Archivio per la categoria ‘Politica estera’

L’ASSASSINO BATTISTI LIBERO. ITALIA VITTIMA DI CARLA’, SARKO’ E NAPOLITANO, di Maria Giovanna Maglie.

Pubblicato il 10 giugno, 2011 in Cronaca, Giustizia, Politica estera | No Comments »

Se Cesare Battisti, assassino, rapinatore, terrorista e delinquente comune, evaso, criminale incallito mai colto nemmeno da un secondo di ravvedimento, se ne sta già pancia all’aria su una spiaggia di Ipanema con garrotina, fidanzata giovanissima al seguito, attribuiamo le responsabilità a tutti coloro che insieme ai giudici brasiliani devono condividerle. È il Brasile, dove fa il presidente della Repubblica una ex terrorista mai pentita che ha seguito le orme del suo predecessore e grande ipocrita, Lula, il quale con Parigi a suo tempo si accordò proprio sullo sporco scambio. È la Francia che anche con questo presidente continua la vecchia applicazione della furbesca dottrina Mitterrand, non è vero madame Sarkozy, e lo fa sulla pelle degli italiani. È tutta l’Europa che non ha alzato un dito ancora una volta, ovvero ha confermato come se ne infischia dei diritti dell’Italia, dagli sbarchi di clandestini alla riconsegna di un criminale, provate a immaginarvi se fosse stato un tedesco, e come non capisce che la dottrina Mitterrand, ovvero un interessato rifugio ai terroristi dei Paesi alleati per strizzare l’occhio ai radical chic di casa ed evitarsi terroristi interni, è possibile anche oggi, e voglio vedere che succede se uno Stato democratico si mette a ospitare terroristi baschi o corsi o irlandesi e via così.
Infine, ma solo nell’ordine, è l’Italia stessa, con un governo che non ha saputo fare la voce grossa e farsi valere sul serio, e soprattutto un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che si è speso malamente nella vicenda. Senza nulla togliere infatti a debolezze e carenze dell’esecutivo e della nostra diplomazia, è indubbio che il Colle negli ultimi mesi si sia candidato e comportato da guida forte di politica estera, con tanto di endorsement alle bombe “umanitarie” sulla Libia, di iniziative tra Israele e palestinesi, di rapporti diretti e amicali ostentati con la Casa Bianca. Bene, oggi giustamente Napolitano dichiara che la decisione del Tribunale supremo brasiliano «assume un significato gravemente lesivo del rispetto dovuto sia agli accordi sottoscritti in materia tra l’Italia e il Brasile sia alle ragioni della lotta contro il terrorismo condotta in Italia, in difesa delle libertà e istituzioni democratiche, nella rigorosa osservanza delle regole dello Stato di diritto». Ma qualche tempo fa diceva rassegnato addirittura che non eravamo stati in grado di far capire agli altri la verità sui nostri anni di piombo. Colpa degli italiani dunque, oppure un’antica consuetudine dell’ex partito comunista con le pratiche di accoglienza dei radical chic francesi? Questo è il bel risultato ed è inutile sostenere che la decisione della Corte Suprema brasiliana sia stata una sorpresa, al contrario tutto era preordinato da quando ai servizi francesi scappò di mano – ops… – il latitante Battisti, e certamente dall’ultimo giorno di presidenza di Lula.

Battisti infatti non arriva in Brasile per caso. Scappa dalla Francia grazie alla complicità dei servizi di sicurezza francesi, con il  sostegno importante di un nutrito gruppo di politici e intellettuali francesi e italiani di sinistra, con agganci pesanti nell’establishment politico e giudiziario brasiliano. Al potere c’è infatti un partito di sinistra erede della lotta alla dittatura, che contiene di tutto, dai cattolici agli estremisti rossi. Battisti viene così trasformato, in palese imitazione degli anni di Mitterrand a Parigi, in un martire degli anni di piombo italiani. Lula accontenta i suoi ministri estremisti, non interviene. Il responsabile della Giustizia, Tarso Genro, lo proclama addirittura rifugiato politico. Le sue sorti vengono seguite anche dalla coppia presidenziale francese Sarkozy-Bruni, Carlà è amica della scrittrice Fred Vargas, la principale sostenitrice di Battisti. Quanto alla politica del Brasile, certamente Lula e ora la molto più sprovveduta ma fedele Dilma contano sul fatto che liberando Battisti i rapporti con l’Italia non saranno compromessi e, certamente, l’Italia ha lasciato intendere loro con la scarsa determinazione mostrata che possono infischiarsene di principi e ideali di giustizia. Lula ha fatto il suo capolavoro,  passare per un’icona della sinistra mondiale no global pur stringendo accordi importanti con chiunque, da Cuba a Chavez all’America dei tempi di Bush.

