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OGNUNO PER SE’, SENZA VERGOGNA, di Antonio Polito

Pubblicato il 15 novembre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Domani morirà il Pdl. Certo, per rinascere sotto le sembianze di Forza Italia. Ma la nuova-vecchia sigla rischia una scissione prima ancora di nascere. Dobbiamo dunque in ogni caso dare l’addio a un partito venuto alla luce esattamente sei anni fa, il 18 novembre del 2007, su un predellino a piazza San Babila, per diventare il grande partito conservatore che l’Italia non aveva mai avuto. L’idea di riunificare in un unico contenitore tutte le culture (e gli apparati) del centrodestra è miseramente fallita.

Del resto anche il Pd ha così tante volte fallito in questi sei anni di vita la sua missione fondatrice, portare al governo il riformismo italiano, che già è in cerca di un salvatore che lo rifondi, il prossimo 8 dicembre. L’unico partito non ad personam della Seconda Repubblica, ha scritto Mauro Calise nel suo libro Fuorigioco , è morto soffocato dal personalismo di decine di piccoli leader, capaci di dilaniarsi dall’elezione del presidente della Repubblica fino a quella del segretario di Asti, spesso facendo carte false. La rifondazione consiste in questo: diventare un partito personale, sperando che un vero Capo distrugga tutti i capetti.

Bisognerebbe a questo punto parlare di Scelta civica, il partito più giovane; ma lì non si parlano neanche più tra di loro, di che vogliamo parlare? Della Lega, certo, il partito più antico, che si avvia a un congresso fratricida? Oppure dei resti di Alleanza nazionale, il cui conto in banca è sopravvissuto al partito, al punto che forse rifanno il partito per recuperare il bottino?
Ovunque la lotta politica è aspra. Ma in nessun luogo del mondo civile è così intestina, squassa i partiti dall’interno, e produce una tale pletora di cacicchi, cassieri e cantori. I partiti italiani non sono tali perché sono divisi sull’essenziale. Tra le colombe e i falchi del Pdl, per esempio, non c’è una differenza marginale o transitoria: gli uni vogliono stare al governo e gli altri all’opposizione; i primi sognano la democrazia interna, i secondi invocano l’autocrazia. Sono così diversi che se resteranno insieme domani, ricominceranno a litigare dopodomani.

Ovunque la lotta politica non è un pranzo di gala. Ma in nessuna democrazia occidentale i leader non si siedono neanche a tavola. Tra poche settimane nessuno tra i capi dei maggiori partiti italiani starà in Parlamento. Chi volente, chi nolente, Berlusconi, Renzi e Grillo saranno tutti leader extraparlamentari.

Le parole di Giorgio Napolitano, che davanti a papa Francesco ha condannato le «esasperazioni di parte», il «clima avvelenato e destabilizzante», e si è rammaricato di quanto la nostra vita pubblica sia lontana da quella «cultura dell’incontro» che il Pontefice spesso invoca, sono dunque una rappresentazione moderata e perfino generosa dello stato della lotta politica in Italia, nel Parlamento e fuori. Essa in realtà ricorda molto da vicino lo stato di natura descritto da Hobbes, homo homini lupus . Ma si tratta di una danza macabra. Una nazione che perde di vista l’interesse comune prepara la rovina collettiva. L’Italia non ne è distante.Antonio Polito, Il Corriere della Srra, 15 novembre 2013

……Questa la diagnosi, assolutamente esatta, desolatamente esatta. E la terapia? Polito, che sempre più assomiglia nello scrivere all’indimenticabile Montanelli per chiarezza e sintesi,  si astiene dall’indicarne una, forse perchè ritiene, giustamente!, che non una sola basterebbe per rimettere su questo Paese, il nostro bel Paese che di bello ha ormai poco, almeno nei costumi e nella società, ma  che di terapie ne servono molte e di più e diverse nature. Bell’impiccio non solo per il Paese ma sopratutto per chi ci abita, per scelta o per costitrizione, e a cui tra poco non resterà che un interrogativo: restare o andarsene? Bel dlemma anche questo, purtroppo senza risoluzione. g.

