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IL COSTRUTTORE PISCITELLI RIVELA A REPUBBLICA UNA STORIA DI TANGENTI E DI AFFARI CHE COINVOLGE LA CASTA, TUTTA!

Pubblicato il 21 ottobre, 2012 in Economia, Giustizia, Politica | Commenti disabilitati

Parla Francesco Piscicelli: “Balducci imponeva tutto, se parla lui viene giù tutta la seconda Repubblica e pure mezzo Vaticano. 

Dall’ex rudere recuperato, i fari interrati che segnano il percorso fra gli ulivi, la piscina di fronte alla camera da letto, si vede l’Isola di Giannutri. A nord la Costa Concordia spanciata di fronte al porto del Giglio. Sul terrapieno in ghiaia, seicento metri sopra il mare, ci sono i resti dell’elicottero con cui Francesco Maria De Vito Piscicelli, il padrone del rudere riattato a resort, portava l’anziana madre a pranzo sulla spiaggia di Ansedonia. Gliel’hanno bruciato 1 alle otto di sera del primo ottobre. L’attentato dopo cinque minacce. Il 29 febbraio scorso l’avevano aggredito in due, scesi dallo scooter mentre Piscicelli camminava telefonando ai Parioli, a Roma. Poi gli hanno spedito in villa all’Argentario tre proiettili, avvolti in un giornale. E l’hanno bloccato mentre saliva in auto lungo la mulattiera sterrata che porta al resort sul Promontorio: “Perché continui a parlare, perché vuoi mettere in crisi il sistema che ti ha sfamato?”, gli hanno sibilato scoprendo sotto il maglione le beretta parabellum. “Fermati o facciamo fuori te e la tua famiglia”. Le sue denunce sono tutte alla caserma dei carabinieri di Orbetello.

Francesco Maria De Vito Piscicelli, due mesi di carcere, undici giorni ai domiciliari, è l’imprenditore edile consegnato all’opinione pubblica, “per sempre”, dall’intercettazione telefonica in cui ride con il cognato del terremoto dell’Aquila, discorrendo con lui dei nuovi lavori che porterà la futura ricostruzione. Francesco Piscicelli, 50 anni, napoletano alto borghese, vicino ad Alleanza nazionale, è stato uno dei quindici costruttori scelti dalla cricca della Ferratella per lavorare al soldo della Protezione civile di Bertolaso. È diventato un collaboratore di giustizia. In otto interrogatori, assistito dall’avvocato Giampietro Anello, ha consegnato alla Procura di Roma il racconto della corruzione pubblica italiana dal 2000 al 2010. Giovedì scorso, ha accettato di parlare con “Repubblica”.

AUDIO Le telefonate Piscicelli-Anemone 4

“Il sistema Protezione civile, la deroga assoluta per ogni appalto pubblico, inizia con il Giubileo del Duemila, l’incontro fra il sindaco di Roma Francesco Rutelli, il provveditore alle Opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci e il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Nelle intenzioni pubbliche si doveva creare una macchina che riuscisse a costruire opere in un paese in cui la burocrazia e i veti bloccano tutto, ma nel corso delle stagioni le missioni diventano un sistema di arricchimento personale. Famelico, sfruttato a sinistra e a destra. L’ho visto con i miei occhi, l’ho vissuto dall’interno: una montagna di denaro pubblico per dieci stagioni è stata messa a bilancio per realizzare auditorium, stadi, caserme, svincoli e  e in percentuale è stata trasferita a parlamentari, ministri, sottosegretari, magistrati contabili, funzionari della Protezione civile, alti dirigenti delle Opere pubbliche. Nessuna istituzione, nessun partito, tutto ad personam”.

Lei è accusato di corruzione, Piscicelli. Insieme ai costruttori fiorentini della Btp per l’appalto della scuola dei marescialli e dei brigadieri a Firenze.
“Io ho pagato solo per lavorare, se non lo facevo chiudevo l’azienda che avevo ereditato da mio padre e che sempre ha lavorato con lo Stato. A Firenze ho fatto da intermediario tra il gruppo presieduto da Riccardo Fusi e l’ingegner Angelo Balducci, il grande capo del mattone pubblico italiano. Quelli della Btp, provinciali, rozzi, non riuscivano ad arrivare a Balducci perché il direttore dell’edilizia di Stato, Celestino Lops, li ostacolava, favoriva la Astaldi. Con una telefonata organizzai l’incontro, rimasero stupefatti. Sono stato io a presentare Denis Verdini, coordinatore del Pdl, a Balducci. Fusi trattava Verdini come fosse il suo straccio e usava la banca di Verdini come il suo bancomat”.

Lei ha pagato Balducci per far entrare nell’appalto Marescialli la Btp?
“Ho fatto da intermediario ottenendo da Fusi, in cambio, un prestito da 700 mila euro”.
Quando ha versato tangenti in proprio, Piscicelli? Denaro suo per opere sue.
“Lavoro con Balducci dal 2004. Nei primi cinque anni ho partecipato a trecento bandi pubblici per ottenere due lavori: la scuola di polizia di Nettuno e la caserma della guardia di finanza di Oristano. Per i Mondiali di nuoto di Roma, quelli del 2009, ho partecipato alle cinque gare pubbliche, ho speso 700 mila euro in progettazione e ho vinto Valco San Paolo: avevo preparato un progetto unico in Europa, con luci a soffitto lunghe sessanta metri, e firmato un ribasso del 16,5 per cento. I cinque appalti erano tutti assegnati prima dell’apertura delle buste. Nelle gare bandite dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici, e in particolare quelle della Protezione civile, non c’era notaio, non c’erano vincoli. Tutto nella discrezione del presidente Balducci: poteva assegnare ottanta punti al progetto che voleva spingere. Mi obbligò a chiedere un disegno anche al professor Giampaolo Imbrighi, suo caro amico. Mi costò 50 mila euro. Voleva che partecipassi per forza alla gara per lo stadio del tennis: un finto concorrente della Cosport di Murino e Anemone, destinati alla vittoria. Sulla carta erano gare europee, ma tutti gli appalti erano pilotati da Balducci, il Consiglio superiore ratificava silenzioso”.

Lei chi pagò e quanto?
“Per le piscine di San Paolo, 14 milioni di base d’asta, ho versato tre tangenti. Me ne avevano chieste quattro. Il collettore di denaro per conto della squadra di Balducci, l’ingegner Enrico Bentivoglio, dopo la mia vittoria volle 50 mila euro, il 3 per cento. “Sai, c’è bisogno di accontentare molte persone”. Ventimila furono per la funzionaria Maria Pia Forleo, “ci eravamo sbagliati, serve di più″. Mi spiegavano tutto, si fidavano di me. Poi subentrò Claudio Rinaldi, nuovo commissario ai Mondiali. E  senza ritegno pretese 100 mila euro. Glie li portai all’Hotel de Russie, in via del Babuino. All’interno di un sacchetto di una boutique romana. Mi feci accompagnare dal ragioniere, ha visto tutto. Rinaldi mi disse: “Questo è un acconto, al collaudo mi devi dà dù piotte e mezzo”.
Duecentocinquanta, queste non le ho pagate”.