Abbiamo avuto e abbiamo a che fare con dei banditi, che siano a Parigi o a Brasilia. Siamo ancora in tempo a sostenere che la dottrina Mitterrand è ipocrita e pericolosa, che pregiudica le relazioni tra Stati di diritto e democratici, che chi la applica ne deve pagare pesanti conseguenze, diplomatiche e commerciali? In tempo saremmo pure, dubito che ne abbiamo la volontà. di Maria Giovanna Maglie, Libero, 10 giugno 2011

BRASILE A MANO ARMATA: IL PLURIOMICIDA BATTISTI LIBERO. SCHIAFFO ALL’ITALIA

Pubblicato il 9 giugno, 2011 in Giustizia, Politica estera | No Comments »

Due schiaffi, uno dei quali durissimo, all’Italia. Prima per 6 voti a 3 il Supremo tribunale federale di Brasilia, dopo una discussione fiume, ha rigettato senza nemmeno analizzare nel merito il ricorso presentato dal governo italiano nei confornti della decisione dell’ex presidente Lula di non estradare il terrorista rosso Cesare Battisti. Secondo i giudici brasiliani, la decisione di Lula è internazionale, e come tale non può essere contestata da un governo differente da quello verdeoro. Poi la terribile, sanguinosa, beffa: Cesare Battisti è libero. Dopo la decisione sulla non-estradizione, la Corte ha dibattuto sul rispetto da parte di Lula del trattato di estradizione in vigore con l’Italia. Dalla decisione sarebbe dipesa la liberazione di Battisti, in carcere da quattro anni. Il tribunale ha deciso che non ci sono state violazioni: Battisti, poiché non considerato estradabile, può tornare in libertà, alla faccia dei quattro omicidi e dell’ergastolo che pende sulla sua testa. Durissime le reazioni in Italia. Il premier Silvio Berlusconi ha espresso il suo “vivo rammarico” per la decisione che è arrivata da Brasilia, e poi ha aggiunto che “l’Italia continuerà la sua azione e attiverà le opportune istanze giurisdizionali per assicurare il rispetto degli accordi internazionali che vincolano i due Paesi”. L’ultima strada che il nostro Paese può percorrere per assicurare Battisti alla giustizia, ora, è quella del ricorso presso la Corte internazionale dell’Aja. Per l’Unione Europea, ha spiegato la portavoce della commissaria alla Giustizia, Viviane Reding, “il rilascio e la mancata estradizione di Battisti restano una questione bilaterale tra Italia e Brasile”.

.……..Se il Brasile fosse la Libia o come la Libia,  ci aspetteremmo che il presidente Napolitano, indossando uno dei suoi eleganti doppiopetti, ordinasse all’Aereonautica italiana di andare a bombardare Brasilia dove stanotte si è commessa una grave ingiustizia ai danni dell’Italia, del suo Capo, del suo Gocverno, del suo Parlamento, sopratutto del suo Popolo. Ma non accadrà. E non accadrà nulla, salvo le dichiarazioni di rito, le deplorazioni di facciata, il dolore per i familiari dei morti innocentiassassinati da un teppista da quattro soldi che si è trasformato in  squallida icona della sinistra mondiale per sottrarsi alla pena inflittagli per gli omicidi compiuti.  Rimarrà sulla sedia a rotelle il povero Torreggiani, il figlio dell’orefice assassinato da Battisti a Milano, rimasto a sua volta ferito e costretto da allora ad un vita da paraplegico. Certo,  gli perverranno le solite dichiarazioni di solidarietà, ma fra qualche giorno rimarrà solo con il suo dolore e il suo tormento, con la sua rabbia e il suo disatteso diritto alla giusitizia, con la g minuscola, quella che si è presa gioco di lui e dei tanti come lui per i quali giustizia non ci sarà mai. A Brasilia, l’ex operaio Lula  brinderà con il suo protetto  che ha salvato dal carcere dove doveva marcire sino alla fine dei suoi giorni per espiare gli assassinii compiuti e un giorno o l’altro magari ritornarà pure  in Italia per essere ricevuto con tanto di corazzieri che gli presenteranno le armi. E gli italiani? e l’Italia? Rimarranno con le braghe in mano a fare la figura degli scemi. Perchè, naturalmente, si manterranno tutti i rapporti commeciali con il Brasile e chissà, in un prossimo futuro, anche quelli artistici, magari avendo di fronte a rappresentare il Brasile proprio Battisti.Che vergogna per l’Italia e gli italiani. p.

