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IL LINGUAGGIO DELLA INCIVILTA’, di Ernesto Galli della Loggia

Pubblicato il 3 febbraio, 2014 in Politica | No Comments »

Abito a Roma nei pressi di una scuola (medie e liceo), e all’inizio e alla fine delle lezioni la mia via si riempie di ragazzi. Mi capita così di ascoltare assai spesso le loro chiacchiere, gli scambi di battute. Ebbene, quello che mi arriva alle orecchie è una continua raffica di parolacce e di bestemmie, un oceano di turpiloquio. Praticamente, qualunque sia l’argomento, in una sorta di coazione irrefrenabile dalle loro bocche viene fuori ogni tre parole un’oscenità o una parola blasfema. Le ragazze – parlo anche di quattordicenni, di quindicenni – appaiono le più corrive e quasi le più compiaciute nel praticare un linguaggio scurrile e violento che un tempo sarebbe stato di casa solo nelle caserme o nelle bettole più malfamate.

A dispetto dunque di quanto vorrebbero far credere molti dei suoi scandalizzati censori, il lessico indecente e la volgarità aggressiva mostrati da Grillo e dai suoi parlamentari nei giorni scorsi non sono affatto un’eccezione nell’Italia di oggi. Sono più o meno la regola. Sostanzialmente, in tutti gli ambienti il linguaggio colloquiale è ormai infarcito di parolacce e di volgarità, come testimoniano quei brandelli di parlato spontaneo che si ascoltano ogni tanto in qualche fuori onda televisivo o tra i concorrenti del Grande Fratello . Siamo, a mia conoscenza, l’unico Paese in cui i quotidiani non esitano, all’occasione, a usare termini osceni nei propri titoli.
Non dico tutto questo come un’attenuante, tanto meno come una giustificazione. Lo dico solo come richiamo a un dato di fatto. È l’ennesimo sintomo dell’abbandono delle forme, della trasandatezza espressiva, della durezza nelle relazioni personali e tra i sessi, di un certo clima spicciativo fino alla brutalità che sempre più caratterizzano il nostro tessuto sociale. In una parola di un sottile ma progressivo imbarbarimento.

Il declino italiano è anche questo. Il degrado dei comportamenti, dei modi e del linguaggio ha molte origini, ma un suo fulcro è di certo il grave indebolimento che da noi hanno conosciuto tutte quelle istituzioni come la famiglia, la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, a cui fino a due-tre decenni fa erano affidati la strutturazione culturale e al tempo stesso il disciplinamento sociale degli individui. Era in quegli ambiti, infatti, che non solo si sviluppava e insieme si misurava con la realtà esterna e le sue asperità il carattere, ma veniva altresì modellata la disposizione a stare nella sfera pubblica e il come starci. Tutto ciò che per l’appunto è stato battuto in breccia in nome di ciò che è «spontaneo», «autentico», «disinibito», secondo una concezione della modernità declinata troppo spesso nelle forme del più sgangherato individualismo.

La modernità italiana ha voluto dire anche questo generale e cieco rifiuto del passato. Rifiuto di consolidate regole pubbliche e private, di un sentire civico antico, di giusti riguardi e cautele espressive, di paesaggi culturali e naturali tramandati. Di molte cose che da un certo punto in poi la Repubblica ha rinunciato ad alimentare e a trasmettere. Un filo rosso lega la rovina del sistema scolastico da un lato e dall’altro il turpiloquio sessista dei parlamentari grillini di oggi e dei guitti di sinistra di ieri contro le rispettive avversarie politiche, la dissennata edificazione del territorio da un lato e i tricolori sugli edifici pubblici ridotti a luridi stracci dall’altro, le condizioni della Reggia di Caserta e il nostro primato nelle frodi comunitarie. Ma quel filo rosso non ci piace vederlo: ed è così che la società civile italiana (a cominciare dai suoi deputati) è diventata per tanta parte un coacervo d’inciviltà. Ernesto Galli Della Loggia, Il Corriere della Sera, 3 febbraio 2014

……..Galli della Loggia ci richiama ad un antico e mai smentito paradigma: il Parlamento non è altro che l’espressione del popolo che lo elegge. Non è del tutto vero, ma almeno nell’uso del turpiloquio di certo è così. Aggravato, ora, da una caduta verticale di Valori e di ideali, di regole e di esempi che purtroppo non trovano più cittadinanza nel vivere quotidiano. Ricercarne le responsabilità è compito arduo e comunque esse appartengono un pò a tutti, nessuno se ne può chiamare fuori. Tanto meno la onorevolissima presidente della Camera che mentre si appresta a sanzionare duramente i deputati grillini per la cagnara in Parlamento dei giorni scorsi, si appresta anche a infliggere un piccolo buffetto sulla guancia dell’ex magistrato europeo D’Ambrosio che, in quanto questore, ha ceffonato e spintonato una donna, una donna!, che a sua volta partecipava alla cagnara grillina. E che dire delle “donne del PD” insultate dai grillini con accuse di asservaggio sessuale per giungere lì dove sono giunte, che denunciano per ingiuria il deputato che le ha così volgarmente apostrofate? A queste simpaticone fa difetto la memoria e fanno finta di non conoscere la regola del contrappasso: chi la fa l’aspetti. Senza in alcun modo giustificare le volgarità del grillino,  le “donne del PD”,  ad iniziare dalla super offesa onorevole Moretti, campionessa di salto in là nel posizionamento interno al PD,   facciano un pò di autocritica e incomicino loro a rispettare gli avversari allo stesso modo con cui esse pretendono, giustamente, di essere rispettate. Forse si potrebbe recuperare qualcosa dell’antico vivere civile che fa abbondantemente difetto nella  attuale società italiana. g.

LA NUOVA LEGGE ELETTORALE: LE SUPERCAZZOLE DEL VAMPIRELLUM

Pubblicato il 2 febbraio, 2014 in Politica | No Comments »

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Poiché non esiste una palla di vetro in grado di prevedere i risultati delle elezioni, il sistema per sapere se una legge elettorale funzioni o meno è molto semplice: il meccanismo deve essere in grado di reggere senza incepparsi, e senza produrre mostri o storture, di fronte alle eventualità che potrebbero determinarsi. Per dirla con la Corte costituzionale, deve essere razionale.