Lei ha ottenuto l’appalto per una struttura, Valco San Paolo, bandita per 14 milioni, costata 34 e dopo trentanove mesi chiusa e con un pilone fratturato.
“Mi sono disinteressato del destino della piscina. Io ho visto solo nove milioni, altri otto e mezzo me li hanno truffati quelli della Ferratella, i ragazzi di Balducci. Il pilone è solo un assestamento, ma tutta l’opera è stata una corsa folla. Abbiamo dovuto rifare i progetti dell’architetto Renato Papagni, un amico del presidente della Federazione nuoto Paolo Barelli. Carta straccia, un copia e incolla fatto male, le ipotesi di rimozione terra redatte senza criterio. Per dieci mesi abbiamo lavorato 24 ore al giorno e ho dovuto chiedere l’intervento della segretaria particolare di Alemanno per farmi pagare il milione e mezzo di stato di avanzamento lavori. Il Comune di Roma è un casino pazzesco, venirne fuori è stato un miracolo. Durante i lavori, poi, mi si è messo contro il presidente Barelli, il senatore del Pdl. Era furioso perché avrebbe voluto far lavorare aziende vicine in almeno due lotti, Balducci non gli diede nulla. Per ritorsione, ci bocciò il tetto in acciaio e ce lo impose in cemento armato. Diceva che con i vapori caldi delle piscine l’acciaio si sarebbe corroso. Abbiamo dovuto stravolgere il progetto, rifare i calcoli, sovradimensionare i pilastri, comprare altro ferro per armarli. Costi e ritardi. E poi Barelli ci obbligò a lavorare con le aziende specializzate che indicava, costavano il 30 per cento in più. Se non ubbidivamo, minacciava il blocco dei lavori. Mandava avanti il suo ragioniere, Maurizio Colaiacomo. Gli impianti di filtraggio, per dire, li ha fatti tutti la Culligan, a prezzi fuori mercato”.

Al Comune di Roma solo confusione?
“Della Giovampaola mi chiese di portare l’imprenditore fiorentino Valerio Carducci dal sindaco Alemanno. L’appalto per il nuovo palazzo Istat. Non se n’è fatto nulla”.

Angelo Balducci imponeva i suoi uomini?
“Lui imponeva tutto, era il dominus. Non avido, ma corrotto mentalmente, un affascinante gesuita innamorato del potere. In cinque mesi di carcere sono andati a trovarlo settanta parlamentari, una processione. Se parla viene giù tutta la Prima Repubblica e pure mezzo Vaticano. Balducci voleva accontentare tutti, e soprattutto la classe politica. A me ha imposto la ditta che doveva fare gli scavi archeologici, quella per lo sminamento. E pure tre tecnici tra cui lo strutturista Fabio Frasca, figlio di una dirigente del ministero delle Infrastrutture. Frasca ha sbagliato i calcoli per Valco San Paolo, ha preso una normativa vecchia”.

Il rapporto tra Balducci e Anemone?
“Diego Anemone non esiste. È un ex falegname inventato dal capo. Quando scoprite un’impresa di Diego Anemone in un appalto pubblico, vuol dire che sta lavorando direttamente Angelo Balducci. Faceva cassa così, mettendo Anemone dovunque. E affidandogli la gestione del denaro da destinare ai politici”.

Che significa, Piscicelli?
“A Natale, Pasqua e Ferragosto la classe politica italiana batte cassa. Un assedio,  spegnevo il telefonino. Ascolti. Mi chiama Anemone, mi dice che devo versare 150 mila euro, siamo alla vigilia delle feste natalizie. Balducci conferma: “Sì, devi farlo, servono ai parlamentari”. Anemone insiste perché vada da lui, ha l’ufficio in una traversa di via Nomentana. Stanze di pessimo gusto. Spinge una porta scorrevole e  alla vista si rivela un tavolo lungo due metri e quaranta, largo uno. Sopra, un covone di banconote. Quasi tutti tagli da cinquecento. Milioni di euro, mai visto nulla di simile. Con i miei 150 mila nella giacca mi sono sentito un morto di fame, me ne sono tenuti cinquemila. Anemone ha comprato la casa al Colosseo dell’ex ministro Claudio Scajola con un po’ del denaro prelevato da quel tavolo”.

Continua a girarci intorno: parla di tangenti e di politici. Che cosa ha detto ai magistrati?
“Tutto quello che so, che ho visto, che posso certificare. Ho fatto il nome di otto politici di primo piano che hanno preso soldi e servizi dal sistema Balducci”.

E chi sono?
“Non vorrei violare il segreto istruttorio”.

Fino a prova contraria il corruttore è lei.
“Otto dicembre 2007, l’Immacolata, le racconto. Sono con mia moglie e mia figlia al ristorante Nino di via Borgognona: arriva una telefonata, è Mauro Della Giovampaola, funzionario della Protezione civile. “Devi venire alla Ferratella, immediatamente”. Era sbrigativo Della Giovampaola, lasciai la mia famiglia sul flan di spinaci. Gli uffici erano chiusi, ma lui aveva le chiavi. Mi disse categorico: “Devi dirmi che ribasso hai fatto per l’Auditorium di Firenze”. Chiesi perché. “Così vuole il capo”. Se lo diceva Balducci si ubbidiva. Chiamai i miei soci fiorentini, Fusi e Di Nardo, li obbligai a rivelarmelo. Telefonai a Mauro, comunicai il ribasso e gli chiesi perché era necessario. Mi disse: “L’appalto dell’Auditorium deve andare al costruttore Cerasi, lo vuole Veltroni”.
Emiliano Cerasi con la Sac e Bruno Ciolfi con l’Igt presero l’Auditorium. Il 17 febbraio 2010, chiamato in causa da un’intercettazione tra l’architetto Casamonti e il costruttore Di Nardo, Walter Veltroni assicurò: “Come ha già detto il sindaco Domenici, non ho mai esercitato alcun tipo di pressione né su di lui né su altri per qualsivoglia gara”.

Piscicelli, lei partecipò al bando per la realizzazione dell’Auditorium di Isernia, costi lievitati da 5 a 55 milioni, segnalato in rosso dall’Authority dei contratti pubblici.
“A Isernia avevo vinto. Ricordo il giorno in cui, nel teatro di via della Ferratella, si stavano aprendo le buste. Trentun dicembre 2007, le gare truccate si indicono l’ultimo dell’anno, quando gli altri non ci sono. Chiama al telefono il funzionario Bentivoglio. Salgo al piano, mi dice: “Hai fatto un progetto bellissimo, l’appalto è tuo”. Torno in teatro, l’atmosfera è già cambiata. Commissari che si chiamano da parte. Il presidente del concorso dichiara il vincitore: è un’associazione temporanea di imprese guidata dalla molisana Rocco Lupo. Sono secondo. Cerco Bentivoglio, è pallido, ha paura. Riesce a dirmi: “Bertolaso ha chiamato Balducci, Di Pietro ha imposto Lupo, mi dispiace”".

Già chiamato in causa sull’Auditorium di Isernia, Di Pietro il 4 giugno 2010 rispose: “Non sono stato sponsor dell’opera, non so neppure se poi l’abbiano davvero costruita”.

Chi è Guido Bertolaso, un capro espiatorio?
“E’ un megalomane con il complesso di far del bene. Per le responsabilità che ha avuto, la fama che si è creato, non avrebbe mai dovuto vendersi per 50 mila euro. Quella era la sua tariffa: 50 mila euro, per volta. Suo cognato, Francesco Piermarini, con i soldi pubblici destinati al G8 si comprò una barca, “Il lumacone”, per la pesca d’altura con  l’abbattitore per il pesce crudo”.

