1- IL BUNGA BUNGA DI FINI
Massimo De Manzoni per Il Giornale
Adesso Gianfranco Fini deve dimettersi. Non perché lo diciamo noi, ma perché l’ha detto lui. Ricordate? Videomessaggio stile Bin Laden del 26 settembre scorso: «Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario della casa di Montecarlo, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera».
Bene: non esiti, perché oggi la certezza c’è. E si trova proprio in quelle carte della Procura di Roma che tanto l’avevano rallegrato qualche giorno fa, quando era stata annunciata la richiesta di archiviare la sua posizione in merito al reato di truffa aggravata.
Tra i documenti acquisiti dai pm, infatti, c’è anche il famoso contratto d’affitto tra il «cognato» Giancarlo Tulliani e la seconda società off-shore che ha comprato l’appartamento donato dalla contessa Colleoni ad An. E Tulliani quell’atto lo firma due volte: come affittuario e come proprietario dell’immobile.
Nessun dubbio. Lo scrivono gli stessi magistrati capitolini: «Il contratto di locazione intervenuto tra il locatore Timara Ltd, priva della indicazione della persona fisica che la rappresentava, e il locatario Giancarlo Tulliani reca sotto le diciture “locatore” e “locatario”due firme che appaiono identiche, così come quelle apposte sulla clausola integrativa recante la data 24/2/2009, allegata al contratto».
Linguaggio burocratico e un po’ sgrammaticato, ma chiaro: il «cognatino» ha firmato per sé e per la Timara. Dunque l’appartamento è suo e, di conseguenza, Fini è tenuto a sloggiare dalla Camera. La Procura di Roma ha fatto i salti mortali per tutelare l’ex leader di An. Lo ha iscritto nel registro degli indagati solo un minuto prima di chiederne l’archiviazione, evitandogli quelle fastidiose fughe di notizie che colpiscono la maggior parte dei politici finiti nelle grinfie della giustizia, soprattutto se il loro cognome inizia per B.
Ha ridotto al minimo il raggio dell’inchiesta, prendendo in esame solo la congruità del prezzo di vendita del quartierino e riuscendo nel mezzo miracolo di chiedere al Gip di affossarla anche una volta stabilito che il prezzo congruo non era affatto. Ha perfino depistato i cronisti, quando il Giornale ha pubblicato la registrazione del contratto d’affitto con le firme identiche, facendo filtrare la notizia che sul contratto vero e proprio le firme invece erano diverse.
Di più, onestamente, Fini non poteva chiedere. I documenti, a differenza delle parole, non sono manipolabili. Ora tocca al presidente della Camera dimostrare di essere un uomo d’onore. Aspettiamo fiduciosi. Ma non troppo.
Fini Tulliani Famiglia
2- CASA DI MONTECARLO, LE CARTE DELLA PROCURA
Lavinia Di Gianvito per Corriere della Sera
La data è la stessa: martedì scorso, 26 ottobre. Quel giorno la Procura ha iscritto Gianfranco Fini nel registro degli indagati e, contemporaneamente, ha chiesto l’archiviazione dell’accusa appena contestata. Il dettaglio è nelle carte depositate in vista dell’opposizione annunciata da Roberto Buonasorte e Marco Di Andrea, gli esponenti de La Destra che hanno denunciato l’affaire della casa di Montecarlo.
La rapidità con cui è stata vagliata la posizione del presidente della Camera rischia di ridestare le polemiche, anche perché, finora, era emerso che Fini era stato iscritto quando il Principato di Monaco aveva inviato i documenti della rogatoria-bis, il 13 ottobre.
È di oltre 900 pagine la documentazione raccolta dai magistrati nel corso dell’inchiesta. Agli atti, tra l’altro, ci sono gli interrogatori dei testimoni, a partire da quello del 14 settembre del senatore Francesco Pontone, ex segretario amministrativo di An. «Tra la fine di giugno e luglio 2008 – riferisce Pontone – il presidente Fini mi contattò per dirmi che l’appartamento di Montecarlo si vendeva e che il prezzo era di 300 mila euro. Mi precisò che la signora Rita Marino, sua segretaria particolare, mi avrebbe comunicato il giorno in cui mi sarei dovuto recare a sottoscrivere l’atto di compravendita. Io, fino al momento della stipula del contratto, non ho saputo chi fosse l’acquirente».
