Archivio per la categoria ‘Politica estera’

E LA CLINTON SI SCUSA CON BERLUSCONI E LO ELOGIA PUBBLICAMENTE

Pubblicato il 1 dicembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Alla prima occasione l’America è subita intervenuta pe ripristinare la verità nei rapporti con l’Italia e con Berlusconi. Lo ha fatto il segretario di Stato Hillary Clintn anche a nome di Obama ricordando che Berlusconi è il miglior amico degli USA e l’Italia il più fidato alleato europeo.

Astana – Poche parole durante la quasi mezz’ora di bilaterale con Hillary Clinton e neanche una battuta nel briefing davanti alla stampa. A due giorni dal caso WikiLeaks che ha messo in crisi la diplomazia americana e non solo, Silvio Berlusconi incassa in Kazakhstan le scuse formali dell’amministrazione americana. L’occasione è il vertice Osce di Astana, capitale kazaka sul fiume Ishim battuta da un vento gelido che fa segnare solo temperature sotto lo zero. Dove in una pausa dei lavori Usa e Italia, su richiesta della Casa Bianca, fanno il punto sulle rivelazioni di WikiLeaks.

Quei giudizi “riservati” Il Cavaliere ascolta il segretario di Stato americano, perché al di là delle dichiarazioni di facciata è chiaro che Palazzo Chigi non ha per nulla gradito i report che dall’ambasciata americana a Roma venivano inviati a Washington. Soprattutto la parte in cui si tacciava il premier di essere di fatto “succube” di Vladimir Putin e delle posizioni di Mosca. E la Clinton lo sa bene, come sa che i prossimi mesi – e chissà se basteranno – la diplomazia statunitense dovrà concentrarsi sul “recuperare” rapporti che rischiano di essere minati da giudizi che dovevano restare strettamente riservati.

L’amico migliore Così, cosa che con l’amministrazione di Barak Obama non era certamente mai successa, è il Cavaliere ad avere il coltello dalla parte del manico e a andare all’incasso. Messo nero su bianco durante le dichiarazioni alla stampa di Clinton e di Berlusconi, con il premier che non pronuncia una parola e si limita ad ascoltare gli elogi del segretario di Stato. E con Valentino Valentini, l’uomo che per il Cavaliere segue moltissimi dossier di politica estera, che s’improvvisa traduttore in simultanea. Al lato, Bruno Archi, consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, e Paolo Bonaiuti. “Le amministrazioni americane, democratiche e repubblicane, sanno che possono contare su Berlusconi – spiega la Clinton – per realizzare politiche che sostengono i valori che condividiamo”. E ancora: “Non abbiamo amico migliore. Nessuno sostiene l’amministrazione americana con stessa coerenza con la quale in questi anni Berlusconi ha sostenuto le amministrazioni Bush, Clinton e Obama”.

.….Ovviamente ci si aspetterebbe che quelli dell’armata brancaleone che in Italia hanno subito strumentalizzato le sciocchezze divulgate da Wikileaks sul conto di Berlusconi, prendessero atto delle parole della Clinton e chiedessero scusa al premier….non accadrà ma importa poco perchè quel che conta è ciò che pensa la pubblica opinione.

LA FINE DELL’IMPERO AMERICANO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Costume, Politica estera | No Comments »

Dopo la pubblicazione di migliaia di documenti provenienti dal dipartimento di stato americano, si apre una nuova stagione nei rapporti tra l’America e il resto del mondo. Ecco ne pensa il direttore de Il Tempo, Mario Sechi.

Washington, la Casa Bianca Benvenuti nel mondo reale. Cari lettori de Il Tempo, la pubblicazione dei report del Dipartimento di Stato da parte di Wikileaks è uno degli eventi che segnerà la storia delle relazioni internazionali e cambierà le regole del Grande Gioco. Quello che sta accadendo è preoccupante per la stabilità del sistema globale e della governance mondiale. Gli scricchiolii di questo apparato sono sotto gli occhi di tutti da molto tempo e non ci sono dubbi che siamo arrivati a un punto di svolta e servono leader dotati di mano ferma e fantasia per ridisegnare la mappa dei poteri. La politica estera statunitense messa a nudo, svelata nel suo crudo linguaggio, nella sua semplice e dura presa d’atto della situazione nei vari Paesi, è un trauma. Gli Stati Uniti sono la prima vittima di questo sconquasso e il Presidente Barack Obama è chiamato ad una sfida difficile: quest’uomo ha sulle sue spalle una responsabilità gigantesca. Con la sua presidenza finisce l’Impero Americano così come l’abbiamo conosciuto. Comincia un’altra era. E non sarà quella dell’oro.  Devo prima di tutto tornare a spiegare ai lettori che tipo di materiale è quello che pubblichiamo sulle nostre pagine. I report delle ambasciate americane nel mondo sono da considerare come una sorta di «materiale grezzo» della politica estera, sono la fase preliminare della lavorazione finale, sono «informazioni candide» – espressione usata ieri dalla Casa Bianca – prive delle sfumature proprie invece del minuetto diplomatico finale, il linguaggio felpato delle feluche in cui sembra che nessuno abbia perso la partita e vissero tutti felici e contenti. E invece la politica non è così. Da avido lettore di Machiavelli non ne sono sorpreso neanche un po’, ma dobbiamo immaginare l’effetto che quelle frasi provocano sulla politique politicienne, sulla politica politicante e sull’opinione pubblica. Viviamo in una società dove la politica è comunicazione allo stato puro e spesso poco altro. I report sono costruiti attraverso fonti dirette, l’analisi dell’intero spettro dei mezzi di comunicazione, contatti istituzionali al più alto livello. Sono per natura «confindenziali». Sono il più importante prodotto della diplomazia e per forza devono avere quel linguaggio.