A Carlo Malinconico ha pagato le vacanze all’Hotel Pellicano di Porto Ercole.
“E’ un uomo di Balducci. Da sottosegretario della presidenza del Consiglio del governo Prodi ha firmato qualsiasi progetto il capo gli portasse, qualsiasi missione, qualsiasi deroga. A occhi chiusi. Balducci nel 2006 mi chiese di occuparmi di lui: “Ci serve come il pane, dobbiamo curarlo in tutto e per tutto”, mi disse durante un aperitivo in piazza San Silvestro. Malinconico voleva uno dei rustici che stavo ristrutturando qui all’Argentario, gli piaceva la vecchia Villa Feltrinelli. Lo accompagnai due volte, ma in cuor mio sapevo che non gli avrei mai regalato un immobile da un milione e due. Per fortuna aveva fretta, l’estate stava arrivando e allora Balducci mi chiese di ospitarlo a spese mie al Pellicano. Malinconico e la sua compagna dal 2006 al 2007ci hanno fatto sei vacanze. Milleottocento a notte, colazione esclusa. Ho pagato fino a quando il figlio del magistrato Toro non ci rivelò che la procura di Firenze stava indagando sulla cricca. “Chiudi il conto, chiudi il conto”. Raggiunsi il Pellicano, saldai 25.600 euro e dissi a Roberto Sciò, il titolare: “D’ora in avanti Malinconico si paga il soggiorno”. Quando la direzione dell’albergo glie lo comunicò, il sottosegretario andò su tutte le furie. Preparò la valigia il pomeriggio stesso e lasciò l’Argentario millantando una nuova nomina. Gli ho chiesto indietro il denaro, mi ha fatto rispondere dagli avvocati: “Piuttosto li do in beneficenza”. Facile fare beneficenza con i soldi miei. Il governo Monti continua a dare incarichi a Malinconico, l’ultimo è arrivato dal ministro Passera”.

Lei ha denunciato anche il magistrato della Corte dei Conti Antonello Colosimo, già capo di gabinetto del ministro dell’Agricoltura Catania.
“Credevo fosse un amico, mi ha taglieggiato dal 2004 al 2008. Ha sempre preteso una tangente, a volte anche del 15%, su tutti i lavori pubblici che facevo e questo perché è stato lui a presentarmi Angelo Balducci. Per anni gli ho pagato auto, autista, l’affitto dell’ufficio in via Margutta. Quando ho smesso mi ha scatenato contro la  finanza. Nel 1992 la politica chiedeva agli imprenditori soldi, ma dava benefici. Oggi la politica, e alcuni funzionari potenti, ti chiedono soldi per non farti male. Alla Ferratella c’è un’impiegata che solo per mandare tre righe di giustificazioni della spesa in Banca d’Italia chiede a ogni imprenditore una tangente di 1.000 euro. Tre righe digitate al computer, mille euro”.

Quanti imprenditori hanno lavorato con la banda Balducci.
“Eravamo in quindici, affidabili. Oggi tra gli emergenti c’è il romano Paolo Marziali, quello che ha realizzato il polo natatorio di Ostia”.

Che resta della banda Balducci?
“Lui lavora ancora, governa ancora. Non credo si salverà dai tre processi che ha in corso, ma fin qui non ha aperto bocca. È tornato a vivere a Roma, in via Appia Pignatelli, e i suoi uomini, Rinaldi, Bentivoglio, Zini, la Forleo, sono ancora al loro posto. Ai magistrati ho raccontato di nuovi funzionari corrotti fin qui non sfiorati”.

E degli otto politici di primo piano, che ha detto?
“Che prendevano soldi, tanti soldi. Non credo, quando tutto diventerà pubblico, e accadrà presto, potranno continuare a far politica. Io ho pagato un milione di tangenti e adesso sono con il culo per terra”.

Venerdì sera l’avvocato Giampiero Anello ha confermato che tutto ciò che l’imprenditore Piscicelli, suo assistito, ha detto in questa intervista è già stato riferito ai magistrati della Procura di Roma. Repubblica, (20 ottobre 2012)

BAMBINO PRELEVATO CON LA FORZA DA POLIZIOTTI: IL GOVERNO SI SCUSA. IL CASO DISCUSSO ALLA CAMERA E AL PARLAMENTO EUROPEO

Pubblicato il 12 ottobre, 2012 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

20121012_151257_B9DBC353.jpg Continuano l’indignazione e le polemiche per il caso del bimbo di 10 anni di Padova portato via con la forza dalla polizia dalla sua scuola. La questione è finita alla Camera oggi, mentre sono arrivate anche le scuse del governo, dopo quelle di dieri del capo della polizia Antonio Manganelli. La Lega, intanto, ha portato la vicenda al Parlamento europeo con una interrogazione presentata dall’Europarlamentare del Carroccio Mara Bizzotto.

Riferendo alla Camera sulla vicenda, il sottosegretario di Stato, Carlo De Stefano ha affermato: “Riguardo all’effettivo svolgimento e alle dinamiche della vicenda è stata disposta un’inchiesta interna per verificare con obiettività le cause di un comportamento che non è sembrato adeguato rispetto a un contesto ambientale difficile e ostile”, aggiungendo che “la scena del trascinamento richiede che anche in questa sede come già ha fatto il capo della polizia Manganelli vengano espresse le scuse del governo”. “La crudezza di quelle immagini – ha sottolineato – rischia di offuscare tutte le volte che le forze di polizia, con pacatezza, sono intervenute e si sono schierate a tutela delle persone più fragili e indifese”.

Dal canto suo, rispondendo a Palermo ai cronisti che le hanno chiesto un commento sulla caso, il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha detto: “E’ una vicenda che ha molto colpito l’emotività. Il capo della polizia ha aperto un’inchiesta per conoscere bene i fatti, e prima di parlare di questi temi così delicati, bisogna sapere bene esattamente come si sono sviluppati, come sono andati. L’unica cosa che so è che la vera vittima è il bambino”. Riguardo chi chiede le dimissioni del questore di Padova, Cancellieri ha detto: “Chi chiede le dimissioni del questore, probabilmente non capiva di cosa andava a parlare”.

Intanto il caso sollevato dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha Visto”, è approdato al parlamento europeo. A portare la questione all’attenzione di Bruxelles è l’Europarlamentare della Lega Nord Mara Bizzotto che, con un’interrogazione alla Commissione Europea, invita l’esecutivo comunitario a “verificare se le modalità di esecuzione della sentenza del Tribunale da parte delle forze dell’ordine abbiano violato i diritti dei minori tutelati a livello internazionale ed europeo”. Abbiamo assistito a scene gravi ed indegne di un Paese civile: un bambino inerme di soli 10 anni non può in nessun modo essere trattato con la violenza e la brutalità usate dalle forze dell’ordine” ha concluso la Bizzotto.

Sulla trasmissione di Raitre interviene anche il direttore Antonio Di Bella: ha sollevato un problema drammatico che non poteva essere nascosto o sottaciuto. Come sempre in questi casi il minore non è stato reso riconoscibile né era possibile riconoscere, nelle immagini trasmesse dalla Rai, il volto degli agenti di polizia impegnati nell’operazione. Non si e fatto mai il nome delle persone coinvolte né nominato il luogo dove si sono svolti i fatti. Federica Sciarelli, Stefano Coletta e tutta l’equipe di ‘Chi L’ha visto’ hanno come sempre svolto il loro delicato lavoro con lo scrupolo e l’attenzione che un servizio pubblico deve sempre avere in queste vicende”.

La vicenda ha creato clamore per la modalità con cui il bambino di 10 anni è stato prelevato mercoledì mattina dalla scuola elementare che frequenta a Cittadella (Padova).

