Abito a Roma nei pressi di una scuola (medie e liceo), e all’inizio e alla fine delle lezioni la mia via si riempie di ragazzi. Mi capita così di ascoltare assai spesso le loro chiacchiere, gli scambi di battute. Ebbene, quello che mi arriva alle orecchie è una continua raffica di parolacce e di bestemmie, un oceano di turpiloquio. Praticamente, qualunque sia l’argomento, in una sorta di coazione irrefrenabile dalle loro bocche viene fuori ogni tre parole un’oscenità o una parola blasfema. Le ragazze – parlo anche di quattordicenni, di quindicenni – appaiono le più corrive e quasi le più compiaciute nel praticare un linguaggio scurrile e violento che un tempo sarebbe stato di casa solo nelle caserme o nelle bettole più malfamate.
A dispetto dunque di quanto vorrebbero far credere molti dei suoi scandalizzati censori, il lessico indecente e la volgarità aggressiva mostrati da Grillo e dai suoi parlamentari nei giorni scorsi non sono affatto un’eccezione nell’Italia di oggi. Sono più o meno la regola. Sostanzialmente, in tutti gli ambienti il linguaggio colloquiale è ormai infarcito di parolacce e di volgarità, come testimoniano quei brandelli di parlato spontaneo che si ascoltano ogni tanto in qualche fuori onda televisivo o tra i concorrenti del Grande Fratello . Siamo, a mia conoscenza, l’unico Paese in cui i quotidiani non esitano, all’occasione, a usare termini osceni nei propri titoli.
Non dico tutto questo come un’attenuante, tanto meno come una giustificazione. Lo dico solo come richiamo a un dato di fatto. È l’ennesimo sintomo dell’abbandono delle forme, della trasandatezza espressiva, della durezza nelle relazioni personali e tra i sessi, di un certo clima spicciativo fino alla brutalità che sempre più caratterizzano il nostro tessuto sociale. In una parola di un sottile ma progressivo imbarbarimento.
Il declino italiano è anche questo. Il degrado dei comportamenti, dei modi e del linguaggio ha molte origini, ma un suo fulcro è di certo il grave indebolimento che da noi hanno conosciuto tutte quelle istituzioni come la famiglia, la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, a cui fino a due-tre decenni fa erano affidati la strutturazione culturale e al tempo stesso il disciplinamento sociale degli individui. Era in quegli ambiti, infatti, che non solo si sviluppava e insieme si misurava con la realtà esterna e le sue asperità il carattere, ma veniva altresì modellata la disposizione a stare nella sfera pubblica e il come starci. Tutto ciò che per l’appunto è stato battuto in breccia in nome di ciò che è «spontaneo», «autentico», «disinibito», secondo una concezione della modernità declinata troppo spesso nelle forme del più sgangherato individualismo.
La modernità italiana ha voluto dire anche questo generale e cieco rifiuto del passato. Rifiuto di consolidate regole pubbliche e private, di un sentire civico antico, di giusti riguardi e cautele espressive, di paesaggi culturali e naturali tramandati. Di molte cose che da un certo punto in poi la Repubblica ha rinunciato ad alimentare e a trasmettere. Un filo rosso lega la rovina del sistema scolastico da un lato e dall’altro il turpiloquio sessista dei parlamentari grillini di oggi e dei guitti di sinistra di ieri contro le rispettive avversarie politiche, la dissennata edificazione del territorio da un lato e i tricolori sugli edifici pubblici ridotti a luridi stracci dall’altro, le condizioni della Reggia di Caserta e il nostro primato nelle frodi comunitarie. Ma quel filo rosso non ci piace vederlo: ed è così che la società civile italiana (a cominciare dai suoi deputati) è diventata per tanta parte un coacervo d’inciviltà. Ernesto Galli Della Loggia, Il Corriere della Sera, 3 febbraio 2014
……..Galli della Loggia ci richiama ad un antico e mai smentito paradigma: il Parlamento non è altro che l’espressione del popolo che lo elegge. Non è del tutto vero, ma almeno nell’uso del turpiloquio di certo è così. Aggravato, ora, da una caduta verticale di Valori e di ideali, di regole e di esempi che purtroppo non trovano più cittadinanza nel vivere quotidiano. Ricercarne le responsabilità è compito arduo e comunque esse appartengono un pò a tutti, nessuno se ne può chiamare fuori. Tanto meno la onorevolissima presidente della Camera che mentre si appresta a sanzionare duramente i deputati grillini per la cagnara in Parlamento dei giorni scorsi, si appresta anche a infliggere un piccolo buffetto sulla guancia dell’ex magistrato europeo D’Ambrosio che, in quanto questore, ha ceffonato e spintonato una donna, una donna!, che a sua volta partecipava alla cagnara grillina. E che dire delle “donne del PD” insultate dai grillini con accuse di asservaggio sessuale per giungere lì dove sono giunte, che denunciano per ingiuria il deputato che le ha così volgarmente apostrofate? A queste simpaticone fa difetto la memoria e fanno finta di non conoscere la regola del contrappasso: chi la fa l’aspetti. Senza in alcun modo giustificare le volgarità del grillino, le “donne del PD”, ad iniziare dalla super offesa onorevole Moretti, campionessa di salto in là nel posizionamento interno al PD, facciano un pò di autocritica e incomicino loro a rispettare gli avversari allo stesso modo con cui esse pretendono, giustamente, di essere rispettate. Forse si potrebbe recuperare qualcosa dell’antico vivere civile che fa abbondantemente difetto nella attuale società italiana. g.