Abbiamo fatto la prova con l’ipotesi di legge elettorale presentata ieri come un “accordo storico”: noi questo accordo lo vogliamo sostenere e migliorare, ma proprio per questo dobbiamo fare in modo che di “storico” non vi siano le supercazzole che il “Vampirellum” produrrebbe. Ecco di seguito un po’ di esempi di situazioni nelle quali, in assenza di una norma di chiusura, la traduzione dei voti in seggi con il sistema congegnato produrrebbe assurdità. Alcune potranno apparire ipotesi astratte e di scuola. Ma anche quando fu elaborato il “Porcellum”, che all’epoca appariva ragionevole, nessuno aveva previsto che il centrosinistra e il centrodestra sarebbero scesi sotto il 30 per cento e che un italiano su quattro si sarebbe affidato a un comico genovese e a un “guru” con i capelli come Jim Morrison e gli occhialetti alla Trotsky. Meditate, gente, meditate. E correggete finché siete in tempo.

Ecco i risultati delle simulazioni:

1.    Alle elezioni si presenta una coalizione composta da 5 liste. La coalizione ottiene complessivamente il 37% dei voti, arriva prima e conquista con il premio di maggioranza il 53% dei seggi. La prima lista ottiene il 21% dei voti mentre le altre 4 ottengono insieme il 16% dei voti ma si fermano tutte sotto la soglia del 4,5%. Tutti i seggi della coalizione vanno alla prima lista che con i 21% dei voti si porta a casa il 53% dei voti, con un premio di maggioranza del 32% (!) superiore a quello attribuito alle ultime elezioni che ha innescato la sentenza della Corte. E superiore a quello previsto dalla fascistissima legge Acerbo.

2.    Alle elezioni si presenta una coalizione di due liste che ottiene complessivamente l’11,5% dei voti. Entrambi i partiti superano la soglia del 4,5% ma poiché la coalizione non ha superato quella del 12% a loro non spetta alcun seggio.

3.    Alle elezioni si presenta una coalizione di 5 liste che ottiene il 17% dei voti ma, poiché nessuna delle liste supera la soglia del 4.5%, non ottiene alcun seggio.

4.    Alle elezioni una lista si presenta senza coalizzarsi con altre liste. Ottiene più di 2,5 milioni di voti ma, non superando la soglia dell’8%, non ottiene alcun seggio. Alle stesse elezioni una lista si presenta in solo 3 regioni ed ottiene 250.000 voti. Avendo superato la soglia del 9% dei voti rispetto agli elettori delle tre regioni (1 molto grande e  2 piccole) ottiene seggi in proporzione ai voti.

5.    Alle elezioni alla Camera la Coalizione A supera il 37%, arriva prima mentre al Senato è la coalizione B a conquistare il premio. La corrispondenza tra voti e seggi è stata alterata in nome della governabilità ma il Paese è ingovernabile. L’attribuzione di due premi di maggioranza a diverse coalizioni rende anche più difficile realizzare dopo le elzioni un’ampia intesa di Governo.

6.    Alle elezioni nessuna coalizione supera, alla Camera e al Senato, la soglia del 37% dei voti necessaria per ottenere il premio di maggioranza. Si procede al secondo turno di ballottaggio, ma alla Camera le prime due coalizioni ammesse al ballottaggio sono A e B mentre al Sentato sono B e C. In esito al ballottaggio alla Camera vince la coalizione A, che ottiene il 55% per cento dei seggi mentre al Senato vince la coalizione C che ottiene il 55% dei seggi.

7.    Alle elezioni si presentano 6 coalizioni e nessuna lista da sola. Tra le coalizioni presentatesi, 5 non superano la soglia del 12% ed ottengono complessivamente il 55% dei voti totali. In questo caso la sesta lista con il 45% dei voti ottiene il 100% dei seggi.


……………Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, la nuova legge elettorale le cui conseguenze sono quelle delle simulazioni sopra illustrate è molto, ma molto peggiore di quelle della legge appena abrogata.  g.

ITALICUM 2.0: LA NUOVA PORCATA ELETTORALE A FIRMA CONGIUNTA

Pubblicato il 29 gennaio, 2014 in Il territorio, Politica | No Comments »

ROMA – Soglia più alta per ottenere il premio di maggioranza, sbarramento meno severo per i piccoli partiti che entrano in coalizione. E’ l’Italicum “2.0″, la versione aggiornata della legge elettorale.

- PREMIO MAGGIORANZA. La nuova legge, come il Porcellum, è un sistema proporzionale con un premio di governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Ma diversamente dalla vecchia legge, per ottenere il premio bisognerà aver superato una soglia minima: il 37% dei voti (nella prima versione dell’Italicum bastava il 35%). Il premio di maggioranza è fissato al 15% dei seggi (non più al 18%). Ma c’è un limite: il “bonus” concesso ai vincitori non potrà far superare il tetto dei 340 seggi, pari al 55%.

- DOPPIO TURNO. Che succede se nessuno supera la soglia del 37%? I primi due partiti o coalizioni di partiti si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (restano fuori dal conteggio i deputati eletti all’estero).

- SBARRAMENTI. L’ingresso in Parlamento viene precluso a chi non supera un minimo di voti. Per i partiti che si presentano al di fuori delle coalizioni (come ha fatto il M5s nelle ultime elezioni), c’è una soglia molto alta, l’otto per cento. Per i partiti che si presentano nell’ambito di un’alleanza con altre forze politiche, la nuova versione dell’Italicum abbassa ulteriormente lo sbarramento portandolo dal 5 al 4,5%. Anche le coalizioni dovranno superare una soglia minima di consensi: la percentuale stabilita è del 12%. Per i rappresentanti delle minoranze linguistiche sono previsti meccanismi che garantiscono la loro rappresentanza.

- SALVA-LEGA. La tagliola degli sbarramenti viene alleggerita per i partiti a forte vocazione regionale, come la Lega Nord. Chi si presenta in non più di sette regioni non deve raggiungere le percentuali previste per i partiti nazionali: per entrare in parlamento basterà aver ottenuto il nove per cento in tre circoscrizioni.

- CANDIDATI. Gli elettori non potranno mettere il voto di preferenza. Ogni partito presenta una lista con tanti candidati quanti sono quelli da eleggere nel collegio (si va da un minimo di tre a un massimo di sei). I seggi vengono assegnati seguendo l’ordine delle liste: ad esempio, se un partito ottiene tre seggi vengono eletti i primi tre candidati della lista.