P.S. Per l’unione Europea la faccenda Battisti riguarda solo i rapporti Italia-Brasile. Proprio come per l’invasione degli immigrati. Insomma noi stiamo in Europa solo per farci contare i peli delle scope. Per il resto dobbiamo vedercela da soli. Che ci stiamo a fare im Europa?

LA SPAGNA VOLTA PAGINA: UNA BATOSTA SENZA PRECEDENTI AL SOCIALISTA ZAPATERO

Pubblicato il 23 maggio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Il voto per le regionali e le amministrative in Spagna assegna una dura sconfitta al Partito socialista (Psoe) del premier José Luis Zapatero (che ha annunciato che non si ripresenterà alle politiche del 2012). Con il 53% dei seggi scrutinati a livello nazionale, il ministero dell’Interno conferma che i socialisti sono scesi al 28,22%, mentre il Partido Popular (Pp) di Mariano Rajoy è al 36,25%. I socialisti hanno perso inoltre il Comune di Barcellona, che controllavano dal 1979, nei confronti dei catalani di Convergencia i Unio che aumentano di 14-16 seggi i 41 che avevano, e quello di Siviglia dove vince il Pp. I sondaggi infatti davano il Psoe vicino al tracollo con la perdita di grandi feudi tradizionali, come le regioni di Castiglia-La Mancia ed Estremadura, e i Comuni di Barcellona e Siviglia. Sempre secondo i sondaggi si prevede lo tsunami azzurro del Pp e un’avanzata delle formazioni regionali. In Spagna si votava per le regionali in tredici regioni, con l’esclusione di Catalogna, Paesi Baschi, Galizia e Andalusia.

Quasi 35 milioni di elettori sono chiamati al voto per il rinnovo di oltre 8 mila sindaci, 68.400 consiglieri municipali e 824 deputati regionali. Una consultazione locale stritolata fra crisi economica, disoccupazione e protesta degli «indignados», i giovani accampati a Puerta del Sol a Madrid e in altre piazze del Paese che denunciano il sistema politico dominato dai grandi partiti e reclamano una maggiore giustizia sociale. Decine di migliaia di manifestanti hanno nuovamente invaso sabato sera e nella notte le vie e le piazze della Spagna. A Madrid, una folla immensa si è radunata sulla Puerta del Sol, dove l’accampamento di tende dei giovani indignados è di fatto diventato il cuore della contestazione.

NELLA POLVERE UN FIGLIO DELLA SINISTRA SNOB

Pubblicato il 16 maggio, 2011 in Costume, Politica estera | No Comments »

Accusato di stupro e  violenza sessuale ai danni di una cameriere di lussuoso albergo di New York, è stato arrestato il capo del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn. La notizia ovviamente è di quelle chescuotono l’opnione pubblica, ancor di più quella francese visto che Strauss era cinsiderato il candidato (socialista)più accreditato a succedere a Sarkozy all’Eliseo. Ecco il commento di Raffaele Iannuzzi sul Tempo di oggi.

