Archivio per la categoria ‘Politica’
Neanche la retorica del governo è rassicurante. È tutto un fiorire di paragoni col calcio, come se il pallone in Italia potesse essere portato a esempio di efficienza e onestà. Renzi vuole applicare una sorta di Daspo (il divieto di ingresso agli stadi) ai politici condannati in via definitiva. Ma non l’aveva già stabilito la legge Severino? Senza considerare che l’ultrà romanista che ha quasi ammazzato il tifoso napoletano il pomeriggio della finale di Coppa Italia il Daspo già ce l’aveva, e ciò nonostante girava armato nei pressi dello stadio. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 8 giugno 2014
VINCE MATTEO NONOSTANTE IL PD, di GianMarco Chiocci
Pubblicato il 31 maggio, 2014 in Politica | No Comments »
Siccome ne avrete lette e sentite tante fra giornali e tv proviamo a buttar giù un Bignami di questa epocale tornata elettorale. La vittoria di Matteo Renzi, straordinaria, senza precedenti, è la vittoria del premier e non del partito-apparato che mai ha raggiunto percentuali bulgare solo sfiorate con Berlinguer, mai ha sfondato al nord, mai è diventato il primo partito di sinistra in Europa. Renzi, e non il Pd, ha stravinto perché ha promesso qualsiasi cosa agli italiani e qualcosina l’ha già mantenuta (gli 80 euro in busta paga, per dire) perché ha violato tabù sinistri (ha sdoganato l’opposizione, ha preso di petto il sindacato, ha tenuto lontano l’estrema sinistra) e perché ha avuto il coraggio di rischiare in un Paese dove l’unico azzardo tentato è al poker on line. Ma soprattutto ha vinto perché l’Italia, da sempre a maggioranza moderata e democristiana, non chiede rivoluzioni, teste da ghigliottinare, tribunali speciali: vuole stabilità, soluzione ai problemi, fatti concreti e facce nuove che non sappiano di Casta. Ha vinto perché, paradossalmente, la protesta ha trovato uno sbocco in lui. Da qui la rottamazione di vecchi arnesi e il lancio di una generazione di quarantenni che alla maggioranza degli italiani ha ispirato fiducia, anche se 80 giorni di governo sono pochi e c’è tanto ancora da dimostrare.
Eppoi Renzi ha vinto perché al di là di un Grillo che ha seminato il panico in campagna elettorale, non ha avuto un competitor all’altezza. Con la sola eccezione di Fitto, straordinario interprete in Puglia, Forza Italia è crollata per più e più motivi: da un rinnovamento non all’altezza della sua classe dirigente alla diaspora di uomini e simboli di centrodestra, dalla mannaia giudiziaria del leader alla decisione di contrastare Grillo identificando in lui – e non in Renzi – il vero avversario da battere. Per un leader che non sembra più avere la capacità di rimonta e di attrazione, c’è un centrodestra da ricompattare e ricostruire. Più di una successione dinastica servono primarie di merito e di consenso. Perché come dimostra la Lega, dalle ceneri si può risorgere. Solo per Monti non sarà mai Pasqua. Grazie a Dio. Il Tempo, 31 maggio 2014
LA RAGNATELA DEGLI AFFARISTI, di Antonio Polito
Pubblicato il 10 maggio, 2014 in Giustizia, Politica | No Comments »
Puoi sciogliere il Pci, il Pds, i Ds, ma non puoi sciogliere Primo Greganti. Puoi sciogliere la Dc, ma non Gianstefano Frigerio. La lezione dell’inchiesta di Milano, anche se finisse con una raffica di assoluzioni, è che non basta abbattere i partiti o cambiargli nome per risanare la politica. Anzi: la malapolitica senza partiti può essere perfino peggio. I faccendieri, gli intrallazzatori e i tangentari esisteranno finché ce ne sarà richiesta sul mercato, cioè finché saranno necessari per fare incontrare «imprenditori a caccia di appalti e manager pubblici a caccia di carriere», come ha scritto ieri Luigi Ferrarella sul Corriere . E questo accadrà fin quando sarà la politica a distribuire appalti e carriere, gare e presidenze di enti.
