma lo fa senza addurre motivazioni. Stando così le cose, i ricorsi del Tribunale di Milano avrebbero dovuto essere dichiarati «irricevibili».

È impensabile che i giudici della Corte Costituzionale non se ne siano resi conto, non abbiano rilevato un fatto del genere. È più probabile che essi, di fronte alle prevedibili reazioni mediatiche di una dichiarazione di «irricevibilità» che suonerebbe come una censura ai magistrati estensori dei ricorsi, abbiano preferito, al pari degli struzzi, mettere la testa sotto la sabbia. O, peggio, abbiano voluto effettuare una scelta interventista ben precisa. In ogni caso, questa vicenda, al di là del caso specifico relativo alla legge sul legittimo impedimento, richiama l’attenzione sulla necessità che nell’agenda delle riforme istituzionali ci sia un posto anche per un ripensamento della natura, delle funzioni, della composizione della Corte Costituzionale. Francesco Perfetti, Il Tempo, 13 gennaio 2011.

COSI’ UCCIDEVAMO CON BATTISTI: INTERVISTA DI PANORAMA AL COMPAGNO DI TERRORISMO DI BATTISTI PIETRO MUTTI, ORA PENTITO

Pubblicato il 9 gennaio, 2011 in Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

Cesare Battisti in carcere in Brasile tra un gruppo di deputati brasiliani, ovviamente di sinistra

Se il caso di Cesare Battisti è diventato un’affaire internazionale la colpa è anche sua, che esattamente trent’anni fa ha guidato il commando che ha fatto evadere il terrorista oggi conteso tra Italia e Brasile dal carcere di Frosinone, dove era rinchiuso con una condanna a 12 anni per banda armata, favorendo la sua latitanza. Il «colpevole» è Pietro Mutti, classe 1954, ex compagno di scorribante di Battisti nei Pac, i Proletari armati per il comunismo. Nel 1981 Mutti era passato da poco in Prima linea, viveva in un covo di Roma a pochi passi da San Giovanni. La grande fuga iniziò in una domenica di ottobre e insieme con Battisti, ventisettenne originario di Sermoneta (Latina), scappò anche un giovane camorrista.

«Non ci stupimmo, Cesare era stato ed era rimasto un piccolo malavitoso più che un estremista politico». Il gruppo attraversò a piedi le montagne e poi, in treno, raggiunse la Capitale. Da qui Battisti si diresse a Bologna, dove si rifugiò a casa della sua compagna, un’impiegata che era stata legata sentimentalmente a uno dei fondatori dei Pac. La donna condivideva l’appartamento con un’altra giovane. I loro nomi non sono mai emersi in nessun processo. E anche Mutti preferisce non farli.

Da Bologna Battisti passò in Francia, poi in Messico, quindi di nuovo in Francia e, infine, nel 2004 in Brasile, grazie, si dice, ai servizi segreti francesi. «Sono sicuro che, se anche il Brasile lo avesse estradato in Italia, prima del rimpatrio sarebbe riuscito a sfuggire di nuovo e a trasferirsi altrove» dice Mutti. E aggiunge: «In Italia comunque non tornerà mai. Bisogna mettersi il cuore in pace». Ma chi c’è dietro all’impunità di Battisti? «Credo la Francia e alcuni suoi intellettuali, forse Carla Bruni, la moglie di Nikolas Sarkozy» continua l’ex terrorista «però io non mi occupo di politica internazionale».

