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SE I MAGISTRATI FANNO PIU’ GUAI DI P2, P3, P4, ETC, ETC, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 4 gennaio, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Quando i magistrati non sanno più che pesci prendere, si aggrappano ai cosiddetti reati generici, dall’associazione esterna all’associazione segreta.

Un'aula di tribunale

Così di solito si concludono le inchieste-polverone basate su teoremi e pregiudizi.
Ricordate la P4? Sembrava avessero scoperto una sorta di Al-Qaida italiana, è finita con il patteggiamento a un anno e sette mesi di un faccendiere, Luigi Bisignani.

Non contenti di quel clamoroso fiasco, ora i pm ci riprovano con la P3. Ieri hanno chiesto il rinvio a giudizio di una ventina di persone, tra le quali il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e del senatore Marcello Dell’Utri.

Avrebbero tramato in pranzi e convegni organizzati da una associazione creata allo scopo. Mi è capitato di mangiare con entrambi, sono buone forchette e se hanno un segreto è come fanno a digerire di tutto senza problemi. Per il resto mi sembra abbiano fatto legittimo e trasparente lavoro di lobby politica, come i banchieri con le loro fondazioni, D’Alema e Fini con le loro associazioni culturali.

Tanto che di reati specifici non c’è traccia, come non ce n’era nella famosa P2, polverone che finì con l’assoluzione di tutti gli imputati. Se c’è una associazione sulla quale bisognerebbe indagare, questa è quella dei magistrati. Non sarà segreta ma fa cose molto strane. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 4 gennaio 2012

.……..Sallusti ha il pregio della chiarezza nella sintesi. In maniera sintetica e anche chiara Sallusti espone una opinione che è assai diffusa tra la gente, di ogni colore e tendenza. I magistrati che non riescono ad acciuffare l’assassino di Garlasco, non riescono a fare chiarezza sulla ragazzina di Brembate scomparsa e ritrovata uccisa dopo alcuni mesi nei luoghi che erano stati setacciati dalla protezione civile in salsa pensionistica, non riescono a mettere la parola fine al caso di Avetrana, hanno tenuto in carcere due ragazzi accusati di omicidio e ora dichiarati innocenti, ci hanno messo 20 anni a trovare un assassino per il caso di via Poma a Roma che non si sa se lo è davvero, e potremmo continuare all’infinito, ebbene questi stessi magistrati quando si tratta di reati che più che generici sono evanescenti come le associazioni segrete che poi tanto segrete non sono visto che i presunti aderenti si incontravano a pranzo alla luce del sole, allora sono eccezionalmente veloci nel chiedere il rinvio a giudizio dei “colpevoli”, salvo poi ritrovarseli innocenti dopo averne stritolato le vite private e pubbliche. Tanto poi nessuno paga. g.

SCANDALO SANITA’ IN PUGLIA: ECCO IL CODICE VENDOLA

Pubblicato il 22 dicembre, 2011 in Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

dal nostro inviato a Lecce

Il devastante interrogatorio dell’ex manager Asl di Bari Lea Cosentino, un tempo fedelissima di Nichi Vendola, si arricchisce di nuovi, incredibili, dettagli.

l’AFFABULATORE NIKI VENDOLA

Nel verbale incentrato sulla mala gestione della sanità pugliese da parte del governatore e dei suoi assessori, interrogatorio (pubblicato in parte ieri) rimasto a lungo coperto da omissis e inviato per conoscenza a Lecce per i riferimenti ad alcuni magistrati, la Cosentino non si risparmia quando è chiamata a snocciolare esempi sulle pressioni ricevute per promuovere medici o dirigenti targati Pd o Sel. Per avere un’idea di come Vendola e compagni di giunta concepiscano la sanità pubblica, basta riportare un altro stralcio di questo interrogatorio top secret dell’ 8 aprile scorso. Nomi, fatti, circostanze oggetto di indagini approfondite che rischiano di travolgere l’uomo nuovo della politica che a casa sua aveva aperto le braccia anche al tanto vituperato Don Verzé.

«L’assessore (alla Sanità, ndr ) Fiore – dice la Cosentino – mi contestava il fatto che io non espletassi il concorso per la nomina del primario di rianimazione di Altamura, ma io sapevo che avrebbe vinto il dottor Milella perché uomo di fiducia del professor Fiore. Subii pressioni a cui comunque non cedetti non ritenendo di dover espletare con urgenza questo concorso. Un’altra pressione riguarda la nomina di primario per l’unità operativa complessa di chirurgia toracica del presidio ospedaliero San Paolo. Nel 2008 era andato in pensione il professor Campagnano, molto bravo e infatti quel presidio andava molto bene. Bandimmo il concorso e Vendola mi chiese di procedere velocemente e sponsorizzò la nomina del dottor Sardelli del policlinico di Foggia, suo amico e secondo lui molto bravo: espletai il concorso ma il dottor Sardelli non presentò la domanda confidando di poter essere collocato presso il Di Venere in un istituenda unità complessa.

Quando Sardelli appurò tramite Francesco Manna, già capo di gabinetto di Vendola, che l’istituzione dell’unità di chirurgia complessa del Di Venere non si sarebbe realizzata, Vendola mi chiese insistentemente di riaprire il concorso per consentire al dottor Sardelli di parteciparvi. Io, a fronte di tali richieste e nonostante fosse stata già composta la commissione che non si era ancora riunita, riaprii i termini del concorso, anche se non ero d’accordo, con la scusa di consentire il massimo accesso a tutte le professionalità. Era chiaramente una forzatura ma Vendola mi disse di farlo perché mi avrebbe tutelata». Alla fine, coincidenza, per quella pressione e quell’intromissione di Vendola a cose fatte, «vinse il dottor Sardelli» anche perché più titolato.

