Archivio per la categoria ‘Politica estera’

LA FRANCIA VOTA PER HOLLANDE E PUNISCE SARKO’

Pubblicato il 23 aprile, 2012 in Politica estera | No Comments »

Francois Hollande Uno schiaffo in faccia all’Europa. Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi ha questo significato profondo. Il risultato di Francois Hollande, quello straordinario di Marine Le Pen e lo stesso voto del Front de Gauche di Melenchon sono non solo la bocciatura di Nicolas Sarkozy – primo presidente uscente dal 1958 ad arrivare secondo nel primo turno – ma dell’asse Parigi-Berlino e delle politiche di Angela Merkel che ha fatto campagna elettorale per Sarkò. In altri tempi sarebbe «un campanello d’allarme», ma il quadro è così fosco che la scelta dei francesi diventa salutare. Parigi val bene una scossa, speriamo che a Bruxelles l’abbiano sentita o l’Eurozona fa crac. Al contrario di quel che pensano i progressisti italiani – i cui potenti binocoli si fermano a Roma – non è l’avvio di un nuovo ciclo delle sinistre (che in Francia restano minoritarie con il 39,9% dei voti), piuttosto è l’inizio di una forte ondata antieuropeista. Il cuore della Francia continua a battere a destra (seppur divisa, ha il 46,5% dei voti), ma lontano dalla retorica europeista e vicino ai temi dell’identità nazionale. Hollande prende i voti perché vuole demolire il fiscal compact e chiede una revisione del patto economico di Bruxelles. Le Pen alza la bandiera della Patria, attacca la turbofinanza e le politiche migratorie. Dieci anni di Euro senza governo, di crescita che non c’è, di burocrazia bizantina ed egoismo teutonico hanno prodotto questo risultato: vincono i partiti che prendono le distanze da tutto ciò che ha una relazione con Bruxelles, la moneta unica e la Banca centrale europea. Sono i popoli che votano, non i consigli d’amministrazione. Accade in Francia, ma il fenomeno cresce anche in Inghilterra e presto sarà così anche in Italia. Sarkozy paga la sua vicinanza ad Angela Merkel. Gli elettori non sono dei bifolchi ai quali si possono vendere collanine spacciandole per oro, vedono bene cosa sta accadendo nel Vecchio Continente. Chi afferma di voler salvare la Grecia strangolandola ha creato un mostro che ora si aggira per l’Europa: nessuno dà fiducia a chi affama un popolo. Ha ragione Sarkozy quando dice che questo è «un voto di crisi», ma dovrebbe interrogarsi su chi l’ha alimentata e sul grande errore commesso da un politico così ricco di talento come lui. Doveva riformare la politica europea, battere i pugni e piantare la bandiera dell’identità politica, economica e culturale. Ha sbagliato tutto il possibile e assecondando i piani egemonici tedeschi s’è quasi giocato l’Eliseo. Al secondo turno può ancora succedere di tutto, ma difficilmente gli elettori della destra stavolta lo voteranno, proprio perché rifiutano la regia di Berlino. Non si fidano. E per convincerli Sarkozy dovrà fare una giravolta spaziale rispetto a tutte le sue scelte politiche. Vedremo se sarà capace di cambiare passo. In ogni caso, il risultato è cristallino e in Italia il governo e i partiti dovrebbero riflettere. L’ondata non si fermerà a Parigi. A Palazzo Chigi appuntino sull’agenda il fatto che la cancelliera Merkel da oggi è più debole. In questo scenario vantarsi di essere «tedeschi» è un boomerang. Cerchiamo di essere italiani, perché stanno tornando le nazioni. Mario Sechi, Il Tempo, 23 aprile 2012