.…………Insomma, il capo della Polizia porge le sue scuse alla madre del bambino, il ministro dell’Interno si dichara turbta dal video nel quale si vedono poliziotti che trascinano come un agnello un bambino di dieci anni che si rifiuta di seguirli, urla e piamge, si dispera perchè non riesce a respirare e nonistante ciò gli energumeni vestiti da poliziotti usano la forza per sbatterlo nella macchina con la complicità del padre del bambino (che padre…), il sottosegretario De Stefano rispondendo alla Camera alle numerose interrogazioni proposte sul caso da tutti i gruppi parlamentari, porge le scuse del governo alla madre e ai familiari del bambino trattato comeu na bestia. Dopo tutto ciò ci si aspetta che qualcuni paghi, subito, immediatamente, intanto i polizotti che a dire di tutti si sono mostrati inadeguati (è un eufemismo, ovviamente!) nel trattare il caso, poi il questore di Padova che subito prova a fare i distinguo e arriva a dichiarare che il bambino era corpulento, si proprio così ha detto il questore: il bambino era corpulento, cosicchè chi è corpulento in Italia deve essere trattato come una bestia, peggio come un delinquente comune…un bambino di dieci anni, infine il sindacato di polizia che annuncia denunce a carico di chi ha tentato di impedire che  al bambino  fosse applicato il codice zero, quello che si applica ai capi delle cosche mafiose. Ma siamo in Italia o in un Pese dove i diritti civili, specie quelli che riguardano i bambini sono calpestati, ignorati, delegittimati? Tutti hanno annunciato l’apertura di inchieste sui poliziotti protagonisti di un vera e propria  violenza ai  danni di un bambino: le inchieste si fanno quando ci sono dubbi, non quando il video della violenza brutalmente messa in atto (nè è una scusante che alla violenza abbia preso parte il padre del bambino che solo per questo dovrebbe essere privato di ogni diritto su quell’essere umano)  ha fatto il giro del mondo offrendo al mondo l’immagine di una Italia in cui le forse del’ordine si trasformano in aguzzini di stampo nazista. La smettano di cinchisichiare, si tengano le scuse e sbattano in galera i poliziotti e mandino a casa il questore di Padova, a coltivare margherite. g.

NAPOLITANO – PM: LA PROCURA DI PALERMO SI E’ COSTUITA CONTRO IL QUIRINALE

Pubblicato il 12 ottobre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Napolitano-pm: procura Palermo si e' costituita ROMA – La Procura di Palermo si è costituita nel conflitto tra poteri dello Stato sollevato di fronte alla Corte Costituzionale dal Quirinale per le intercettazioni indirette al Capo dello Stato. Il deposito degli atti è stato effettuato questa mattina.

Il materiale che costituisce la memoria di costituzione si compone di 32 pagine. Il deposito è stato fatto con una settimana di anticipo rispetto alla scadenza dei termini, che era fissata per il 19 ottobre.

I pm di Palermo sono rappresentati da un collegio difensivo costituito dal professor Alessandro Pace, fino a poco tempo fa presidente dei costituzionalisti italiani, e dai professori Giovanni Serges e Mario Serio. L’udienza di fronte ai giudici della Consulta è già stata calendarizzata nei giorni scorsi per il 4 dicembre.

Al centro del conflitto tra poteri dello Stato c’è la vicenda delle intercettazioni di alcune conversazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con l’ex ministro dell’Interno ed ex vice presidente del Csm Nicola Mancino: l’utenza telefonica di quest’ultimo era stata messa sotto controllo dai magistrati palermitani che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia. Fonte  ANSA, 12 ottobre 2012

.……………Una sola domanda: chi pagherà il pool di illustri giuristi che rappresenteranno i PM palermitani dinanzi alla Consulta? Se a pagarli di tasca loro  fossero i pm palermitani sono fatti loro, se mai dovesse emergere  invece che a pagarli sarà lo Stato saremmo al centro  di un classica commedia all’italiana dove a pagare sono sempre  quelli che pagano le tasse, cioè i contribuenti italiani. g.

CASO SALLUSTI: UN ALTRO PASTICCIO CHE PUO’ SISTEMARE SOLO IL QURINALE

Pubblicato il 28 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Alla faccia dell’«equilibrio» auspicato dal presidente del Consiglio alla vigilia del verdetto della Cassazione sul caso di Alessandro Sallusti, pur parlando di un possibile intervento legislativo sulla materia: equilibrio tra libertà di stampa e tutela della reputazione, indicato da Monti come “due beni della società“. Ma alla faccia anche dell’«interesse» alla vicenda, e quindi alle decisioni giudiziarie di ultima istanza, manifestato e lodevolmente confermato ieri sera dal presidente della Repubblica. Al quale, a questo punto, visto che la Cassazione ha confermato e reso definitiva la condanna di Sallusti a 14 mesi di carcere per un articolo, peraltro neppure suo, pubblicato cinque anni fa su «Libero» da lui allora diretto e considerato diffamatorio nei riguardi di un magistrato, non resterà forse che predisporsi ad un provvedimento di grazia. Che, ormai da qualche tempo, può essere per fortuna concessa dal capo dello Stato di propria iniziativa: per fortuna perchè il condannato, peraltro affrettatosi a dimettersi ieri stesso dalla direzione de «il Giornale», già prima che sopraggiungesse la «sospensione» della pena disposta dalla Procura di Milano, non sembra intenzionato a chiederla. Il rifiuto di Sallusti è un atto un po’ di orgoglio, sentendosi egli giustamente condannato ingiustamente -scusate il bisticcio degli avverbi- alla detenzione per un reato che è solo di opinione, e un po’ di sfida. Che trovo pienamente condivisibile. Sfida ad una magistratura arroccatasi su posizioni che saranno conformi, per carità, alle norme in vigore, e quindi legittime, ma contrarie al buon senso. Ed anche ad una concezione umana dei rapporti fra il cittadino e la legge: una concezione alla quale era in fondo sembrato ispirarsi il dissenso, non condiviso dai giudici, espresso dallo stesso magistrato dell’accusa per le attenuanti generiche negate all’imputato dalla Corte d’Appello. Alla quale pertanto il procuratore generale aveva inutilmente chiesto di rinviare il procedimento. Ma la sfida di Sallusti -ripeto, condivisibile- è anche ad una classe politica che, pur prodiga di parole di solidarietà per i giornalisti che di volta in volta si trovano a rischiare quello che gli è appena accaduto, non ha mai trovato il tempo, e la voglia, di modificare una legge che si presta a simili, aberranti interpretazioni e applicazioni. Tanto più aberranti quando a trarne praticamente vantaggio, in termini di dimostrazione di forza, a parte gli aspetti economici, è un magistrato. Cioè un collega dei giudici che hanno condannato Sallusti in primo, secondo e terzo grado. Ma cosa ci si può ormai aspettare -diciamoci la verità- da una classe politica che sembra avere perso il contatto con il Paese, che pure dovrebbe rappresentare? Lo dimostra il modo in cui, per esempio, essa reagisce a tutti i livelli, centrale e locale, al discredito che si è procurata da sola, prima finanziandosi a dismisura e poi sottraendosi con mille sotterfugi e rinvii ai risparmi e ai tagli che pure sa imporre ai cittadini già travolti dagli effetti della crisi economica. In attesa di un intervento legislativo, con i suoi tempi, peraltro ancora più incerti in una congiuntura politica come questa, quando mancano ormai pochi mesi alla scadenza delle Camere elette nel 2008, con il rischio quindi che bisognerà aspettare le nuove per venirne a capo; o in attesa di un provvedimento di grazia, non so neppure se e come praticabile di fronte ad una condanna definitiva sì, ma di cui per fortuna non è stata disposta la esecuzione, Sallusti si trova già menomato nell’esercizio della sua professione. Menomato o intimidito, nonostante l’orgoglio e la forza che ostenta, perché quella di cui gode oggi è solo una «sospensione» di pena. Una sospensione a fare saltare la quale basterebbe un’altra vicenda giudiziaria analoga a quella appena conclusa, possibile sino a quando le norme rimarranno quelle in vigore. La diffamazione nei riguardi di un giudice tutelare criticato dal giornale allora diretto da Sallusti per un aborto consentito ad una minorenne, è stata definita «aggravata» dalla condanna sospesa, in un sussulto di ragionevolezza, dalla Procura di Milano. Ma se è «aggravata» la diffamazione che per «omessa vigilanza» nelle sue funzioni di direttore di «Libero» Sallusti ha procurato cinque anni fa ad un giudice, come dovremmo chiamare la diffamazione che subiscono tanti cittadini che si trovano, per esempio, sputtanati spesso e volentieri con intercettazioni, dirette o indirette che siano, più o meno puntualmente sfuggite al segreto investigativo? Cittadini, comuni e non, che spesso sono o finiscono per risultare estranei alle indagini e ai procedimenti giudiziari nel cui ambito sono stati intercettati. Cittadini, ripeto, comuni e non. Fra i quali ha rischiato di finire recentemente persino il capo dello Stato. Il quale, trovatosi «casualmente» sotto intercettazione a colloquio con il suo amico ed ex ministro democristiano dell’Interno Nicola Mancino, nell’ambito delle indagini della Procura di Palermo sulle presunte trattative di una ventina d’anni fa fra lo Stato e la mafia impegnata nelle stragi, ha dovuto difendere la inviolabilità del suo ruolo tutelata dalla Costituzione presentando ricorso alla Corte Costituzionale. Ed esponendosi per questo ad una vera e propria campagna di denigrazione e delegittimazione da parte dei soliti tifosi della Procura palermitana. Che lo hanno accusato di tutto: di prevaricazione e di «manovre», come ha detto Antonio Di Pietro, per salvare Mancino e gli altri imputati o sottrarre le indagini a Palermo. E che ora temono, magari, che le intercettazioni subite da Napolitano risultino meno «casuali» del previsto o dell’annunciato ad una Corte molto curiosa, che ha legittimamente chiesto a Palermo atti e notizie dettagliate. Francesco Damato, Il Tempo, 28 settembre 2012