- PARITA’ UOMO-DONNA. Le liste dei candidati dovranno garantire la presenza paritaria di uomini e donne: 50% e 50%, ma senza alternanza obbligatoria (che avrebbe portato in Parlamento una “valanga rosa”). Le liste potranno avere anche due uomini uno di seguito all’altro, ma non di più.

- CANDIDATURE IN PIU’ COLLEGI: La prima versione vietava ai candidati di presentarsi in più di un collegio, la nuova concede questa possibilità. Si discute ancora se ci si potrà candidare in 3 o in 5 collegi.

- IL NODO DEI COLLEGI. L’Italicum prevede una delega al governo per il ridisegno dei collegi elettorali in cui sarà divisa l’Italia: l’esecutivo dovrà farlo in 45 giorni, un periodo di tempo che rende possibili eventuali elezioni anticipate prima dell’estate.

- NO PRIMARIE. Nulla dice il nuovo Italicum sulle primarie per la scelta dei candidati da mettere in lista. Se farle o no, e con quali regole, resterà una scelta autonoma dei singoli partiti.

- IL SENATO. ALla base dell’accordo tra Renzi e Berlusconi c’è l’idea di abolire il Senato. Ma se il progetto dovesse fallire? L’Italicum prevede una clausola che rende applicabile il nuovo sistema anche per l’elezione del Senato: percentuali, soglie e premio di maggioranza sono le stesse della Camera e vengono assegnati su base nazionale, con riparto regionale. Fonte ANSA, 29 gennaio 2014.

….Sin qui le notizie sull’accordo raggiunto da due soli partiti sullo schema della nuova legge elettorale che elude totalmente le indicazioni della Consulta in materia di soglia e di liste bloccate. Benchè la Corte sia stata più che chiara i due partiti maggiori hanno concordato una soglia minima di accesso al premio di maggioranza del 37% che consente ad un partito o a una coalizione di aggiudicarsi con poco più di un terzo degli elettori il 55% dei seggi  a cui accederanno i soliti nominati perchè alla faccia del tanto declamato  “cittadini al centro delle decisioni” in verità gli elettori dovranno mettere la croce solo sulla lista e poi i nomi saranno quelli scelti dalle oligarghie di partito. Non solo. C’è la beffa per i partiti minori i quali in nome del “mai più ricatti dai piccoli partiti” saranno esclusi di fatto dall’ingresso in Parlamento. Infatti viste le soglie minime di accesso che sono fissate per i partiti in coalizione al 4,5%, basta fare un pò di conti: se il partito egemone di una coalizione ottiene diciamo il 21%, per raggiungere il 37% deve aggiungere il 16% riveniente da 4 partiti che hanno raggiunto ciascuno il 4%, nessun  parlamentare viene assegnato ai 4 partti “minori” e tutti vanno al partito egemone. E dove li troveranno i partiti egemoni i partiti minori disposti a dare sangue senza riceve nulla? Evidentemente ai partiti minori dovanno essere riconosicuti posti nelle lise bloccate dei partiti egemoni, per cui le chiacchiere di Renzi in materia di ricatti resteranno aria fritta. Non solo. Anche per le coalizioni c’è lo scoglio della soglia  minima fissata al 12% per accedere alla ripartizone dei seggi, soglia studiata per impedire di fatto che si formino coalizioni alternative alle due egemoni. Neanche in Unione Sovietica è vigente una legge antidemocratica come questa messa a punto dal rottamatore della politica italiana. E dulcis in fundo c’è da segnalare che della riduzoone del numero dei parlamentari che dovevano scenedere al disotto di 500 non v’è più traccia perchè tutti i calcoli vengono fatti sui numeri attuali cioè 630 deputati da ripartirsi praticamente tra i partiti che potranno accedere alla ripartizione dei seggi: 630 nominati dai padroni dei partiti senza che i cittadini elettori possano in alcun modo scegliere liberamente  i parlamentari da eleggere cosicchè essi possano esercitare il loro mandato così come prescrive la Carta Costituzionale, cioè senza vincolo di mandato. Possibile che il custode supremo della Carta, l’inossidabile ex comunista inneggiattore dei carri armati sovietici che uccidevano i ragazzi di Budapest, non abbia nulla da dire in materia? Siamo davvero alla frutta della democrazia e della libertà e purtroppo non v’è chi sia capace di agitare la bandiera della rivolta e della rinascita. g.

QUALE E’ IL VERO POTERE FORTE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 25 gennaio, 2014 in Politica | No Comments »

L’elevato astensionismo, la crescita del voto di protesta, la più banale osservazione quotidiana mostrano quanto ormai sia diffusa tra gli elettori la convinzione che in sostanza Destra e Sinistra si equivalgano, siano «la stessa cosa». Naturalmente si possono fare molte obiezioni a questa idea. Ma essa coglie un dato reale. E cioè che nel Paese esistono ruoli, gruppi sociali e interessi assolutamente decisivi, i quali però da tempo, pur di conservare un accesso privilegiato alla decisione politica, e così mantenere e accrescere il proprio rango e il proprio potere, si muovono usando indifferentemente la Destra e la Sinistra, al di là di qualunque loro ipotetica contrapposizione. Ruoli, gruppi sociali e interessi che nessun attore politico, né di destra né di sinistra, ha il coraggio di colpire, e che con il tempo hanno costituito quello che nella vicenda della Repubblica si presenta ormai come un vero e proprio blocco storico. Vale a dire un insieme coeso di elementi con forti legami interni anche di natura personale, in grado di svolgere un ruolo di governo di fatto di aspetti decisivi della vita nazionale.

È il blocco burocratico-corporativo, a sua volta collegato stabilmente a quei settori, economici e non, strettamente dipendenti da una qualche rendita di posizione (dai taxi alle autostrade, agli ordini professionali, alle grandi imprese appaltatrici, alle telecomunicazioni, all’energia). Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Authority, alta burocrazia (direttori generali, capigabinetto, capi degli uffici legislativi), altissimi funzionari delle segreterie degli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato), vertici di gran parte delle fondazioni bancarie, i membri dei Cda delle oltre ventimila Spa a partecipazione pubblica al centro e alla periferia: sono questi il nucleo del blocco burocratico-corporativo. Il quale, come ho già detto, si trova a muoversi assai spesso in collegamento con l’attività dei grandi interessi protetti.