A un’imposizione ne seguì un’altra. «Sardelli poi mi impose, attraverso Vendola, di fare una ristrutturazionedel reparto e di dotare il reparto stesso delle attrezzature idonee per la funzionalità dello stesso».
Quanto all’attuale senatore Pd Alberto Tedesco, all’epoca assessore alla Sanità, la manager confessa: «Riguardo alla nomina del professor Acquaviva vi è stata una forte pressione dell’assessore Tedesco sia sui tempi dell’espletamento del concorso sia sul nome dell’Acquaviva: quest’ultimo si era candidato in precedenza alle lezioni amministrative, non ricordo quali, nella lista del Tedesco, il quale sosteneva che Acquaviva fosse ilmigliore». La Cosentino passa poi a parlare del mondo affaristico interessato, attraverso la politica, ad allungare le mani sui milioni della sanità pubblica. Sul punto i magistrati contestano alla manager la famosa intercettazione all’Hotel De Russie di Roma presenti Gianpi Tarantini e l’imprenditore Alberto Intini, vicinissimo a Massimo D’Alema. I pm le chiedono se «ha mai sentito parlare Intini e Tarantini di ripartizione degli appalti »e se la cosa«la coglieva di sorpresa ».

Lea Cosentino, sorpresa non lo era affatto: «In quel periodo mi stavo rendendo conto che le cose che mi raccontavano Tarantini, Gero Grassi (parlamentare Pd, ndr) e Loizzo (ex assessore ai Trasporti, Pd, ndr) e cioè che vi erano delle consuetudini per cui il politico del territorio aveva degli imprenditori di riferimento e si facevano pressioni sulle gare di appalto, erano vere».Sull’incontro al De Russie, precisa, «fui invitata da Tarantini, sapevo che partecipava Intini, ho fatto da agente provocatore avendo avuto percezione nel corso della mia attività dell’esistenza di un sistema che prescindeva dalla mia volontà e che mi avrebbe potuto soverchiare.

Gianpaolo Tarantini mi aveva detto, infatti, in ciò rafforzando la mia percezione e le mie preoccupazioni, che l’appalto delle pulizie e sull’ausiliariato che aveva un valore di 55 milioni di euro circa era stato già oggetto di spartizione fra alcuni imprenditori ». Alla gara partecipò inizialmente anche un’Ati con Intini, poi escluso e che per rientrare «minacciava ricorsi» per altri torti subiti. Loizzo le disse che Intini era molto arrabbiato e «mi chiese di intervenire presso di lui, così lo incontrai al De Russie».

Il governatore tace imbarazzato. E per una volta non sbaglia visto che il suo ex assessore Tedesco (attuale senatore Pd) rischia di nuovo il carcere essendo stata avanzata richiesta d’arresto a Palazzo Madama e il suo ex numero due in giunta, il dalemiano Frisullo, coinvolto nel giro-escort di Tarantini, rischia il processo. Sulla sanità privata è prossima una «bomba » che nessuna fuga di notizie pro Pd, stavolta, potrà attenuare. È una torbida storia che si incrocia anche con gli inciuci da 50 milioni di euro all’ospedale Miulli di Acquaviva. Sta per essere raccontata dalla magistratura. Occorre solo trovare un Narratore. Gian Marco Chiocci, per Il Giornale, 22 dicembre 2011

.………..Per molto meno il pm napoletano, ex potentino, Woodwock avrebbe già emesso mandato di cattura e trasferito il reprobo in una auto 500 a qualche sperduto carcere del pianeta, ristretto con una ventina di detenuti (che goduria!) in attesa di interrogatorio di garanzia. Ma questo è solo un sogno per cui non c’è reato, almeno sino a quando i solerti magistrati italiani non avranno motu propri trasformato il sogno in delitto. g.

FATE CON CALMA…MENTRE LO SPREAD VOLA E LE BORSE AFFONDANO

Pubblicato il 25 novembre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Alcuni giorni fa, nel pieno degli attacchi degli speculatori finanziari internazionali, il giornale di Confindustria esortava il governo a “Fare presto” per approvare le misure anticrisi. Oggi, con Monti in carica, tutto tace…

“Fate presto”. E’ la frase sparata in prima pagina a caratteri cubitali dal Sole 24Ore il 10 novembre scorso, in piena crisi finanziaria, con lo spread sul Bund che schizzava alle stelle e la Borsa che subiva uno dei più forti attacchi speculativi internazionali degli ultimi anni.

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Roberto Napoletano, direttore del quotidiano di Confindustria, invitava il governo a fare il massimo sforzo, e a farlo presto, per affrontare la situazione ed evitare il disastro dell’Italia, considerato imminente. Il titolo dava il senso della drammaticità del momento. Era una citazione. Lo stesso titolo, “Fate presto”, era comparso sul Mattino di Napoli tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre 1980.

Passate alcune settimane e archiviato il governo Berlusconi, il nostro Paese deve adottare le misure necessarie a uscire dalla tempesta. A guidare la “nave Italia” c’è il professor Mario Monti, in fretta e furia nominato senatore a vita. E’ stato chiamato a “salvare” il Paese.  In Italia gode del sostegno di tutti, meno quello della Lega. All’estero lo appoggiano la Merkel, Sarkozy, Obama, Barroso, Van Rompuy e la Lagarde. Insomma tutti, o quasi. Eppure le misure “anticrisi” tardano ad arrivare. Certo, per mettere in cantiere dei provvedimenti importaqnti serve tempo. Nessuno lo mette in dubbio. Ma non si capisce come mai per alcuni organi d’informazione, molto solerti, fino a poco fa, nel chiedere un veloce cambio di passo, ora non ci sia più alcuna fretta. Insomma, siamo già fuori dalla crisi? Non sembra proprio…

