Archivio per la categoria ‘Politica estera’

IN AMERICA SI RIACCENDE LA CORSA ALLA PRESIDENZA: NEL PRIMO CONFRONTO VINCE ROMNEY

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Politica estera | No Comments »

Il primo dibattito tra Obama e Romney va al repubblicano. Lo dicono tutti in America, anche David Axelrod, uno dei consulenti più ascoltati dal presidente: “Sapevamo che Romney era bravo nei dibattiti e probabilmente avrà dei benefici sui sondaggi”.

Poi però tira acqua al suo mulino: “Ma le sue risposte erano tutte sbagliate”. La cosa che più conta è l’ammissione della prova “opaca” del presidente nel primo faccia a faccia in diretta tv andato in onda dall’università di Denver, in Colorado (uno degli stati in bilico). Un sondaggio a caldo fatto dalla Cnn parla chiaro: il 67% pensa che il vincitore sia Romney, e solo il 23% dà la vittoria a Obama. Divertente la battuta dello stratega repubblicano Alex Castellanos: “Obama ha imparato la lezione, mai fare un dibattito il giorno del tuo anniversario di nozze…”. In effetti era davvero il giorno dell’anniversario per Obama, il cui staff aveva pubblicato, su Facebook, una foto in bianco e nero del giorno delle nozze con Michelle (1992). Il presidente lo ricorda a inizio dibattito. E Romney, cogliendo la palla al balzo, cattura la simpatia del pubblico: “Questo è il posto più romantico dove il presidente può trascorrerlo (l’anniversario, ndr)…”.

Dicevamo che Romney ha convinto di più. In effetti ha trascorso i 90 minuti del dibattito all’attacco, snocciolando cifre e guardando dritto in faccia il suo avversario, mettendogli pressione. Obama ha abbassato la testa più di una volta, è parso sin troppo moderato. Può darsi che fosse una mossa studiata, per cercare di attirare i voti di chi sta al centro. L’elettorato meno schierato, quello più in bilico. Ma in questo modo il presidente ha prestato il fianco al repubblicano, che in più di un’occasione ha affondato il colpo.

Il dibattito si è incentrato, come da programma, su econonomia, debito, fisco, riforma sanitaria e sul ruolo del governo federale. Il moderatore, Jim Leher (giornalista Pbs), non ha avuto particolari problemi a tenere a bada i “duellanti”. In rarissime occasioni le voci si sono sovrapposte. Massimo il rispetto delle regole. “Non sono perfetto, ma vi prometto che continuerò a lottare per la classe media, “e che tutti avranno le stesse opportunità, che per tutti varranno le stesse regole”. Ha chiuso così Obama il proprio intervento. Il suo è un bagno di umiltà (calcolato) e di realismo. C’è da fare tanto per risollevare l’America. Lui lo sa e lo ammette. Anche per non essere accusato di prendere in giro la nazione. ANSA, 4 ottobre 2012

LE ELEZIIONI AMERICANE: L’ISPETTORE CALLAGHAN MANDA A CASA BARACK OBAMA

Pubblicato il 31 agosto, 2012 in Politica estera | No Comments »

L'ispettore Callaghan manda a casa Barack Obama

Clint Eastwood (La Presse/Lydde Sladky)
di Michele Zurleni

Alla fine il suo show si è trasformato in un canto corale, basato su di uno slogan Let him go (lasciatelo andare) al quale lui stesso aveva dato il là, che ha galvanizzato la già entusiastica platea della convention repubblicana, felice che il misterioso ospite a sorpresa fosse proprio lui: Clint Eastwood, la Star di Hollywood repubblicana doc.

Una performance da grande professionista della scena e da appassionato politico, quella dell’Ispettore Callaghan; un misto tra il teatro di Eugène Ionesco e il David Letterman Show. 11 minuti in grado di entrare nella storia non solo della convention di Tampa, ma anche in quella della politica americana; del modo in cui viene (è stata) narrata.

Sul palco, accanto al podio, il regista di Flags of our Fathers e Gran Torino si è fatto portare una sedia vuota. Parla con il “fantasma” di Barack Obama e così facendo, traccia quello che per Eastwood è il suo ritratto politico: la vacuità. L’effetto scenico (ma anche mediatico) non poteva essere più efficace. L’attore fa le domande al suo invisibile ospite alle quali lui stesso risponde (facendo la parte del presidente) con un imbarazzato e sommeso tono.

In questa recita, condotto da uno degli attori americani dallo sguardo più intenso e dal carisma più forte, il balbettio usato da Eastwood per far rispondere Obama diventa quasi un grido (di impotenza) del presidente. L’Ispettore Callaghan si erge al ruolo di giudice. Ed emette la sua implacabile sentenza sull’inquilino della Casa Bianca. “Quando e’ stato eletto 4 anni fa tutti piangevano di gioia, anch’io mi sono emozionato. – ha raccontato – Poi ho pianto ancora, quando ho scoperto che oggi in America ci sono 23 milioni di poveri. Una tragedia vera, e l’amministrazione non ha fatto abbastanza per porvi rimedio” – ha chiosato.