È un blocco formidabile, accentrato nel cuore dello Stato e della macchina pubblica, il cui potere consiste principalmente nella possibilità di condizionare, ostacolare o manipolare il processo legislativo e in genere il comando politico. Non poche volte anche usandolo o piegandolo a fini impropri o personali.

Bisogna pensare, infatti, che specialmente di fronte alla componente giudiziario-burocratica del blocco in questione il ceto politico-parlamentare, quello che apparentemente ha il potere di decidere e di fare le leggi, si trova, invece, virtualmente in una situazione di sostanziale subordinazione, dal momento che nel novanta per cento dei casi fare una legge conta poco o nulla se essa non è corredata da un apposito regolamento attuativo che la renda effettivamente operante. Ebbene, la redazione di tali regolamenti è sempre tutta nelle mani dell’alta burocrazia ministeriale, nonché – senza che vi sia alcuna legge che lo preveda, ma solo per un’antica consuetudine – essa è sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Un processo al cui interno è facile immaginare quali e quante possibilità si creino di far valere interessi e punti di vista che forzano, o addirittura contraddicono, la decisione – la sola realmente legittima – della rappresentanza politica. In linea generale e da un punto di vista, diciamo così, sistemico il principale obiettivo del blocco burocratico-corporativo – a parte la protezione degli specifici interessi dei propri membri – è quello di autoalimentarsi, e quindi di frenare ogni cambiamento che alteri il quadro normativo, le prassi di gestione e le strutture relazionali all’interno del blocco stesso: insomma tutto ciò che gli assicura la condizione di potere di cui oggi gode. Potere che riveste due aspetti essenziali: quello dell’indirizzo, del suggerimento, del condizionamento, perlopiù sotto la veste del consiglio tecnico-legale; e quello – ancora più importante – d’interdizione. Il potere cioè di non fare, di ritardare, di mettere da parte o addirittura di cancellare anche per via giudiziaria qualunque provvedimento non gradito.

Sul piano generale il risultato inevitabile di una simile azione finisce così per essere nella maggior parte dei casi quello di impedire tutte le misure volte a introdurre meccanismi e norme di tipo meritocratico, intese a liberalizzare, a semplificare, a rompere le barriere di accesso, le protezioni giuridiche e sindacali indebite. Spesso per il proprio interesse, ma il più delle volte per la sua stessa natura inerziale, il blocco burocratico-corporativo, infatti, tende a lasciare sempre tutto com’è: sotto il controllo di chi è dentro, dei poteri esistenti e dei loro vertici di comando. Non importa se per far ciò bisogna arrivare a vanificare pure il ruolo di imparzialità e di terzietà che dovrebbe essere proprio dello Stato: se per esempio le Authority di garanzia e di controllo piuttosto che esercitare con incisività il proprio mandato e rivendicare con altrettanta incisività un potere di sanzione, preferiscono – come accade di regola – voltare la testa dall’altra parte e lasciar fare i grandi interessi su cui in teoria dovrebbero vegliare.

Intendiamoci, fenomeni più o meno analoghi a quelli fin qui accennati caratterizzano tutti i regimi democratici. Ma tra i grandi Paesi dell’Europa un processo così forte ed esteso di autonomizzazione degli apparati burocratico-giudiziari e di crescita dei loro collegamenti con gli interessi economici mi pare si sia avuto solo in Italia. Solo in Italia quegli apparati e gli interessi, economici e non, ad essi collegati, si sono appropriati di spazi di potere così vasti. E di conseguenza – complice il discredito generale della politica – solo in Italia il comando politico e i suoi rappresentanti sono stati così intimiditi, messi così nell’angolo, sono stati resi così subalterni alla sfera amministrativa. E non a caso, forse, ciò ha corrisposto a una crisi generale del Paese, a una sua stasi progressiva in tutti i campi, alla sua crescente incapacità di cercare e di trovare strade e strumenti nuovi per il proprio sviluppo. La gabbia di ferro del blocco burocratico-corporativo e degli interessi protetti ha soffocato la politica. C’è solo da sperare che questa, nella nuova stagione che sembra annunciarsi, torni a respirare liberamente per assolvere i compiti cruciali che sono esclusivamente i suoi. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera

…Si potrebbe dire, senza voler essere irridenti di uno studioso e politologo di ecceziuonale valore quale è Galli Della Loggia, che scoprire che il principale bubbone della nostra malata democrazia è la buricrazia è come scoprire l’acqua calda, ma che qualcuno, oggi Galli Della Loggia, ieri altri come lui, lo scriano e lo denuncino è senza dubbio un bene. Specie se ciò può servirfe a svegliare la politica perchè la smetta di mettersi nelle maniu dei burocrati che senza mettere la faccia dispongono a loro piacere di un potere illimitato perchè senza controlli.  Qualche giorno fa convenivamo con un autorevole funzionario governativo in servizio presso la Prefettura di Bari che il governo degli enti loclai è mutato, in peggio, ovviamente, dalla Legge Bassanini in poi e dalle rforme che l’accompagnarono che sottrassero alla politica ruoli e responsabiolità che sono, denbbono essere della politica, per affidarli ai funzionari che, non ovunque, non sempre fortunatamente, ne hanno fatto un uso improprio il che è solo un eufemismo oper nascondere la verità che è ben altra, quella che tra le riga si legge nel piccolo trattato di Galli della Loggia. E quel che è successo negli enti locali, avviene nell’intero apparato dello Stato che è nelle mani di “irresponsabili” funzionari che governano e regolamentano non pensando al bene comune ma solo al proprio. E’ tempo che la politica si dia una mossa, ma se il buongiorno si vede dal mattino, dobbiamo dire che la mattina è piena di nuvole che possono trasformarsi in temporali, visto che la legge elettorale, la madre di tutte le riforme,  parte dal porcellum per portarci verso un truffellerem, nel senso che stiamo per cadere dalla padella nella brace, visto che dalla camera dei nominati si intende arrivare ad un’altra camera di nominati, persone,  cioè,  che no hanno a cuore il bene comune ma solo di quello di chi li nomina. E allora, si metta il cuore in pace Galli Della Loggia, perchè il male oscuro della democrazia italiana, la burocrazia, continuerà imperterrita a sovrastare alle cose del nostro sventurato Paese. g.