Per moralismo, per non imitare gli americani, non abbiamo portato alla luce del sole il lavoro di lobbying , inevitabile quando più privati competono per ottenere commesse pubbliche. E dunque ci teniamo l’immoralità di scambi che avvengono al buio tra chi può e chi paga, intermediati da chi conosce. Non è cambiato infatti l’essenziale. Nascosta sotto una foresta di norme astruse e inefficaci che dovrebbero garantire la trasparenza, è rimasta intatta la discrezionalità del potere politico; il prezzo con cui ci si aggiudica una gara non conta niente perché tanto poi lo si può rialzare; imprese finte e imprese vere sono messe sullo stesso piano in un’economia di relazione dove conta non quello che sai fare, ma a chi sai arrivare.
C’è una differenza con vent’anni fa, ed è che allora i grandi partiti prendevano il 5%, e oggi al circolo Tommaso Moro di Milano, secondo l’accusa, bastava lo 0,80%. Ma attenzione a credere che Greganti e Frigerio siano due vecchi giapponesi rimasti a combattere da soli nella giungla di Tangentopoli: rappresentano tuttora la commistione tra affari e politica. Il Signor G, scrive il Gip, è ancora «persona legata al mondo delle società cooperative di area Pd», e nelle intercettazioni ne spuntano molte di coop rosse per cui si prodigava. E Frigerio poteva ancora promettere incontri ad Arcore e biglietti di raccomandazione a un ministro.
Per questo sembra un po’ semplicistico liquidare la questione, come ha fatto ieri Renzi, auspicando che «la politica non metta becco». Perché se la politica non cambia il modo in cui gestisce il denaro pubblico, a metterci il becco rimarrà di nuovo e soltanto l’opera di repressione dei magistrati, e tra vent’anni saremo ancora qui. C’è poi una seconda grande differenza con Tangentopoli: ed è che stavolta la Procura di Milano è divisa. Il coordinatore del pool per i reati contro la pubblica amministrazione, Alfredo Robledo, non ha firmato i provvedimenti. Il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, ha spiegato che il suo collaboratore «non condivideva l’impostazione dell’inchiesta».
Questo vuol dire che era possibile un’altra impostazione? Che dietro lo scudo dell’obbligatorietà dell’azione penale esiste invece un margine cospicuo di discrezionalità, che si può scegliere un modo o un altro di esercitarla, e tempi diversi? E se sì, meglio affrettare gli arresti prima che sia troppo tardi per salvare l’Expo, o meglio evitare di farli in piena campagna elettorale? Questi dubbi sono oggi legittimi, e non giovano alla credibilità dell’azione dei magistrati. E anche di questo la politica non dovrebbe lavarsi le mani.Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 10 maggio 2014
….E’ vero la politica non dovrebbe lavarsi le mani e assumersi la responsabilità che ad essa compete nell’ambito degi indirizzi cui debbono uniformari i gestori del potere pubblico, ad ogni livello. Ma spesso, purtroppo, è proprio la politica che dietro le quinte protegge le ragnatele degli affaristi che senza la protezione della politica non potrebbro raggiungere i loro obietitivi, insomma è il classico caso del serpente che si morde la coda. Come uscirne? Ecco una domanda cui la politica dovrebbe dare risposta. g.
LA DIASPORA DELLA DESTRA, di Ernesto Galli della Loggia
Pubblicato il 24 aprile, 2014 in Politica | No Comments »
Penso che a cominciare da Silvio Berlusconi molti, a destra, si vadano chiedendo in queste settimane: «Ma perché non le abbiamo fatte noi le cose che sta facendo il governo Renzi?».
Una domanda quanto mai a proposito, anche se i dubbi sull’efficacia degli annunci di Renzi sono legittimi. Non si è mai vista, infatti, una maggioranza così ampia come quella che ha avuto la Destra, e tuttavia con risultati così miseri. L’eterogeneità di quella Destra, i problemi giudiziari e i conflitti d’interesse dello stesso Berlusconi, o il sordo contrasto dei «poteri forti» hanno certamente contato, ma non sono stati decisivi. Possono costituire un alibi, non una spiegazione.