…………..Tutto vero e tutto giusto nella analisi del voto francese da parte di Sechi. Ed è certo che i voti dei francesi che hanno votato Marine Le Pen mai andranno a Sarkozy al secondo turno. Non perchè essi non siano di destra e quindi più politicamente vicini a Sarkozy che ad Hollande, ma perchè essi sono sopratutto e innanzitutto  antieuropeisti, anzi contro questa Europa germanizzata e bancherizzata , oltre che cinicamente burocratizzata, come è l”Europa che protende i suoi artigli sui popoli che hanno aderito all’Idea europea pensando non all’Europa delle banche e dei più forti, ma immaginando e sognando  l’Europa dei Popoli e delle Nazioni. Noi stessi siamo cresciuti fortemente pervasi di questa Idea, convinti ieri come oggi, che solo una Europa unita avrebbe potuto contrastare e contrapporsi ai due bloccchi egemonici che dopo la seconda guerra mondiale si erano spartiti il mondo, ignorando e calpestando, una parte in nome del dollaro, quindi della finanza, l’altra parte in nome di una  falsa unità proletaria,  le attese e gli interessi di popoli che pur avendo subito i danni della guerra, erano culla non solo dell’Ocicdente ma anche e sopratutto testimoninaza di cultura e progresso. Tutto ciò è stato disatteso e oggi l’Europa che ci troviamo di fronte è qualcosa di assai lontano dai sogni antichi, compresi quelli mazziniani, una entità fredda e lontana, solo regole e diktat che annullano le identità nazionali senza sostituirle con una comune identità europea che al più  si vorrebbe fosse quella tedesca. Così non va e gli elettori francesci, sia quelli che hanno votato per Hollande, sia quelli che hanno votato per la determinata signora bionda ma non arcigna Marine Le Pen, lo hanno detto chiaro e tondo e lo confermeranno nelle urne il prossimo 6 maggio, dando mandato a chi si insedierà all’Eliseo non di propugnare politiche di sinistra all’interno della ridotta dimensione nazionale, ma di farsi interprete di una voglia di nuova Europa che rinasca dalle sue ceneri e si restituisca in qualche modo all’Idea che pervase non solo gli europeisti del 19° secolo, ma anche quelli del 20°,  Aldice  De Gasperi ,  Adenauer,   Schuman  che pensavano e agivano da statisti e non da ragionieri. Noi ci contiamo. g.

FRANCIA: HOLLANDE IN TESTA, SARKOZY CONTA SUI VOTI DELL’ESTREMA DESTRA CHE OTTIENE IL 20%

Pubblicato il 22 aprile, 2012 in Politica estera | No Comments »

E’ in corso lo spoglio dei voti dei primo turno delle presidenziali francesi e a conferma delle previsioni della vigilia in testa c’è il socialista Hollande con circa il 285 dei voti, mentre Sarkozy è secondo con il 26%. Sorprendente il risultato della candidata del Fronte Nazionale, Marina Le Pen, che benchè non sia riuscita, come accadde al padre, di accedere al secondo turno, comunque conquista un eccezionale 20% che la colloca solitaria al terzo posto e la trasforma nell’incubo e nell’ultima sponda per Sarkozy che tenterà di conquistare i voti del Fronte Naizonale nell’estremo tentativo di battere Holande al secondo turno. E’ difficile però che ciò accada perchè  gli elettori della estrema destra francese che aspramente rimproverano a Sarkozy, come la sinsitra di Hollande, di aver appiattito la politica francese su quella della cancelliera tedesca Angela Merkel,  difficilmente gli si affiderebbero perchè temono una ulteriore cesisone di potestà francese all’Europa della Germania. Come accade in Italia. 15 giorni per avere il responso defintivo. g.

PER I DUE MARO’ LA FARNESINA E’ RIUSCITA A MINARE IL NOSTRO PRESTIGIO NEL MONDO

Pubblicato il 20 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Un buon ministro degli Esteri deve offrire risultati al proprio Paese e quando sbaglia accettare le critiche. Non è il caso di Giulio Terzi. Doveva essere informato per tempo del fattaccio imputato a due militari italiani di scorta a un mercantile in acque internazionali. Doveva chiedere e ottenere perentoriamente che scattasse la giurisdizione italiana e che la nave italiana non lasciasse le acque internazionali, invece che recriminare dopo. Doveva fornire la chiave diplomatica per una composizione e mobilitare allo scopo tutti i mezzi dello Stato, servizi compresi, non la sua persona e la sua carica in missione pubblica con pernacchio della magistratura del Kerala. Certo, non è facile quadrare il cerchio nell’Oceano Indiano, ma questo ci si aspetta da un ministro dotato di tutti i poteri necessari per l’azione.

Quel che ci resta in mano della vicenda dei marò, oltre all’inutile missione di business & umanitarismo del titolare della Farnesina, è un lungo e infruttuoso soggiorno del sottosegretario di Terzi, Staffan de Mistura, nella funzione di badante esterno dei nostri militari. Il soggetto è simpatico, ebbe la ventura come rappresentante dell’Onu di andare a Sanremo e di affermare dal palcoscenico dell’Ariston di essere felice per il fatto di trovarsi «a Rapallo». Un lapsus delizioso, ma non esattamente una garanzia per chi ora si trovi ristretto in una prigione del Kerala, con un iter giudiziario che non avrebbe mai dovuto cominciare per evidenti ragioni di giustizia e di codice diplomatico.