Ecco dunque che il Foglio di Giuliano Ferrara ha deciso di rompere il silenzio e, con una finta prima pagina del Sole 24Ore, ha titolato a caratteri cubitali: “Fate con calma”. In alto, sopra al titolo, una striscia rossa con dei numeri significativi. Tra questi ce n’è uno, 5.184, che indica le ore intercorse tra il giuramento del governo e domani. Poi si legge un commento, con una punta di acida ironia: “E’ nato così in fretta il sobrio gabinetto che ci ha spiazzato, viziato e il paese soffre d’astinenza grave. Vorremmo che avesse già fatto acuti, seminato sconcerto, non solo reso omaggio a chi ha preceduto, a chi sta a fianco, a chi sta dietro e ai due che stanno altrove e stanno sopra…”. E’ difficile non sorridere alla satira del Foglio. Ci auguriamo, però, che la calma auspicata da Ferrara non sia eccessiva… Il Giornale, 25 novembre 2011

IL PM INGROIA CONFESSA: “SONO UN PM PARTIGIANO”

Pubblicato il 31 ottobre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Ci sono voluti diciott’anni, ma alla fine lo hanno ammesso: nei confronti di Silvio Berlusconi e della politica non tutta la magistratura è imparziale. A dirlo è uno dei procuratori simbolo della sinistra, Antonio Ingroia, leader dell’antimafia siciliana, l’accusatore, tanto per intenderci, di Marcello Dell’Utri. Citiamo testualmente: «Un magistrato deve essere imparziale ma sa da che parte stare. Io confesso di non sentirmi del tutto imparziale, anzi, mi sento partigiano». Parole terribili, per di più pronunciate in una assise politica, il congresso del Partito comunista di Diliberto. L’outing di Ingroia permette finalmente di rileggere, e riscrivere, la recente storia dei rapporti tra politica e giustizia: pm di parte hanno tentato di abbattere Silvio Berlusconi e la sua maggioranza perché si sono auto investiti di una missione con radici divine che travalica i loro compiti, cioè decidere chi e come ci deve governare al di là delle leggi e del responso elettorale. Partigiani di sinistra che si sono scagliati contro il centrodestra per liberare il Paese da un nemico di classe.

Ingroia andrebbe allontanato dalla magistratura, da subito. L’ammissione rende incredibile ogni suo atto futuro, qualsiasi cittadino elettore del centrodestra che capitasse in una sua inchiesta potrebbe e dovrebbe ricusarlo per dichiarata imparzialità. Ma tutto il suo lavoro passato andrebbe rivisto alla luce di questa ammissione, a partire dall’accanimento che ha portato alla condanna a sette anni in secondo grado di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Per non parlare dei pentiti da lui scagliati contro Berlusconi con effetti giudiziari nulli ma mediaticamente devastanti.

Ingroia è dunque stato un magistrato che si rifiuta di essere «esecutore materiale di leggi ingiuste», come ha detto ieri. Chi decide se una legge è giusta? Lui? E perché non io. Oggi è legittimo chiedersi quanti sono stati e sono i magistrati nelle condizioni di Ingroia. Quante sono state le inchieste politiche, quante le sentenze viziate da una visione privatistica della giustizia? E con che coperture nella filiera che detta la legge? Altre domande. Il Consiglio superiore della magistratura era al corrente dell’esistenza di una P2 al proprio interno? Qualcuno può escludere che anche la Corte Costituzionale sia affetta dallo stesso virus? Che cosa ne pensa e che cosa intende fare il Capo dello Stato di fronte a una simile ammissione? Per ora c’è soltanto una risposta certa: ci sono arbitri che fanno anche i giocatori. E Gianfranco Fini non è più l’unico. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 31 ottobre 2011

…………..Ci manca poco che Ingroia si autoproclami “Dio” e il colmo sarebbe raggiunto.

VENDOLA E SCELSI, FRATELLI ILLUSTRI E INTERCETTATI

Pubblicato il 17 ottobre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Nichi Vendola

Nomi, anzi cognomi eccellenti, nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta barese sull’ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore del Pd, salvato dall’arresto dal voto dell’Aula. Sono quelli di due medici, pizzicati a chiacchierare con i protagonisti dell’indagine. Sono Michele Scelsi ed Enzo Vendola, rispettivamente fratelli di Pino, il pm del caso D’Addario, e Nichi, governatore pugliese. Dei rapporti tra Tedesco e Michele Scelsi ha parlato anche Laudati nel memoriale consegnato al Csm. Non per l’irrilevante valenza penale degli stessi, ma perché a luglio 2009 furono sottoposti allo stesso Pino Scelsi, per valutare se astenersi dalle indagini. Il pm, nonostante i dubbi dei colleghi, si tenne stretto il fascicolo sulle escort.

Michele Scelsi, con Tedesco divenuto responsabile del Crat (Coordinamento regionale delle attività trasfusionali), parla con l’assessore tra il 2008 e il 9 febbraio 2009, quando una fuga di notizie rende pubblica l’indagine su Tedesco. Quel giorno Scelsi gli manda un sms: «La solidarietà di oggi con la stima di sempre». La prima telefonata è del 22 marzo dell’anno precedente. Scelsi: «Poi ci vediamo dopo Pasqua (…) Ho un po’ di cose anche da dirti (…) Dell’Asl, ci sono delle cose che non si muovono manco…». T: «Adesso c’è stato un intervento del presidente (…) perché adesso ho chiesto formalmente di darmi le carte dei bandi e delle commissioni, va bene?». Il 17 maggio, Scelsi informa Tedesco che il centro trasfusionale della Regione aveva ceduto sacche di sangue alla Toscana. Tedesco: «Perché non fai un comunicato come Crat?». Scelsi: «Era quello che volevo tu mi dicessi». Il 16 giugno ancora Scelsi informa Tedesco di un «allarme rientrato», che riguardava la «banca militare di Taranto», probabilmente il centro trasfusionale dell’ospedale della Marina. S: «Quella vicenda della banca militare di Taranto (…) si è conclusa positivamente, nel senso che la signora è negativa a tutti gli esami, per cui non esploderà più nessuna bomba (…)». T: «Vabbè, ma tra l’altro non me l’hanno nemmeno chiesta, voglio dire». S: «Sì, perché nessuno ne sapeva niente (…) poi ci dobbiamo comunque, eh?, ti devo comunque parlare per altre vicende, quindi…». Il 12 luglio, Scelsi e Tedesco concordano la risposta a un articolo sull’emergenza sangue. Si sentono ancora il 22 novembre, Scelsi si lamenta con l’assessore sul «piano aziendale dell’Asl che stravolge il piano sangue». «Non mi hanno chiesto niente?», domanda Scelsi, e l’assessore lo tranquillizza: «Fai conto di non averlo letto (…) in assessorato si sono resi conto che hanno fatto una puttanata».