Questa dunque va cercata altrove. Innanzitutto, io credo, in un ambito per così dire socio-antropologico: il fallimento della Destra al governo ha rispecchiato nella sostanza un limite della società italiana di destra. Un limite dei ceti che ad essa fanno tradizionalmente riferimento, vale a dire una certa borghesia piccola e media culturalmente antiprogressista, una certa classe tecnica e imprenditoriale, le quali non producono autentica vocazione alla politica, non producono personalità politiche. Troppo legata alle proprie occupazioni e professioni, troppo immersa nelle sue attività economiche e commerciali, troppo presa dal proprio privato, la società di destra non dà al Paese uomini o donne che uniscano in sé le due qualità necessarie al politico di rango: da un lato l’ambizione unita a un ideale pubblico e dall’altro, al fine di soddisfare tale ambizione, la capacità/volontà di affrontare i rischi e i fastidi innumerevoli della lotta politica.
Pesa non poco in tutto questo la minorità politica a cui la Destra è stata condannata nella storia repubblicana. Ma insieme pesa anche un forte limite culturale di questo insieme di gruppi sociali. I quali ancora oggi si tengono lontano dalla politica perché troppo spesso non riescono a comprenderne né il senso né il valore. Né quindi sono disposti a pagarne il prezzo per accedervi, a cominciare da quello di sottoporsi al giudizio degli elettori. Il solo vero modo che nel suo intimo il popolo di destra concepisce per impegnarsi con la politica è, nel caso migliore, la cooptazione: essere invitati da chi può, a sedere in Parlamento o ad assumere questo o quell’incarico. Insomma, la politica come riconoscimento di tipo sostanzialmente notabilare, come onorificenza sociale. Con l’ovvio risultato, naturalmente, che così poi non si conta nulla, e anche per ciò non si riesce a combinare nulla. Questo nel caso migliore, come dicevo. In quello peggiore invece la politica è vista solo alla stregua di un’utilità come tante altre: da usare e di cui approfittare per fini personali.
Tutto ciò si è visto bene prima con Forza Italia, poi con le sue reincarnazioni; e si vede tuttora anche con le formazioni di centro. Quasi sempre si direbbe che proprio il personale successo nel loro campo dei vari Monti, Brunetta, Montezemolo, Bombassei, Terzi, Dini, Tremonti, Martino, Urbani e tanti altri professori, manager o imprenditori tratti dalla società civile di destra, li abbia condannati sostanzialmente, sia pure dopo qualche sprazzo di luce, a un ruolo di comprimari o di volenterosi esecutori di disegni altrui. Restano così al centro della scena gli individui spinti da nessuna motivazione che non sia quella del puro interesse personale e, insieme a questi, i mediocri privi di vero coraggio e di iniziativa politica, senz’alcuna esperienza di leadership , senza idee e senza autentica visione (la falange delle varie Santelli, Comi, Biancofiore, e quindi i La Russa, i Capezzone, gli Schifani, i Toti, e via seguitando).
E poi naturalmente al centro della scena Berlusconi. Berlusconi ha rappresentato fino al parossismo il limite personal-professionale che caratterizza il popolo di destra nel suo rapporto con la politica e nel pensare la politica. Convinto che la cosa essenziale fosse solo agitare il pericolo di un nemico, e grazie a ciò vendere comunque un programma elettorale, Berlusconi non si è curato d’altro. Per lui il governare si è esaurito nel vincere. Ha mostrato di non aver alcun obiettivo vero e concreto per il Paese nel suo complesso, tanto meno la capacità di conseguirlo, considerando tra l’altro irrilevante, nella scelta dei propri collaboratori, la competenza, la capacità realizzatrice, l’onesta: insomma, qualunque cosa non fosse la fedeltà canina alla sua persona. Come capo del governo gli è mancata, negli affari del Paese, la tenacia, la passione del fare, che invece era stato capace di mettere negli affari propri.