TROPPE CARICATURE SUL CASO CALABRESI, di Aldo Grasso

Pubblicato il 9 gennaio, 2014 in Politica, Storia | No Comments »

Emilio Solfrizzi è il commissario Calabresi in una scena della fiction Rai «Il commissario»Emilio Solfrizzi è il commissario Calabresi in una scena della fiction Rai «Il commissario»

Quando si affrontano certi temi bisogna avere il coraggio di assumersi alcune responsabilità, non bastano le buone intenzioni. La trilogia de «Gli anni spezzati» affronta fatti che grondano ancora sangue (la strage di Piazza Fontana, l’omicidio del commissario Calabresi, il terrorismo politico, gli intrighi di Stato…); ma raccontare i dieci anni «che hanno sconvolto l’Italia» significa innanzitutto prendersi una responsabilità storica (Raiuno, martedì, 21.10).

La Rai ha la forza di dire com’è morto Pinelli? Gli sceneggiatori, al di là dei libri a cui si ispirano, hanno l’autorevolezza per far luce su quelle tenebre? L’impressione, vedendo «Il commissario», è che gli sceneggiatori Graziano Diana, Stefano Marcocci e Domenico Tommasetti si siano limitati a mettere in fila i fatti di cronaca eludendo ogni risposta decisiva. Ma la responsabilità più grande che viene a mancare è quella della scrittura. A parte la scelta iniziale di far raccontare la storia a un giovane militare di leva romano, Claudio Boccia (Emanuele Bosi), assegnato alla caserma Cadorna, tutto il resto è insipienza narrativa.

Le figure del commissario Calabresi (Emilio Solfrizzi), di Giuseppe Pinelli (Paolo Calabresi), o quelle di Pietro Valpreda, Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Giangiacomo Feltrinelli spesso stingono in caricatura, anche visiva, non hanno alcuna profondità, né umana né storica. I dialoghi sono improbabili e, soprattutto, il materiale di repertorio, nella sua sfrontata secchezza, mette in serio imbarazzo i tentativi scenici di ricostruzione.
Come fossero due epoche differenti. Uno dei compiti principali della fiction del Servizio pubblico sarebbe quello di raccontare il nostro passato, avendo però la forza di esprimere una linea editoriale, qualcosa che faccia riflettere, distolga lo spettatore dall’indolenza espressiva. Qui si naviga fra la più astratta aridità dei luoghi comuni e il garbuglio dei buoni sentimenti.Il Corriere della Sera, 9 gennaio 2014

I POLIZIOTTI VITTIME DELLA GIUSTIZIA INCIVILE

Pubblicato il 5 gennaio, 2014 in Giustizia, Politica | No Comments »

Tutti presi da altro – chi dalle drammatiche vicende di cronaca di questo Capodanno e chi dalle complicate questioni politiche che stanno segnando la fine del governo Letta – questa settimana abbiamo sottovalutato una notizia che ha dell’incredibile.

Mi riferisco alla decisione del tribunale di sorveglianza di Genova di recludere (presso il domicilio e non in cella solo grazie all’esistenza della legge svuota carceri) dirigenti di polizia condannati per il reato di falso nella vicenda degli scontri al G8 di Genova. Si badino bene due cose. La prima: i poliziotti non sono accusati di lesioni o violenze. La seconda: la decisione degli arresti invece che l’affidamento ai servizi sociali è stata presa dallo stesso tribunale che ha concesso un permesso premio a un pericolosissimo serial killer che poi è evaso approfittando di quel beneficio.

Viene da chiedersi che tipo di Paese sia quello che nega dei benefici, solitamente concessi a tutti i peggiori delinquenti, a funzionari di polizia, solo perché questi – che sono stati assolti in primo grado, che si sono sempre dichiarati innocenti e con un ricorso pendente presso la Corte di Strasburgo – si sono rifiutati di fare le scuse pubbliche richieste dal Pubblico ministero. Quasi che, a differenza di ciò che avviene in ogni Paese democratico, alcuni magistrati politicizzati pretendano, solo per alcune categorie di soggetti, oltre alla condanna, anche una sorta di gogna pubblica, a cui esporre i malcapitati.

Evidentemente il diritto di professarsi innocente, pur accettando la condanna subita, vale solo per i delinquenti e non per dirigenti di polizia, che prima e dopo i fatti contestati non hanno mai avuto problemi con la giustizia, ma che anzi hanno contribuito alla cattura dei più pericolosi latitanti e allo smantellamento delle Brigate rosse, responsabili degli omicidi dei professori D’Antona e Biagi.

Sono sicuro di farmi portavoce di tutti i lettori del Giornale e della stragrande maggioranza degli italiani se esprimo la piena solidarietà nei confronti dei servitori dello Stato che stanno subendo questo ignobile trattamento. Così come mi fanno un certo effetto i silenzi del ministro degli Interni Alfano (che della polizia è il capo politico), del ministro della Giustizia Cancellieri (che in altre occasioni e per altri casi di malagiustizia seppe come muoversi rischiando pure il posto), del presidente Napolitano che della magistratura è il capo assoluto. Un anno che inizia con poliziotti ingiustamente agli arresti e magistrati scellerati al loro posto non promette nulla di buono. Altro che unioni civili. È più urgente pretendere subito una giustizia più civile.  Alessandro Sallusti, Il Giornale, 5 gennaio 2014.

Cose da pazzi che posssno accadere solo in Italia dove i PM vincono un concorso e si sentono padreterni.

INVITO A CENA CON RELITTO, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 1 gennaio, 2014 in Politica | No Comments »

Come ogni anno, il cenone di stasera sarà preceduto dall’Ospite Istituzionale, che quest’anno batterà il record dell’ottavo messaggio di fine anno.

Non sono tra quelli che insultano e accusano o’ Presidente, gli dedicano tomi giganteschi per mostrarne la piccineria o incitano a boicottare l’invito a cena con Relitto, nel senso di Unico Superstite del passato. Credo di avergli sempre mostrato rispetto ma non ho mai nutrito aspettative su di lui, né quando fu eletto né quando fu rieletto. Napolitano non era e non poteva essere il salvatore della patria in gran tempesta. Lui è il Preservatore dello Status quo. Tutta la sua biografia politica attesta che Napolitano non è mai stato per la Rivoluzione ma sempre per la Manutenzione, per dirla con Longanesi. Uomo d’apparato, fu sempre per il comunismo-regime, mai per il comunismo-movimento, si schierò sempre dalla parte dell’establishment, sia nel suo partito che nella partitocrazia, sia nell’Internazionale che nella prima repubblica. Lo fu da comunista, lo fu da Presidente della Camera, lo fu da ministro dell’Interno, lo è adesso. Sempre contro gli insorti, da Budapest ai Forconi, dalle sinistre eretiche ai movimenti di piazza. Per sancire il passaggio da una repubblica a un’altra ci vorrebbe un De Gaulle o almeno un René Coty o un picconatore. Napolitano invece è il tutore del Sistema e degli assetti interni e internazionali. Non accusatelo, è coerente al suo ruolo usuale. Perciò il suo discorso si sposa bene con lenticchie e cotechino: usanze vecchie per l’anno nuovo. Marello Veneziani.