Clint Eastwood – repubblicano da sempre – ha riabbracciato il suo partito. Aveva già dato il suo endorsement a Mitt Romney qualche settimana fa. Era stato l’atto che aveva sepolto le polemiche nate dopo lo spot sulla Chrysler che anche molti esponenti del suo partito avevano interpretato come favorevole a Obama.

Con lo show sul palco di Tampa, l’anziano regista ha regalato una buona dose di energie che i delegati del GOP potranno spendere nel  proseguo della campagna elettorale per la conquista della Casa Bianca. Panorama, 31 agosto 2012

……………….E’ stato Clint Eastwood ad entusiasmare, dopo il giovane e appassionato candidato alla vicepresidenza, la Convention repubblicana che ieri ha incoronato ufficialmente Mitt Romney candidato alla Casa Bianca. E lo show del vecchio Clint ha fatto più male ad Obama di cento comizi. I sondaggi lo confermano. Il voto del 6 novembre potrebbe certificarlo. E’ quello che si augurano tutti coloro che in America e in Europa sono consci del grande flop della presidenza Obama di questi ultimi 4 anni.

FORZA GRECIA! PER SALVARE LA LIBERTA’, di Marlowe

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica estera | No Comments »

Siamo tutti Lord Byron. Siamo pronti a morire per l’indipendenza greca: e poco importa se George Gordon sesto barone di Byron, icona del neoclassicismo inglese, fosse sì accorso a Patrasso per unirsi alla «brigata dei poeti» contro la tirannide ottomana, ma sia stato fulminato dalla meningite. A raccogliere il testimone di un ellenismo mai tramontato nelle menti illuminate europee è Boris Johnson, sindaco conservatore di Londra: «Perché un greco – ha tuonato sul Daily Telegraph – dovrebbe votare per un programma economico se esso è deciso a Bruxelles, anzi a Berlino? Che significato ha la libertà greca, la libertà per cui Byron combatté, se la Grecia è tornata a una dipendenza ottomana, con la Sublime porta ora situata in Germania?». Il titolo dell’articolo del colto e dandy discepolo di Margaret Thatcher, conservatrice del popolo, è anch’esso un programma: «Il medioevo della democrazia». Una lezione su un tema immortale: la libertà non è data per sempre; va difesa ovunque e comunque sia a rischio. Ecco perché passando dal sacro al profano (o viceversa?) la vera finale degli Europei di calcio non si terrà a Kiev il primo luglio, ma venerdì a Danzica: Germania-Grecia, e tutti a tifare per Samaras (Georgios l’attaccante, non Antonis leader di Nea Demokratia) e compagni. La passione neo-ellenista è trasversale: Il Tempo ha titolato ieri «Forza Grecia». Il Foglio pubblica un’intera pagina con la bandiera greca, come dopo l’11 settembre quella americana. Pagina «autogestita dal collettivo redazionale Tsipras», il nome del giovane capo della sinistra di Syriza, l’opposizione che tanto disturba Angela Merkel. Nella rossa Livorno alla Grecia sarà dedicata la kermesse estiva del quartiere antico della Venezia. Su l’Unità campeggia la denuncia: «Merkel schiaffeggia la Grecia», appena mitigata dal dubbio: «Gioire perché vince la destra?». La realtà è che se ci siamo tutti scoperti filoellenici non è certo per le suggestioni che Atene suscitava negli spiriti fieri dell’Ottocento. Nessuno si sarebbe mosso per un paese che ha la classe politica più inefficiente e corrotta dell’Europa occidentale, un’evasione fiscale che fa impallidire quella italiana, che non ha investito le rendite del turismo in ricerca e tecnologia ma le ha distribuiti in clientele. Noi non tifiamo per la Grecia dei tanti Papandreu o Karamanlis, i padroni dei due partiti storici della destra e del Pasok: stiamo però schierandoci per un principio, che affonda come sempre le radici nella storia, nella cultura, nella società. E quindi è universale. Non si tratta di euro né di fiscal compact. Il punto è precisamente quello toccato da Boris Johnson: «Che significato ha la libertà greca? Perché un greco dovrebbe votare per ciò che è deciso a Berlino?». È singolare che questo aspetto sia ignorato dalle classi dirigenti tedesche e da un’informazione, al contrario, granitica. Certo, ha colpito un’intervista dell’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, che ricorda come «per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Poi ha convinto l’Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l’integrazione d’Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita causasse la distruzione dell’ordine europeo una terza volta». Ma Fischer ha parlato a giornali italiani, francesi, spagnoli, cioè quelli che i tedeschi chiamano spregiativamente Club Med; le sue idee faticano a farsi largo tra i suoi stessi elettori. Che invece si rispecchiano nelle sei milioni di copie della Bild Zeitung, il più venduto quotidiano d’Europa: «Questi cinque vogliono i nostri soldi», titola il giornale sotto le foto di Monti, Obama, Rajoy, Barroso e Hollande. La Bild ha smesso di mettere in prima pagina le donne nude, guadagnando più con temi politico-economici. Per questo non è assimilabile ai tabloid pop londinesi: il pubblico è più ampio, di cultura e censo più elevati. Ancora più in alto mira Der Spiegel, settimanale da un milione di copie, inchieste ruvide e linea liberal. Informatissimo sui segreti della Cancelleria, lo Spiegel si è specializzato nel dipingere un’Italia spaghettara e mandolinesca, piena di capitani Schettino pronti a fregare i virtuosi nordici. Non c’è solo per noi: la vittoria di Hollande è spiegata come «voto di rabbia contro il populismo snob di Sarkozy». Che sia stato anche un no all’acquiescenza di Sarkò alla Merkel, tema dell’intera campagna elettorale, è irrilevante. Il mood monolitico dell’opinione pubblica tedesca è forse il dato più interessante e sconcertante. Che i problemi dell’euro nascano solo ad Atene Parigi e Roma, e non anche a Francoforte e Berlino, pare un dogma indiscutibile, esportato anche nei paesi satelliti. Dogma a lungo spiegato con la dimensione etica delle scelte economiche della Germania. Lo ha detto anche Monti a Obama: «Per i tedeschi l’economia è ancora un ramo della filosofia morale». E poi c’è la stranoto spauracchio dell’inflazione a nove zeri della repubblica di Weimar, che determinerebbe il rigore della Bundesbank e della Bce. E da ultime le radici luterane, nella Germania Est, della Merkel. Insomma, il contrario della pratica anglosassone, dove la «mano invisibile del mercato» di Adam Smith coabita senza scandalo con la liquidità pubblica della Fed e le svalutazioni del dollaro. Del resto se la costituzione tedesca prevede la stabilità della moneta, quella americana il diritto al benessere e alla felicità. Ma proprio il richiamo alla morale luterana fa acqua: se i tedeschi hanno la memoria di Weimar, perché non ricordano anche ciò che dalle loro parti venne immediatamente dopo? Se la Bundesbank è intransigente con la Bce, perché compra i titoli invenduti del suo Tesoro? Se il dogma merkeliano è «un’economia sana non lascia debiti alle future generazioni», perché proprio sotto il suo governo il debito tedesco ha raggiunto i 2.100 miliardi, il terzo del mondo? Per questo fra due giorni tiferemo Grecia. Come abbiamo tifato Chelsea nella Champions League. Marlowe, Il Tempo, 20/06/2012