È così che oggi capita che molti elettori di destra si accingano a votare per Renzi. E si chiedano un po’ sorpresi come mai.Il Corriere della Sera, 24 aprile 2014
…….Galli della Loggia, nelle sue argomentazioni, ha abbondantemente attinto a quelle esposte da Antonio Polito nel suo saggio “In fondo a Destra, cent’anni di fallimenti politici”. Particolarmente centrata è la riflessione che riportiamo in rosso sugli individui che si occupano di politica solo per i loro interessi personali, per lo più mediocri e indecenti…pare la fotografia degli indecenti che nel nostro borgo si sono intestati la qualifica di “destra” per pura convenienza personale e per squallido calcolo opportunistico.g.
CARO BUBBICO, SCENDA IN PIAZZA, di Gian Marco Chiocci
Pubblicato il 17 aprile, 2014 in Cronaca, Politica | No Comments »
Caro viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, non ce ne voglia ma siamo rimasti interdetti dalla sua intervista a Repubblica dove si dice indignato per le mele marce in polizia riservando solo poche timide righe ai soliti idioti che – alla faccia del codice – scorrazzano impuniti quando andrebbero fermati se sorpresi in strada armati e mascherati. Spiazzati perché a fronte della guerriglia urbana nel centro di Roma, dal referente governativo delle forze dell’ordine persino l’ultimo dei piantoni in commissariato si sarebbe aspettato un intervento più alto a difesa di quanti dopo aver passato ore a prendersi insulti, sputi, calci, pugni, pietre, bulloni, bastonate, bombe carta e bottiglie molotov, eccedono (sbagliando) tra i fumi dei lacrimogeni e la paura di restarci secchi. Anziché proporre misure drastiche contro i violenti che solo in questo disgraziato Paese sguazzano nell’impunità, Lei signor viceministro è riuscito a rilanciare la proposta antagonista di una schedatura identificativa degli agenti in ordine pubblico. Per rifarsi dello scivolone che metterebbe a rischio di rappresaglia gli operatori dei reparti mobili e le loro famiglie, ha oggi l’occasione di rifarsi, di capire meglio lo stato dell’arte e al contempo di passare alla storia del Viminale. Se permette, le suggeriamo come: al prossimo appuntamento con i black block, stipuli una polizza-vita, lasci l’ufficio e scenda in piazza insieme a poliziotti e carabinieri. Prima però indossi un casco, pretenda uno scudo (perché le pioverà addosso di tutto) e dopo aver trascorso anche solo dieci minuti tra gli eroi normali mandati al macello con stipendi da fame rispetto al suo, capirà tante cose. Per cominciare da che parte dovrebbe definitivamente stare lo Stato e chi, come Lei, lo rappresenta.
LE RUGHE DEL POTERE, di Massimo Franco
Pubblicato il 16 aprile, 2014 in Politica | No Comments »
Per Silvio Berlusconi la campagna elettorale europea sarà in salita: ancora di più dopo la decisione del tribunale di sorveglianza di Milano di affidarlo in prova ai servizi sociali in un centro per anziani a Cesano Boscone. Le restrizioni a cui sarà sottoposto difficilmente potranno essere considerate tali da limitare quella che con espressione burocratica viene definita «agibilità politica». E se otterrà un risultato deludente, magari potrà recriminare perché è incandidabile dopo la condanna per frode fiscale; ma non per la decisione comunicata ieri dai giudici.
L’epilogo delle sue vicende giudiziarie consegna in realtà l’immagine di una guerra, se tale è stata, finita da tempo; e della quale si vedono gli ultimi bagliori, mentre intorno tutto sta cambiando. Perfino i magistrati, evidenziando «la scemata pericolosità sociale» dell’ex premier, fotografano involontariamente il tramonto di un’epoca. Alcuni dei «fedelissimi» si stanno defilando. E gli antichi avversari di sinistra ne celebrano la fine politica: sebbene non si rendano conto che il declino del berlusconismo coincide anche con quello di un certo antiberlusconismo.