Oggi Mutti vive a Milano, la città dove è nato e cresciuto. Negli anni Settanta ha partecipato alla lotta armata, ha compiuto 45 rapine, ha ucciso un uomo; poi si è pentito, ha scontato otto anni di carcere. Il 3 gennaio 2011, in una notte senza nebbia, attende il cronista all’angolo di uno dei vialoni nella zona est. Ha tra le dita una delle immancabili Merit rosse. Ne fuma non meno di 20 al giorno: parte all’alba, quando sale sull’autobus che lo porta al lavoro alle porte di Milano. Indossa un paio di jeans, un maglione grigio e un giubbotto blu con collo di finta pelliccia. Ha un cappelletto in testa, occhialini e baffi brizzolati. È piccolo e snello. Ex operaio dell’Alfa romeo, nel 1977 insieme con un professore di scuola media e con un giovane immigrato sardo è stato proprio lui a fondare i Pac, un gruppo che in poco più di un anno ha rivendicato quattro omicidi e diverse gambizzazioni. Di quella banda faceva parte anche Battisti: «Ma lui si unì a noi più che per ideale politico per sfuggire ai suoi problemi con la giustizia». In effetti, poco più che ventenne, era già stato condannato per diverse rapine, era entrato e uscito più volte dalle patrie galere e all’inizio del 1978, dopo l’assalto a un ufficio postale della provincia laziale, aveva cercato rifugio a Milano, dove era in contatto con Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac, conosciuto nel carcere di Udine. In un bar gestito da cinesi, davanti a due sambuca e due fernet branca, Mutti commenta gli ultimi sviluppi del caso Battisti.

Che cosa pensa della decisione dell’ex presidente del Brasile, Lula, di non riconsegnarlo all’Italia?
Penso che Battisti sia stato il più furbo di tutti. Lui non era un personaggio del livello di Renato Curcio, e neppure di Valerio Morucci, uno che è riuscito, dissociandosi, a uscirne abbastanza pulito, eppure l’ha scapolata. Ha fregato tutti e ora probabilmente si godrà la vita senza aver mai pagato per le sue colpe.

Lei è il testimone oculare dell’uccisione del maresciallo della polizia penitenziaria Antonio Santoro da parte di Battisti.
Sì: l’ho visto con i miei occhi uccidere quella mattina a Udine (era il 6 giugno 1978, ndr). Battisti ed Enrica Migliorati (una studentessa ventenne, membro dei Pac, ndr) stavano abbracciati come due findazati davanti alla casa di Santoro. Quando il maresciallo è uscito, Battisti gli ha sparato da dietro (tre colpi, di cui due a brucia pelo alla testa, esplosi con un revolver Glisenti calibro 10.20, ndr). Io e un altro compagno, Claudio Lavazza, operaio come me, abbiamo osservato tutto dall’auto in cui li attendevamo. Non mi ricordo se ho girato la testa o se ho osservato la scena dallo specchietto retrovisore della nostra Simca 1.300. Ma l’ho visto mentre sparava.

È sicuro di quello che dice?
Non ho dubbi. Fu lui a sparare, a scegliere il bersaglio, insieme con Cavallina (entrambi avevano conosciuto Santoro in carcere ndr), a fare i sopralluoghi, a portare via le armi in treno dopo l’agguato.

Quando siete scappati dopo aver ucciso Santoro lei, camuffato con dei baffi alla mongola, ha salutato un testimone alzando il pugno chiuso. Eravate su di giri?
Ricordo l’adrenalina per il primo omicidio, ma non c’era esultanza né disperazione. Per noi quella era un’operazione militare. Bisognava essere decisi. Punto.

Lei sostiene che Battisti sia stato anche l’autore materiale del delitto dell’agente di polizia Andrea Campagna. Nei verbali dell’epoca dice che quel delitto fu un po’ un «colpo di testa» di Cesare e del compagno Giuseppe Memeo.
Confermo quelle parole. Il suo ruolo me lo confidò lui stesso.

Battisti è stato incastrato da questi suoi ricordi, da queste sue dichiarazioni, quelle di un pentito. Ma dal Brasile sostiene che lei mente.
A parte che non è stato condannato solo per le mie dichiarazioni, comunque lo hanno accusato e giudicato fior di magistrati che non credo si facessero prendere in giro dal sottoscritto. In ogni caso vorrei sentirlo con le mie orecchie Battisti che mi dà del bugiardo.