ANCHE IL LONDINESE FIANCIAL TIMES DICE: MONTI NON E ‘ CAPACE DI RISOLLEVFARE L’ITALIA

Pubblicato il 6 giugno, 2012 in Politica, Politica estera | No Comments »

Un governo litigioso, una burocrazia radicata e inestirpabile e un primo ministro focalizzato solo sulla scena internazionale“. Giudizi al vetriolo quelli che il Financial Times ha dedicato a Mario Monti.

Il presidente del Consiglio, Mario Monti

I problemi interni del BelPaese sembrano crescere e andare oltre la capacità del suo governo tecnocrate di risolverli, anche in vista dell’aggravarsi della crisi del debito nell’Eurozona: una vera e propria stroncatura.

Insomma, per il quotidiano economico londinese, il presidente del Consiglio trascura l’Italia e si concentra troppo sul resto. Ma non è l’unica critica del giornale della City. L’editoriale di Guy Dinmore pone l’accento sui dissidi in seno all’esecutivo, citando lo scontro tra il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera e i suoi colleghi di governo sul pacchetto di misure per lo sviluppo. Pacchetto utile per tirar fuori l’Italia dalla spirale recessiva, pacchetto rinviato però per la seconda volta.

Il quotidiano cita poi un funzionario governativo che, sotto anonimato, palesa i suoi timori: “Oggi è un po’ un tutti contro tutti, ho paura che si stia entrando nella fase tre della vita dell’esecutivo, quella delle recriminazioni, dopo un iniziale luna di miele e il successivo ritorno alla vita vera“.

Secondo il FT, Mario Monti ha cercato di limare le contrapposizioni interne ma un consigliere del governo, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto che il vero problema era che il premier aveva perso interesse per le questioni interne, mentre la sua attenzione si è fissata sul suo ruolo crescente nel coordinare le risposte politiche alla crisi del debito della zona euro dall’Unione europea al Gruppo dei Sette paesi industrializzati.

L’analisi del quotidiano continua implacabile: “L’Italia è nelle mani di burocrati che stanno combattendo il cambiamento e di un primo ministro che non si decide a fare i passi decisivi”. Risultato? Un’occasione persa di fare le riforme necessarie.