Quanto al caso molto doloroso dell’ingegnere italiano ucciso nel corso di un blitz britannico in Nigeria, e della sorte affidata al vento delle indiscrezioni di altri ostaggi italiani in Africa, andiamo di male in peggio. Fosse capitato un simile luttuoso incidente al predecessore di Terzi, sarebbe stato pubblicamente linciato sulla pubblica piazza. L’improntitudine con cui siamo stati trattati, la mancanza di scuse formali da parte del governo britannico e il ritardo nelle spiegazioni che ci sono dovute cumulato con il tentativo di scaricare il tutto sui servizi, i soliti stracci di funzionari che volano, sono insuccessi che parlano da soli. C’è stata un’epoca in cui i servizi italiani, poi criminalizzati da campagne di stampa e magistratura, si raccordavano con Palazzo Chigi e con la Farnesina per riportare a casa dall’inferno iracheno giornaliste del Manifesto e della Repubblica dall’Afghanistan, per non parlare delle solerti impiegate di organizzazioni umanitarie dedite al benessere del «valoroso popolo iracheno» in lotta contro l’imperialismo, e lo facevano senza farsi scucire un baffo dai mozzorecchi jihadisti più feroci al mondo. C’era una guida politica e diplomatica che seppe far funzionare gli organi di sicurezza dello Stato, evidentemente.

Visto il fallimento, ci si aspettava dal ministro degli Esteri una misura se non di umiltà di equilibrio e di rassicurazione. Invece è da lui che sono venute polemiche politiche scollacciate con Roberto Maroni, totalmente fuori contesto. E spiegazioni a mezzo stampa infarcite da banalità e argomenti pro domo sua che privano di ogni autorevolezza una funzione delicata e decisiva della pubblica amministrazione. Un ministro non scrive articoli autocelebrativi sul Corriere della sera, soprattutto non dall’alto di preoccupanti batoste prese a nome e per conto del suo Paese. Ricostruire un certo peso dell’Italia in Europa, ecco un risultato del governo Monti nel teatro dei mercati e della politica di Bruxelles. Disfare il nostro prestigio operativo nel resto del mondo, accusando i critici di insensibilità per i concittadini indifesi all’estero, è quanto è riuscito a fare il capo della Farnesina. Giuliano FERRARA, Panorama, marzo 2012

DALL’INDIA ALLA NIGERIA, LA DIPLOMAZIA ITALIANA PRESA A PESCI IN FACCIA

Pubblicato il 9 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Prima il caso dei marò italiani, arrestati sulla nave italiana che trovandosi in acque internazionali è territorio nazionale e quindi inviolabile; oggi il caso del blitz delle teste di cuoio inglesi in Nigeria, sfociato in un bagno di sangue che è costata la vita, tra gli altri, anche ad un italiano prigioniero in un campo islamico, senza che l’Italia fosse stata preventivamente consultata: a distanza di pochi giorni due occasioni in cui la diplomazia italiana, consegnata irresponsabilmente nelle mani  di un diplomatico con scarso credito internazionale, è stata presa a pesci in faccia o, come ha detto l’ex ministro Maroni, ha fatto la fidura dei peracottai. E in altrettanti pochi giorni un altro ministro che non sa dove nascondere la faccia. Povera Italia, in quali mani è finita.

I NOSTRI MARO’ IN CARCERE. E MONTI FA L’INDIANO…

Pubblicato il 6 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Due nostri soldati, marò del San Marco, da ieri sono in carcere in India. Li hanno presi con l’inganno, in spregio ai trattati internazionali.

India, i marò italiani in cella

Fessi noi che ci siamo fatti intortare. Ma questo non può giustificare un affronto all’Italia intera. I fatti sono noti. I due erano a bordo di una nave italiana che navigava in acque internazionali al largo delle coste indiane. Ce li aveva mandati il nostro governo per proteggere un pezzo di Italia dagli assalti dei pirati che infestano quelle zone. C’è stato un incidente, una sparatoria in cui sono rimasti uccisi due pescatori probabilmente scambiati per pirati. I nostri negano di aver fatto fuoco, altre navi incrociavano in quel momento poco lontano. Gli indiani non hanno dubbi: hanno sparato gli italiani, ma non forniscono alcuna prova. Ma al di là della dinamica una cosa è chiara: l’inchiesta deve essere svolta da un tribunale militare italiano e, se ritenuti colpevoli, i marò dovranno scontare la pena in un carcere italiano.