ROMA – Soglia più alta per ottenere il premio di maggioranza, sbarramento meno severo per i piccoli partiti che entrano in coalizione. E’ l’Italicum “2.0″, la versione aggiornata della legge elettorale.
- PREMIO MAGGIORANZA. La nuova legge, come il Porcellum, è un sistema proporzionale con un premio di governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Ma diversamente dalla vecchia legge, per ottenere il premio bisognerà aver superato una soglia minima: il 37% dei voti (nella prima versione dell’Italicum bastava il 35%). Il premio di maggioranza è fissato al 15% dei seggi (non più al 18%). Ma c’è un limite: il “bonus” concesso ai vincitori non potrà far superare il tetto dei 340 seggi, pari al 55%.
- DOPPIO TURNO. Che succede se nessuno supera la soglia del 37%? I primi due partiti o coalizioni di partiti si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (restano fuori dal conteggio i deputati eletti all’estero).
- SBARRAMENTI. L’ingresso in Parlamento viene precluso a chi non supera un minimo di voti. Per i partiti che si presentano al di fuori delle coalizioni (come ha fatto il M5s nelle ultime elezioni), c’è una soglia molto alta, l’otto per cento. Per i partiti che si presentano nell’ambito di un’alleanza con altre forze politiche, la nuova versione dell’Italicum abbassa ulteriormente lo sbarramento portandolo dal 5 al 4,5%. Anche le coalizioni dovranno superare una soglia minima di consensi: la percentuale stabilita è del 12%. Per i rappresentanti delle minoranze linguistiche sono previsti meccanismi che garantiscono la loro rappresentanza.
- SALVA-LEGA. La tagliola degli sbarramenti viene alleggerita per i partiti a forte vocazione regionale, come la Lega Nord. Chi si presenta in non più di sette regioni non deve raggiungere le percentuali previste per i partiti nazionali: per entrare in parlamento basterà aver ottenuto il nove per cento in tre circoscrizioni.
- CANDIDATI. Gli elettori non potranno mettere il voto di preferenza. Ogni partito presenta una lista con tanti candidati quanti sono quelli da eleggere nel collegio (si va da un minimo di tre a un massimo di sei). I seggi vengono assegnati seguendo l’ordine delle liste: ad esempio, se un partito ottiene tre seggi vengono eletti i primi tre candidati della lista.
- PARITA’ UOMO-DONNA. Le liste dei candidati dovranno garantire la presenza paritaria di uomini e donne: 50% e 50%, ma senza alternanza obbligatoria (che avrebbe portato in Parlamento una “valanga rosa”). Le liste potranno avere anche due uomini uno di seguito all’altro, ma non di più.
- CANDIDATURE IN PIU’ COLLEGI: La prima versione vietava ai candidati di presentarsi in più di un collegio, la nuova concede questa possibilità. Si discute ancora se ci si potrà candidare in 3 o in 5 collegi.
- IL NODO DEI COLLEGI. L’Italicum prevede una delega al governo per il ridisegno dei collegi elettorali in cui sarà divisa l’Italia: l’esecutivo dovrà farlo in 45 giorni, un periodo di tempo che rende possibili eventuali elezioni anticipate prima dell’estate.
- NO PRIMARIE. Nulla dice il nuovo Italicum sulle primarie per la scelta dei candidati da mettere in lista. Se farle o no, e con quali regole, resterà una scelta autonoma dei singoli partiti.
- IL SENATO. ALla base dell’accordo tra Renzi e Berlusconi c’è l’idea di abolire il Senato. Ma se il progetto dovesse fallire? L’Italicum prevede una clausola che rende applicabile il nuovo sistema anche per l’elezione del Senato: percentuali, soglie e premio di maggioranza sono le stesse della Camera e vengono assegnati su base nazionale, con riparto regionale. Fonte ANSA, 29 gennaio 2014.