Servono a preparare i politici, sono la bussola per prendere decisioni, sono il materiale che lo sherpa chiamato a trattare con i suoi corrispondenti esteri ha nella sua borsa di pelle, sono i dossier che si studiano prima di un duro round diplomatico. Finché questi documenti restano in valigetta, circolano nel ristrettissimo club dei professionisti della politica, tutto va secondo le regole del gioco. Ma se questi report finiscono nel dibattito pubblico, diventano materiale che scotta e possono cambiare la storia. Questi report girano su una rete internet dedicata, chiamata SIPRnet, utilizzata dal Dipartimento della Difesa e dal Dipartimento di Stato. Quella rete è stata bucata e i dati prelevati. Funzionari infedeli li hanno trafugati e sono finiti nelle mani di Wikileaks, un sito internet che ha come missione quella di pubblicare notizie e documenti coperti da segreto. Il patatrac globale nasce dalla violazione del sistema di sicurezza americano. E per gli Stati Uniti è davvero un altro 11 Settembre 2001. L’incendio è appena iniziato, siamo alle prime scosse. Le cancellerie degli Stati più responsabili sono già in movimento da giorni, i leader che hanno a cuore la pace e la cooperazione, si daranno da fare per mettere qua e là delle pezze su questa falla ciclopica. Ma siamo comunque a un turning point della storia americana e non solo, a un punto di svolta fino a qualche tempo fa incredibile persino da ipotizzare. E invece eccoci qua a raccontare e commentare la più grande fuga di notizie della storia.

I suoi contraccolpi li vedremo molto presto. L’informazione in tempo reale può essere più letale di qualsiasi arma, lo sviluppo della rete digitale l’ha resa potentissima, pervasiva, capace di raggiungere ogni singola istituzione e persona dotata di «connessione», online. Da molti anni seguo con passione e attenzione lo sviluppo di questo mondo parallelo, la sua capacità di cambiare le nostre vite e relazioni, la sua influenza sull’attività umana, la sua capacità di creare e distruggere lavoro, offrire opportunità, accrescere pericoli, diffondere sapere e nello stesso tempo rendere più forti e vulnerabili noi tutti. La sua «crescita esponenziale» è il dogma in cui gli Stati Uniti credono in maniera assoluta, è la forza dominante che permette a questo straordinario Paese di guidare il settore dell’innovazione tecnologica e dunque essere ancora la prima potenza mondiale. Ma gli Stati Uniti oggi sono stati traditi proprio dalla loro più grande invenzione: internet, la rete. La politica estera americana svelata in questa maniera è la fine di un mito e l’inizio di una nuova stagione. Gli antimericani in servizio permanente effettivo festeggeranno. Non sanno quello che fanno.

Gli Stati Uniti sono il baluardo della democrazia e perfino in questa vicenda sono stati un esempio. Avevano molti modi per impedire ad Assange e a Wikileaks di pubblicare quei file, ma alla fine tutto va in rete e i giornali americani e europei fanno il loro mestiere indisturbati. Altrettanto non sarebbe potuto accadere in Cina, in Russia, nei Paesi Arabi, tutti luoghi molto amati da chi sogna il crollo degli Stati Uniti. Anche gli antiberlusconiani esultano. I giudizi sul Cavaliere sono duri, la sua politica a Washington non è mai piaciuta, i suoi legami con la Russia e la Libia sono sempre stati visti come fumo negli occhi. Il linguaggio dei report è perfetto per gli speculatori – da oggi saranno in azione – e per chi sogna il regime change a Palazzo Chigi. Al loro posto non esulterei, lo sfascio sarà collettivo. E presto lo vedranno con i loro occhi. Siamo di fronte a qualcosa di ben più grande, le pietre rotolano a valle, la crescita esponenziale della tecnologia sta accelerando i processi storici, siamo all’inizio della fine dell’impero Americano. Mario Sechi, Il Tempo,29/11/2010

DOSSIER WIKILEAKS: ECCO COME GLI USA VEDONO IL MONDO SECONDO LE RIVELAZIONI DEI PRIMI FILE DIFFUSI DAL SITO DEL PIRATA INFORAMTICO ASSANGE