Dominique Strauss-Kahn L’uscita di scena di Dominique Strauss-Kahn, dopo l’arresto clamoroso, è pacifica, secondo, Jacques Attali, vecchia eminenza grigia del «Re» Mitterrand. DSK non sarà candidato alle primarie dei socialisti per le presidenziali: così Attali durante un’intervista televisiva. Secondo il settimanale “Marianne”, antisocialista da sempre, qualcosa è oggettivamente mutato non soltanto nella cronaca politica francese, ma nella storia della sinistra tout court. Perché DSK non era un socialista qualunque. Nato in una ricca famiglia ebraica, di origini sia ashkenazite che sefardite, e vissuto in Marocco, dunque con un taglio di eclettismo culturale notevole, l’economista, ministro e grande capo del FMI, faceva parte di quella schiera di eletti abituata a non farsi mancare niente. Economista a vocazione macro-economica, DSK ha fatto tutto nella vita: il professore, il ministro e il tecnocrate. Sempre avendo a cuore la politica e quel certo non so che cosmospolita e globalizzatore proprio dei socialisti cresciuti o all’Ena, come Rocard, o alla scuola di Jospin, come l’intemperante direttore del FMI. Di questa grande famiglia snob, il socialismo borghese, DSK si è sempre sentito figlio legittimo. Del resto, la sua azione politica come ministro è stata apprezzata trasversalmente e la sua eleganza istituzionale, idem. Vantava buoni rapporti con Chirac e pessimi con i comunisti. Un vincente.

Ma un vincente in un’età dolorosamente segnata dalla presenza di due malattie spirituali: il moralismo e il nichilismo. Un’accoppiata apparentemente bizzarra, eppure così scandalosamente incarnata nei gesti e nei comportamenti di questi «vincenti» di sinistra, in Italia e Oltralpe. La fine di questa sinistra rappresenta un turning point storico. DSK è venuto in Italia, a far da sponsor, con il suo perfetto italiano, all’Ulivo, seguendo il codice rosso della nostra sinistra bacchettona: alla gogna Berlusconi. Un ebreo contemporaneamente mediterraneo e renano come DSK non è riuscito ad intercettare il meglio della tradizione etico-religiosa dell’ebraismo, mentre non ha avuto problemi a sposare in terze nozze e in sinagoga l’attuale moglie. In quest’Europa corrotta e moralista, il fariseismo è d’obbligo. La fine di questi personaggi segna anche la crisi di questa Europa. L’Europa di Jospin, altro grande fustigatore dei costumi altrui e mentore del futuro capo del FMI.

Tutto si tiene in questa cornice. Non si può dire, ma è vero: era solo questione di tempo. Moralismo e nichilismo, nel deserto di fede, valori ed etica. La fine del socialismo nazionale e cristiano di Péguy e l’ascesa dei tecnocrati moralisti e nichilisti. Era tutto scritto nel copione. In quella suite da 3000 dollari di New York si è consumato il percorso storico dell’ultima generazione di «vincenti» senza vittoria. Denaro, lussuria e potere, scriveva Eliot. Si è ricchi se si rinuncia a molto, non pretendendo tutto. La fine di un tecnocrate inquilino dei piani alti, ma non delle stelle. Raffaele Iannuzzi, Il Tempo, 16/05/2011

AL QAEDA AMMETTE: OSAMA E’ MORTO

Pubblicato il 6 maggio, 2011 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Dopo cinque giorni di silenzi, smentite e ipotesi fantasiose e complottistiche, anche Al Qaeda è costretta ad ammettere l’amara (per loro) verità: Osama Bin Laden è morto nel raid dei Navy Seals americani nella notte tra domenica e lunedì ad Abbottabad, in Pakistan. Lo si legge in un comunicato diffuso su Internet dai forum jihadisti, di cui ha dato notizia il sito Usa di monitoraggio Site. «Il suo sangue non sarà sprecato e continuerà ad attaccare gli americani e i loro alleati», dice il comunicato jihadista. «Dio volendo la loro (degli americani e dei loro alleati, ndr) felicità si trasformerà in tristezza», prosegue il comunicato, datato 3 maggio e siglato Comando generale di Al Qaeda, «e il loro sangue sarà mescolato con le loro lacrime». Si annuncia inoltre a breve un messaggio audio di Osama Bin Laden , registrato la settimana prima della sua morte. Infine si invitano i cittadini pakistani a ribellarsi contro i loro leader. Fonte Corriere della Sera, 6 maggio 2011

………….Ora non c’è ragione alcuna perchè Obama continui a negare la pubblicazione delle foto e dei video del corpo di Osama Bin Laden. Non c’è nulla che possa impedire che tutti possano vedere la fine che ha fatto il massacratore dei tremila americani morti alle Due Torri e di tutte le altre vittime del suo terrorismo. g.