.….Questa nota di Veneziani è del 31 dicembre, cioè ieri, alla vigilia dell’ottvavo discorso di Napolitano da presidente, record assoluto della Repubblica. Lo abbiamo sentito, non dando retta alle ridicole proteste dei TV spenti,  e dobbiamo dar ragione a Veneziani. L’ottavo discorso di Napolitano è stata la stanca ripetizione dei luoghi comuni che avevano caratterizzato i precedenti sette, con la noiosa elencazione dei problemi e in più l’odiosa citazione di qualche episodio spicciolo di povertà nel Paese, all’interno della opulenta ricchezza  del Palazzo che ospita il capitano supremo di una nave che non affonda perchè non c’è neppure acqua a sufficienza perchè l’ingoi. g.

I REGALI DEL GOVERNO PER CAPODANNO: AUMENTI A VALANGA SU TUTTO, DALLE LETTERE AI RIFIUTI, DALLA PAUSA CAFFE’ ALLA BENZINA.

Pubblicato il 27 dicembre, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

(Fotogramma)

Dal primo gennaio sarà più caro anche spedire una lettera e una raccomandata. Perfino consumare un caffè o una bibita alla macchinetta. E anche su benzina e gasolio tira una brutta aria: in questi giorni di festa i distributori hanno fatto registrare forti rincari in mancanza come al solito di concorrenza ed efficienza di sistema.

Poi ci sono i trasporti locali che in molte Regioni – come il Piemonte – dal 15 dicembre hanno messo a segno aumenti medi del 20% colpendo soprattutto i pendolari. Senza contare che i pedaggi autostradali regionali – dopo che in aprile scorso la rete nazionale ha portato a casa un adeguamento medio del 3% circa – stanno cercando di recuperare: dal primo di gennaio, per esempio, salirà del 12,91% il pedaggio delle Autovie venete. Ma la parte del leone in questa corsa ai rincari verrà ricoperta dalla nuova versione della Tares, l’imposta locale sui rifiuti che verrà pagata dagli inquilini, per la quale secondo i calcoli di Confesercenti aumenterà fino al 60% rispetto a quanto pagato l’anno scorso. Per non dire del nuovo calcolo sul consumo dell’acqua disposto in questi giorni dal Garante che partirà da gennaio e sapremo presto se sarà vantaggioso per il consumatore o no. Si accettano scommesse.

I settori critici:

L’aumento di lettere e raccomandate sarà salato anche se potrà non scattare subito ma entro due anni. A deciderlo saranno Le Poste. Il costo per spedire una lettera potrà salire dagli attuali 70 centesimi sino a 95 centesimi e le raccomandate da 3,60 a 5,40 euro. Il via libera a questi vistosi rincari è arrivato dall’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (Agcom). Un complesso provvedimento su questo argomento è stato pubblicato sul sito dell’Agcom e stabilisce appunto che «Poste Italiane ha facoltà di incrementare il prezzo delle posta prioritaria relativa alla prima fascia di peso (0-20 grammi), fino a 0,95 euro/invio, entro il 2016».

Rincari in vista per caffè, bibite e snack acquistati nei distributori automatici anche nelle scuole e negli ospedali. Dal 1° gennaio sarà possibile aumentare il prezzo di circa il 6%, adeguandolo all’aumento Iva dal 4 al 10%, anche per le «macchinette» collocate in edifici pubblici per i quali erano stati stipulati i contratti prima dell’aggravio fiscale. Lo ha annunciato ieri la Confida-Confcommercio commentando un emendamento alla legge di Stabilità.

Brutte notizie sul fronte dei carburanti. Il Codacons ha già chiesto al governo provvedimenti per evitare un’onda di rincari proprio quando «gli automobilisti italiani sono in movimento per le festività». Benzina e gasolio hanno fatto registrare in questi giorni forti rincari, raggiungendo una media di 1,796 euro al litro la verde (e punte di 1,830 euro/litro) e 1,726 euro al litro il diesel.

Novità tariffarie in arrivo dal prossimo anno anche nel settore energetico esclusivamente per i cittadini che hanno deciso di scaldare la propria abitazione utilizzando le pompe di calore. Questa tariffa che riguarda quindi i consumi, non sarà più legata al volume dell’energia elettrica utilizzata e più aderente agli effettivi costi dei servizi di rete: il trasporto, la distribuzione e la gestione del contatore.

Lo ha deciso l’Autorità per l’energia approvando l’introduzione della cosiddetta tariffa «D1». Le associazioni dei consumatori sono preoccupate. Nonostante il probabile ribasso sulle bollette elettriche e del gas, il panorama sembra fuori controllo e arriva in un momento di crollo dei consumi e di bassa inflazione. Con alle spalle forti aumenti: in meno di due anni – ricorda uno studio Confesercenti -, dal 2011 a ottobre 2013, le tariffe sui servizi pubblici locali sono cresciute in media del 19.2%, quasi il triplo del +7,3% registrato dai prezzi al consumo nello stesso periodo, comportando un aggravio medio di 312 euro a famiglia. Fonte: Il Corriere della Sera, 27 docembre 2013

L’0SSESSIONE DEI QUARANTENNI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 24 dicembre, 2013 in Politica | No Comments »

Sarà che anche per me gli anni passano veloci, ma questa enfasi sulla «nuova generazione» al comando mi lascia perplesso.