In passato, tra il 2000 e il 2001, spiega poi Pontone, da Montecarlo erano arrivate «richieste di informazioni generiche» sulla disponibilità del partito a vendere l’immobile. «Nel corso delle telefonate – precisa il senatore (che ha seguito Fini in Fli) – non furono mai indicate cifre concrete». Due giorni dopo, il 16 settembre, il collega Antonino Caruso (rimasto invece nel Pdl) dà un’altra versione: «Ricordo che ricevetti una telefonata da una persona (il notaio Paul Louis Aureglia o lo studio Dotta Immobilier, che amministrail condominio; ndr) che mi rappresentò che era intenzionata ad acquistare l’appartamento o a fare da intermediario. Mi disse che l’offerta era attorno ai sei milioni di franchi francesi». Cioè 914 mila euro, il triplo del prezzo a cui la casa è stata ceduta nel 2008. «Il senatore Pontone – aggiunge Caruso – mi disse che in quel momento An non era intenzionata vendere».
Anche sulla quotazione di 300 mila euro al momento della cessione alla Printemps emerge una contraddizione. «L’onorevole Donato Lamorte – riferisce ancora Pontone il 14 settembre – mi disse che era stato richiesto dal presidente Fini di un parere sul valore dell’immobile, in quanto Lamorte era esperto in materia perché geometra e, in passato, immobiliarista».
Ma il deputato, interrogato il giorno successivo, alla domanda: «Lei ha esperienza nella valutazione degli immobili?», dà una risposta forse inattesa. «Certamente no – assicura -. Ho espletato la mia attività professionale, in qualità di geometra, alla Società generale immobiliare di utilità pubblica e agricola con sede in Roma per 32 anni circa.
I miei compiti furono, nel tempo, prima di topografo, addetto al rilievo dei terreni e alle lottizzazioni; successivamente fui addetto al catasto per fornire i dati e le documentazioni necessarie alle vendite degli immobili». Lamorte e la Marino avevano visitato l’immobile a iprimi di novembre 2002 e l’avevano trovato fatiscente. Solo per questo, spiega il deputato, a richiesta di Fini «conclusi che l’offerta di 300 mila euro poteva pure andare»
Anche se l’inchiesta non ha tenuto conto del ruolo di Gianfranco Tulliani, «cognato» di Fini e inquilino dell’appartamento, nella richiesta di archiviazione si precisa che, sotto il contratto d’affitto, le firme del locatore e del locatario «appaiono identiche». E le carte sembrano confermare il dubbio che Tulliani sia in realtà il proprietario, visto che ha pagato contemporaneamente il canone (1.600 euro al mese) e le spese di ristrutturazione.
….Sia il Giornale (berlusconiano) che il Corriere della Sera (antiberlusconiano) commentano allo stesso modo le carte dei PM romani sull’affare di Montecarlo, ormai divenute di dominio publico dopo che i PM hanno chiesto al GIP l’archiviazione contro la quale ha annunciato opposizione la Destra di Storace. Nelle carte ora rese pubbliche, gli stessi PM rilevano che sotto il contratto di fitto tra la seconda società offshore e il cognato di Fini, il fratellino della compagna, le firme “appaiono identiche” per cui al di là di ogni altro indizio e/o prova, il cognato di Fini è il proprietario dell’immobile, svenduto da Fini, che lo ha affittato a stesso ad un prezzo con cui aRoma non si fitta nemmeno un monolocale fuori del centro storico. Tanto basta perchè l’on. Fini, se è “uomo” dice Il Giornale, si dimetta immediatamente dalla carica di presidente della Camera come aveva dichiarato nel suo video messaggio: “se si accerta che mio cognato è il proprietario mi dimetto imemdiatamente”. Lo faccia, senza prendere tempo e senza aspettarsi altri aiuti dalla Magistratura oltre quelli che già ha ricevuto, come la iscrizione nel registro degli indagati lo stesso giorno in cui è stata richiesta l’archiviazione della faccenda, almeno dal punto di vista penale, il che dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che in Italia “la legge è uguale per tutti, salvo che per Fini”. g.