Infine, conclude il Ft, “i mercati si renderanno conto ad un certo punto che l’Italia non ha fatto molto” in termini di riforme. E forse se ne sono già accorti.

Le preoccupazioni del Ft vertono sulla riforma delle pensioni, su quella del mercato del lavoro, sull’accondiscendenza di Monti nei confronti dei partiti politici e sul fatto che i piani per tagliare la spesa pubblica non siano ancora definiti. Vengono poi citati i tassi di rendimento sui Bot a 10 anni, saliti di recente di nuovo al 6 per cento, il calo di gradimento nei confronti di Monti e la pressione fiscale che comincia a farsi sentire.

Per il quotidiano finanziario “la capacità del governo di spingere importanti, ma impopolari, riforme strutturali in Parlamento si indebolirà“. Fonte Ansa, 6 giugno 2012

COLLOQUIO TELEFONICO TRA MONTI E OBAMA: CHISSA’ SE MONTI HA RIFERITO A OBAMA CHE LO SPREAD IERI HA TOCCATO 450 PUNTI

Pubblicato il 16 maggio, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Mario Monti-Barack Obama (Washington, 9 febbraio 2012)

Colloquio telefonico tra il premier italiano e il capo della Casa Bianca in cui si è parlato della situazione economica in Europa e della necessità di intensificare gli sforzi per promuovere crescita e occupazione.

.….Lo riferisce l’ANSA questa mattina, naturalmente fornendo notizie diramate dall’ufficio stampa del premier italiano, lo stesso ufficio che, smentito clamorosamente, aveva dato notizia di un presunto ringraziamento di Obama a Monti qualche settimana fa, risultato falso. Comunque, quel che l’Ansa non riferisce è se Monti abbia riferito  a Obama  durante la telefonata che ieri lo spread tra i titoli di stato italiano e quelli tedeschi ha toccato i 450 punti, risalendo ai picchi dello scorso novembre in virtù dei quali fu chiamato in veste di salvatore della Patria. Sarebbe interessante sapere a chi abbia dato la colpa Monti di questa nuova impennata dello spread, ma c’è da giurare che secondo Monti  la colpa è dei mercati, mentre prima era di Berlusconi. g.

HOLLANDE TAGLIA I SUPERSTIPENDI E COMINCIA DAL SUO: MONTI (e non solo) PRENDA ESEMPIO!

Pubblicato il 10 maggio, 2012 in Costume, Il territorio, Politica, Politica estera | No Comments »

Non è ancora insediato ufficialmente all’Eliseo – lo farà il 15 maggio – e già Francois Hollande parte con le novità. L’annuncio del presidente francese, successore di Francois Sarkozy, non lascia spazio a molte interpretazioni.

Francois Hollande

Si ridurrà lo stipendio del 30%. Non abbastanza per riportare la cifra percepita ai 7mila euro del 2007, poi più che raddoppiati sotto il precedente presidente, ma comunque qualcosa.

Lo stipendio presidenziale passerà dagli attuali 19mila euro a “soli” 13mila. E con quella di Hollande diminuiranno anche le retribuzioni di premier e ministri francesi. Una mossa che certo non servirà a scongiurare gli effetti della crisi, ma che rappresenta comunque un segnale importante in un momento in cui i tagli della spesa pubblica sono all’ordine del giorno sui tavoli istituzionali.

E se i francesi non sembrano avere mai perdonato a Sarkò le foto che lo ritraevano in viaggio sul lussuoso yacht di Vincent Bollorè, al largo di Malta o quello che veniva evidenziato come un rapporto troppo disinvolto col denaro, la mossa di Hollande è forse la messa in atto quella politica “normale” di cui ha parlato a lungo nei mesi della campagna elettorale. Il Giornale, 10 maggio 2012

.…………Ci piace questo Hollande e anche se c’è sempre il dubbio che si tratti di mossa propagandistica d’inzio mandato, c’è di certo che non solo si riduce lo stipendio, suo e dei suoi ministri, del 30%,  ma apprendiamo che il presidente francese, non uno qualsiasi, ma il presidente dela Francia, prende all’anno 156 mila euro….C’è da rimanere stupefatti se solo si confronta questo “misero” stipendio con quello che percepisce, per esempio, il signor Napolitano, che tra indennità varie arriva  a centinaia di migliaia di euro all’anno, o al signor  – in arte professore – Monti che da senatore a vita, a vita!, , cioè senza neanche essersi preso la briga di essere elttto, prende 25 mila euro al mese, e poi presidente di Camera e Senato,  deputati, senatori, presidenti di Regione e consiglieri regionali,, sino, giù, giù a sindaci e consiglieri comunali, tutti percettori di indennità impensabili oltralpe. Pensate che il sindaco di un Comune italiano  di 8000 abitanti (come Toritto) prende 2500 euro al mese, cioè circa un decimo di quanto prende Hollande che è il capo di una Nazione che conta 70 milioni di abitanti. E poi ci sono i supermanager italiani, tipo Befera, il capo dellìAgfenzia delle Entrate, nonchè il capo di Equitalia, il quale percepisce circa 650 mila euro all’anno, cioè qualcosa come sei volte, SEI VOLTE, il capo dello Stato francese. Che dire!? Che Monti, intanto che incomincia lui a dare l’esempio, visto che non sapendo da dove incominciare per tagliare i costi della politica tanto ha nominato  all’uopo commissario il vampiro-Amati,  lo mandi a casa, e si limiti a copiare la Francia e otterrà subito il risultato che a parole si vorrebbe raggiungere.g.