IN SIRIA L’ESERCITO SAPRA SUI MANIFESTANTI

Pubblicato il 6 maggio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Foto ufficiali mostrano l'esercito siriano che si ritira da Daraa Foto ufficiali mostrano l’esercito siriano che si ritira da Daraa

Almeno cinque siriani sono stati uccisi oggi a Homs da colpi di arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza. Lo riferisce il sito di monitoraggio Rassd che cita testimoni oculari. Le forzedi sicurezza hanno aperto il fuoco contro al folla in unsobborgo di Damasco e a Latakia, principale porto del Paese, anord-ovest della capitale. L’opportunità di imporre sanzioni individuali contro il presidente siriano Bachar Al-Assad divide ancora gli Stati membri della Ue, che entro oggi vareranno leprime misure restrittive contro il regime siriano, nella speranza di convincere il governo di Damasco a porre fine albagno di sangue con cui sta tentando di reprimere le manifestazioni di dissenso.

I carri armati dell’esercito siriano sono entrati poco fa nel centro di Homs, a nord di Damasco, per reprimere le manifestazioni anti-regime. Lo riferiscono testimoni oculari da Homs citati dal sito di monitoraggio Rassd, che trasmette anche su Twitter.

Un numero imprecisato di persone sono scese in strada oggi in un quartiere centrale di Damasco e si sono radunate gridando lo slogan “Il popolo vuole la caduta del regime!”. Lo riferisce la tv panaraba al Jazira, che precisa che il raduno è in corso a Midan, rione a maggioranza sunnita della capitale. L’emittente panaraba sta diffondendo le immagini, registrate “poco fa” e parte di un video amatoriale, di un corteo di decine di manifestanti siriani radunati nel quartiere di Midan che scandiscono lo slogan ormai celebre delle rivolte arabe e che poi cominciano a correre in fuga, forse, dalle cariche delle forze di sicurezza. I manifestanti si sono radunati subito dopo la fine della tradizionale preghiera del venerdì musulmano. FONTE ANSA, 6 maggio 2011

……Nel 1968  si gridava: A PRAGA SI MUORE, DOV’E’ L’EUROPA? OGGI SI POTREBBE GRIDARE: A DAMASCO SI MUORE, DOVE SONO  SARKOZY, CAMERON E OBAMA? RISPOSTA: A CERCARE PETROLIO IN LIBIA….

LIBIA: INCONTRO BERLUSCONI-CLINTON

Pubblicato il 5 maggio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Silvio Berlusconi e Hilary Clinton

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha ricevuto oggi a Palazzo Chigi il segretario di Stato americano, Hillary Rodham Clinton, accompagnata dall’ambasciatore David Thorne. Il presidente del Consiglio era assistito dal ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini. Nel corso del lungo e cordiale colloquio – si legge in un comunicato di Palazzo Chigi – si è discusso dei positivi risultati dell’odierna riunione alla Farnesina del Gruppo di Contatto sulla Libia; delle altre crisi nordafricane; del Medio Oriente; della situazione nel teatro afgano-pachistano e di quella nel contesto europeo con particolare riferimento alle prospettive di ampliamento dei Paesi dei Balcani Occidentali.

LA SINISTRA POLEMIZZA SULL’UCCISIONE DI OSAMA E DIMENTICA LA FINE DI MUSSOLINI

Pubblicato il 5 maggio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Piazzale Loreto a Milano, 29 aprile 1945: il ludibrio e l’oltraggio  del cadavere di Mussolini e degli altri gerarchi assissinati a Dongo ad opera dei comunisti.

Primi indizi di proces­so all’America per l’uccisione di Osa­ma Bin Laden. Bar­bara Spinelli, esponente del­la peggiore sinistra italiana, quella che pontifica sulla classe operaia pasteggian­do a champagne e ostriche nei suoi attici parigini, ieri su Repubblica ha aperto le danze con il solito articolo al veleno contro l’America cinica e cattiva (che si tira addosso da sempre l’odio del mondo) e quasi quasi in difesa del povero Bin La­den, assassinato inutilmen­te perché era non solo indi­feso ma già sconfitto dalla storia. Per questi vecchi ar­nesi della politica, Osama non andava ucciso. In fon­do a loro, i comunisti, era an­che un po’ simpatico in quanto antiamericano.