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange Dei 251.287 file diffusi da Wikileaks 11mila sono classificati come “segreti” e 9mila sono considerati “noforn”, ossia materiale considerato troppo delicato per condividerlo con il governi stranieri. Molti non sono riservati ma nessuno è segnalato come “top secret”. I file del Dipartimento di Stato Usa targati Wikileaks non risparmiano nessuno: alleati e nemici di Washington sono finiti tutti sulla graticola, dopo la pubblicazione della documentazione selezionata da New York Times, El Pais, Guardian, Le Monde e Der Spiegel.
PUTIN-BERLUSCONI NEL MIRINO - Il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi è “incapace, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno”, scrive l’incaricata d’affari americana a Roma Elizabeth Dibble. “È fisicamente e politicamente debole, e le frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza”. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha chiesto all’inizio di quest’anno informazioni su eventuali “investimenti personali” del premier e di Vladimir Putin – di cui Berlusconi sembra essere “il portavoce europeo” – che “possano condizionare le politiche estere o economiche dei rispettivi paesi”. Gli Usa erano poi preoccupati per l’intesa tra Eni e Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue.
SPIATO ANCHE BAN KI MOON - Non meno scottanti per gli Usa i file che testimoniano come Washington abbia ordinato di spiare i vertici delle Nazioni Unite, a cominciare dal segretario generale Ban Ki-moon. La direttiva “classificata”, scrive il Guardian, fu spedita a 30 ambasciate a nome della segretaria di stato, Hillary Clinton, e chiedeva la raccolta di dati personali sui rappresentanti del Consiglio di sicurezza, anche quelli occidentali, ma anche sottosegretari, consiglieri e collaboratori. Informazioni a tutto campo, comprese le password usate, le chiavi in codice usate per comunicare e anche i dati biometrici. Altrettanto imbarazzanti i profili dei vari leader mondiali: Vladimir Putin è un “alpha dog”, il maschio dominante, il presidente afghano Hamid Karzai è “ispirato dalla paranoia” e il fratellastro Ahmed Wali Karzai un “corrotto e un trafficante di stupefacenti”. Il cancelliere tedesco Angela Merkel “evita i rischi ed è raramente creativa”, Nicolas Sarkozy è “un imperatore nudo”, mentre Muhammar Gheddafi, “il dittatore più longevo del mondo”, è un “ipocondriaco”, che non gira mai senza la sua infermiera, “una voluttuosa bionda” con cui ha “una relazione”, che non disdegna il flamenco, ma anche un “politico abile” in grado di mantenere il potere per 40 anni. E ancora: gli alleati arabi degli Stati Uniti, in particolare l’Arabia Saudita, spingevano per un attacco contro l’Iran per bloccarne il programma nucleare. Non solo: in Pakistan, fin dal 2007, gli Usa hanno avviato azioni segrete, finora senza successo, per rimuovere da un reattore nucleare di Islamabad uranio altamente arricchito che “funzionari americani temevano potesse essere utilizzato per un ordigno non lecito”. La Procura di Roma ha annunciato che valuterà se vi sono gli estremi di reato, se si tratta di carte sotto segreto di Stato o definite “riservate”.
PIÙ DI 3000 MESSAGGI INVIATI IN ITALIA - Intanto, Julian Assange, che è tornato al centro dell’attenzione mondiale è di fatto un fantasma: non si sa dove si trovi, né cosa progetti di fare. È “scomparso” dal 18 novembre scorso, quando la magistratura svedese ha spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto internazionale per stupro e molestie, dopo l’accusa di due donne. Oggi si è collegato in videoconferenza con la conferenza dei giornalisti investigativi ad Amman, in Giordania. “La Giordania non è il posto migliore dove stare se ti cerca la Cia”, ha detto Assange, spiegando di non poter rivelare dove sia in questo momento. Il sito web ha subito nel tardo pomeriggio un attacco informatico che lo ha di fatto oscurato per diverse ore. I responsabili hanno subito annunciato che i file sarebbero stati resi noti dai media che li avevano avuti in anticipo. E così è stato: la documentazione conta circa 260.000 file dal 1966 al 2010. Tra questi, sono “3.012″ – scrive El Pais – i file inviati dalle sedi diplomatiche americane in Italia. Non è escluso dunque che tra le centinaia di migliaia di pagine si celino ulteriori scottanti segreti. “È l’11 settembre della diplomazia”, aveva detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a poche ore dalla pubblicazione, dando voce alla preoccupazione del mondo e del governo italiano. “La Cernobyl della politica internazionale”, aveva avvertito la stampa israeliana. Forse non hanno sbagliato.
DISPACCI COLORITI - La visione dei diplomatici di Washington riguardo ai politici internazionali è un caleidoscopio di immagini decisamente poco consone alle feluche. Nella selezione fatta dal Guardian, uno dei quotidiani che ha visionato il materiale in anticipo, le immagini colorite si sprecano. La relazione tra il presidente russo Dmitry Medvedev e il premier Vladimir Putin è descritta come se Medvedev “giochi a fare Robin con il Batman-Putin”. Kim Jong-il viene descritto come un “vecchio tizio flaccido” e qualcuno che comunque ha sofferto “traumi fisici e psicologici” a causa dell’icuts. L’ambasciata americana a Parigi ricorda lo stile “autoritario” del presidente Nicolas Sarkozy, abituato a bacchettare frequentemente la sua squadra e lo stesso premier. Né vengono risparmiati alleati-chiave: il presidente afghano Hamid Karzai è “un uomo estremamente debole che non ha ascoltato gli eventi e che invece si è lasciato influenzare da qualcuno venuto per raccontargli le storie più bizzarre e complotti contro di lui”. Nello Yemen, il presidente Ali Abdullah Saleh è stato “sprezzante, annoiato e impaziente” durante l’incontro con John Brennan, vice-consigliere di Barack Obama per la sicurezza nazionale. Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, è semplicemente bollato come “il vecchio pazzo” da Maite Nkoana-Mashabane, ministro sudafricano per la cooperazione internazionale, in un rapporto da Pretoria. E il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, è “elegante e affascinante”, ma non mantiene le promesse.

……Il colorito e non piacevole ritratto del presidente Berlusconi come emerge dai documenti diffusi da Wikileaks ha provocato, secondo quanto riferito da che ci ha parlato, una gran risata da parte di Berlusconi. Infatti il giudizio di una modesta fiunzionaria dell’ambasciata americana a Roma non può che provocare un sorriso, tanto appare superficiale e per lo più ripreso da qualche quotidiano di sinistra. e questo la dice lunga sulla diplomazia americana.