LA TECNOCRAZIA NON E’ DEMOCRAZIA

Pubblicato il 10 maggio, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Le note dell’intervento tenuto ieri a Bruxelles da Mario Sechi, direttore de Il Tempo,  al convegno del Parlamento europeo “Quale futuro per l’Europa”.

Europa Il tema di cui discutiamo è la sovranità. Ma le elezioni presidenziali in Francia e quelle in Grecia segnalano un’inversione di tendenza: siamo tornati alle nazioni. Come reazione alla politica europea che non è condivisa dai popoli. A Parigi si è votato pour la France e contre l’Allemagne, ad Atene hanno vinto i partiti «no Euro», «no Bruxelles», «no Bce», tutto ciò che era ed è l’Europa di cui stiamo parlando qui, nel Parlamento. Ho ascoltato con grande attenzione le parole di Cohn Bendit, e devo dire che condivido il fondo della sua analisi: c’è una perdita di democrazia, rispetto ai dogmatismi contabili e agli accordi dei governi, i Parlamenti contano sempre meno. Ecco perché le elezioni nazionali hanno avuto come argomenti principali l’Europa e i suoi mali. Ma in quale scenario si sta svolgendo questo dibattito? Cari amici, sull’agenda ci sono almeno quattro parole chiave: 1. Lavoro: secondo gli ultimi dati del fondo monetario internazionale nel mondo industrializzato ci sono duecento milioni di uomini e donne in cerca di occupazione. Duecento milioni! Questa è una minaccia, un problema sociale che può sfociare in una guerra sociale. 2. Crescita: l’ho sentita evocare spesso nel Parlamento italiano e anche in questa sala più volte. È l’ultimo mantra di una politica che però non riesce a crearla. Sembra di vedere un veliero fantasma galleggiare in un mare morto. E mentre i governi cercano la crescita, la recessione sta distruggendo imprese, posti di lavoro, ma soprattutto speranza. Il fiscal compact che alcuni Parlamenti hanno approvato senza neppure leggerlo e altri non hanno nemmeno discusso ma dato per buono, è contro qualsiasi ipotesi di crescita, anzi è un ammazza-crescita. Verrebbe quasi da sospettare, ma lo facciamo solo per amore dell’analisi di scenario, che la Germania lo difenda così tanto perché in fondo consente ai tedeschi, attraverso il gioco degli spread, di finanziare il proprio sviluppo emettendo debito a bassissimo tasso d’interesse.