.…………Mentre il Paese affonda nella melma, i politici di ogni colore continuano nei loro gochini e nelle loro disattenzioni ai problemi del Paese. Siamo alla canna del gas e c’è chi se ne impipa, compresa la casta dei magistrati che come sottolinea Damato da una parte restano indifferenti alla gogna mediatica cui spesso sono sottoposti cittadini del tutto innocenti che nessuno risarcisce (il caso Tortora, tornato alla ribalta per la imminente fiction su RAI 1, sta lì a dimostrarlo…)  e dall’altra usano una legge fascista vecchia di 82 anni, rimasta in piedi dopo 60 anni di cosiddetta democrazia, per “vendicarsi” di chi li critica e magari anche arricchirsi. Che dire….povera Italia! g.

LA REDAZIONE DEL GIORNALE: SIAMO TUTTI SALLUSTI

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Vergogna. Vergogna. Ver­gogna. Soltanto nei regi­mi totalitari della Corea del Nord o della Repub­bl­ica islamica iraniana un diretto­re perché, come ha detto, «da uomo non libero non potrei più fare un Giornale libero». E così una legge liberticida ap­plicata di giornale può finire in carcere per aver scritto un articolo. Ma da ieri questa aberrazione giuridica è una realtà anche in Italia.

La sentenza della Corte di Cas­sazione che, applicando una leg­ge fascista, ha confermato la con­danna al carcere per il nostro di­rettore Alessandro Sallusti è scan­dalosa e indegna di un Paese civi­le. Non soltanto sono stati ignora­ti gli appelli per una volta unani­mi che si sono levati dal Paese a partire dalle maggiori cariche isti­tuzionali, ma nella sua assurda du­re­zza la Corte non ha accolto nep­pure le richieste del sostituto pro­curatore generale della Cassazio­ne, il quale aveva chiesto l’annul­lamento con rinvio della condan­na per rivalutare la possibilità di concedere a Sallusti le attenuanti negate dal giudice di secondo gra­do.

Noi giornalisti del Giornale ci sentiamo condannati come il no­stro direttore. E ci stringiamo a lui prendendo atto con rammarico delle sue dimissioni, rassegnate con integralismo taleba­no col­pisce il direttore del Giorna­le per un articolo non scritto da lui e pubblicato sul quotidiano Libe­ro . Il giudice di primo grado l’ave­va condannato a una pena pecu­niaria trasformata in appello, con una severità spropositata, in 14 mesi di reclusione senza atte­nuanti perché il nostro direttore è stato considerato «socialmente pericoloso». Volevano che fosse privato della libertà, e così è stato, come nelle tirannie che credeva­mo esistessero soltanto nei libri di storia o in un’altra parte del mondo.

Con la Federazione nazionale della stampa, la redazione del Giornale constata allibita che que­sta sentenza è sconvolgente, scon­figge e mortifica la libertà di espressione e priva ingiustamen­te un uomo della sua libertà perso­nale per delle norme aberranti e indegne di un Paese democrati­co.

Prendiamo atto delle tante atte­stazioni di solidarietà ricevute in queste ore. Al mondo politico, tut­tavia, all’Italia la maglia nera per la libertà di stampa tra i Paesi demo­cratici. Nemmeno la detenzione nel 2004 di Lino Jannuzzi, giorna­lista e senatore, ha smosso l’iner­zia dei suoi colleghi parlamenta­ri. La condanna di Sallusti deve spingere ora la classe politica a muoversi in fretta. Governo e Par­lamento devono cancellare in tempi rapidi il carcere per i reati di opinione, secondo quanto ha san­cito anche la giustizia europea, e riscrivere daccapo le norme sul rapporto tra libertà di stampa e tu­tela di chi si reputa diffamato.

Non è comprensibile né accetta­bile che nel nostro Paese ci siano delinquenti a piede libero e che in carcere finisca chi commette un reato di opinione. Non è compren­sibile né accettabile che la magi­stratura influenzi non solo il cor­so della politica ma anche quello della stampa. Anche noi giornali­sti, come il nostro direttore, non ci presteremo al gioco della giusti­zia politicizzata e saremo al suo fianco con i nostri lettori. Noi sia­mo tutti Sallusti.