Dall’estero l’ha definita «un boia la cui falsa testimonianza, resa in mia assenza, mi è costata l’ergastolo».
Su di me hanno detto di peggio. Comunque quando ho raccontato ai magistrati le vicende dei Pac mi sono autoaccusato di azioni per cui non c’erano prove contro di me. Ho semplicemente detto la verità senza incolpare innocenti.

I sostenitori di Battisti la definiscono una «figura spettrale» e si domandano: «chissà se è ancora vivo, chissà dove abita e cosa fa sotto la nuova identità accordatagli dalla legge sui pentiti»
Posso farle vedere la mia carta d’identità: non ho mai cambiato nome, né città. È il loro amico che ha passato la vita a scappare e nascondersi.

Se incontrasse oggi Battisti che cosa gli chiederebbe?
In realtà credo che farei finta di non conoscerlo. Non ho più niente da dirgli. Il passato è passato. Di questa vicenda non mi interessa più niente. Io i conti li ho chiusi.

Che cosa prova nei confronti di Battisti?
Amare non l’ho mai amato. Eravamo caratterialmente troppo diversi. Ma non l’ho neppure odiato. Oggi mi è indifferente.

Che cosa pensa quando lo vede nelle foto sorridente e in manette in mezzo ai poliziotti brasiliani?
Rivedo il Battisti di trent’anni fa. È sempre stato un po’ sbruffone, un tipo strafottente. Però quando osservo quel ghigno penso anche che è  stato il più astuto di tutti. Che l’ha messa in quel posto, mi scusi la volgarità, alla giustizia italiana.

Qual è il primo particolare che le viene in mente se ripensa a Battisti.
Il suo sguardo. Ricordo una cena dell’epoca con una compagna in una vecchia osteria di Milano. Alle pareti erano appese teste di animali impagliati. La ragazza guardò la volpe e mi disse: «Ha gli stessi occhi di Cesare».

Dunque era il più furbo. Ma era anche il più crudele?
Eravamo più o meno tutti uguali. Gente determinata. Diciamo che lui non era un prete, ma quanto alla crudeltà non sono io che posso dare pagelle, il mio non è il pulpito giusto. Anch’io ho sparato. E quando abbiamo deciso di ammazzare o gambizzare qualcuno non è che non abbia dormito la notte.

La differenza è che Battisti nega di averlo fatto. Lei non ha mai provato rimorso?
Eccome, se ne ho provato! Ho ucciso per sbaglio una guardia giurata. Per molti anni mi sono svegliato di soprassalto ripensando a lui e alla sua famiglia. E a lungo mi ha agitato il sonno anche il pensiero dei compagni che avevo «tradito» con il mio pentimento. A volte questi due incubi si sono accavallati. Ma oggi ho superato quell’angoscia.

E Battisti pensa che ogni tanto sia tormentato dai fantasmi del passato?
Se lo conosco bene, non credo proprio. Al massimo si sarà autoconvinto di essere stato incastrato. Se un giorno ammetterà di aver ucciso, racconterà che lo abbiamo messo in mezzo, che lo abbiamo infilato, lui povero ragazzo di provincia, in una storia più grande di lui. Ha sempre tirato l’acqua al suo mulino: prima, dopo, adesso. Ma non lo biasimo. Ha pensato a salvarsi e ci è riuscito.

Lei ha un figlio che sta per diventare maggiorenne. Conosce il suo passato?
Sì, ne abbiamo parlato. Abbiamo discusso anche di Battisti. Ma da tempo non affrontiamo più l’argomento e non so come mi giudichi o cosa pensi di Cesare.

Nel 2009 è stato girato un film su Prima linea, sui suoi vecchi compagni Sergio Segio e Susanna Ronconi…
Ne ho sentito parlare, ma non l’ho visto.

Se un regista volesse raccontare la storia dei Pac, chi potrebbe interpretare Battisti?
Credo che andrebbe benissimo Fabrizio Corona, più per l’atteggiamento che per l’aspetto fisico.