A sentire il premier Letta nel suo discorso di ieri, dovremmo tutti noi italiani ringraziarlo per aver portato al governo una generazione di quarantenni che ha scalzato il vecchiume precedente. Non che la cosa mi infastidisca. Mi preoccupa l’idea che la carta di identità sia diventata un lasciapassare in bianco per la gestione della cosa pubblica. Essere giovani è una stagione della vita interessante e invidiabile ma non garantisce capacità e neppure onestà. Luigi Lusi, tesoriere della Margherita, ha svuotato le casse del suo partito a 40 anni. E il suo collega Belsito ha sbancato la Lega più o meno alla stessa età. Franco Fiorito, detto er Batman, divideva allegramente i soldi pubblici coi compagni del consiglio regionale del Lazio già da trentenne. La Minetti è entrata in politica a 25 anni e sappiamo come è andata. I giovani grillini sono sbarcati in Parlamento sotto il comodo e capiente ombrello dell’ultra sessantenne Beppe Grillo. Quando se la sono dovuta giocare da soli in elezioni regionali o locali quasi nessuno ha superato l’esame. Eppure erano giovani. Certo, parliamo di casi anche diffusi, non della regola. Principio che però dovrebbe valere pure all’inverso. Come c’è giovane e giovane, così ci sono anziani e anziani. Marco Pannella, a 83 anni, è ancora un gigante. Silvio Berlusconi, classe 1936, resta per gli italiani (lo dicono tutti i sondaggi) la carta più valida per guidare un centrodestra vincente. La Merkel in Germania è arrivata al potere passati i cinquanta e continuerà a esercitarlo, salvo imprevisti, fino alla soglia dei settanta. Letta ieri mi è sembrato come quelle signorine che, non possedendo altre doti e capacità, esibiscono la propria giovinezza per sbaragliare la concorrenza matura e accalappiare il fesso di turno. Che in questo caso non è l’anziano «cumenda», ma saremmo noi italiani. Largo ai giovani? Sì, se mi abbassano le tasse e mi tolgono dall’oppressione dello Stato e dell’Europa. Altrimenti mille volte meglio un bel vecchietto liberale con palle e pelo sullo stomaco. Ps. C’è poco da stare allegri, ma comunque a tutti voi lettori un affettuoso augurio di buone feste da parte di tutti noi de il Giornale. Alessandro Salllusti, 24 dicembre 2013

…..Ha ragione Sallusti quando sottolinea che lo scudo della “giovinezza” non solo non basta, ma non è neppure nuovo. Già il fascismo aveva lanciato lo slogan  “largo ai giovani” anche per essere in simbiosi con lo spirito stesso del regime che della giovinezza aveva fatto il suo mito. Ma era solo  appunto uno scudo perchè le giovani leve al momento del dunque non brillarono, salvo pochi  che comunque avrebbero brillato  a prescindere. Certo, una società che vuol crescere deve far spazio ai giovani purchè questo spazio i giovani se lo conquistino con le proprie capacità, e, sopratutto, senza buttare in discarica le generazioni precedenti e con loro l’esperienza e la saggezza che non è solo monopolio dell’età ma lo è anche dell’età. Detto ciò, ci pare che per il resto si possa essere d’accordo con Sallusti, specie quando  parla di “giovani2 come Letta o come Renzi che dei giovani hanno solo l’ansia di arrivare ma che dei vecchi non hanno nè la preparazione nè l’arre della pazienza. Quest’ultima, poi, la pretendono solo dal popolo che deve avere fede, speranza e far loro la carità di credergli. g.

TASSE SULLA CASA, DAL 2014 SI CAMBIA…IN PEGGIO. DIECI DOMANDE E RISPOSTE PER TENTARE DI CAPIRE PERCHE’

Pubblicato il 23 dicembre, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

L’Imu sparisce e diventa TasiL’Imu sparisce e diventa TasiL’Imu sulla prima casa sparisce – anche se non del tutto e non per tutti – nel 2013 e ritorna con il nuovo nome di Tasi nel 2014, con il rischio che per molti contribuenti il tributo che prende il posto di quello vecchio risulti più caro. È l’aspetto di maggior rilievo dei cambiamenti fiscali che riguarderanno la casa nell’anno che sta per arrivare, ma non è l’unico perché ai provvedimenti varati negli ultimi mesi dall’esecutivo e alla legge di Stabilità se ne potranno aggiungere a breve almeno due: il primo riguarderà la modifica della Tasi come uscita dalla legge di Stabilità e presumibilmente sarà presentato a gennaio; a immediato ridosso bisognerà sciogliere il nodo del miniconguaglio Imu per le abitazioni principali ubicate in Comuni che hanno deliberato aliquote superiori allo 0,4% e che andrà pagato entro il 24 gennaio. Ma è difficile pensare che ci si fermerà qui: se dobbiamo basarci su quello abbiamo visto quest’anno di aggiustamenti in corsa ne vedremo ancora molti.

1 – È vero che dal 2014 ci sarà un unico tributo legato al possesso e all’occupazione di un immobile?
Da un punto di vista puramente formale questo è vero per chi possiede un’abitazione e vi risiede; vi sarà un nuovo tributo, lo Iuc, che però si articolerà in due distinte voci: la Tasi (Tassa sui servizi indivisibili) e la Tari (Tassa sui rifiuti) e quindi in realtà si tratta di due tasse con presupposti e aliquote ben distinti. Sugli immobili diversi dall’abitazione principale oltre allo Iuc ci sarà ancora l’Imu e per chi possiede un’abitazione non locata nel medesimo Comune in cui ha l’abitazione principale c’è da pagare anche il 50% dell’Irpef sulla rendita catastale dell’immobile: in questo caso i tributi quindi sono addirittura quattro.

2 – La Tasi sull’abitazione principale in buona sostanza appare una versione riveduta e corretta dell’Imu. Quanto costerà ai contribuenti?
La risposta che possiamo dare per oggi difficilmente resterà valida anche nelle prossime settimane. La legge di Stabilità prevede che per il 2014 i Comuni non possano applicare sulle abitazioni principali un’aliquota superiore allo 0,25%, calcolato sul medesimo imponibile dell’Imu. Nulla vieta ai Comuni di applicare anche l’aliquota zero o prevedere detrazioni dall’imposta ma potranno farlo di fatto a loro spese. Se le cose rimanessero così finirebbero per pagare il tributo le abitazioni di basso valore prima esentate, mentre godrebbero di tariffe più basse gli immobili di pregio. Non solo: il meccanismo, lamentano ora i Comuni, è tale da creare mancati incassi per un miliardo e mezzo di euro, non coperti da trasferimenti statali.