ASSAGE, L’INVENTORE DEL SITO CHE STA PROVOCANDO CAOS NELLA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Mentre attraverso alcuni quotidiani che li hanno ricevuti in anticipo già si conoscono alcuni delle centinaia di migliaia di documenti del Dipartimento di Stato amerciano messi in rete dal sito Wikileaks, ecco un ritratto del suo inventore, Julian Paul Assange,  ricercato dall’Interpol per violenze sessuali in Svezia.

Julian Paul Assange, il pifferaio magico della trasparenza a oltranza, il campione delle rivelazioni scottanti su internet, soprattutto anti-occidentali, è l’uomo meno trasparente del pianeta. Il suo vero motto potrebbe essere: «Pubblico i segreti degli altri, ma non certo i miei».

L’algido visionario fa impazzire il mondo con la crociata di Wikileaks. Il sito che sta inguaiando gli americani dall’Irak all’Afghanistan, in attesa dell’annunciata valanga di documenti che scuoterà più di un alleato degli Stati Uniti compresa l’Italia. Non soltanto: Assange si presenta come paladino anti-cattivoni (Pentagono, Cia, ecc.) ma allo stesso tempo vive e raccoglie informazione come una spia, con la differenza che alla fine le pubblica in rete. Un gioco degli specchi che deve far comodo a qualche servizio segreto, mai sfiorato da una sola rivelazione, come quello russo o cinese.

Capelli bianchi, smilzo, mezzo ascetico e spesso vestito di nero, Assange è nato nel 1971 in Australia. A 17 anni fa il suo esordio nel mondo della pirateria informatica con gli «International subversives», che penetrano i computer della Nasa. Nel 1999 registra il dominio leaks.org, che vuol dire letteralmente «trapelare». Otto anni dopo ci aggiungerà davanti Wiki, per trasformare il suo sito nell’enciclopedia in rete delle rivelazioni planetarie. «I nostri principali bersagli – dichiara al momento del lancio di Wikileaks – sono i regimi oppressivi come la Cina, la Russia, e quelli dell’Asia centrale. Ma ci aspettiamo di essere d’aiuto anche per chi in Occidente vorrebbe che fossero denunciati comportamenti illegali e immorali dei governi e delle grandi società».

In realtà le rivelazioni di Assange si sono concentrate soprattutto contro l’Occidente. Amnesty International lo premia nel 2009 per una fuga di notizie sugli omicidi di stato in Kenya. Tutta robetta, rispetto a oggi, ma il visionario predicatore della trasparenza, a senso unico, comincia a crearsi un’immagine. Vagabonda facendo tappa in Islanda, ma qualcuno giura che ha soggiornato pure in Russia e Georgia. Il sito anti segreti diventa molto famoso quando rende noto un video di elicotteri americani a Bagdad, che uccidono giornalisti locali. Guarda caso Assange conquista il premio Sam Adams, organizzato da ex agenti della Cia, in nome di un’etica nei servizi segreti. I sostenitori del complotto dietro l’11 settembre sono convinti che il guru di internet sia al soldo della Cia. L’unico dato certo è che fino a oggi ha pubblicato migliaia di documenti riservati del Pentagono e sono in arrivo quelli del Dipartimento di Stato, ma dalla sede dell’agenzia a Langley non salta fuori nulla. I colpi grossi arrivano con le rivelazioni sulla guerra in Irak e Afghanistan. La tv americana Fox news chiede a gran voce che Assange sia incriminato per spionaggio. «Queste cosiddette fughe di notizie sono chirurgiche e riguardano sempre l’Occidente. Wikileaks è diventato uno strumento di potere amplificato dai media. Sono tutti sintomi che dimostrano come il sito non sia più in mano a un paladino della verità, ma sotto l’influenza di uno o più apparati di intelligence di grandi potenze», spiega Fabio Ghioni, l’hacker più famoso d’Italia.

Mosca e Pechino, per ora, sono uscite indenni dalle soffiate di Wikileaks, che prima degli scoop mondiali sulle guerre degli americani stava per chiudere i battenti per mancanza di fondi. Proprio sulle finanze del sito anti segreti si addensano i dubbi più pesanti. Assange sostiene di aver incassato nell’ultimo anno un milione di dollari in donazioni via internet. Ufficialmente i collaboratori di Wikileaks lavorano gratis. In realtà mantenere in piedi un’operazione del genere costa molto, a cominciare dai server dispersi per il mondo. Per non parlare dei soldi per tirar fuori le notizie e delle spese di Assange che vive, come dice lui, «in aeroporto, sempre in movimento». Oltre alle parcelle legali per le cause e l’ultima grana sulla presunta violenza sessuale del fondatore in Svezia. Assange ha incaricato della difesa il miglior avvocato del Paese, ma la storia puzza di trappola sessuale, come ai tempi del Kgb. Le due presunte vittime sono strane fan di guru di internet. Lui ha ammesso di esserci andato a letto perché consenzienti. Sull’uomo meno trasparente del mondo è piombato il mandato di cattura di un procuratore svedese. Assange, che voleva chiedere asilo politico in Svizzera, è da pochi giorni un latitante ricercato dall’Interpol. Non si capisce dove sia e chi lo protegga, ma proprio in rete c’è chi ha lanciato un appello alla Cina per concedergli rifugio.

San Suu Kyi libera

Pubblicato il 13 novembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Aung San Suu Kyi festeggiata dai suoi sostenitori

Aung San Suu Kyi festeggiata dai suoi sostenitori

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San Suu Kyi libera, uniti per nostri obiettivi

RANGOON – Aung San Suu Kyi è libera. La leader dell’opposizione birmana è stata rilasciata intorno alle 17.15 di oggi (le 11.45 in Italia) dopo sette anni consecutivi di arresti domiciliari, tenendo poi un brevissimo comizio di fronte ad alcune migliaia di sostenitori corsi a riabbracciarla all’esterno della sua villa-prigione di University Avenue, a Rangoon, in un’atmosfera di euforia collettiva.