La giustizia italiana ha qualche colpa in questa vicenda?
Quella di non avermi arrestato prima che facessi evadere Battisti dal carcere di Frosinone. Senza quella fuga, sarebbe stata tutta un’altra storia. Da PANORAMA, GENNAIO 2011

……Questa intervista che inquadra esattametne di quale assassino sia stato Battisti si incorcia con la decisione del Tribunale Supremo del Brasile che ha deciso di mantenere in carcere Battisti sino alla discusisone del ricorso presentato dall’Italia contro il no di Lula alla sua estradizione e con le polemiche che sono divampate in Brasile contro la decisione di Lula. Confidiamo che alla fine Battisti ci sia restituito e finisca nel carcere la sua vita di delinquente. g.

MAGISTRATI STIPENDI DA NABABBI:COSTANO UN MILIARDO DI EURO L’ANNO

Pubblicato il 6 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Pagati, viziati, lentissimi e ipersindacalizzati. La casta dei magistrati continua a lamentarsi, l’ultima richiesta dell’Anm è di pochi giorni fa: “I tribunali rischiano una paralisi complessiva”. Il motivo? Il taglio dei fondi all’assistenza informatica. L’associazione delle toghe ha minacciato lo sciopero e in poche ore il ministro ha aperto il portafogli (una trentina di milioni di euro) e tutto si è risolto. La giustizia costa tanto, si sa. Ma quanto incidono gli stipendi dei magistrati? Tenetevi forte, la cifra fa paura: circa un miliardo di euro. I cugini francesi spendono il 30 per cento in meno e lavorano meglio. Ma i nostri in compenso hanno un primato: la lentezza. Da noi i processi si trascinano a lungo, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ci multa, i cittadini sotto processo fanno ricorso. E poi? Poi lo Stato, tanto per cambiare, paga i danni. Andando a spulciare il “prontuario delle competenze dovute alla Magistratura Ordinaria” ci addentriamo in una selva di numeri e scatti di anzianità che fanno lievitare il monte salari. Prima bizzarria: dov’è la meritocrazia? Latita, per fare carriera basta “invecchiare”. Tutti arrivano al massimo livello di stipendio, anche quando magari non riescono ricoprire un incarico di alto livello.

L’organo che valuta ogni quattro anni (ma lo scatto è biennale) la professionalità del giudice è il Consiglio superiore della magistratura, che nel 96 per cento dei casi dà un via libera. Ma la bocciatura, nei rarissimi casi in cui si verifica, non prevede nessun arretramento economico: vige il principio della conservazione dello stipendio maturato. L’orologio dei magistrati continua a correre e lo stipendio a lievitare, qualunque cosa succeda. Per intenderci: è come se tutti i militari diventassero generali. Facciamo i numeri: un magistrato al settimo livello di anzianità, che sarebbe il ventottesimo anno di professione, arriva a portare a casa un lordo di 195.362.33 euro all’anno. Il presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche può mettersi in tasca fino a 260.593.04. Tanto? Non abbastanza, evidentemente, dato che è anche prevista un’indennità che si aggira sui mille euro al mese. Salendo verso le funzioni “apicali”, il vertice della carriera, le cifre aumentano fino a raggiungere il miliardo delle vecchie lire. Queste sono le toghe-paperone, a fronte delle quali ci sono un gran numero di magistrati che portano a casa un’onesta busta paga. Un giudice di primo pelo si accontenta di poco meno di cinquemila euro mensili lordi. Tutto questo ricade sulle nostre spalle.

I tribunali costano a ogni cittadino italiano 45 euro all’anno. Il 18 per cento in più rispetto ai francesi e addirittura il 60 per cento in più rispetto ai 28 euro del Regno Unito. Il totale della spesa è un miliardo di euro. In un’Italia in cui tutti tirano la cinghia, una delle poche categorie che non rischia il posto e neppure la decurtazione dello stipendio, è proprio quella dei magistrati. Le toghe piangono quando c’è da chiedere trenta milioni di euro per computer, ma non fanno mai sacrifici. A dispetto della crisi e soprattutto del buonsenso.