Il fratello del governatore Vendola, l’oculista Enzo, finisce spiato, invece, con il braccio destro di Tedesco, Malcangi, indagato, che era sotto intercettazione. Il 3 settembre 2008 Malcangi lo chiama. Vuol sapere delle voci che vorrebbero Tedesco fatto fuori dalla giunta: «Mi ha detto Sigrisi che lo cacciano a Tedesco, dice che l’hai detto tu, è vero?». Vendola cambia discorso, ma Malcangi dopo un po’ insiste. M: «Ti ho chiamato per questa cosa (…) ho da decidere anche delle cose mie personali (…) se rimanere a lavorare in queste condizioni o andarmene… Allora dice che domenica il presidente è venuto alla villa tua». V: «Sì». M: «E hanno parlato di questo fatto. Ti risulta?». V: «Mario… no comment». M: «Che significa no comment? Sì, no?». V: «Quattr’occhi». M: «Va bene, a che ora?». V: «Anche oggi pomeriggio se passi dallo studio».

Il 23 settembre, Malcangi chiama Enzo Vendola e gli chiede se si ricorda «quell’amico mio di cui ti ho parlato per far la visita», riferendosi secondo gli inquirenti a Balestrazzi, un’imprenditore (indagato) che aveva rilevato quote delle società sanitarie di proprietà di Tedesco. Vendola chiede di non presentarsi in mattinata, «perché se bisogna parlare, bisogna parlare con calma, capito? Non possiamo parlare con 50mila persone alle spalle che premono… a me, a me, a me, capito? (…) ci dobbiamo vedere di sera, anche stasera». M: «Allora vengo, veniamo?». V: «Portalo un attimo, sì». Prima dei saluti, Vendola chiede a Malcangi se conosce il direttore sanitario dell’Asl Bat. Malcangi conferma: «È un mio carissimo amico». Vendola chiude: «Scusa, e gli dici di proteggere l’amico mio Ettore?». Il 7 ottobre, i due si sentono ancora, e Vendola mette in guardia ancora una volta l’amico dal parlare per telefono. Malcangi: «Quella cosa, non hai fatto niente?». Vendola: «Sì, parlai. E poi non lo so, non mi sono sentito più da allora perché c’è stato il divieto assoluto, e lui mi garantì, che anche per un altro discorso, un’altra questione, doveva chiamare… capito?». M: «Quindi si sentiranno. Non ho capito, che divieto c’è stato?». V: «No! Non possiamo parlare più per telefono di questi fatti (…) perché l’aria si è fatta proprio irrespirabile, capito?».

.…..Si attendono i commenti dei fratelli magigori….

INTERVISTA DEL CORRIERE A MARINA BERLUSCONI: “CONTRO MIO PADRE BARBARIE LEGALIZZATA. NON MOLLERA’”

Pubblicato il 5 ottobre, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Marina Berlusconi, presidente di Fininvest
Marina Berlusconi, presidente di Fininvest