E di­re che l’unica volta che quel­li come la Spinelli hanno avuto in mano in italia il potere di decidere sulla sorte di un nemi­co si sono com­p­ortati da macel­lai che in con­fronto Obama è un raffinato. Ac­cadde con Mus­solini. Il comita­to nazionale di liberazione, a guida Pci, ordinò infatti l’esecuzione sommaria e senza processo del Duce, che a differenza di Bin La­den, era già loro prigionie­ro. Non contenti, i padri no­bili della Spinelli ordinaro­no pure l’uccisione della sua compagna, Claretta Pe­tacci, e la successiva esposi­zione pubblica dei due cada­veri appesi a testa in giù. La repubblica italiana an­tifascista nasce su una bar­barie contro il nemico ( le fu­cilazioni senza processo fu­rono centinaia) che in quel momento era sconfitto dal­la storia, solo e inerme mol­to più di quanto non lo fosse domenica sera Bin Laden.

La verità è che quando la cronaca diventa storia è inu­tile e addirittura pericoloso affrontarla con gli occhi del commentatore, o peggio an­cora del professore, in pun­ta di codici, leggi, diritti. Sen­za una zona grigia dentro la quale gli uomini a volte si possano muovere esentati dal doverne rispondere in una conferenza stampa, il mondo non andrebbe avan­­ti, noi oggi non saremmo ciò che siamo. La licenza po­etica che i letterati rivendi­cano, quella di trasgressio­ne che muove gli intellettua­li, non è cosa poi così diver­sa da quella di uccidere che serve agli agenti segreti e ai corpi speciali. È l’interesse superiore della collettività che giustifica i mezzi, non la morale e a volte neppure tri­bunali. Altrimenti succede come in Italia, Paese stupi­do e ingrato con i suoi servi­tori. Ricordate il caso di To­to Riina?

Era il nostro Bin La­den, capo supremo della mafia, latitante spietato che nella sua latitanza ha ordi­nato centinaia di omicidi. Quelli che l’han­no acciuffato avrebbero meri­t­ato oneri e vitali­zi, invece si ritro­vano chi in gale­ra, chi sotto pro­cesso, chi emar­ginato dentro l’arma dei carabi­nieri. E questo perché qualche Pm zelante, supportato da Barbare Spi­nelli di turno, è andato a ve­dere dentro la zona grigia dei contatti, dinamiche e compromessi che hanno portato all’arresto del feten­te. E hanno trovato cose che apparentemente non coin­cidono perfettamente con le regole. Quindi devono pa­gare. Gli eccessi di democrazia possono portare alla morte della democrazia stessa. Il presidente degli Stati Uniti ci ha detto che Osama Bin Laden è stato ucciso perché era un pericolo per il mon­do libero e occidentale. Io gli credo, non mi servono al­tre prove oltre l’11 settem­bre. E aggiungo: sarebbe sta­to un pericolo anche da pri­gioniero. Fuori da ogni ipo­crisia: il mandato era di ucci­derlo, ed era un giusto man­dato. Il Giornale, 5 maggio 2011

GLI USA ANNUNCIANO LA MORTE DI OSAMA BIN LADEN. SPERIAMO CHE SIA VERO

Pubblicato il 2 maggio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Questa notte il presidente americano Obama ha annunciato al mondo che un commando americano ha attaccato e ucciso il capo del terrorismo americano Osama Bin Laden il cuyi corpo sarebbe nelle mani degli americani che però sinora non lo hanno mostrato. L anotizia ha fatto immediatamente il giro del mondo ed ha suscitato immediate manifestazioni di gioia sopratutto in America, dinanzi alla Casa Bianca e a New York vicino al lugo dove sorgevano le due Torri abbattute nell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. E’ una notizia che quando sarà definitivamente confermata con l’esposizione del corpo del terrorista suscita emozioni e entusiamo fra tutti anche se comuqnue non di certo da sola far abbassare la guardia perchè l’uccisione del loro capo potrebbe provocare reazioni isteriche da parte dei terroristi. Anche oggi, come 10 ani fa, ci sentiamo tutti americani. g.