LE REAZIONI ALLA DECISIONE VERGOGNOSA DEL BRASILIANO LULA. NAPOLITANO: AMAREZZA. BERLUSCONI:RAMMARICO. LARUSSA:E’ UN AFFRONTO.

Pubblicato il 31 dicembre, 2010 in Cronaca, Giustizia, Politica estera | No Comments »

Il presidente della Repubblica Napolitano ha espresso “amarezza e contrarietà” per la decisione del capo di Stato brasiliano uscente Lula da Silva di non estradare Cesare Battisti. Napolitano ha parlato anche di una scelta “incomprensibile e infondata”. Intanto il ministro degli Esteri Franco Frattini “ha deciso di richiamare a Roma l’ambasciatore” in Brasile Gherardo La Francesca. “Esprimo profonda amarezza e rammarico per la decisione del presidente Lula di negare l’estradizione del pluriomicida Cesare Battisti nonostante le insistenti richieste e sollecitazioni a ogni livello da parte italiana. Si tratta di una scelta contraria al più elementare senso di giustizia”, ha affermato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. “Esprimo ai familiari delle vittime tutta la mia solidarietà, la mia vicinanza e l’impegno a proseguire la battaglia perché Battisti venga consegnato alla giustizia italiana – ha aggiunto il premier -. Considero la vicenda tutt’altro che chiusa: l’Italia non si arrende e farà valere i propri diritti in tutte le sedi”. Il presidente brasiliano uscente Luiz Inacio Lula da Silva ha deciso di non concedere l’estradizione per l’ex terrorista condannato a quattro ergastoli. Immediata la reazione del governo italiano: la decisione di Lula “è un affronto” e “una vergogna” ha detto La Russa aggiungendo che non passerà “senza conseguenze”. Il parere che nega l’estradizione afferma che la decisione di Lula non rappresenta un affronto a un altro stato, “dal momento che situazioni particolari possono generare rischi per la persona, malgrado il carattere democratico dei due Stati”. Il governo brasiliano ha inoltre espresso il suo “profondo stupore” per la protesta degli italiani, “in particolare con riferimenti personali non pertinenti” a Lula. Battisti è rinchiuso nel penitenziario di Papuda, a Brasilia. In Italia l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo deve scontare quattro ergastoli per altrettanti omicidi, commessi a fine anni Settanta e per i quali è stato riconosciuto colpevole. Arrestato, Battisti è riuscito a evadere ed è scappato prima in Francia e poi in America Latina. Fonte ANSA.

LULA: DECISIONE SQUALLIDA, IGNOBILE E VERGOGNOSA

Pubblicato il 31 dicembre, 2010 in Cronaca, Giustizia, Politica estera | No Comments »

Quest’uomo merita tutto il nostro disprezzo, il disprezzo di tutti gli uomini liberi ed onesti, il disprezzo di tutti coloro che aborriscono la violenza e  rispettano la vita umana, il disprezzo di tutti coloro che rispettano la parola data, il disprezzo di tutti coloro che praticano la legalità e rispettano la legge, il disprezzo di tutti coloro che non proteggono gli assassini ed hanno rispetto per le vittime degli assassini, il disprezzo di tutti coloro che mai proteggerebbero i terroristi e che mai li salverebbero dalla galera…..

Quest’uomo è, ancora per poche ore,  il presidente del Brasile, l’ex sindacalista Lula,  che allo spirare del suo mandato,  ha violato le  stesse leggi del suo Paese, i trattati internazionali, le leggi morali che costituiscono baluardo insormontabile per chiunque rivesta una carica pubblica in ogni psrte del mondo, ed ha negato l’estradizione in Italia del pluriomicida e pluricondananto all’ergastolo Cesare Battisti, terrorista dei Nuclei armati proletari, che sfuggito per 30 anni alla giustizia italiana, doveva finalemente essere ricondotto nelle carceri nel nostro Paese per espiare i suoi reati.