Siamo quindi di fronte a un sequestro di militari italiani da parte di un Paese straniero. I marò devono essere subito liberati e consegnati ai nostri. Il problema non riguarda solo l’Italia ma l’intera alleanza politica e militare della quale facciamo parte e alla quale abbiamo dato un tributo di sangue non indifferente sui fronti di crisi aperti nel mondo. Un Paese non vive di solo spread, e un governo che non sa difendere i suoi uomini, che non ottiene il rispetto dei trattati, è meglio che si faccia da parte. La presunta autorevolezza internazionale del nuovo premier e della nuova Italia va dimostrata innanzi tutto su questo piano. Monti non può fare anche lui l’indiano, il suo silenzio fa male. Non siamo tutti come Pisapia e la sua maggioranza che ieri a Milano hanno negato l’esposizione sulla facciata del Comune della foto dei due marò in segno di solidarietà, come avviene con i civili italiani sequestrati nel mondo. Noi non ci stiamo. A pagina tre trovate il poster dell’orgoglio. Facciamone buon uso. Alessandro Sallusti, 6 marzo 2012

L’INDIA METTE IN GALERA I DUE MARO’ ITALIANI…CHE FIGURACCIA PER LA DIPLOMAZIA ITALIANA

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

I due marò arrestati

I due marinai italiani illegittimamente deportati dalla nave italiana nella sede della Polizia indiana,  da oggi sono in carcere per ordine di un solerte giudice indiano. Il Ministero degli Esteri italiano ha diffuso una not ain cui esprime meraviglia per questa involuzione della controversa vicenda che vede i due marinai italiani accusati di omicidio, proprio loro che lì stavano compiendo aloro rischio una misisone di tutela in acque spesso teatro di insidiose scorribande di pirati del 21° secolo. L’arresto peraltro avviene ancor prima che siano accertate le loro responsabilità. Anche alcuni organi di stampa stanno stimolando i loro lettori ad inviare email di protesta all’Ambasciata indiana a Roma. Ci sembra che a prescidnere dalle iniziative di natura propagandistica e accertato che in base alle leggi internazionali la competenza a processare, eventualmente,  i due marinai apparteine all’Italia, ci pare che sia arrivato il momento di alzre il dito contro coloro che permisero ad uomni armati di un Paese straniero di metter epiede sulla nave italiana che essendo in acque internazionali era ed è territorio italiano. Averlo permesso è di per sè ragione di dubitare delle capacità di chi aveva il comando dela nave e anche della diplomazia romana che lo ha permesso. In altri tempi e per molto meno ci fu chi schierò i corpi armati poer impedire che sul suolo italiani agenti stranieri (di un Paese amico!)  facessero il loro comodo. Altri tempi e altri uomini. g.

PUTIN SI RIPRENDE LA RUSSIA

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Il patriarca della chiesa russa non lo ha detto apertamente, ma ci è andato davvero vicino. «Spero che il risultato di queste elezioni permetta al nostro paese di proseguire lo sviluppo spirituale e materiali degli ultimi anni», ha commentato ieri pomeriggio, mentre votava nel seggio speciale allestito a Chisty Pereulok, la sua dimora di Mosca.

Se si pensa che la parola usata più spesso da Vladimir Putin in questa campagna elettorale è stata «stabilità», non è difficile immaginare quale nome fosse scritto sulla scheda del patriarca Cirillo. Ieri la Russia è andata alle urne per scegliere il nuovo presidente, i risultati definitivi ancora non ci sono ma Putin ha conquistato il suo terzo incarico al Cremlino dopo una parentesi di quattro anni alla guida del governo. Putin ha votato nel centro della capitale con la moglie Ludmylla: poche ore più tardi le attiviste di Femen, il movimento di ragazze ucraine conosciuto in tutta Europa per le proteste in topless contro banche, governi e personaggi politici, ha cercato di rubare l’urna con la scheda del presidente. Quel che si sa è che si trovano agli arresti e che potrebbero essere espulse dal paese già nelle prossime ore.

I movimenti di opposizione hanno già denunciato brogli e irregolarità nei seggi, anche se le percentuali degli exit poll e dei primi risultati, che oscillano fra 59 e 63%, riportano Putin, che ha festeggiato in lacrime, alla presidenza della Federazione senza passare dal secondo turno di ballottaggio. Alla fine dello spoglio il suo rivale più pericoloso, il comunista Gennady Zyuganov, dovrebbe arrivare secondo; lontano il milionario Alexandr Prokhorov, che aveva deciso di scendere in politica per portare vento liberale in Russia.