Marina Berlusconi non è una donna che teme di essere dura. E questa volta sembra volerlo essere ancora di più. Come presidente Fininvest ha appena presentato un esposto al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, che segnala un’anomalia che ha avuto un peso decisivo sulla sentenza che ha portato la Cir a incassare un assegno di 564 milioni come risarcimento per la vicenda Mondadori. «Abbiamo scoperto un tarlo, una falla clamorosa che mina dalle fondamenta un castello di ingiustizie. Altro che leggi ad personam, qui siamo alle sentenze ad personam, al diritto cucito su misura: quando ci sono di mezzo mio padre o le nostre aziende, spuntano addirittura principi giurisprudenziali inediti e totalmente innovativi. Peccato che siano principi inesistenti, nati dal “taglio” di una frase addirittura sostituita da puntini di sospensione e dalla mancata citazione di altre».
Un conto sono le sentenze, un conto le interpretazioni, come la vostra.
«Qui non si tratta di interpretazioni, questi sono dati di fatto. Sono scomparse frasi intere di una sentenza della Cassazione».
Sia esplicita, che cosa è successo, cosa hanno fatto i giudici?
«Con il taglio e l’omissione di alcune frasi questa pronuncia della Cassazione, che ha un ruolo fondamentale ai fini della condanna, è stata letteralmente stravolta, ed è stato in questo modo creato un precedente giuridico ad hoc».
Sta dicendo che la sentenza è stata manipolata. Accusa i giudici di un falso?
«Me ne guardo bene, l’esposto si limita a segnalare alle autorità competenti quanto è accaduto. È un fatto talmente evidente e grave che abbiamo non soltanto il diritto ma addirittura il dovere di renderlo noto, al di là del ricorso in Cassazione che seguirà la sua strada. Il taglio e l’omissione di alcuni passaggi ribalta totalmente la tesi della Cassazione con la conseguenza che noi dobbiamo firmare un assegno da 564.248.108,66 euro. Incredibile? Assolutamente sì, è quello che ho pensato quando i legali me ne hanno parlato. Però, ripeto, le carte sono lì, basta confrontare i testi sul sito della Fininvest. Incredibile, ma vero».
Senta, a me paiono scaramucce giudiziarie, costose quanto vuole …
«Altro che scaramucce, stiamo parlando di più di mezzo miliardo».
Sì, ma è sempre la stessa storia.
«Eh no. Partiamo dalla sentenza del 1991 della Corte d’Appello di Roma, quella che dava torto a De Benedetti, dalla quale tutto è cominciato. Dopo che uno, uno solo badi bene, dei tre giudici romani era stato condannato per corruzione, per cancellare gli effetti di quella sentenza d’Appello le norme davano a De Benedetti una sola possibilità: rivolgersi al giudice della revocazione. Non è una formalità, ma un istituto fondamentale, previsto dall’articolo 395 del Codice di procedura civile. La Cir però la revocazione, che le regole avrebbero peraltro imposto di discutere a Roma e non a Milano, non l’ha mai chiesta. I termini sono scaduti nel settembre 2007. Morale: azione improponibile, fine della storia».
Altro che fine della storia, poi il giudice Mesiano vi condanna a un risarcimento di 750 milioni.
«Esatto. Questa è la dimostrazione che trovano sempre il modo per superare ostacoli che dovrebbero essere insuperabili. Mesiano punta sulla chance: non ci sono certezze, ma è molto probabile che un giudizio non viziato da corruzione nel ‘91 avrebbe dato ragione alla Cir. Un escamotage così poco sostenibile che la stessa Corte d’Appello lo “boccia” e cambia strada. Stabilisce che la sentenza che ci aveva dato ragione era nulla. Si arroga il diritto di rifare il processo e la Cir vince. Si sostituisce, quindi, al giudice della revocazione. E per farlo utilizza, nel modo sconcertante che le ho detto, la pronuncia 35325/07 della Cassazione».
Capisco che tutto ciò vi crei problemi. Insisto: questioni giuridiche, procedurali, da tribunali …
«Non ci sono solo procedure, ci sono anche i fatti. Eccoli: la Cir non ha avuto alcun danno da parte nostra; noi, che non avremmo dovuto pagare neppure un euro, abbiamo subito un esproprio di 564 milioni, un danno gravissimo per un gruppo che, non mi stancherò mai di sottolinearlo, è uno dei grandi protagonisti dell’economia del Paese, e che solo per dare una cifra, negli ultimi 10 anni ha versato nelle casse dello Stato la bellezza di oltre 5 miliardi di euro, più di 2 milioni al giorno».
Veramente è De Benedetti che lamenta un danno.
«Ma quale danno? La vicenda si concluse con una transazione impostaci dalla politica che De Benedetti accettò entusiasticamente, come dimostrano le sue dichiarazioni di allora, senza neppure ricorrere in Cassazione e ci credo che fosse soddisfatto: si prendeva Repubblica , l’Espresso e i quotidiani locali di Finegil, una parte rilevantissima della Mondadori, politicamente ed economicamente».
Lascio a lei la responsabilità di quello che afferma su Cir e magistratura. Ma a me pare l’ennesima versione della persecuzione contro suo padre.
«Persecuzione? Non avevo dubbi sul fatto che si trattasse di una sentenza politica, ora si scopre su che cosa si basa! Non tiro conclusioni, ma veda lei… Purtroppo la verità è che parlare di persecuzione non è più sufficiente. Ormai contro mio padre siamo alla barbarie quotidiana legalizzata».
Addirittura barbarie…
«Certo, mi ha molto turbato leggere articoli di informatissimi notisti politici in cui si considera come un dato scontato che questa aggressione furibonda possa mettere in discussione la sua libertà personale, il futuro delle sue aziende e addirittura la sua incolumità. E nessuno fa un salto sulla sedia? Sì, barbarie quotidiana legalizzata, ma assolutamente illegale».
Illegale cosa? E allora tutte le inchieste aperte da Napoli a Bari, da Roma a Milano?
«Si inventano inchieste a ripetizione su reati inesistenti e senza vittime solo per fabbricare fango. Poi il fango fabbricato viene palleggiato tra una Procura e l’altra e infine riciclato. Il processo, con relativa, inevitabile condanna, lo si celebra sui media. Quello in aula, se si farà e come finirà non interessa più a nessuno. So bene, e ci tengo a ripeterlo, che dietro tutto questo c’è solo una minoranza di toghe, che la magistratura come istituzione merita il massimo rispetto. Ma il risultato non cambia. E mi chiedo che cosa tutto ciò abbia a che fare con la giustizia, con l’informazione, con un Paese che si considera civile».
Me l’aspettavo, il problema sono i magistrati che intercettano e i giornali che pubblicano.
«Stiamo parlando di centinaia di migliaia di intercettazioni, un numero spropositato, di cui si è fatto un uso fuori da ogni regola, mi riesce perfino difficile trovare le parole per definirlo, la verità è che se ci penso mi viene la nausea. Credo che raramente si sia assistito ad un tale spettacolo di inciviltà. Altro che bavagli: ma davvero qualcuno può credere e sostenere che si possa continuare così?»
Un presidente del Consiglio non è proprio un cittadino qualunque. Strauss-Kahn ha chiesto scusa in tv, persino Giuliano Ferrara invita suo padre a fare altrettanto …
«Intanto il paragone è del tutto inaccettabile. Mio padre non ha mai fatto assolutamente nulla di male e vedere il modo in cui cercano di sfregiarlo, per chi come me lo conosce davvero e sa davvero com’è, è ogni volta un pugno nello stomaco. È uno di quegli uomini, non rari ma rarissimi, che ha sempre saputo far coincidere la realizzazione di se stesso e dei propri obiettivi, la creazione di opportunità per sé con la creazione di opportunità e di benessere anche per gli altri. E tutto questo sia per indole, sia per coraggio, sia per capacità, sia soprattutto per la sua grande generosità. Mio padre non ha mai preso soldi dalla politica, è uno dei pochi che con la politica i soldi li ha spesi e per il suo impegno ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo anche dal punto di vista personale. Non deve scusarsi proprio con nessuno, anzi sono gli altri, e sono in tanti, tutti coloro che lo assediano in modo vergognoso, a doversi scusare con lui».
Secondo lei quello della magistratura è un complotto, la società civile che si lamenta sbaglia. E le critiche di Marcegaglia, di Della Valle, solo una serie di errori.
«Intanto, non concordo per nulla con chi contrappone una società civile buona a una politica cattiva. Certo, è compito della politica, tanto più in un momento così delicato, affrontare e risolvere i problemi, ma politici di qualità ce ne sono da entrambe le parti, e cose importanti e di qualità il governo ne ha fatte molte».
Eppure la situazione economica è sotto gli occhi di tutti…
«Non dimentichiamoci che si sta fronteggiando una crisi globale, si deve operare in un sistema che, lo riconoscono perfino gli inflessibili censori di Standard & Poor’s, somiglia molto a una palude, dove tutto finisce frenato, smorzato se non svuotato. E il governo ha di fronte un’opposizione divisa su tutto tranne che sull’agitare qualunque bandiera, anche la più improbabile per le idee della sinistra, che possa essere sventolata contro Berlusconi».
Sta chiedendo che nessuno disturbi il manovratore? Mi pare eccessivo.
«La società civile non può cavarsela con apocalittici proclami di una pochezza desolante, o dettando lezioncine scontate».
A chi si sta riferendo, perché non fa nomi?
«Non mi interessa fare nomi. Dico solo che non se ne può davvero più di maestrini o maestrine, tanto bravi finché c’è da parlare, molto meno una volta messi alla prova dei fatti. Le ricette ci sono e sono note, il problema è poterle realizzare. E allora, se non si tratta solo di voglia di protagonismo o di ambizioni d’altro genere, se l’intento sincero è quello di dare una mano all’Italia del futuro ma anche a quella del presente, non si può pensare di farlo restando seduti in platea. Bisogna salire sul ring e cominciare con il battersi con quello che è l’avversario più temibile: chi sullo sfascio, sul tanto peggio-tanto meglio costruisce le proprie fortune».
Nell’ultimo editoriale di Angelo Panebianco si parlava di ciclo concluso per Berlusconi e che se suo padre facesse un passo indietro la situazione si svelenirebbe.
«Mio padre non deve assolutamente mollare e non mollerà. Per molte ragioni. Intanto in un momento come questo la stabilità è un bene prezioso, e oggi non mi pare proprio ci siano alternative degne di questo nome all’attuale governo. Ma soprattutto non deve mollare e non mollerà per il rispetto e l’amore che ha verso la democrazia».
Mi pare proprio esagerato tirare in ballo la democrazia .
«No, purtroppo no. La democrazia non si può piegare alle trame di qualche Procura e di qualche redazione. Pensare che lo scempio di ogni regola cui stiamo assistendo sia un problema che verrà risolto come per incanto se e quando Silvio Berlusconi deciderà di dedicarsi ad altro, è solo una pericolosa illusione. E chi si illude di cavalcare questo scempio dovrebbe sapere che rischia di esserne travolto se verrà il suo turno».
La solita difesa di suo padre, come sempre, senza se e senza ma.