“Dobbiamo lavorare insieme, all’unisono, per raggiungere il nostro obiettivo”, sono state le prime parole del premio Nobel per la Pace – visibilmente commossa per la felicità – a una folla sempre più rumorosa per l’eccitazione, tanto che per diversi minuti Suu Kyi non è riuscita a parlare. La donna ha poi invitato i suoi sostenitori a tornare ad ascoltarla alla sede del suo partito domani a mezzogiorno, “C’è un tempo per il silenzio e un tempo per parlare” ha detto.

E’ poi rientrata in casa, mentre all’esterno proseguono ancora i cori in suo onore, e la gente continua ad affluire nell’area. Dopo un’attesa durata oltre 24 ore, tanto che molti cominciavano a temere possibili complicazioni in merito alle condizioni del rilascio di una donna nota per non accettare compromessi con il regime, alcuni funzionari sono entrati nella residenza per leggere al premio Nobel per la Pace l’ordine con cui la giunta militare ha disposto la liberazione, proprio nel giorno in cui scadeva l’ultima estensione di 18 mesi dei suoi arresti, per aver dato breve ospitalità nel maggio 2009 a un intruso americano.

Suu Kyi, 65 anni, ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni in detenzione. Sul suo rilascio non è ancora giunto nessun commento ufficiale dalla giunta militare, né dal suo partito Lega nazionale per la democrazia (Nld).

FINI E I SUOI VOGLIONO L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: IERI ALLA CAMERA I DEPUTATI FINIANI AGLI ORIDNI DEL KAPO’ BOCCHINO VOTANO CONTRO IL GOVERNO

Pubblicato il 10 novembre, 2010 in Politica, Politica estera | No Comments »

di Gian Maria De Francesco

È finita con i fischi e le urla «buffone, buffone!» rivol­te all’indirizzo del capogrup­po finiano Italo Bocchino. Ma per la maggioranza è stato un brutto martedì a Montecito­rio: il governo è stato battuto per ben tre volte sulle mozio­ni riguardanti il Trattato Italia- Libia che le opposizioni chie­deva­no di modificare attraver­so una sospensione della poli­tica dei respingimenti da par­te di Tripoli.

Questa la paradossale cro­naca. Il radicale in quota Pd Mecacci ha presentato un emendamento al documento inizialmente sostenuto da Pdl e Lega con il quale si impegna l’esecutivo a rivedere il Tratta­to inserendovi le garanzie in materia di diritti umani previ­ste dalla Costituzione e dal di­ritto internazionale e ad atti­varsi per la riapertura dell’uffi­cio libico dell’Alto commissa­riato Onu per i rifugiati. In pra­tica mandando a monte l’ac­cordo con Gheddafi, propu­gnato da Prodi e concluso da Berlusconi, che ha ridotto no­te­volmente gli sbarchi di clan­destini sulle coste italiane. Tra le altre «fantasiose» previ­sioni del dispositivo la possibi­lità per i pescherecci siciliani di pescare in acque interna­zionali senza incorrere nelle vedette libiche e, soprattutto, risarcimenti per gli italiani espulsi dopo la rivoluzione del 1969 e per le imprese che vantano crediti verso la Libia.

Il risultato è stato sconfor­tante: maggioranza battuta 261 a 274. Questo perché i fi­niani guidati dal vicecapo­gruppo Benedetto Della Vedo­va hanno pensato bene di cambiare posizione. La ex­maggioranza Pdl-Lega non è riuscita nemmeno a ritirare la propria mozione emendata da Mecacci perché Fli l’ha fat­ta propria e l’ha fatta approva­re con i voti di Udc, Pd e Idv (281-270). Stesso risultato an­che per la mozione più tenue dell’Udc (281-269).Il parados­so è che i finiani hanno squa­dernato la maggioranza su un tema fondamentale come si­curezza e immigrazione ap­poggiandosi a un radicale co­me Mecacci (stessa scuola di Della Vedova) nel quale il Pd stesso non credeva.Tant’è ve­r­o che l’ex ministro degli Este­ri Massimo D’Alema, pur ma­ramaldeggiando sulla «mag­gioranza che non c’è più», ha rilevato che l’emendamento poteva essere accolto senza inasprire il confronto.

I finiani ormai non perdono occasione per mercanteggia­re favori (come sulla legge di stabilità), far pesare la pro­pria consistenza e, contestual­mente indebolire, il presiden­te del Consiglio. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte», ha detto ieri Bocchino convincendo, an­che con le maniere spicce i propri colleghi a votare con­tro quel trattato che due anni fa avevano approvato. È stato in quel frangente che il Masa­niello di Fli s’è beccato i boati di disapprovazione di Pdl e Le­ga anche se non è riuscito a ri­portare nell’ovile alcuni colle­ghi tra i quali Menia, Moffa, Lamorte e altri. Alcuni come Consolo hanno dichiarato di non essersi accorti del cam­bio di indicazione.