La popolarità di Putin è trasversale, parte dai ranghi della chiesa ortodossa (che pure lo avevano criticato nel corso della campagna elettorale) e arriva alle grandi masse delle periferie urbane. Negli ultimi mesi si sono registrate decine di proteste contro il Cremlino, che hanno avuto come protagonisti giovani intellettuali, manager ed esponenti della classe media. La grande maggioranza della popolazione, tuttavia, resta con il leader. «Noi crediamo che sia un buon politico, Putin ha sempre fatto il bene del nostro paese», dice Dmitri, un uomo sui cinquanta seduto a un tavolo del ristorante Le Borshch, nel centro di San Pietroburgo.

In questa città, la città in cui sono nati sia Putin sia il suo delfino, Dmitri Medvedev che oggi siede al Cremlino ma presto prenderà la guida del governo, la domenica del voto è passata come se fosse un giorno qualunque: le mamme con il cappotto accompagnano i bambini alle piste da hockey trascinando i loro borsoni enormi e le coppie passeggiano lungo le strade eleganti del centro. Non ci sono molti manifesti elettorali, quelli di Putin non hanno la sua fotografia ma soltanto il nome. «Non sono andata a votare, la politica non mi interessa per niente», racconta Ksenia, una ragazza di vent’anni che studia all’università. Viene proprio dal dato dell’astensionismo la grande incognita di queste elezioni: ieri, intorno alle 13 di Mosca, il tasso di partecipazione viaggiava intorno al 30 per cento, il 4 in più rispetto alla tornata precedente.

Il governo ha fatto installare centinaia di telecamere nei seggi prima del voto, un sistema per tenere sotto controllo la fase del conteggio. L’operazione sembra efficace: a San Pietroburgo la polizia ha già confermato un caso di urne truccate. A Mosca, i sostenitori di Putin si sono radunati già ieri pomeriggio in attesa degli annunci ufficiali. Il ministero dell’Interno ha rafforzato i controlli in città, aumentando il numero degli agenti in servizio. Quel che si teme non è la festa dei Nashi, il giovane esercito del presidente: oggi l’opposizione potrebbe organizzare un grande corteo di protesta, come dicono gli accordi siglati nei giorni scorsi nel palazzo del governatore, e il pericolo di scontri è elevato. Alla marcia non dovranno partecipare più di diecimila persone, ha detto il numero uno di Mosca, Sergei Sobyanin: «Non permetteremo a nessuno di mettere le tende nelle nostre piazze».

In altre parti del paese, questo giorno non sarà ricordata soltanto per il (probabile) successo di Putin. In Inguscezia, la Repubblica più piccola e più povera del Caucaso, un anziano signore è arrivato al seggio per firmare un record stravagante: con i suoi 116 anni compiuti, Appas Iliyev è diventato il più vecchio elettorale nella storia del paese. «Quest’uomo è nato nel 1896 e ha votato nel villaggio di Guli», ha fatto sapere il presidente della commissione elettorale. Ma le elezioni del 2012 hanno anche un altro primato, decisamente meno triviale: ben cinque persone sono morte per arresto cardiaco ai seggi. Ma questa è l’unica notizia luttuosa nella domenica di Putin.Il Giornale 5 marzo 2012

LA DISTRUZIONE DI UN POPOLO (greco) di Mario Sechi

Pubblicato il 13 febbraio, 2012 in Politica, Politica estera | No Comments »