E scaricando il costo del debito sui Paesi più deboli e che resteranno tali finché non si sarà allentata la morsa fiscale e data loro una possibilità di sviluppo che non vuol dire uscire dal rigore, come si pensa a Berlino, ma aprire le porte a una nuova èra di investimenti. 3. Banche: anche ieri la prima pagina del Financial Times dava il titolo principale al salvataggio con soldi pubblici di Bankia, il terzo gruppo spagnolo per asset posseduti. Che sorpresa, ancora una volta i soldi dei contribuenti vengono utilizzati per salvare chi continua a fare finanza per la finanza, senza mai servire l’economia reale. Proprio ieri mentre viaggiavo verso Bruxelles stavo rileggendo i saggi politici di Orwell, ecco mi sembra di essere piombato in un romanzo orwelliano in cui il paradigma del «too big to fail» (troppo grande per fallire) non può essere applicato ai giganti della finanza, ma gli Stati e i loro popoli invece possono fallire. Per cui siamo al paradosso che le banche che hanno speculato sulla Grecia vanno salvate mentre lo Stato greco può fallire e il suo popolo essere affamato. È questa l’Unione europea che sognavate? È questa l’Europa che volevano costruire Spinelli, Schuman e i padri fondatori? Secondo un rapporto dell’Unicef in Grecia 450 mila bambini sono sulla soglia della fame. È una vergogna e non smetterò mai di scriverlo e dirlo in pubblico. Certamente questa non può essere la mia Europa. Risolvere il problema della Grecia qualche anno fa sarebbe costato solo 50 miliardi, ma si è preferito attendere perché la finanza non voleva perdere un euro e il risultato è tutto nella drammaticità di queste ore. La Grecia non ha ancora un governo, in Parlamento sono arrivati i partiti estremisti, Atene rischia di tornare a votare senza risolvere i suoi problemi, il default è un rischio concreto, il ritorno alla dracma per un popolo esasperato è diventato una speranza, e l’Eurozona rischia il break up, la rottura. Che cosa succede se si realizza lo scenario previsto da uno studio dell’università di Cardiff per cui arriviamo al doppio euro? Chi lo gestisce? Cosa succede? Quali saranno le conseguenze? Lo sanno tutti che i contratti delle grandi corporation ormai prevedono clausole di salvaguardia nel caso in Europa dovesse rompersi l’Eurozona. Gli studi legali internazionali già prendono contromisure, le mettono nero su bianco, preparano la diga in caso del diluvio. E i governi europei che fanno? E il Parlamento che fa contro la cattiva finanza? Non c’è neppure un ombrello in caso di pioggia. Ripeto, banche e cattiva finanza questo è il problema, l’origine della crisi che parte nel 2008 con i mutui subprime in America e si propaga come un virus in tutto il mondo. È ora che anche le banche prendano atto che possono fallire, non si salva la finanza che lavora solo per la finanza. Deve essere chiaro una volta per tutte, bisogna finirla con questa mistificazione e manipolazione del linguaggio e mi appello a tutti i giornalisti affinché raccontino quel che sta accadendo: l’Europa è in pericolo, grave pericolo. 4. Democrazia versus Tecnocrazia: è questo il nocciolo del problema occidentale, ma in particolare europeo. La discussione sul funzionamento istituzionale dell’Unione a cui ho assistito dimostra che bisogna ripensare il rapporto tra organi rappresentativi, eletti e soprattutto elettori. Il mio Paese, l’Italia, è una metafora di questo problema. La tecnocratica way of life italiana è interessante nei suoi esiti perché avete qui davanti un signore che ha sostenuto il governo Monti, pensa che non vi sia alternativa, ha salutato con favore l’uscita del governo Berlusconi, ma alcuni mesi dopo deve prendere atto della realtà. La ricetta dettata dalla Bce e da Bruxelles ha dei limiti enormi: quando un Paese in recessione viene sottoposto a una cura fiscale eccessiva – siamo ben oltre il 45% di prelievo – non occorre essere laureato in economia a Princeton per capire che il risultato è quello di produrre ancora più recessione, distruzione di posti di lavoro e turbolenza sociale. E anche in Italia le ultime elezioni hanno confermato la tendenza europea al «no euro», «no Bce» «no Bruxelles». È un fiume carsico pericoloso, perché ripeto, sono tornate le nazioni e invece c’è bisogno di un’Europa che funzioni. Non è possibile vedere uno scenario in cui la France è contre l’Allemagne, Atene brucia e Berlino irride, l’Italia si dibatte in una ricetta suicida e intanto nel mondo circolano trecento trilioni di dollari di titoli derivati, vera spazzatura, senza alcuna copertura fondamentale, una bomba atomica sulla quale siamo seduti, dieci volte la ricchezza mondiale, e nessuno fa niente. Cari amici del Parlamento europeo, dov’è la soluzione per la cattiva finanza? Non la vedo. Ma abbiamo accettato che le banche non possono fallire e gli Stati sì. Io non so se l’Italia riuscirà a salvarsi o meno da questa crisi profonda e drammatica. Ma di una cosa sono certo: senza l’Italia non ci sarà mai l’Europa. Da Il Tempo, 10 maggio 2012

SARKOZY E HOLLANDE, LA REPUBLIQUE CHE SI RITROVA

Pubblicato il 9 maggio, 2012 in Politica estera | No Comments »

Francois Hollande e Nicolas Sarkozy rendono omaggio al monumento al milite ignoto a Parigi, nel corso delle celebrazioni per l'8 maggio, anniversario della vittoria nella II guerra mondiale