30 anni fa, Battisti, non ancora assurto al ruolo di intellettuale, girava per le città italiane, seminando sangue e lutti, compiendo rapine a mano armata, uccidendo persone innocenti che avevano la sfortuna di incontrarlo sulla loro strada. A Milano, tra gli altri, uccise il gioielliere Vincenzo Torreggiani e lasciò sul selciato il figlio giovinetto del gioielliere, Alberto, che da allora vive sulla sedia a rotelle.

Processato e condananto a 4 ergastoli, Battisti riuscì a fuggire e a rifugiarsi in Francia,  dove in virtù della cosiddetta teoria Mitterand potè evitare l’estradizione in Italia. Quando finalmente la Francia, nonostante i lamentosi proclami della intellighenzia di sinistra francese, concesse l’estradizione, nel 2004, Battisti riuscì a sfuggire alla cattura e a rifugiarsi in Brasile.

Arrestato su richiesta delle Autorità italiane, dopo estenuanti contorsioni giudiziarie,l’Alta Corte brasiliana, pochi mesi fa, autorizzò la estradizione nel nostro Paese, lasciando a Lula l’ultima parola. Lula ha evitato di pronuciarla sino a poche ore fa, tra l’altro preoccupato di non perdere il consenso elettorale dei tanti italiani residenti in Brasile a favore della sua protetta, una ex guerrigliera che è stata infatti eletta nuovo presidente del Brasile e che domani prenderà il posto di Lula.

Il quale LULA poche ore fa tramite il Ministero degli Esteri brasiliano ha fatto conoscere la sua decisione invocando un presunto pericolo per la vita di Battisti se questi fosse estradato in Italia, fortemente contestato dal nostro Ministero degli Esteri con una  nota diramata ieri e definita dal ministro carioca, cioè di uno Stato che anche nel recente passato non si è molto distinto per il rispetto dei diritti civili e della democrazia, “impertinente”

Ridicola e nel contempo grottesca ed offensiva quanto pretestuosa motivazione quella addotta da Lula,  che suona come un insulto insopportabile per una Nazione, quella italiana, dove di certo non si pratica nelle carceri la tortura, come avviene in Iran, verso cui è rivolta notoramente la simpatia di Lula, il quale, come abbiamo ricordato, ha violato il trattato bilaterale sottoscritto tra Italia e Brasile in materia di estradizioni.

Ed ora per Battisti, che è rinchiuso, si fa per dire, in un penitenziario brasiliano dove però gode del trattamento degli esuli politici, potranno riaprirsi le porte del carcere, ottenere lo status di immigrato, ottenere i documenti di identità e in futuro anche viaggiare all’estero come cittadino brasiliano.

E’ inaccettabile ed è necessario, obbligatorio, moralmente e politicamente obbligatorio, che l’Italia assuma iniziative forti per contestare una decisione ignobile e vergognosa. Già in queste ore mentre il ministro Frattini ha richiamato in Italia il nostro ambasciatore in Brasile per consultazioni, per una volta l’intero schieramento politico italiano  si è mostrato solidale e fermo nella protesta contro questa decisione che, lo ripetiamo, è vergognosa e squallida, che offende la memoria dei morti e la testimonianza dei superstiti della follia omicida e terrorista di Battisti.

Non comprenderemmo, nessun italiano comprenderebbe, se la decisione dell’ ormai prossimo ex presidente brasiliano non fosse oggetto di precise, inderogabili, durissime reazioni non solo della nostra diplomazia, ma anche del nostro Parlamento  edel nostro Governo,  che se chiamati a ratificare trattati  commerciali o di qualsiasi altra natura  con il governo del Brasile, al momento di votarli richiamino alla loro memoria  il volto e il nome  delle vittime del terrorista Batttisti, che ora si stanno rivoltando nelle loro tombe. g.