il sogno dei fondatori dell’Unione? L’Europa è l’odore acre dei lacrimogeni sparati contro il compositore greco Mikis Teodorakis, un artista di 88 anni che voleva parlare alla folla? Quali parole avrebbero usato oggi il francese Jean Monnet, il franco-tedesco Robert Schuman, gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, il belga Paul-Henri Spaak, il tedesco Konrad Adenauer, i padri fondatori dell’Europa, di fronte allo scempio di Berlino, alla debolezza di Parigi e ai tentennamenti dell’Italia di fronte a un’azione che ha un punto di partenza ipocrita (salvare le banche tedesche e francesi) e un punto d’arrivo folle (ridurre in povertà una nazione). Quando perfino uno speculatore da mar degli squali come George Soros dice che «la Merkel sta portando l’Europa nella direzione sbagliata» allora bisogna drizzare le antenne. La ricetta del rigore in questo scenario produce più recessione. I poveri diventano più poveri. E i ricchi mettono le ali ai capitali. Consiglio la rilettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith. È il racconto della crisi del 1929, sono elencati tutti gli errori di ieri che si stanno ripetendo oggi. Solo che lo scenario è quello europeo e gli americani – che quella lezione l’hanno imparata – sono preoccupati. Il piano di salvataggio della Grecia è in realtà un piano di affondamento di una nazione e della stessa Europa. Il Parlamento di Atene lo vota? Passa la linea kamikaze tedesca sposata dal ministro delle Finanze greco, Venizelos, che dice «scegliamo il male per evitare il peggio»? Bene. È la soluzione? Il risultato sarà l’innesco di una tensione sociale senza più limiti, la depauperazione della ricchezza, la fuga degli ultimi capitali rimasti e la nascita di un fasciocomunismo che si propagherà al resto dell’Europa. Quello di Atene era un problema relativamente piccolo tre anni fa e lo si poteva risolvere. Ma Francia e Germania hanno pensato ai bilanci delle loro banche (piene di debito greco) e ora pensano al conto elettorale. Nel frattempo il sogno dell’Europa si sta trasformando in un incubo. È una situazione che indigna e suscita rabbia. Nessun popolo va al patibolo cantando e dicendo grazie. Nessun popolo si fa condurre alla fame e alla disperazione. Promemoria per i saggi di Berlino: quel popolo brucerà la casa di chi lo affama. La cancelliera Merkel porterà sulle sue spalle il peso di una politica che rischia di disgregare la già fragile solidarietà europea. È una deriva già presente nel linguaggio. Il ministro tedesco Wolfgang Schauble in questi giorni ha usato parole e toni che umiliano un intero popolo e hanno un suono sinistro e minaccioso. Quando centomila persone in piazza Syntagma applaudono gli anarchici, i black bloc, l’estrema destra e l’estrema sinistra, vuol dire che la ragione è tramontata da un pezzo e che c’è il pericolo concreto di un ritorno del caos nel Vecchio Continente. La polarizzazione della politica produce mostri. Altro che bilanci. Tirare una linea sul conto profitti e perdite non significa saper leggere cosa s’agita nel cuore e nella mente delle persone. Significa perdere di vista quel che sta accadendo e rischiare di finire bruciati nel magma bollente della Storia. Sul Partenone sono nate la nostra cultura, la nostra filosofia, la nostra prima idea di politica. Se Platone uscisse oggi dalla sua caverna, piangerebbe. Mario Sechi, Il Tempo, 13 febbraio 2012

.…………Non bastano più le parole. Dinanzi alla tragedia della Grecia che in un domani prossimo venturo potrebbe essere anche la nostra,  bisogna intraprendere iniziative concrete per impedire che la Merkel con il suo vassallino Sarkozy completi l’opera di distruzione dei popoli e della stessa Europa che non è ceerto quella che avevano sognato i grandi idealisti dell’800,  i grandi uomini di stato del 900, e gli uomini e le donne all’inizio del 2000, quando  era stato fatto credere che l’euro sarebbe stato solo l’anticamera per giungere alla tanto sognata unione dei popoli e delle nazioni. Così non è stato, anzi l’euro è stato lo strumento attraverso il quale alcuni cinici burocrati slegati dalle realtà e dalla storia stessa dell’Europa hanno strangolato ogni sogno e dissolto ogni speranza. L’affossamento della Grecia per salvare le banche franco-tedesche è la ghigliottina di ogni speranza di superare i nazionalismi per imboccare la strada della coesione europea. Lo strangolamento del popolo greco è una ripetizione di antiche  e non dimenticate prevericazioni dei potenti contro i deboli. Non è così che avevamo sognato che potesse nascere l’unione europea. Sta prevalendo l’egoismo e, diciamolo pure, la strafottente cattiveria dei tedeschi in uno alla abituale vocazione alla presunta  grandeur degolliana dei francesi. Gli uni e gli altri mostrano di non aver compreso le lezioni della storia. Potranno tentare di strangolare i popoli ma finiranno sotto le macerie della rivolta che spesso più che dagli ideali è provocata dalla fame. In Grecia ci siamo, tra poco si estenderà in ogni parte del vecchio continente. E allora, si salvi chi può. g.