I giornalisti del Giornale:

Daniele Abbiati, Andrea Acquarone, Manila Alfano, Angelo Allegri, Francesca Angeli, Luciana Baldrighi, Gabriele Barberis Vignola, Eleonora Barbieri, Cristina Bassi, Andrea Bianchini, Giacomo Bonessa, Roberto Bonizzi, Pierluigi Bonora, Enrico Bonzio, Pier Francesco Borgia, Fabrizio Boschi, Monica Bottino, Paolo Bracalini, Valeria Braghieri, Marta Bravi, Maddalena Camera, Chiara Campo, Federico Casabella, Beniamino Casadei Lucchi, Giuseppe Castellaneta, Maurizio Caverzan, Mario Celi, Gaia Cesare, Laura Cesaretti, Gian Marco Chiocci, Mariateresa Conti, Serena Coppetti, Andrea Cortellari, Sabrina Cottone, Francesco Cramer, Andrea Cuomo, Giuseppe De Bellis, Claudio De Carli, Fabrizio De Feo, Gianmaria De Francesco, Giannino Della Frattina, Francesco Maria Del Vigo, Marcello Di Dio, Giandomenico Di Marzio, Roberto Fabbri, Luca Fazzo, Daniela Fedi, Laura Feltre, Domenico Ferrara, Stefano Filippi, Emanuela Fontana, Paola Fucilieri, Elena Gaiardoni, Cristiano Gatti, Stefano Giani, Alberto Giannoni, Clarissa Gigante, Paolo Giordano, Alessandro Gnocchi, Fabrizio Graffione, Jacopo Granzotto, Anna Maria Greco, Giulia Guerri, Andrea Indini, Enrico Lagattolla, Gioia Locati, Marco Lombardo Giassetti, Stefano Lorenzetto, Massimiliano Lussana, Vittorio Macioce, Massimo Malpica, Felice Fausto Manti, Monica Marcenaro, Giuseppe Marino, Luigi Mascheroni, Antonio Materi, Giorgio Morelli, Elia Pagnoni, Tiziana Paolocci, Rodolfo Parietti, Roberta Pasero, Luca Pavanel, Riccardo Pelliccetti, Michele Perla, Marco Pirola, Diego Pistacchi, Nicola Porro, Vincenzo Pricolo, Fabrizio Ravoni, Ferruccio Repetti, Massimo Restelli, Laura Rio, Alessandro Rocchi, Cinzia Romani, Antonio Ruzzo, Orlando Sacchelli, Matteo Sacchi, Massimiliano Scafi, Roberto Scafuri, Paolo Scotti, Paola Setti, Adalberto Signore, Riccardo Signori, Antonio Signorini, Enrico Silvestri, Maria Sorbi, Carmine Spadafora, Giacomo Susca, Patricia Tagliaferri, Salvatore Tramontano, Marcello Veneziani, Laura Verlicchi, Massimo Veronese, Gabriele Villa, Stefano Vladovich, Marcello Zacché, Marco Zucchetti, Stefano Zurlo, i poligrafici del “Giornale”

………….Mentre si moltiplicano le solidarietà a Sallusti, qualcosa si sta muovendo. Stamattina il ministro Severino è stato convocato al Qurinale da Napolitano ed al termine del colloquio il Quirinale ha diramato un comunicato nel quale si dà atto che entrambi hanno concordato sulla assoluta necessità di porre fine all’obbrobrio giuridico che ha consentito la sentenza contro Sallusti. Si ipotizza un provvedimento che abbia carattere retroattivo così da essere applicato ad Alessandro Sallusti. E’ il minimo che si possa fare per rstituire decoro e dignità al nostro Paese in materia di civiltà giuridica del quuale un tempo eravamo, a giusta ragione, culla. g.

LA CASSAZIONE CONFERMA LA CONDANNA DI SALLUSTI: IN ITALIA E’ PROIBITO ESPRIMERE LIBERAMENTE LE PROPRIE OPINIONI, SPECIE SE RIGUARDANO I GIUDICI. E SIAMO RITORNATI AL MEDIO EVO, ALTRO CHE EUROPA.

Pubblicato il 26 settembre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

VERGOGNA

COME NELLE DITTATURE: LA CASSAZIONE CONFERMA LA CONDANNA AL NOSTRO DIRETTORE. PENA AUTOMATICAMENTE SOSPESA, MA RESTA UNA VERGOGNA PER TUTTO IL PAESE. SALLUSTI: “MI DIMETTO”

(Il video è visionable sul sito del Giornale)

La Federazione Nazionale  della Stampa, subito dopo la scandalosa sentenza della Cassazione che ha condannato un giornalista per una opinine tra l’altro non espressa da lui, ha diramato un comunicato violentissimo contro la sentenza definita barbara e assurda. Domani, raccogliendo l’invito della Federazione d ella Stampa, e  in attesa di ulteriori azioni di protesta, i giornali italiani usciranno con spazi bianchi accanto agli editoriali dei direttori, molti dei quali hanno già espresso la loro piena solidarietà al direttore Sallusti e fatto propria la condanna senza mezzi termini di una sentenza che ricaccia il nostro Paese nel Medio Evo e lo avvicina agli ultimi  paesi  al mondo dove regna la dittatura che mette il bavaglio alle opinioni. Da parte nostra, da sempre estimatori del Direttore Sallusti, gli esprimiamo la nostra solidarietà e l’apprezzamento per la decisione annunciata ai giornalisti del Giornale  che non intende chiedere l’affidamento ai Servizi Sociali (perchè non ho fatto nulla per cui debba redimirsi, ha dichiarato Sallusti) nè chiedere la grazia a Napolitano considerato da Sallusti corresponsabile della deriva dittatoriale della magistratura italiana. Sempre da parte nostra riteniamo che a questo punto il centro destra nei cui confronti è stato consumata l’ennesima aggressione sotto forma di condanna del suo maggior e più brillante esponente giornalistico la smetta di ciurlare nel manico e si decida , ora, subito, a staccare la spina a Monti e al suo ministro della Giustizia, il peggiore e sopratutto il più don Abbondio dei ministri della Giustizia che si sono susseguiti nel nostro Paese dopo la seconda guerra mondiale. Infine una amara constatazione. In Italia i giudici fanno a gara per trovare codicilli che consentano a ladri, assassini, magnacci, delinquenti, compreso quelli di marca politica,  di rimanere in libertà, non ne hanno trovato uno per evitare che l’onta del disprezzo internazionale calasse sul nostro Paese che ora, lo sappia il signor Monti, può finalmente  portare una bandiera in giro per il mondo, quella dell’oscurantismo. g.

MA LA MIA LIBERTA’ NON E’ IN VENDITA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 25 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l’ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere.

Il signore voleva altri soldi, oltre i trentamila euro già ottenuti, in cambio del ritiro della querela e quindi della mia libertà. Io penso, l’ho già scritto, che le libertà fondamentali non si scambino tra privati come fossero figurine ma debbano essere tutelate dallo Stato attraverso i suoi organi legislativi e giudiziari.

Anche perché nel caso specifico c’è un’aggravante, e cioè che a essere disposto a trarre beneficio personale dal baratto è un magistrato.

Vi svelo un particolare inedito della vicenda. In primo grado sono stato condannato a cinquemila euro di multa più diecimila di risarcimento, nonostante l’accusa avesse chiesto per me due anni di carcere. Al momento di stendere le motivazioni della sentenza, il pm si pente: ho sbagliato a non dare a Sallusti anche una pena detentiva, scrive nero su bianco, ma ormai è fatta. Che cosa è intervenuto tra la sentenza e la stesura delle motivazioni? Non è che per caso qualcuno ha privatamente protestato per la mitezza della condanna, che a mio avviso era invece più che equa, non avendo io diffamato nessuno? La risposta arriva in appello: due anni forse sono troppi, ma quattordici mesi ci stanno.