Ma aggrap­parsi a distrazioni, indecisio­ni e questioni personali non può diventare lo sport princi­pale della maggioranza. Che alla Camera, inoltre, ha sem­pre avuto il suo bel da fare a recuperare ministri, sottose­gretari e assenti a vario titolo. Non è mancato il solito côté da saloon. Con i pidiellini a ur­lare «Bravi, bravi» ai finiani e con l’intemerata di Maurizio Bianconi che ha sfiorato lo scontro fisico con il sottose­gretario Fli Roberto Menia, trattenuto a stento dal coordi­natore del Pdl Verdini. Anche l’appello alla ragionevolezza del ministro degli Esteri, Fran­co Frattini, è caduto nel vuo­to. «Se il Parlamento ritiene di seguire la linea dell’Unione europea, usiamo il linguaggio usato dall’Ue, altrimenti noi vogliamo dire: aprire le porte, rompendo la collaborazione migratoria a tutti coloro che vorranno entrare illegalmen­te», ha implorato.

All’uscita dall’Aula i deputa­ti berlusconiani meditavano propositi di rivincita nella prossima campagna elettora­le. «Tappezzeremo tutte le cit­tà d’Italia con migliaia di ma­nifesti nei quali si vedrà la fac­cia di Fini accanto ai barconi pieni di immigrati. È lui che vuole l’immigrazione clande­stina », prometteva un deputa­to. Il voto di ieri cambierà qualcosa nella politica del go­verno? No. Ma certifica che la crisi è ormai conclamata.D’al­tronde, anche Prodi nel 2007 cadde la prima volta sulla poli­­tica estera, impallinato dai co­munisti pacifisti.

OBAMA, ADDIO

Pubblicato il 3 novembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

I pronostici della vigilia hanno avuto clamorosa conferma. Nelle elezioni americane di medio termine che prevedevano la elezione di tutti i 435 rappresentanti del Congresso, di 37 governatori e di un terzo del Senato,  i repubblicani che solo due anni fa erano stati letteralmente spazzati via dal ciclone Obama, hanno ottenuto una clamorosa vittoria. E’ stata ribaltata la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti dove i repubblicani a spoglio non ancora concluso hanno conquistato la maggioranza dei seggi ottenendo sinora 62 seggi in più di quelli che avevano,  conquistando 240 seggi contro i 183 dei democratici che naturalmente perdono il posto di  speaker della Camera, occupato sinora dalla sofisticata ultramiliardaria italoamericana Nancy Pelosi, che toccherà ora ai repubblicani. Al Senato la corsa dei repubblicani, benchè vincente,  si è fermato a più sette senatori rispetto ai dieci di cui avevano bisogno per conquistare anche la Camera alta americana, ma la maggioranza democratica è ora assai risicata per cui risulterà assai difficoltoso per i democratici tenere la barra delle decisioni politiche e sopratutto economiche senza concordare la linea con i repubblicani.  Anche per i governatori il risultato premia i repubblicani che hanno conquistato sette stati in più e cioè ben 20 dei 37 in palio. La sconfitta di Obama dopo appena due anni dal suo enorme successo  è catastrofica, benchè taluni mass media tentano di mitigarla, e dimostra che quella di Obama era stata una vittoria provocata e sostenuta da una straordianria discesa in campo di strumenti propagandistici che hanno creato un mito che si è dimosttrato d’argilla, incapace di trasformare in fatti concreti le promesse elettorali che gli avevano guadagnato uno dei più grandi trionfi di tutti i tempi per un candidato presidente alle prime armi. Ora per Obama tutto sarà più difficile e secondo molti analisti indipendenti la sua stella è destinata a spegnersi per sempre. Insomma, ha ballato una sola estate. g.

ED ORA FINI SI DIMETTA, LA CASA DI MONTECARLO E’ DI TULLIANI, LO RIVELANO LE CARTE DEI PM ROMANI

Pubblicato il 30 ottobre, 2010 in Politica estera | No Comments »

1- IL BUNGA BUNGA DI FINI
Massimo De Manzoni per Il Giornale

Adesso Gianfranco Fini deve dimettersi. Non perché lo diciamo noi, ma perché l’ha detto lui. Ricordate? Videomessaggio stile Bin Laden del 26 settembre scorso: «Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario della casa di Montecarlo, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera».

Bene: non esiti, perché oggi la certezza c’è. E si trova proprio in quelle carte della Procura di Roma che tanto l’avevano rallegrato qualche giorno fa, quando era stata annunciata la richiesta di archiviare la sua posizione in merito al reato di truffa aggravata.

Tra i documenti acquisiti dai pm, infatti, c’è anche il famoso contratto d’affitto tra il «cognato» Giancarlo Tulliani e la seconda società off-shore che ha comprato l’appartamento donato dalla contessa Colleoni ad An. E Tulliani quell’atto lo firma due volte: come affittuario e come proprietario dell’immobile.

Nessun dubbio. Lo scrivono gli stessi magistrati capitolini: «Il contratto di locazione intervenuto tra il locatore Timara Ltd, priva della indicazione della persona fisica che la rappresentava, e il locatario Giancarlo Tulliani reca sotto le diciture “locatore” e “locatario”due firme che appaiono identiche, così come quelle apposte sulla clausola integrativa recante la data 24/2/2009, allegata al contratto».

Linguaggio burocratico e un po’ sgrammaticato, ma chiaro: il «cognatino» ha firmato per sé e per la Timara. Dunque l’appartamento è suo e, di conseguenza, Fini è tenuto a sloggiare dalla Camera. La Procura di Roma ha fatto i salti mortali per tutelare l’ex leader di An. Lo ha iscritto nel registro degli indagati solo un minuto prima di chiederne l’archiviazione, evitandogli quelle fastidiose fughe di notizie che colpiscono la maggior parte dei politici finiti nelle grinfie della giustizia, soprattutto se il loro cognome inizia per B.