ELEZIONI AMERICANE: IL REPUBBBLICANO ITALO AMERICANO SANTORUM IN TESTA NEI SONDAGGI FEDERALI

Pubblicato il 11 febbraio, 2012 in Il territorio, Politica estera | No Comments »

Rick Santorum

WASHINGTON – Continua il momento di grazia di Rick Santorum, l’ex senatore della Pennsylvania, dopo il trionfo nelle ultime tre primarie repubblicane in Colorado, Missouri e Minnesota. Il candidato cattolico ultraconservatore non solo sta incassando ingenti somme di denaro per la sua campagna elettorale, ma è passato in testa, staccando Mitt Romney, l’ex Governatore del Massachusetts, anche al livello nazionale tra i candidati del Grand Old Party (Gop) per la presidenza degli Stati Uniti. Secondo l’ultimo sondaggio di Public Policy Polling, per la prima volta dall’inizio della battaglia per la nomination repubblicana l’ex senatore della Pennsylvania è in pole position, con il 38% di popolarità calcolata a livello federale.

Secondo, ma a grande distanza, c’é Mitt Romney fermo con il 23%. Terzo Newt Gingrich, l’ex speaker della Camera, con il 17%.

Ultimo Ron Paul, il candidato libertario, con il 13%. In un eventuale scontro diretto, sempre secondo la stessa inchiesta, Santorum batterebbe seccamente Romney, 56% a 32%. Gli elettori del Gop ormai identificano Santorum come il vero conservatore. E facendo due conti, se i suoi voti venissero sommati a quelli di Gingrich dopo un suo eventuale abbandono l’ex senatore si troverebbe al 55%. Tanto che David Axelrod, il braccio destro di Obama ha commentato su Twitter: “Chi avrebbe immaginato, appena sei settimane fa, che Romney avrebbe sperato nel Caucus del Maine per cercare il rilancio. Assolutamente incredibile!”. In Maine le assemblee primarie, tradizionalmente considerate irrilevanti, sono in calendario il 26 febbraio. E dire che l’ex governatore del Massachusetts, impegnato in questi giorni a WAshington come tutti i leader repubblicani alla Conferenza annuale della destra americana del Cpac, ha fatto di tutto per far dimenticare il suo moderatismo. Un cronista della Abc s’é divertito a seguire il suo intervento di ieri a questo grande appuntamento politico, scoprendo che ha pronunciato la parola “conservatore” la bellezza di 29 volte in un discorso di 26 minuti, oltre una volta al minuto, una media da record. Brutte notizie per il miliardario mormone, anche sul fronte della rete. Tutti gli osservatori dicono che queste elezioni saranno ricordate per essere le prime in cui i social network hanno avuto un ruolo gigantesco. Fonte ANSA, 11 febbraio 2012

………………Alla faccia dei Monti, Fornero e Cancellieri, ecco un esempio della laboriosità  e dello spirito di avventura degli italiani. Santorum è figlio di un italiano emigrato con la valigia di cartone in America nel secolo scorso, quando in Italia c’era poco pane e nessun campanatico, per cui chi aveva avuto la sfortuna di nascere in famiglie poco abbienti e senza speranza di trovare un posto nella pubblica amministrazione, come è capitato ai suddetti personaggi e, come scrive Panorama,  anche ai loro figli e nipoti, doveva scegliere se morire di fame in Italia oppure emigrare. Il padsre di Santorum emigrò e  così fecero milioni di italiani e tanti di loro in America hanno trovato una seconda Patria che essi hanno onorato come fosse la loro, quella che si era mostrata, suo malgrado, matrigna. Non sappiamo se Santorum,  che è agli inizi della corsa per la nomination repubblicana per le presidenziali del prossimo novembre,  riuscirà a vincere la competizione e a risultare il  candidato repubblicano  contro il liberal Obama, ma non possiamo non tifare per lui. Per due ragioni. Primo,  perchè è conservatore  e i conservatori, come insegnava Giuseppe Prezzolini, sono i veri progressisti e da loro ci si può aspettare coraggio e creatività  nella continuità. Sec0ndo,  perchè è l’ italo americano che un bel giorno di una ventina di anni fa, inaspettato, si presentò a casa dei parenti italiani di suo padre, a Riva del Garda,  per rivendicare con orgoglio la sua italianità e le sue origini popolari. E sarebbe il primo italiano a correre come candidato presidente  per la Casa Bianca (Geraldine Ferraro nel 1988 era candidata alla VicePresidenza e Rudolfh Giuliani nel 2008 si ritirò dalla corsa prima della convention repubblicana)   e , chissà, anche a vincere. Di certo non gli mancheranno i voti di tutti gli italo americani d’America che in lui potrebbero ritrovare il mitico e indimenticato Fiorello La Guardia, anch’egli repubblicano, il primo italiano a ricoprire per ben 4 mandati  la prestigiosa carica di sindaco di New York. g.