«Guardi, mio padre sta lottando per il rispetto della sua libertà, ma la sua lotta è in realtà una lotta per la libertà di tutti. Possiamo essere liberi solamente se tutti lo sono. Qui non è solo la figlia che difende il padre, cosa che ho fatto e che continuerò a fare perché è sottoposto a un’aggressione sempre più violenta e vigliacca. Difendendo lui difendo anche me stessa, il rispetto della mia dignità e della mia libertà, e soprattutto difendo il diritto dei miei figli a vivere e a crescere in un Paese davvero democratico e civile».Daniele Manca, Il Corriere della Sera, 05 ottobre 2011 13:19

LODO MONDADORI, SENTENZA TAROCCATA?

Pubblicato il 4 ottobre, 2011 in Economia, Giustizia | No Comments »

Fininvest accusa: la sentenza della Corte d’appello di Milano che condannò il gruppo di Berlusconi a versare 560 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti è stata stilata alterando, tagliandone i passaggi decisivi, una sentenza della Cassazione. Per questo Fininvest chiede al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione di aprire un procedimento disciplinare a carico di Luigi de Ruggiero, Walter Saresella e Giovan Battista Rollero, i tre magistrati d’appello che nella primavera scorsa disposero il megarisarcimento a favore dell’editore di Repubblica. In sostanza, ai tre magistrati viene contestato “un errore grave e inescusabile”, se non addirittura la malafede. Al centro dell’esposto c’è un tema cruciale della causa tra il Cavaliere o l’Ingegnere relativa al controllo della casa editrice Mondadori. Nel 1991 una sentenza della Corte d’appello di Roma assegnò a Berlusconi la vittoria, aprendo la strada alla spartizione della casa editrice. Cinque anni dopo si scoprì che uno dei tre giudici che diedero ragione a Fininvest, Vittorio Metta, era stato corrotto. Dopo quella scoperta, la Cir di De Benedetti ha chiesto che le venissero risarciti i danni causati dalla sentenza di Metta: ed ha ottenuto il gigantesco risarcimento (750 milioni in primo grado, ridotti a 560 in appello) che Fininvest ha già provveduto a versare. Ma una delle tesi difensive dei legali di Berlusconi è sempre stata: prima di chiederci i danni, Cir avrebbe dovuto chiedere ed ottenere l’annullamento e la revoca della sentenza del 1991. Poichè questa domanda non è stata mai fatta, la richiesta di risarcimento è inammissibile. Questa tesi è stata respinta sia dal tribunale di Milano che dalla Corte d’appello. Ma oggi, con l’esposto disciplinare, Fininvest sostiene che la decisione della Corte d’appello è basata su un orientamento della Cassazione sforbiciato qua e là, e che letto per intero darebbe ragione al Biscione. Negli ambienti della Corte d’appello di Milano, si fa presente che in realtà la sentenza “sforbiciata” veniva citata in tutt’altro contesto, e per motivare tutt’altro passaggio della decisione. Ma la sostanza cambia di poco: l’esposto disciplinare contro i giudici della Corte d’appello milanese segna un altro passaggio dello scontro tra le imprese del Cavaliere e la magistratura, cui fa compiere un ulteriore salto di qualità. 4 OTTOBRE 2011