A rivelare il ridimensionamento del Cavaliere, o ex tale, non sono gli attacchi residui contro di lui, ma l’asse con Matteo Renzi. Il fatto che il segretario del Pd e presidente del Consiglio lo abbia incontrato due volte, stabilendo un’intesa istituzionale prima impensabile, dice due cose. La prima è che la vecchia sinistra non ha né il potere né la convinzione per continuare l’ostracismo contro di lui: nemmeno dopo le condanne. La seconda è che Renzi si sente abbastanza forte da poter usare Berlusconi per i suoi piani politici: prima per far cadere Enrico Letta, ora per le riforme.
La differenza rispetto al passato è che un tempo il fondatore di Forza Italia dettava l’agenda al Paese, agli alleati e all’opposizione. Ora, invece, è costretto a condividerla o addirittura a sentirsela imporre da qualcuno che appare più moderno di lui; e in possesso di alcune delle doti e dei difetti sui quali ha costruito a lungo i propri consensi. Già si favoleggia sui «numeri» che Berlusconi farà nel centro per anziani; e di duelli a distanza con la magistratura milanese. I seguaci contano i mesi e vaticinano il suo grande ritorno. Ma non ci sarà nessun ritorno, perché continua a fare politica anche adesso.
La fa come può, appesantito non tanto dalle condanne quanto dal fallimento di un modello culturale ed economico inadeguato ad una crisi gravissima; e circondato da un consenso eroso non dai pubblici ministeri ma dagli errori politici: a cominciare da quello di avere sciupato occasioni storiche per riformare l’Italia, e di non essersi circondato di una classe dirigente degna di questo nome. Le ultime vicende trasmettono un’immagine di Berlusconi un po’ malinconica, dolorante dietro l’eterno sorriso, in verità sempre più tirato. È la fotografia di un sopravvissuto, al quale si deve rispetto: sperando che lui per primo rispetti se stesso e la sua nuova, temporanea condizione.Massimo Franco, Il Corriere della Sera, 16 aprile 2014.
LE VIOLENZE A ROMA: IL SOLITO CAPRO ESPIATORIO
Pubblicato il 16 aprile, 2014 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »
Saranno contenti i giustizialisti un tanto al chilo, i perbenisti radical chic, i partigiani piagnucolosi del giornalismo a senso unico. Anche stavolta hanno trovato il colpevole per l’indecente guerriglia nel cuore di Roma culminata con il ricovero in ospedale di 20 poliziotti, acciaccati dalla testa ai piedi: il responsabile unico per gli assalti, per le molotov, le pietre, le vetrine infrante e le auto sfondate diventa un agente della questura ripreso in un video diffuso dalla trasmissione Servizio Pubblico mentre calpesta una manifestante a terra.
Immagine forte, dura, d’impatto. Obiettivamente difficile da giustificare anche se la corsa a condannarlo al patibolo mediatico dovrebbe far riflettere quanti si son dovuti ricredere su fatti analoghi poi smontati da sentenze assolutorie. Chi da sempre trasuda odio verso le forze di polizia, i nostri militari all’estero, un eroe come Quattrocchi che ricordò a tutti come ci si comporta da italiani, oggi danza felice intorno alle spoglie di questo servitore dello Stato che se ha sbagliato, e sottolineiamo «se», pagherà com’è giusto che sia.
Non ci accodiamo all’orda dei forcaioli col taccuino che mai una parola di condanna vergano sui black block. E nemmeno plaudiano a un capo della polizia che corre a dare del «cretino» a un suo uomo a dispetto di ogni garanzia e presunzione d’innocenza. L’eventuale comportamento ingiustificabile di un singolo agente non giustifica il silenzio assordante della politica e la tolleranza dei soliti media verso chi puntualmente distribuisce violenza e terrore nell’impunità totale. A quanti oggi invocano il riconoscimento numerico sui caschi degli agenti, chiediamo di immedesimarsi nei ragazzi e nei padri di famiglia abituati a giocarsi la pelle per 1.200 euro al mese sapendo che dai boschi della Tav alle curve dello stadio la ragione sarà sempre di chi offende. Nessuno difende i difensori, noi sì.