A DAMASCO SI MUORE: L’OCCIDENTE SE NE INFISCHIA PERCHE’ LI’ NON CI SONO PETROLIO E GAS

Pubblicato il 26 aprile, 2011 in Politica estera | No Comments »

Tremila soldati, appoggiati da otto carri armati e due blindati, hanno iniziato ieri il rastrellamento a Deraa. Le testimonianze sono drammatiche: “Stanno bombardando coi mortai il centro della città e colpiscono le case con i mitra pesanti”. E ancora: “Avanzano a plotoni nelle strade e sparano all’impazzata, a caso”. Il regime baathista siriano ha deciso di soffocare la ribellione della città che ha dato inizio alla protesta, dispiegando la stessa ferocia con cui nel 1982 il padre di Bashar, Hafez, soffocò la rivolta di Hama. La differenza è che questa volta il rais, dopo le prime stragi, ha affiancato alla violenza delle brigate speciali guidate dal fratello Maher un volto “riformatore”. Ha ricevuto i parenti delle prime vittime, le ha chiamate “martiri”, ha licenziato il governatore della città, ha promesso riforme.

Questo è il gioco delle parti tra due fratelli che incarnano l’ala politica e l’ala militare del Baath, ma è chiaro che oggi a Damasco prevale la linea della repressione più spietata. Abolite le leggi di emergenza in vigore dal 1963 – è l’unica riforma attuata, ma di fatto non ha ridotto la pressione del regime, anzi – il governo è passato direttamente alla legge marziale (è impressionante il video sull’ingresso dei tank e della fanteria a Deraa), con un incremento esponenziale dei morti: un centinaio al minimo le vittime nel solo fine settimana tra Duma, al Maadamiyeh, i sobborghi popolari di Damasco, Jabla, Deraa e altri centri (i morti sono oltre quattrocento dall’inizio della rivolta).

Ieri la Siria ha anche chiuso
la sua frontiera con la Giordania perché, secondo il regime, il governo di Amman ha “spalleggiato gli insorti”. Mentre gli Stati Uniti valutano la possibilità di imporre “sanzioni mirate”, la crisi siriana si internazionalizza. La Giordania, infatti, appartiene allo schieramento saudita-sunnita, strettamente alleato con gli Stati Uniti e contrapposto al blocco dell’“Internazionale sciita” che fa perno sull’alleanza tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Siria. Negli ultimi mesi, il “blocco sunnita” (la definizione è dell’ex segretario di stato americano Condoleezza Rice, che teorizzò la funzione di contenimento di Teheran proprio facendo leva sul fronte dei paesi sunniti, che comprende soprattutto l’Arabia Saudita e l’Egitto) è stato indebolito dalla rivoluzione del Cairo, che ha reso instabile – e molto più aperturista nei confronti degli ayatollah di Teheran – il più importante tra i paesi arabi del blocco, così come dalla rivolta sciita in Bahrein e dalla crisi yemenita. Ma ora la rivolta dei sunniti (e dei curdi) siriani contro la minoranza sciita al governo di Damasco – discretamente appoggiata, appunto, da Giordania e Arabia Saudita – non soltanto pareggia i rapporti di forza con l’Iran, ma apre una faglia di instabilità pericolosa nel cuore della “rivoluzione sciita”.

Il regno di Riad aveva già da tempo cercato di dividere la primavera araba in due tronconi: le rivolte del Golfo e tutte le altre. Se sulle seconde – come si è visto in Libia – l’Arabia Saudita ha lasciato che la comunità internazionale intervenisse e guidasse il gioco, con le proteste nel Golfo non ha permesso alcuna ingerenza, arrivando anche ad atteggiamenti ben poco diplomatici con l’alleato americano. La rivolta in Bahrein è stata sedata con la forza dalle truppe saudite; in Yemen, il rais Saleh sta negoziando una via d’uscita cui Riad non è certo estranea. In più, internamente re Abdullah non deve temere le proteste – gli appuntamenti per le rivolte sono andati deserti –, mentre nel rivale Iran l’Onda verde rumoreggia: “Perché gli altri sì e noi no?” 26 aprile 2011