ALTRO CHE DARCI PAGELLE: I VERI MAGLIARI SONO GLI USA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 11 febbraio, 2012 in Politica, Politica estera | No Comments »

Mario Monti sulla copertina di Time , grande settimanale statunitense (e internazionale), è motivo di soddisfazione. Il titolo poi che accompagna l’immagine suona come un complimento per il nostro Paese: «Può quest’uomo salvare l’Europa? ».

Mario Monti e Barack Obama

Mario Monti e Barack Obama
Ingrandisci immagine

Ce lo auguriamo davvero. Ma ci accontenteremmo che riuscisse a salvare l’Italia, cosa niente affatto scontata, visto che la crisi dalle nostre parti è particolarmente grave. Vabbè, sperare non costa niente.

L’accoglienza riservata al premier negli Usa è stata ottima, fa bene al morale, ma non va sopravvalutata. Anche Silvio Berlusconi, d’altronde, quando alcuni anni fa parlò al Congresso venne applaudito a lungo, eppure la cosa non gli portò fortuna. Sappiamo come la sua ultima esperienza a Palazzo Chigi è andata a finire: bruscamente interrotta causa una serie di problemi, primo fra i quali le difficoltà italiane con lo spread, e sorvoliamo sul terremoto borsistico. Ma non è questo il punto.

Ciò che in questi giorni ci ha sorpresi è la sfacciataggine con cui l’America si arroga il diritto di dare le pagelle ad altre nazioni, inclusa la nostra. Come si permette di stare in cattedra, quando sono risapute e accertate le sue colpe nel disastro finanziario globale che ha ridotto a malpartito quasi tutte le economie? O ci siamo dimenticati di quanto accadde a New York nel 2008? Banche che saltavano per aria, titoli tossici che imperversavano suscitando scandalo e preoccupazione, società finanziarie che fallivano, migliaia di funzionari licenziati in tronco che abbandonavano l’ufficio con i loro scatoloni divenuti simbolo di fallimento e disoccupazione.

Il giudizio degli esperti fu unanime: la tragica bolla, provocata da eccessi speculativi e da un capitalismo corrotto e spregiudicato, si era gonfiata ed era esplosa proprio lì, negli Stati Uniti. Altro che finanza creativa. Eravamo di fronte a un fenomeno di cattiva gestione del denaro, a un vero imbroglio su vasta scala, a una specie di catena di Sant’Antonio che penalizzava gli ultimi acquirenti di prodotti avvelenati, pezzi di carta cui era attribuito un valore in realtà inesistente. Anche i nostri istituti di credito avevano abboccato alle lusinghe dei truffatori statunitensi, che promettevano lauti guadagni (interessi elevati) sul nulla, e comprato schifezze poi girate ai loro clienti come fossero pepite. Un disastro illimitato che ha travolto tutto il Vecchio continente, messo in ginocchio l’Inghilterra (con la sua boria di capitale europea della finanza) e via via tutta la Comunità europea, Italia inclusa.

È noto che la responsabilità del crac è degli States, dell’economia basata sul debito, sulle carte di credito usate come cambiali senza scadenza, sui mutui ipotecari concessi a chi non aveva mezzi per pagare le rate. Il peggio del peggio recava il marchio «made in Usa». Con che coraggio, a distanza di qualche anno, gli Stati Uniti si impancano a giudici e distribuiscono attestati di affidabilità a questo o a quel Paese?

Ieri, tra l’altro, il nostro presidente del Consiglio è stato posto sotto esame da Wall Street, come se fosse lui a doversi giustificare dei guai che rendono difficoltosa la ripresa nella Ue. Siamo all’assurdo. Al controsenso.

A rigor di logica sarebbe Monti autorizzato a processare gli americani per i pasticci che hanno combinato, anche a nostro danno, e non viceversa. Non accettiamo lezioni dai magliari. Rifiutiamo di salire sul banco degli imputati se a emettere le sentenze sono coloro che andrebbero condannati. Vittorio Feltri, il Giornale 11 febbraio 2012

……………E Monti, beatamente, ha accettato le promozioni, sue!, da parte del capo dei magliari, cioè Obama. E Monti dovrebbe salvare l’Italia e addirittura salvare l’Europa? Barzellette. g