Giudici che ammettano di sbagliare, giudici che cambiano idea, giudici che se la fanno e disfano tra di loro? Ma che giustizia è questa? Una persona, per di più magistrato, in buona fede avrebbe dovuto prendere l’iniziativa una volta appreso il verdetto: mi rifiuto di essere la causa di una carcerazione ingiusta, tengo il risarcimento e ritiro la querela. Non è avvenuto, peccato. Adesso, vi assicuro, il problema non è più mio ma loro. Trovino il modo di uscirne con percorsi trasparenti e legali, altrimenti vadano al quel Paese. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 25 settembre 2012

.………….Caro Direttore, la schiena dritta o uno ce l’ha o non ce l’ha. Tu ce l’hai e meriti la solidarietà  di quanti non si piegano come fanno le canne allorchè tira il vento contrario. E’ quello che consiglia un proverbio cinese ma da noi ha un altro nome : adattamento. Si,  adattarsi e magari piegarsi in attesa che cambi il vento. E’ quello che ha prodotto nel tempo l’involuzione della nostra società, la perdita dei Valori e dei sentimenti, il trionfo della mediocrità. Noi non ci stiamo, per questo stiamo con Te. In bocca al lupo per domani. g.

SALLUSTI: LA VERITA’ SUL MIO ARRESTO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Eccomi. Sono quel sog­getto «socialmente pe­ricoloso », così è scrit­to nella sentenza, che mercoledì sarà arrestato se la Cassazione confermerà il ver­detto emesso contro di me da un giudice di Milano.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

Un anno e due mesi di carcere per aver pub­blicato, anni fa su Libero che al­lora dirigevo, un articolo critico nei confronti di un magistrato che aveva autorizzato una tredi­cenne ad abortire. Non ho prece­denti penali ( come tutti i diretto­ri, che in base a una assurda leg­ge rispondono personalmente di tutto ciò che è scritto, sono sta­to condannato più volte a risar­cimenti pecuniari), non ho mai fatto male volontariamente a una mosca né mai lo farei.

Combatto da oltre trent’anni su quel magnifico ed esaltante ring democratico che è l’infor­mazione. Ne ho più prese che da­te ma non mi lamento, mai ho ri­sposto con querele a insulti e mi­nacce. Ho lavorato al fianco di grandi giornalisti, da Indro Montanelli a Paolo Mieli, da Giu­lio Anselmi a Giuliano Ferrara. A ognuno ho rubato qualcosa. Uno di loro, Vittorio Feltri, da tredici anni è anche un fratello maggiore che mi aiuta e proteg­ge e di questo gli sarò per sem­pre grato. Ho combattuto anche con durezza le idee di tante per­sone potenti e famose, ma non ho alcun nemico personale.

A volte ho sbagliato? Certo che sì, e ho sempre pagato in tut­ti i sensi. Sono un liberale, amo e mi batto per la libertà mia e di tutti, e per questo sono orgoglio­so di dirigere oggi il quotidiano della famiglia di Paolo Berlusco­ni, famiglia che la libertà ce l’ha nel sangue, fin troppo direbbe­ro alcuni.

Potrei difendermi dalle accu­se sostenendo, come è vero, che quell’articolo non l’ho scritto io, o cose del genere. Non lo farò perché ho la profonda convin­zione che nessuno, dico nessu­no, debba andare in carcere per una opinione, neppure la più as­surda. Se danno c’è stato che venga quantificato e liquidato. Ma nulla di più è dovuto. L’erro­re ha un prezzo, un principio no. E il principio che non ha prezzo è che nessun giudice può mandare in carcere qualcu­no per le sue idee. Se accettassi­mo questo sarebbe la fine della democrazia, tutti noi saremmo in balia di pazzi, di uomini di Sta­to in malafede, di ricattatori. Io sono disposto a pagare un equo indennizzo, ma non baratto la mia libertà.

Per questo ho detto no a scorciatoie che i miei nuovi e bravissimi avvocati mi hanno proposto. La classe dei magistrati che ha partorito questo obbrobrio ab­bia il coraggio di correggersi o l’impudenza di andare fino in fondo. Non ho paura. Io sono un nulla rispetto al problema in questione. Vogliono fare con­cludere il settennato di Napoli­tano (l’ho aspramente criticato in passato, se sarà il caso lo rifa­rò ma lo rispetto e ringrazio per l’interessamento annunciato ie­ri) che dei magistrati è anche il capo, con una macchia indelebi­le per le libertà fondamentali? Vogliono mandare Monti in gi­ro per l’Europa come il premier del Paese più illiberale dell’Occi­dente? Lo facciano, se ne hanno il coraggio. Per questo, non per il mio destino personale, sareb­bero dei criminali alla pari di chi ha stilato la sentenza che vuole impedirmi di scrivere ciò che penso per il resto della mia vita. Rinuncio al salvacondotto per rispetto alle persone con le quali condivido la vita, ai letto­ri, ai miei tre vicedirettori che si fidano di me, dei cento giornali­sti che dirigo e che hanno il dirit­to di lavorare in un giornale se­condo i principi non negoziabi­li stabiliti dal suo fondatore In­dro Montanelli. Alessandro Sallusti, Direttore de Il Giornale, 23 settembre 2012

………..Ogni parola di commento sarebbe superflua. Chiunque ami la libertà e rivendichi il diritto di dire la propria opinione in un Paese che si ispira ai principi della democrazia liberale si individua oggi in Alessandro Sallusti. Se lo arresteranno, se la casta dei giudici andrà sino in fondo nella difesa corporativa dei propri privilegi, compreso quello della vendetta, e restringeranno Sallusti in una cella,  idealmente ci sentiremo ristretti tutti nel piccolo spazio di quella  cella insieme a Sallusti e alle libertà negate  di ciascuno di noi.g.


SALLUSTI: PER I GIUDICI E’ UN “PERICOLO SOCIALE”….IN GALERA, MENTRE I LADRI E GLI ASSASISNI RESTANO IN LIBERTA’…VIVA L’ITALIA

Pubblicato il 22 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

“Ho paura di vivere in un paese dove ci si permette di arrestare le idee, di metterle in carcere”.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti
Con queste parole il direttore del Giornale Alessandro Sallusti commenta ai microfoni del TgLa7 diretto da Enrico Mentana la condanna a quattordici mesi di carcere per un articolo che non ha scritto lui. “Mi preoccupa – spiega – il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”.

Ci sono due fatti che insospettiscono il direttore del Giornale che adesso attende il verdetto della Cassazione previsto per mercoledì prossimo.“Il primo fatto è che queste idee sono di una parte di opinione – spiega Sallusti al TgLa7 – il secondo è che la querela è stata fatta da un magistrato ed è stata giudicata in modo così severa da un altro magistrato”. Poi, c’è una considerazione finale: “Mi preoccupa il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”. “Sono sempre molto bravi e molto pronti a enunciare dei principi nei convegni – continua il direttore del Giornale – ma quando devono far sentire la loro voce a difesa di tutti i cittadini, a prescindere dal loro pensiero, spesso battono in ritirata”.

Nonostante la situazione, Sallusti assicura che iI suo stato d’animo è “assolutamente sereno”. “Sono convinto della mia assoluta buona fede e di non aver commesso alcun reato”, continua commentando la vicenda giudiziaria che lo vede condannato, senza la condizionale, per il reato di diffamazione dopo la querela di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo. L’articolo in questione non è stato redatto da Sallusto, ma è stato pubblicato su Libero nel 2007, quando era direttore gerente del quotidiano e dunque considerato “responsabile oggettivo”. La vicenda sarà giudicata il 26 settembre dalla Corte di Cassazione, per la sentenza definitiva. “Una situazione che non esito a definire ’kafkianà e che non ha precedenti – conclude Sallusti – Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Per il momento, diciamo che resto in fiduciosa attesa”.