ADESSO DIMENTICHIAMO PERUGIA

Pubblicato il 4 ottobre, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Processo di Perugia, Amanda Knox e Raffaele Sollecito Possiamo far finta di credere che sia solo una sentenza, un semplice ribaltamento del giudizio di primo grado, passando dalla colpevolezza per omicidio all’innocenza. Avviene più spesso di quel che si crede. Possiamo anche spingerci a dire che la sentenza di Perugia dimostra che la giustizia funziona e sa correggere i propri errori. Ma forse è meglio guardare in faccia la realtà: l’assoluzione di quei due ragazzi condanna il modo in cui sono state fatte le indagini, il modo in cui s’è condotto il processo di primo grado e l’intero baraccone vergognoso del giustizialismo spettacolare, compresi i libri che hanno arricchito presunti esperti, che spero, da oggi, non siano mai più chiamati a svolgere quale che sia perizia a spese del contribuente. È facile che qualcuno scriva, oggi, che l’Italia fa una pessima figura agli occhi degli statunitensi, i cui mezzi d’informazione si sono mobilitati per sostenere l’innocenza di una loro concittadina. Dissento: facciamo una pessima figura, è vero, ma agli occhi di noi stessi. Che dovrebbe essere ancor più grave. In quanto allo scenario globale, la giustizia italiana è già stata umiliata da francesi e brasiliani, che hanno, del tutto a torto, rifiutato di consegnarci un assassino. È già esposta al ludibrio generale dal suo inarrestabile e infruttuoso tentativo di condannare chi governa. È troppo berlusconiano sostenere che questa caccia all’uomo è incivile? No, è grandemente barbaro far finta di niente. Nelle sue dichiarazioni spontanee la giovane imputata statunitense (non mi caverete il nome neanche ora, perché non contribuisco neanche con una goccia al dilagare infame della giustizia spettacolo) non si è difesa, ha accusato.

Le sue parole sarebbero potute essere quelle di un occidentale qualsiasi che si trova a fare i conti con un buco nero tribale, o con un tribunale islamico: io mi sono fidata degli inquirenti, loro erano lì per difendermi, invece mi hanno usata e manipolata. Di questo c’è uno strascico nella condanna per calunnia. Più mite il coimputato, italiano, forse geneticamente meno attrezzato a considerare repellente la messa in scena. Mi ha colpito un particolare: la loro relazione è stata posta a fondamento del movente, raccontata come un sabba, loro, proclamandosi innocenti, ci hanno tenuto a proteggere quei loro sentimenti di allora. Come normali ragazzi, come persone cui la natura e l’età consentono di credere nel valore di un sentimento. Fosse stato un processo iraniano ne parleremmo con le lacrime agli occhi. Ma era italiano. Dovremmo piangere a dirotto. Ma non è finita, e disinteressandomi, ora, della sorte di quei due, la cui vita è già massacrata, rivolgo l’attenzione a quella di noi tutti. Non è finita: la Corte di cassazione potrà chiudere il caso, ma potrà anche annullare la sentenza e chiedere un nuovo giudizio. Dimenticatevi Perugia: questo modo di procedere è folle. Se, avendo scopiazzato dalla formula americana, abbiamo stabilito che si può condannare solo in assenza di “ragionevole dubbio”, come mai si può credere che il dubbio non sia ragionevolissimo, se una corte, in un qualsiasi grado di giudizio, assolve? Noi riusciamo a demolire la ragionevolezza solo in base ad una finzione: chiamiamo “processo” l’insieme dei giudizi, per questo possiamo cambiarli a piacimento, sempre all’interno del medesimo “processo”. Era più che giusto quel che stabiliva la legge Pecorella: chi viene assolto non può più essere processato. La Corte costituzionale provvide a chiudere questo spiraglio di civiltà. Molti, troppi, ne pagano le conseguenze. Davide Giacalone, Il Tempo, 04/10/2011

.…………In questa vicenda, come nelle altre analoghe che occupano quintali di carta stampata e chilometri di video,  non siamo stati nè innocentisti, nè colpevolisti, ritenendo che nessuno è in grado di stabilire la verità senza conoscere fatti e documenti e sempre convinti che tale compito spetti alla Magistratura. Ma non possiamo non essere d’accordo con Davide Giacalone e con le sue amare considerazioni su una giustizia che in Italia fa acqua da tutte le parti. Tanto da essere elogiata dalla stampa americana e   vilipesa da quella inglese, mentre, come tutti si sforzano di dire, ma solo quando conviente, le decisioni della Magistratura vanno rispettate, qualsiasi esse siano. Ma per essere tali devono esserre emesse da chi gode di indiscussa  credibilità. E pare che così non sia per quella italiana.g

OGGI IL VIA ALL’ASSALTO GIUDIZIARIO CONTRO BERLUSCONI

Pubblicato il 3 ottobre, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Oggi entra nel vivo a Milano il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby. Qui non si par­la di inchieste ma della più grande operazione di spionaggio messa in piedi da un potere dello Stato, la magistratu­ra, contro un premier in carica. Spionaggio illegale non sulla sua attività pubblica o im­prenditoriale ma sul suo privato. Manca il reato, mancano le presunte vittime. Nessu­no deg­li oltre cento ospiti della villa di Arco­re chiamati a testimoniare dopo essere stati intercettati e schedati, si è mai lamentato di alcunché. Anzi, semmai dagli atti risulta che Silvio Berlusconi è uno squisito e gene­roso padrone di casa. Lo dice anche la famo­sa Ruby, unica minorenne agli atti, la quale ha aggiunto di aver mentito al premier e a tutti sulla sua età e sulle sue generalità.