Ha ridotto al minimo il raggio dell’inchiesta, prendendo in esame solo la congruità del prezzo di vendita del quartierino e riuscendo nel mezzo miracolo di chiedere al Gip di affossarla anche una volta stabilito che il prezzo congruo non era affatto. Ha perfino depistato i cronisti, quando il Giornale ha pubblicato la registrazione del contratto d’affitto con le firme identiche, facendo filtrare la notizia che sul contratto vero e proprio le firme invece erano diverse.

Di più, onestamente, Fini non poteva chiedere. I documenti, a differenza delle parole, non sono manipolabili. Ora tocca al presidente della Camera dimostrare di essere un uomo d’onore. Aspettiamo fiduciosi. Ma non troppo.

Fini Tulliani Famiglia

2- CASA DI MONTECARLO, LE CARTE DELLA PROCURA
Lavinia Di Gianvito per    Corriere della Sera

La data è la stessa: martedì scorso, 26 ottobre. Quel giorno la Procura ha iscritto Gianfranco Fini nel registro degli indagati e, contemporaneamente, ha chiesto l’archiviazione dell’accusa appena contestata. Il dettaglio è nelle carte depositate in vista dell’opposizione annunciata da Roberto Buonasorte e Marco Di Andrea, gli esponenti de La Destra che hanno denunciato l’affaire della casa di Montecarlo.

La rapidità con cui è stata vagliata la posizione del presidente della Camera rischia di ridestare le polemiche, anche perché, finora, era emerso che Fini era stato iscritto quando il Principato di Monaco aveva inviato i documenti della rogatoria-bis, il 13 ottobre.

È di oltre 900 pagine la documentazione raccolta dai magistrati nel corso dell’inchiesta. Agli atti, tra l’altro, ci sono gli interrogatori dei testimoni, a partire da quello del 14 settembre del senatore Francesco Pontone, ex segretario amministrativo di An. «Tra la fine di giugno e luglio 2008 – riferisce Pontone – il presidente Fini mi contattò per dirmi che l’appartamento di Montecarlo si vendeva e che il prezzo era di 300 mila euro. Mi precisò che la signora Rita Marino, sua segretaria particolare, mi avrebbe comunicato il giorno in cui mi sarei dovuto recare a sottoscrivere l’atto di compravendita. Io, fino al momento della stipula del contratto, non ho saputo chi fosse l’acquirente».

In passato, tra il 2000 e il 2001, spiega poi Pontone, da Montecarlo erano arrivate «richieste di informazioni generiche» sulla disponibilità del partito a vendere l’immobile. «Nel corso delle telefonate – precisa il senatore (che ha seguito Fini in Fli) – non furono mai indicate cifre concrete». Due giorni dopo, il 16 settembre, il collega Antonino Caruso (rimasto invece nel Pdl) dà un’altra versione: «Ricordo che ricevetti una telefonata da una persona (il notaio Paul Louis Aureglia o lo studio Dotta Immobilier, che amministrail condominio; ndr) che mi rappresentò che era intenzionata ad acquistare l’appartamento o a fare da intermediario. Mi disse che l’offerta era attorno ai sei milioni di franchi francesi». Cioè 914 mila euro, il triplo del prezzo a cui la casa è stata ceduta nel 2008. «Il senatore Pontone – aggiunge Caruso – mi disse che in quel momento An non era intenzionata vendere».

Anche sulla quotazione di 300 mila euro al momento della cessione alla Printemps emerge una contraddizione. «L’onorevole Donato Lamorte – riferisce ancora Pontone il 14 settembre – mi disse che era stato richiesto dal presidente Fini di un parere sul valore dell’immobile, in quanto Lamorte era esperto in materia perché geometra e, in passato, immobiliarista».

Ma il deputato, interrogato il giorno successivo, alla domanda: «Lei ha esperienza nella valutazione degli immobili?», dà una risposta forse inattesa. «Certamente no – assicura -. Ho espletato la mia attività professionale, in qualità di geometra, alla Società generale immobiliare di utilità pubblica e agricola con sede in Roma per 32 anni circa.

I miei compiti furono, nel tempo, prima di topografo, addetto al rilievo dei terreni e alle lottizzazioni; successivamente fui addetto al catasto per fornire i dati e le documentazioni necessarie alle vendite degli immobili». Lamorte e la Marino avevano visitato l’immobile a iprimi di novembre 2002 e l’avevano trovato fatiscente. Solo per questo, spiega il deputato, a richiesta di Fini «conclusi che l’offerta di 300 mila euro poteva pure andare»

Anche se l’inchiesta non ha tenuto conto del ruolo di Gianfranco Tulliani, «cognato» di Fini e inquilino dell’appartamento, nella richiesta di archiviazione si precisa che, sotto il contratto d’affitto, le firme del locatore e del locatario «appaiono identiche». E le carte sembrano confermare il dubbio che Tulliani sia in realtà il proprietario, visto che ha pagato contemporaneamente il canone (1.600 euro al mese) e le spese di ristrutturazione.