BATTISTI LIBERO: UNA SCONFITTA PER L’ITALIA ANCHE GRAZIE ALLA SINISTRA

Pubblicato il 30 dicembre, 2010 in Giustizia, Politica estera | No Comments »

Cesare Battisti Una beffa per il nostro Paese, è un insulto alle vittime del terrorista. Lula concederà a Cesare Battisti l’asilo politico. Non è ancora ufficiale, lo sarà fra qualche ora, ma le anticipazioni che arrivano dal Brasile non lasciano dubbi. Così la politica italiana si accorge solo ora quale misfatto al diritto si stia compiendo. C’è chi manifesta, chi grida e chi chiama in causa il governo. Ma se Battisti invece che scontare l’ergastolo per quattro omicidi si godrà beatamente il sole sulle spiagge di Copacabana sarà una sconfitta per l’Italia intera. Per la maggioranza e per l’opposizione. Il governo non è riuscito a farsi valere, ma avrebbe avuto bisogno di uno sforzo maggiore da parte di quella sinistra che ha fatto del presidente Lula un santino. Oggi a che vale prendersela con il premier, addirittura mettendo sotto accusa gli accordi commerciali con il Brasile? Cosa avrebbe dovuto fare? Tagliare i ponti con un Paese come quello sudamericano, ormai potenza economica mondiale? Siamo seri.
Certo che con il Brasile qualcosa di più andava fatto. Ma da tutti. Per esempio spiegando a Lula, e potevano farlo soprattutto i compagni della sinistra, che quel signore si è macchiato di omicidi. È un killer e della peggiore specie. Che contro di lui non ci sarebbe stata vendetta, ma solo giustizia. E che nelle nostre carceri non avrebbe rischiato nulla. Noi non sappiamo come siano le prigioni brasiliane, ma dubitiamo che ci lavorino delle guardie carcerarie che piangono la morte di un prigioniero suicida. Questo invece è successo a Roma proprio ieri. Così veniamo a un altro punto. Chi ha fatto di tutto per accreditare l’idea che l’Italia sia sotto il dominio di un sistema parafascista? Chi ha parlato di Berlusconi come di un dittatore? Chi ha lanciato l’allarme, anche a livello internazionale, su una caduta dei diritti? Chi ha contribuito a corrompere l’immagine all’estero del nostro Paese perfino gioendo di giudizi falsi e gratuiti sulla stampa internazionale? Dietro alla decisione di Lula non c’è anche questo? Pensiamo proprio di sì. E chi ha avuto il coraggio di prendere posizione duramente e pubblicamente contro quelle firme di solidarietà al terrorista di pseudo intellettuali di sinistra raccolte in Francia e in Italia? Sono 1.500, tra loro c’è stato anche Saviano che nel 2009 però ha ritirato questa adesione. A loro si sono affiancati Gabriel Garcia Marquez e 500 scrittori sudamericani. Perchè la sinistra non ha reagito? Fa rabbia vedere esponenti dell’opposizione gettare la croce solo sull’Esecutivo. Ma loro cosa hanno fatto? Nulla, anzi aspettavano solo questo per una nuova offensiva polemica. No, non può essere così.

Puntino il dito sul compagno Lula, su tutti i compagni che a questa decisione in vario modo hanno contribuito. Al presidente brasiliano va detto con un coro unanime che si rende responsabile della messa in libertà di un assassino, di un rapinatore, di una belva. Non di un politico dissidente. Per finire il suo mandato da Presidente, Lula ha scelto il modo peggiore. Giuseppe Sanzotta, Il Tempo, 30 dicembe 2010

BATTISTI RESTERA’ LIBERO. DI UCCIDERE LA GIUSTIZIA

Pubblicato il 30 dicembre, 2010 in Giustizia, Politica estera | No Comments »

…….Intanto Palazzo Chigi ha seccamente smentito una voce fatta circoalre in  Brasile secondo la qyale a Lula sarebbe stato promesso che l’Itlia non avrebbe fatto polemiche anche nel caso della negata estradizione di Battisti. Non è così e la nota ufficiale di Palazzo Chigi non solo l’ha smetita ma ha anche annunciato iniziative diplomatiche forti nel caso che Lula fra oggi e domani decida di impedire all’Italia di gettare in galera il pluriomicida Battisti per fargli sontare la pena inflittagli dalla giustizia italiana. g.