PARIGI – La Republique prima di tutto: la Francia divisa dalla politica, si ritrova dopo due giorni e rinasce nel nome delle sue radici profonde. Nicolas Sarkozy, battuto da Francois Hollande in un lacerante duello per l’Eliseo, ha invitato il rivale 48 ore dopo il duello a celebrare con lui la memoria dei soldati di Francia. Sull’attenti, uno accanto all’altro, mentre suonava la Marsigliese e il Canto dei partigiani, hanno regalato al mondo un’immagine inedita e di straordinaria intensità. In una mattinata grigia come le altre di questa primavera mancata, all’Arco di Trionfo si respira un’aria speciale. Si sa che arriveranno tutti e due, ma nessuno immagina che faccia avranno, cosa faranno, che si diranno dopo quello che per mesi é successo. Meno di una settimana fa la rivalità è esplosa in un faccia a faccia in tv durato quasi tre ore in cui Sarkozy ha dato del “piccolo mentitore” a Hollande. C’é l’aria speciale dei momenti storici, delle immagini da immortalare e destinate a entrare nei libri. Arrivano i politici e i militari, qualche ministro del governo, Frederic Mitterrand in testa, qualche antica gloria, Lionel Jospin fra gli altri. La banda della Garde Republicaine suona marce e qualche melodia evocativa. Quando, a sorpresa, intonano la colonna sonora de ‘Il Gladiatore’, invece di Russell Crowe con il tatuaggio scende nell’arena Francois Hollande con gli occhialetti, un po’ goffo, ancora poco padrone della situazione. Si avvia da solo verso il monumento, seguito da centinaia di occhi, e resta lì per diversi minuti. Sarkozy arriva poco dopo, scende con consumata andatura da capo dell’Eliseo e una vera ovazione lo accoglie, come nei comizi: “Nicolas, Nicolas!”. C’é la claque organizzata dal capo del partito, Jean-Francois Copé, ma anche tanta gente comune, che sa che quel momento speciale l’ha voluto lui. Si avvicina all’ex rivale ora successore e gli stringe la mano. Non sorrisi, ma sguardi severi mentre l’enorme bandiera sotto l’Arco di Trionfo si gonfia per un colpo di vento improvviso. Sarkozy fa strada e invita Hollande, qualcuno cerca di captare le parole, di leggere il labiale, ma sono solo formule di cortesia. Non è il momento delle parole, tutti guardano soltanto il gesto, quella corona deposta insieme e poi tutti e due, fermi, immobili, sull’attenti. Abito scuro identico, cravatta blu un po’ più scura per Sarkozy, quasi celeste per Hollande. Al socialista svolazzano i capelli mentre suona la Marsigliese. C’é commozione, gratitudine e soprattutto il riconoscimento dell’identità francese, della Storia, della Republique. Si resta in silenzio, in raccoglimento vero, quello senza applausi, e spunta un sole caldo che cambia completamente la scena. I due presidenti escono insieme dall’immobilità che li ha fissati nella mente di tutti i presenti e si avviano insieme a salutare i reduci in prima fila, poi Hollande si dà in pasto ai giornalisti: “Era una cerimonia che si doveva fare – dice – per mostrare ai francesi che la Repubblica è unita, il paese doveva sapere che è riunito attraverso il presidente ancora in esercizio e il nuovo”. Una cerimonia che si doveva fare ma che nessuno aveva mai fatto prima: due presidenti insieme l’8 maggio, uno che va e uno che viene. Nicolas Sarkozy l’ha voluto e lascia la scena al vincitore con un gesto di classe. Non parla, si avvia a testa alta verso l’auto che lo riporta all’Eliseo. Ancora una settimana, poi il passaggio di consegne e tanto tempo per pensare alla sconfitta e al futuro. Tullio Giannotti, ANSA, 9 maggio 2012

..…………..Questa immagine di unità dei due contendenti sino all’ultimo voto, entrambi irrigiditi sull’attenti dinanzi al Sacello del Milite Ignoto, sotto l’Arco di Trionfo, dove il generale De Gaulle guidò la marcia della ritrovata libertà nazionale l’8 maggio del 1945,   ci commuove e ci fa riflettere di quanto grande sia la distanza tra la Francia ( e gli altri Paesi in cui lo scontro politico si ferma dinanzi agli interessi e alla storia nazionale) e l’Italia, dove invece la battaglia sconfina nell’ingiuria e nell’insulto degli avverdsari, specie se perdenti,  senza limiti e confini. E ci piace dare atto a Sarkozy, verso il quale  pure abbiamo nutrito profonda avversione per il modo sguaiato con cui ha sconfessato la comune matrice popolare con i partiti italiani del PPE, che questo suo gesto, insieme di ritrovata eleganza politica e di  altrettanta  umiltà, lo riconferma  al momento dell’uscita di scena come un  non modesto protagonista della scena politica  europea degli ultimi 15 anni.   g.

FRANCIA 2012: NE’ SARKO, Nè HOLLANDE. MARINA LE PEN INVITA I SUOI ELETTORI A DISERTARE LE URNE.

Pubblicato il 1 maggio, 2012 in Politica estera | No Comments »

Francia 2012: 'Né Sarkò né Hollade', Le Pen si sfila da lottaPARIGI – Ne’ Francois Hollande, ”falsa speranza”, ne’ Nicolas Sarkozy ”nuova delusione”: Marine Le Pen, leader del Fronte nazionale, non votera’ nessuno dei due candidati al ballottaggio. Lo ha annunciato lei stessa in un discorso a migliaia di sostenitori del Fn radunati per la sfilata del 1 maggio in memoria di Giovanna d’Arco.