….Sin qui le notizie sull’accordo raggiunto da due soli partiti sullo schema della nuova legge elettorale che elude totalmente le indicazioni della Consulta in materia di soglia e di liste bloccate. Benchè la Corte sia stata più che chiara i due partiti maggiori hanno concordato una soglia minima di accesso al premio di maggioranza del 37% che consente ad un partito o a una coalizione di aggiudicarsi con poco più di un terzo degli elettori il 55% dei seggi a cui accederanno i soliti nominati perchè alla faccia del tanto declamato “cittadini al centro delle decisioni” in verità gli elettori dovranno mettere la croce solo sulla lista e poi i nomi saranno quelli scelti dalle oligarghie di partito. Non solo. C’è la beffa per i partiti minori i quali in nome del “mai più ricatti dai piccoli partiti” saranno esclusi di fatto dall’ingresso in Parlamento. Infatti viste le soglie minime di accesso che sono fissate per i partiti in coalizione al 4,5%, basta fare un pò di conti: se il partito egemone di una coalizione ottiene diciamo il 21%, per raggiungere il 37% deve aggiungere il 16% riveniente da 4 partiti che hanno raggiunto ciascuno il 4%, nessun parlamentare viene assegnato ai 4 partti “minori” e tutti vanno al partito egemone. E dove li troveranno i partiti egemoni i partiti minori disposti a dare sangue senza riceve nulla? Evidentemente ai partiti minori dovanno essere riconosicuti posti nelle lise bloccate dei partiti egemoni, per cui le chiacchiere di Renzi in materia di ricatti resteranno aria fritta. Non solo. Anche per le coalizioni c’è lo scoglio della soglia minima fissata al 12% per accedere alla ripartizone dei seggi, soglia studiata per impedire di fatto che si formino coalizioni alternative alle due egemoni. Neanche in Unione Sovietica è vigente una legge antidemocratica come questa messa a punto dal rottamatore della politica italiana. E dulcis in fundo c’è da segnalare che della riduzoone del numero dei parlamentari che dovevano scenedere al disotto di 500 non v’è più traccia perchè tutti i calcoli vengono fatti sui numeri attuali cioè 630 deputati da ripartirsi praticamente tra i partiti che potranno accedere alla ripartizione dei seggi: 630 nominati dai padroni dei partiti senza che i cittadini elettori possano in alcun modo scegliere liberamente i parlamentari da eleggere cosicchè essi possano esercitare il loro mandato così come prescrive la Carta Costituzionale, cioè senza vincolo di mandato. Possibile che il custode supremo della Carta, l’inossidabile ex comunista inneggiattore dei carri armati sovietici che uccidevano i ragazzi di Budapest, non abbia nulla da dire in materia? Siamo davvero alla frutta della democrazia e della libertà e purtroppo non v’è chi sia capace di agitare la bandiera della rivolta e della rinascita. g.
Emilio Solfrizzi è il commissario Calabresi in una scena della fiction Rai «Il commissario»
Quando si affrontano certi temi bisogna avere il coraggio di assumersi alcune responsabilità, non bastano le buone intenzioni. La trilogia de «Gli anni spezzati» affronta fatti che grondano ancora sangue (la strage di Piazza Fontana, l’omicidio del commissario Calabresi, il terrorismo politico, gli intrighi di Stato…); ma raccontare i dieci anni «che hanno sconvolto l’Italia» significa innanzitutto prendersi una responsabilità storica (Raiuno, martedì, 21.10).
La Rai ha la forza di dire com’è morto Pinelli? Gli sceneggiatori, al di là dei libri a cui si ispirano, hanno l’autorevolezza per far luce su quelle tenebre? L’impressione, vedendo «Il commissario», è che gli sceneggiatori Graziano Diana, Stefano Marcocci e Domenico Tommasetti si siano limitati a mettere in fila i fatti di cronaca eludendo ogni risposta decisiva. Ma la responsabilità più grande che viene a mancare è quella della scrittura. A parte la scelta iniziale di far raccontare la storia a un giovane militare di leva romano, Claudio Boccia (Emanuele Bosi), assegnato alla caserma Cadorna, tutto il resto è insipienza narrativa.
Le figure del commissario Calabresi (Emilio Solfrizzi), di Giuseppe Pinelli (Paolo Calabresi), o quelle di Pietro Valpreda, Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Giangiacomo Feltrinelli spesso stingono in caricatura, anche visiva, non hanno alcuna profondità, né umana né storica. I dialoghi sono improbabili e, soprattutto, il materiale di repertorio, nella sua sfrontata secchezza, mette in serio imbarazzo i tentativi scenici di ricostruzione.
Come fossero due epoche differenti. Uno dei compiti principali della fiction del Servizio pubblico sarebbe quello di raccontare il nostro passato, avendo però la forza di esprimere una linea editoriale, qualcosa che faccia riflettere, distolga lo spettatore dall’indolenza espressiva. Qui si naviga fra la più astratta aridità dei luoghi comuni e il garbuglio dei buoni sentimenti.Il Corriere della Sera, 9 gennaio 2014