.Sia il Giornale (berlusconiano) che il Corriere della Sera (antiberlusconiano) commentano allo stesso modo le carte dei PM romani sull’affare di Montecarlo, ormai divenute di dominio publico dopo che i PM hanno chiesto al GIP l’archiviazione contro la quale ha annunciato opposizione la Destra di Storace. Nelle carte ora rese pubbliche,  gli stessi PM rilevano che sotto il contratto di fitto tra la seconda società offshore e il cognato di Fini, il fratellino della compagna, le firme “appaiono identiche” per cui  al di là di ogni altro indizio e/o prova, il cognato di Fini è il proprietario dell’immobile,  svenduto da Fini, che lo ha affittato a stesso ad un prezzo con cui  aRoma non si fitta nemmeno un monolocale fuori del centro storico. Tanto basta perchè l’on. Fini, se è “uomo” dice Il Giornale, si dimetta immediatamente dalla carica di presidente della Camera come aveva dichiarato nel suo video messaggio: “se si accerta che mio cognato è il proprietario mi dimetto imemdiatamente”. Lo faccia, senza prendere tempo e senza aspettarsi altri aiuti dalla Magistratura oltre quelli che già ha ricevuto, come la iscrizione nel registro degli indagati lo stesso giorno in cui è stata richiesta l’archiviazione della faccenda, almeno dal punto di vista  penale, il che dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che in Italia “la legge  è uguale per tutti, salvo che per Fini”. g.

BIN LADEN NON VIVE IN UNA GROTTA

Pubblicato il 19 ottobre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Se volete sapere dov’è Osama Bin Laden chiedetelo al Pakistan. E per trovarlo non scandagliate le grotte, ma cercatelo in una comoda casa di montagna. Il messaggio-siluro affidato dai vertici Nato alle antenne della Cnn parte proprio mentre a Roma il ministro degli Esteri Franco Frattini discute con l’ omologo afghano Zalmai Rassoul, con il comandante dell’Isaf generale David Petraeus e con l’inviato del presidente americano Barack Obama, Richard Holbrooke, i temi salienti della nuova strategia afghana. Una strategia incentrata non solo sulle offensive militari, ma anche su un articolato e selettivo negoziato con talebani che non potrà mai estendersi ad Al Qaida, ma può comprendere gli iraniani. Un prospettiva suggellata dalla presenza nelle sale della Farnesina di una delegazione di Teheran invitata per la prima volta a questo ciclo di colloqui. Per quanto riguarda la fine della missione bisogna invece pensare a un ritiro lento e scaglionato che non inizierà inderogabilmente nel 2011, come aveva fatto intendere inizialmente la Casa Bianca, ma si svilupperà tra il prossimo anno e il 2014.
Il puntino sulla «i» più importante da aggiungere alla voce negoziato discussa a Roma è però nascosto nell’indiscrezione Nato sul rifugio pachistano di Bin Laden e del suo braccio destro Ayman Al Zawahiri. «Nessuno dei capi di Al Qaida vive una grotta», spiega un anonimo funzionario Nato ai giornalisti della Cnn. Il messaggio è chiaro. I vertici dell’organizzazione terrorista non sono fuggiaschi allo sbando, ma godono di protezioni ad alto livello. L’indiscrezione include un pesante avvertimento a Islamabad. La fonte Nato disegna infatti un’accurata mappa della latitanza del capo di Al Qaida. Bin Laden, dopo un lungo periodo tra le vette del Chitral, alla convergenza le frontiere di Cina, Pakistan e Afghanistan, sarebbe tornato nelle zone di confine pachistane contigue al vecchio nascondiglio di Tora Bora, il dedalo di cunicoli e grotte sotterranei in cui si ritrovò assediato alla fine del 2001. A non troppa distanza da lui in una residenza altrettanto comoda, ben servita e sempre in territorio pachistano vivrebbe anche il suo braccio destro, il medico egiziano Al Zawahiri. Le rivelazioni contengono un doppio segnale ai pachistani. Il primo è «attenti abbiamo le prove del vostro doppio gioco e siamo pronti a mettervi con le spalle al muro». Il secondo è legato alla questione negoziati. Mesi fa i vertici militari di Islamabad premevano sul presidente afghano Hamid Karzai per fargli accettare una trattativa guidata dai loro generali in cui fosse incluso il clan Haqqani, ovvero la componente talebana più vicina ad Al Qaida e ai servizi deviati di Islamabad. Puntando il dito sul ruolo ambiguo del Pakistan, la Nato vuole evitare qualsiasi negoziato con personaggi legati ad Al Qaida o controllati dai generali di Islamabad.
Non a caso subito dopo il summit alla Farnesina Richard Holbrook ricorda che per il negoziato «esistono paletti ben definiti». E fra le linee rosse inserisce subito la «chiara rinuncia ad Al Qaida, la deposizione delle armi e il rispetto della Costituzione». Nessuna preclusione invece per gli iraniani. «Per gli Usa non c’è alcun problema a vedere intorno a questo tavolo gli inviati dell’Iran, paese che ha un ruolo da svolgere per la soluzione pacifica» assicura il diplomatico statunitense, sottolineando che la vicenda afghana è molto diversa dalla questione nucleare. Anzi, aggiunge Holbrooke, la presenza a Roma di una delegazione iraniana dimostra che in Afghanistan «non c’è nessuno scontro di civiltà», ma «un fronte unito contro minacce comuni».

IL PREMIO NOBLE PER LA PACE 2010 AL DISSIDENTE CINESE LIU XIAOBO

Pubblicato il 8 ottobre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Il Comitato di Oslo ha assegnato il premio Nobel per la pace 2010 al dissidente cinese Liu Xiaobo, in carcere a Pechino per le sue battaglie a favore dei diritti civili e umani nella Cina comunista. Ovviamente scontate le proteste del governo cinese e naturalmente scontata la soddisfazione di tutto il mondo libero, salvo le poche sacche di comunismo reale che si annidano in Italia dove la libera stampa è perseguitata e stuprata da pm faziosi e deviati.