.………..Ciò che maggiormente ci lascia stupefatti è il silenzio della parte politica di Sallusti, a incominciare non tanto da Berlusconi che del Giornale è il referente politico, ma del capo di ciò che resta di un grande sogno svanito nel nulla, cioè del PDL. Ci riferiamo ad Alfano che nelle ultime 48 ore non ha fatto altro che parlare di ladri di galline da linciare e di donzelle indifese vittime dei ladri di galline da salvaguardare. A prescindere che , fermo restando che quanto è accaduto nel Lazio accade ovunque,   Alfano non può nascondere la polvere, anzi il fango, sotto il tappeto del solo Fiorito, indagato a Roma, per i soldi pubblici usati per scopi privati,  indicandolo  al pubblico ludibrio prima che i fatti siano accertati nella loro completezza alla faccia della presunzione di innocenza che vale per alcuni e per altri no, come per la stessa Polverini “assolta” da Alfano che , non dimentichiamolo, non ha sospeso dal PDL, ed ha fatto bene, il presidente Formigoni,  pur esso indagato per fatti forse più gravi di quelli di Fiorito al quale  però è stata già comminata la pena senza processo. Detto questo, stupisce che Alfano,  ancora dopo ben 24 ore dalla notizia del possibile arresto di Sallusti per una condanna che è tutto un programma, non abbia ancora detto una sola parola  di solidarietà a Sallusti che non è un ladro nè di galline nè di quattrini pubblici, che non ha ucciso nessuno, che non si è macchiato di nessun reato infamannte, tipo farsi trovare a fare sesso con un trans. Nei suoi confronti è stato applicata una legge che trova fondamenta nel Codice Rocco, il guardasigilli fascista che rielaborò il codice penale nel contesto di un regime autoritario che si difendeva con leggi liberticide  dalle critiche dei giornalisti. Dopo circa 70 anni una legge fatta su misura per un sistema politico autoritario continua ad esistere in un sistema politico compeltamente cambiato e dove il diritto di critica è sacrosanto, è anzi il primo inalienabile diritto di ciascuno, prima di tutti per un giornalista che ha il diritto-dovere di informare e di fornire elementi di giudizio sui fatti anche quando questi hanno per protagonisti i giudici che come tutti possono sbagliare e che se non hanno sbagliato e sono ingisutamente criticati possono e debbono rivalersi come tutti sul piano civile e non su quello penale. Alfano che è stato anch’egli Guardasigilli e che come tutti i suoi predecessori degli ultimi 70 anni si è dimenticato di  modificare le due riga che nell’attuale codice prevedono la galera per il direttore del giornale che pubblica senza controllo una notizia non vera, ora almeno intervenga per difendere Sallusti. Certo, sarà accusato di difendere un giornalista che è della sua parte e perchè mai non dovrebbe farlo? Deve farlo anche perchè gli elettori, pochi o molti che siano rimasti intenzionati a votare per il PDL, debbono sapere che votare per il PDL non può essere una aggravante e un rischio per la propria libertà personale. Si sbrighi a sollecitare l’intervento del governo, questo governo di azzeccagarbugli, fatto da pseudo esperti che una ne combinano e  cento ne pensano senza farne una, che sia una,  cosa buona e minacci, si minacci, se Sallusti dovesser essere arrestato di staccare la spina a Monti e allo steso Napolitano che a sua volta nulla ha da dire, forse in omaggio alla sua unica vera cultura che è quella dell’ex Unione Sovietica, dove i giornalisti non esistevano e se esistevano dovevano solo  elogiare il regime e se non lo facevano finivano nei gulag siberiani. E’ vero, qualcuno potrebbe tirar fuori il precedente di Giovanni Guareschi che alla fine degli anni 40 dovette farsi un anno di carcere per lo stesso reato di cui è accusato ora Sallusti. Ma Guareschi, incautamente e del tutto incosapevolmente, aveva accusato De Gasperi di aver chiesto,  verso la fine della gurrra, agli alleati di bombardare Roma. La notizia era falsa e suffragata da falsi documenti che indussero Guareschi a scrivere cose non vere e infamanti per il Capo del Governo e capo di un partito che si richiamava alla Chiesa che  a Roma aveva la sua centralità. In quel caso e sopratutto in quel contesto storico-politico, la condanna fu correttamente inflitta e lo stesso Guareschi che pure aveva contribuito fortemente alla vittoria della DC nel’epico scontro del 1948 contro il fronte popolare non protestò e anzi scrisse a De Gasperi una lettera di scuse senza però scriverne un’altra per chiedere la grazia, in ossequio al principio secondo cui chi sbaglia paga. Ma Sallusti in  cosa ha sbagliato e perchè mai deve andare in galera come un delinquente comune solo per aver diretto un giornale che ha criticato un magistrato? O dobbiamo sempre sperare che ci sia un giudice a Berlino? g.

MENTANA, OVVERO FAI COME TI DICO E NON FARE COME FACCIO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 8 settembre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Enrico Mentana, direttore del TgLa7, smet­te i panni del fustigatore e veste quelli del moralista.

Non gli va che un suo collega di rete, Corrado Formigli, abbia fatto uno scoop, trasmettendo nel corso di «Piazza Pulita», il fuori onda nel quale Giovanni Favia, leader grillino, si lasciava andare a giudizi pesanti su Grillo e sul mo­vimento. Scorretto – ha detto il direttore nell’edizio­ne di ieri sera- carpire informazioni con l’inganno, e per di più mandarle in onda senza avvisare gli ospiti presenti in studio, tra i quali lui Mentana medesimo. Evidentemente il direttore pretende di comandare anche in casa d’altri, ma a parte questo non credia­mo che si tratti di sola invidia professionale.

No, ci de­ve essere altro, perché Mentana non si è mai fatto pro­blemi prima d’ora a sfruttare tutti i fuori onda audio e video (oltre che intercettazioni illegali) capitatigli tra le mani. Vuoi vedere che il cuore del direttore su­per partes per antonomasia in realtà batte forte per il vendicatore Grillo e non gli va che qualcuno ne met­ta in discussione la limpidezza? Lecito, ovviamente, ma farebbe bene, per coerenza, ad avvisare anche i suoi ascoltatori. Se così non fosse ci scusiamo e gli segnaliamo un caso simile che evidentemente, nella foga di difende­re i grillini, gli è sfuggito e che riguarda il suo ex edito­re, quello che lo ha reso ricco e potente. Si tratta di un fuori onda giudiziario pubblicato ieri da Il Fatto .

È il resoconto dell’interrogatorio che Silvio Berlusconi ha rilasciato pochi giorni fa a tre pm di Palermo sui soldi dati a Dell’Utri. Battute, giudizi e confidenze che Berlusconi ha fatto nel chiuso di una stanza alla presenza dei soli tre magistrati, uno dei quali è il fami­gerato Ingroia. Niente avvocati, niente cancellieri. Ora, escludendo che Berlusconi abbia spifferato il contenuto al giornale dei giustizialisti, è ovvio che a cantarsela è stata una delle tre toghe. La quale ha vio­lato così la legge e ha mancato di rispetto a un testimo­ne, per di più ex premier e attuale presidente del parti­to di maggioranza relativa. In breve ha commesso un reato. Avremmo sperato che Mentana, giornalista li­bero e puro, si fosse indignato, avesse chiesto al Csm, dal suo pulpito serale, l’apertura di un’inchiesta per violazione del segreto istruttorio e turbativa della po­litica italiana. Facile, caro Mentana, prendersela con Formigli. Prova, se hai le palle, ad attaccare Trava­glio e Ingroia, a difendere Berlusconi quando è vitti­ma di ingiustizie. Ma forse chiediamo troppo anche a un maestro di giornalismo. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 8 settembre 2012