3 – La prima rata dello Iuc, comprendente anche la quota Tasi, andrebbe pagata salvo proroghe entro il 16 gennaio, quali cambiamenti saranno probabilmente introdotti?
Le strade per cambiare sono due, entrambe problematiche: la prima consiste nell’aumentare l’importo dei trasferimenti statali con tutte le difficoltà conseguenti per le casse erariali, la seconda invece nel consentire ai Comuni di aumentare l’aliquota massima fino allo 0,35% per il 2014 con la contestuale introduzione di un abbattimento forfettario nell’ordine di 150 euro per immobile, mentre per il 2015 non ci sarebbero ulteriori interventi, perché si potrà comunque salire fino allo 0,6%. La seconda strada garantisce sicuramente gettito ma è impervia dal punto di vista politico, perché a quel punto le differenze con la vecchia Imu sarebbero annullate.

4 – Come funziona la Tasi per gli immobili diversi dall’abitazione principale?
Come dicevamo per tutti questi immobili l’Imu rimane in vigore con le vecchie regole. Per il 2014 è prevista una clausola di salvaguardia: la somma tra aliquota Tasi e aliquota Imu non potrà superare l’aliquota massima dell’Imu, e cioè l’1,06%. E’ una regola che nei grandi Comuni rende di fatto inapplicabile la Tasi perché l’Imu, soprattutto sulle case sfitte, è già al massimo e quindi qui spazi di manovra per trovare nuove risorse per i Comuni non ce ne sono.

5 – Sugli immobili affittati l’Imu è a carico del proprietario. Sarà cosi anche con la Tasi?
L’Imu è un’imposta e colpisce la proprietà, la Tasi una tassa e quindi in teoria dovrebbe essere il corrispettivo di un servizio a carico di chi ne usufruisce. Si è però scelta una strada ibrida, per cui all’inquilino spetta una quota tra il 10% e il 30% del tributo e il Comune potrà determinare all’interno di questo intervallo quanto si dovrà pagare. Così ci potranno essere amministrazioni che chiederanno l’1,06% sulle case affittate, imputando lo 0,96% all’Imu e lo 0,1% alla Tasi, facendo pagare il 10% di quest’ultimo all’inquilino. Altri Comuni invece potranno imputare lo 0,76% all’Imu e lo 0,3% alla Tasi e chiedere all’inquilino un contribuito del 30%. A parità di valore fiscale dell’abitazione l’inquilino del nostro secondo esempio pagherebbe nove volte più del primo.

6 – Quali novità sulla tassazione degli affitti?
Due, più di facciata che di sostanza. Il primo è la riduzione al 15% della cedolare secca sugli immobili locati a canone concordato. Si tratta di affitti stipulati nei capoluoghi di provincia a seguito di accordi tra le organizzazioni dei proprietari, degli inquilini e con i Comuni. Nelle grandi città però, per il livello molto basso dei canoni concordati, in pratica non se ne fanno. Il secondo è l’obbligo della tracciabilità di pagamento dei canoni, un divieto del contante che serve a poco perché chi registra il contratto non può sfuggire alle analisi del Fisco e chi non lo registra continuerà presumibilmente a non farlo.

7 – Come funziona il secondo braccio dello Iuc, la Tari?
Per chi quest’anno ha già pagato la Tares, non dovrebbero esserci sorprese se non quella legate a un eventuale aumento, nell’ordine del 7% dovuto alla necessità di coprire con gli incassi tutti i costi del servizio rifiuti, mentre quest’anno i Comuni potevano stornare una parte dalla fiscalità generale. Chi invece nel 2013 ha pagato sulla base delle tariffe Tarsu corre il rischio di dover sborsare cifre molto diverse. La Tari fa pagare proporzionalmente alla produzione teorica di rifiuti. Penalizzate le famiglie numerose ed gli esercizi pubblici.

8 – È ancora aperta la questione del miniconguaglio Imu di gennaio, chi lo deve pagare?
La questione riguarda i possessori di un’abitazione principale situata in uno dei circa 2.500 Comuni che per il 2013 hanno deliberato aliquote superiori allo 0,4%. A questi proprietari verrà chiesto entro il 24 gennaio di coprire il 40% della differenza tra l’Imu deliberata dal Comune e quella calcolata allo 0,4%. Per evitare questa ultima coda avvelenata dell’Imu sulla prima casa servono allo Stato circa 400 milioni di euro. Spesso le cifre in gioco sono nell’ordine di poche decine di euro e per molti contribuenti non in grado di farsi i calcoli il rischio, se i Comuni non invieranno i bollettini precompilati, è quello di spendere più per la consulenza che per il tributo stesso. Ipotizziamo una casa da 1.000 euro di rendita a Roma (aliquota dello 0,5%) e a Milano (aliquota allo 0,6%). Nella capitale il conguaglio sarà di 67 euro, nel capoluogo lombardo ne serviranno 134.

9 – Da gennaio cambiano anche le imposte sulle compravendite immobiliari. Quali sono le novità?
Nelle compravendite tra privati se è applicabile l’agevolazione prima casa si pagherà l’imposta di registro nella quota del 2% sul valore catastale (rendita moltiplicata per 115,5) con un minimo di mille euro, a questo si aggiungono 100 euro per imposte catastale e ipotecaria. Le regole in vigore fino al 31 dicembre prevedono invece imposta di registro al 3% e imposte catastale e ipotecaria a 336 euro complessivi. Su una casa con rendita mille euro si risparmieranno 1.391 euro (2.400 euro contro le precedenti 3.801). Sulle seconde case si pagherà il 9% di registro sul valore catastale (rendita moltiplicata per 126) più 100 euro per ipotecaria e catastale. La regola in vigore ancora oggi prevede invece un prelievo complessivo del 10% per le tre imposte. Per gli acquisti in cantiere soggetti a Iva aumentano le imposte di registro, catastale e ipotecaria: di conseguenza la loro somma sale a 600 euro contro i 504 attuali.

10 – Che cosa succede per le agevolazioni su ristrutturazioni e riqualificazione energetica?

Fino al 31 dicembre 2014 si potrà usufruire ancora dello sconto del 65% per le opere che comportino un dimostrabile risparmio energetico. Il bonus si deve spalmare in dieci anni sulla dichiarazione dei redditi. Meccanismo analogo per le opere di ristrutturazione edilizia; la detrazione del 50% resterà in vigore per tutto il 2014 e con l’attuale tetto di spesa di 96 mila euro cui se ne possono aggiungere altro 10 mila per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici. 23 dicembre 2013, Il Corriere della Sera