”Voi voterete liberamente, secondo coscienza” ha detto Marine Le Pen ai suoi, annunciando che lei mettera’ nell’urna una ‘’scheda bianca”. ”La battaglia storica” del Fronte nazionale – ha detto prendendo la parola in place de l’Opera – ”e’ soltanto all’inizio”, dopo l”’entusiasmante” risultato del primo turno, il record storico del Fn alle presidenziali (17,9%). ”Questo risultato e’ entusiasmante – ha continuato – poiche’ dimostra che la grande missione di risanamento ed emancipazione e’ cominciata contro tutto e contro tutti coloro che hanno insinuato il dubbio nella nostra capacita’ di ripresa”. Fra i responsabili di questo ”dubbio”, la Le Pen ha citato ”il Medef (la Confindustria francese, ndr) e la Cgt (sindacato comunista, ndr), l’Ump e il Ps (i partiti di Sarkozy e Hollande, ndr), i comunisti rivoluzionari e i grandi ‘patron’ della Borsa, tutti quelli che hanno reso il nostro paese una sala d’attesa di stazione ferroviaria e il nostro futuro un punto interrogativo”. Quanto ai due contendenti del ballottaggio per le presidenziali di domenica prossima, la Le Pen li ha accusati entrambi di ”mentire”: ”nessuna delle riforme che propongono sara’ realizzata”, ha affermato. Infine, la leader del Fn ha rivendicato l’appropriazione di idee dell’estrema destra da parte di Sarkozy e Hollande, che hanno tentato di recuperare voti: ”parlano come noi, le nostre idee saranno al potere, ed e’ per questo che la nostra battaglia storia e’ soltanto all’inizio, noi siamo la bussola della vita politica francese”. Fonte ANSA, 1 maggio 2012

LE ELEZIONI FRANCESCI UNA SBERLA ALL’EUROPA DI MONTI

Pubblicato il 23 aprile, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Prima di una vittoria del socialista Hollande, prima di ogni altra cosa, il primo turno delle presidenziali in Francia è un pugno all’Europa. Parigi scrive a Bruxelles e ai suoi tecnocrati che spadroneggiano decidendo chi e come deve governare, urlano contro la Merkel che ha imposto a tutti la sua linea tedesco-centrica.

Il grande sconfitto al primo turno francese. Alsecondo andrà KO.

Basta. Lo dicono i numeri di Marine Le Pen, che da antieuropeista convinta sfiora il 20%; lo dice il successo di tappa di Hollande che promette di riscrivere tutte le regole europee; lo dice persino il recupero di Sarkozy che non crolla, guardacaso, dopo aver garantito che cambierà alcune cose del suo rapporto con la Germania. La Francia straccia la foto simbolo degli ultimi tempi: quella di Sarkò che ride beffardo dell’Italia guardando la Merkel. Boccia quella supponenza, quel senso di superiorità, quella voglia di imporre a chiunque le decisioni di un duopolio che ha condizionato tutto e tutti, a cominciare dall’imposizione dei tecnici al governo in Grecia e soprattutto in Italia. È una sconfitta dell’Europa dei Monti, questa. Uno schiaffo alle logiche e alle strategie che da Bruxelles, passando per Berlino e Parigi, hanno portato a Palazzo Chigi i professori.

Sarkozy perde il primo turno con un avversario che non aveva mai vinto prima d’ora, che ha persino faticato a prendersi la leadership del suo partito. È una sconfitta contenuta nei numeri e che lascia la possibilità di recupero, ma resta una sconfitta pesante, perché impone a Sarkò di cambiare per provare a rimanere all’Eliseo: la Francia dice al suo presidente di non credere a quel che è oggi. Cioè un capetto, uno partito liberale e diventato statalista per opportunismo, uno che ha imposto i propri interessi al resto del continente, ovviamente partendo da noi italiani. La Francia racconta che non si può partire per essere il nuovo Reagan e finire diventando peggio di Monti. Meno Bruxelles e più Parigi, dicono le urne: se vuol vincere, Sarkò deve prendere i voti della Le Pen, quindi della più acerrima nemica dell’europeismo. Non vogliono, i francesi come molti altri, la politica fatta dai commissari, da vigili urbani che la gestiscono solo seguendo rigidamente le norme. Fare i professori non paga, evidentemente. Siano tecnici o politici a farlo. Parigi è un avvertimento per se stessa e poi anche per il resto d’Europa. Qualcuno lo capirà anche in Italia. Il Giornale, 23 aprile 2012

.….Di certo lo hanno capito i mercati che stanno affondando le borse europee e in primo luogo quella di Milano, mentre si allarga la distanza tra i btp italiani e i bund tedeschi che tocca i 410 punti. Sinora nessun commento nè di Monti nè dei suoi ciarlieri ministri, salvo il vice di Monti all’economia, Grilli, che ha assicurato che non ci sarà nessuna nuova manovra con nuove tasse. Il che può esser certo solo  se questi ministri e viceministri, tutti ex super burocrati  che hanno spadroneggiato durante tutti i governi degli ultimi 20 anni senza mai fiatare sulle scorribande governative all’intenro delle saccheggiate casse dello stato, quanto prima tolgono il disturbo. g.