Quel­lo che si apre è quindi uno spettacolo di giu­stizia mediatica, frutto del protagonismo e dell’odio di pm spregiudicati. Siamo al pro­cesso numero 26 in diciotto anni, senza che l’imputato sia mai stato condannato una so­la volta. In compenso una condanna di fat­to c’è stata eccome. Per difendersi Berlusco­ni ha dovuto sborsare oltre trecento milioni di euro ad avvocati e consulenti. Che se som­mati al risarcimento- rapina di seicento mi­lioni nella causa civile con De Benedetti, fanno un miliardo di euro (duemila miliar­di di lire). È una cifra spaventosa – sarebbe un pezzo importante della manovra econo­mica – pari a venticinque anni di utili che Berlusconi ha guadagnato come imprendi­tore. Mezza vita lavorativa bruciata per di­fendersi dall’accanimento giudiziario.

Ma non paga di avergli messo pesantemente le mani in tasca e impunita per i suoi errori, og­gi su Berlusconi la magistratura mette in scena il suo ultimo spettacolo. Un branco di guardoni in toga proveranno a farci entrare nel letto del presidente. Per poi dire, assie­me ai loro soci dell’opposizione, che un Pae­se normale non può rimanere inchiodato ai fatti privati del premier. Appunto, non può. In un Paese normale nessun pm avreb­b­e potuto fare come la Boccassini e compa­gni. Li avrebbero cacciati con infamia dalla magistratura per attentato contro lo Stato. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 3 ottobre 2011

CASO BERLUSCONI-TARANTINI: LE “CARTE” SPEDITE A BARI MA SFUMA L’ESTORSIONE

Pubblicato il 30 settembre, 2011 in Giustizia | No Comments »

Gianpaolo Tarantini e sua moglie ''Nicla '' Angela Devenuto nel 2003 Caso Tarantini punto e a capo. «Tutto come previsto», dicono gli addetti ai lavori. La procura di Roma ha deciso di inviare a Bari gli atti che riguardano Valter Lavitola per l’ipotesi di reato di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, la stessa configurata dal tribunale del riesame di Napoli. «Se c’è o non c’è se la vedranno loro», ammettono gli inquirenti. Restano nella Capitale, invece, le posizioni dei cinque soggetti precedentemente indagati per estorsione ai danni di Silvio Berlusconi: Tarantini, la moglie Angela Devenuto (detta Nicla), lo stesso Lavitola e due suoi collaboratori coinvolti nella vicenda in quanto avrebbero ritirato materialmente i soldi destinati dal presidente del Consiglio ai coniugi Tarantini. Il tribunale del Riesame di Napoli ha stabilito che a loro carico non ci sono «gravi indizi di reato», ma spetta al loro giudice naturale (Roma appunto) procedere o meno per la presunta estorsione. tutti e cinque, comunque, possono dormire sonni tranquilli: la loro posizione – si apprende tra i corridoi di piazzale Clodio – «verrà al novanta per cento archiviata». Sì, archiviata. L’estorsione, insomma, non ci sarebbe. L’ipotesi di reato per cui Tarantini è stato messo in carcere il primo settembre (dopo esser stato pedinato il giorno prima) e liberato solo lunedì scorso, dopo 26 giorni di detenzione cautelare a Poggioreale, semplicemente non esisterebbe. E Gianpi – prima indagato e ritenuto capace di fuggire, di inquinare le prove e reiterare il reato – è diventato vittima. Il miracolo è dei pm di Napoli. È grazie a loro che il «caso Tarantini» è tornato alla ribalta. Adesso lui, Gianpi, è tornato in libertà. E a seguirlo – stavolta – sono fotografi e telecamere. «Siamo contenti del risultato – ammette Ivan Filippelli, legale dell’imprenditore barese – ma molto dispiaciuti per quanto è accaduto. Due giovani sono stati privati della libertà per circa un mese per un’ipotesi di reato veramente fantasiosa». Già perché se Tarantini è stato a Poggioreale («ha sofferto molto, parliamo di una delle carceri più dure d’Italia») Filippelli non dimentica l’«aggressione» ricevuta dalla moglie Nicla. «Secondo l’articolo 275 comma 4, la donna non poteva nemmeno essere arrestata (come è avvenuto in un primo momento, ndr). I suoi figli hanno meno di tre anni, parliamo di garanzie fondamentali». Quanto alla carcerazione dell’imprenditore barese l’avvocato non ha dubbi: «È ingiustificabile. È figlia di una frettolosità dettata dalla fuga di notizie che non ha dato ai magistrati la serenità di valutare correttamente gli elementi a disposizione». Adesso Gianpi è una «vittima». Di Lavitola, intanto. Almeno secondo il Riesame di Napoli. E di Berlusconi, forse. Ma questo sarà Bari a deciderlo. Filippelli non è d’accordo. «Se vittima è stato, è stato una vittima inconsapevole – spiega – Quello che ha detto nel 2009 ha ripetuto nel 2011 nelle 200 ore di interrogatorio che ha subito. Non vi è mai stata una versione diversa. Edulcorata. O di comodo». Se così fosse anche Bari dovrebbe archiviare. Dopo centomila intercettazioni, richieste di accompagnamento coatto nei confronti di un primo ministro e un tifone mediatico internazionale che ha travolto il Paese. È la giustizia, bellezza. Nadia Pietrafitta, 30 SETTEMBRE 2011

……Già, è la giustizia, bellezza! E a pagare  le spiate milionarie sono i contribuenti italiani.