LE AMANTI DEL PORCELLUM

Pubblicato il 11 novembre, 2013 in Politica | No Comments »

Il Porcellum non ha mogli, però è stracarico d’amanti. In pubblico non lo vezzeggia mai nessuno; in privato lo sbaciucchiano molte signorine licenziose. Sicché il marchingegno elettorale con la pelle da suino è sempre vivo e vispo, alla faccia di chi vorrebbe celebrarne il funerale. Ma poi, c’è qualcuno che lo desidera davvero? Tutti sanno che per sbarazzarsene occorre una nuova legge elettorale; che quest’ultima non può sbucare fuori dall’idea solitaria d’un partito solitario; che dunque servono accordi, alleanze, compromessi; e invece tutti, nessuno escluso, s’esercitano a impallinare le proposte altrui, o talvolta anche le proprie.
Insomma nessun testo, solo una fiera di pretesti. Compreso il più risibile, che invoca la riforma della Costituzione prima di cambiare la legge elettorale: campa cavallo. Ma se il cavallo campa, è perché i suoi tre vizi diventano virtù, riguardati con gli occhi dei politici. Primo: le liste bloccate, che trasformano ogni eletto in nominato. E trasformano perciò i capipartito negli eredi di Caligola, che per l’appunto fece senatore il suo cavallo. Quando mai sapranno rinunziarvi? Secondo: il premio di maggioranza senza soglia, quindi un superbonus per la minoranza più votata. Tanto che alla Camera il Pd, con il 29% dei suffragi, s’è messo in tasca il 54% dei seggi. Oggi a te, domani a me; e infatti Grillo ha già detto che intende rivotare col Porcellum . Terzo: la lotteria del Senato. Dove il premio si guadagna regione per regione, con esiti bislacchi e imprevedibili. Male per gli elettori, bene per gli eletti, giacché con questo sistema non perde mai nessuno.
Il guaio è che i tre vizi del Porcellum si traducono in altrettanti vizi di costituzionalità, sicché a dicembre la Consulta dovrà prendere il toro per le corna. Ma a quel punto si scorneranno tutte le nostre istituzioni, e tutte ne usciranno un po’ ammaccate. In primo luogo la Consulta stessa, chiamata a un improprio ruolo di supplenza per l’inerzia dei partiti. D’altronde, già in lontananza echeggiano gli spari. I 15 giudici segheranno il premio di maggioranza? Vade retro , ci troveremmo sul groppone un proporzionale puro. Demoliranno l’intera legge elettorale, riesumando il Mattarellum ? Niet , non si può fare. Chissà perché, dato che si tratterebbe viceversa d’un esito obbligato: quel sistema normativo è fatto a strati, è come un grattacielo, se togli l’attico rimarrà l’ultimo piano.
L’illegittimità del Porcellum renderà poi illegittimo l’intero Parlamento. Nel 1994 Scalfaro lo sciolse dopo un referendum elettorale, giacché erano mutate le regole del gioco; adesso la crisi sarebbe ancora più lampante, avremmo la prova d’aver giocato con regole truccate. E infine l’esecutivo: difficile rimanga in sella nello sfascio generale. Da qui l’urgenza di un’iniziativa del governo, prima che la Consulta scriva il finale di partita. Con un decreto legge, perché no? Nel 2012 stava per adottarlo Monti, poi non ne fece nulla per paura di cadere. Cadde lo stesso, com’è noto. E prima o poi cadrà anche Letta. Ma è meglio uscire di scena con onore, e senza troppi calcoli. Può darsi che fra le amanti del Porcellum ve ne sia qualcuna proprio a Palazzo Chigi: dopotutto con questa legge non si può votare, dunque si deve governare. Ma è un altro calcolo miope, un altro sguardo corto. Vorrà dire che alle nostre istituzioni regaleremo un paio d’occhiali.
Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 11 novembre 2013

……Tutto vero… tutti a parole vorrebbero a cambiare la iniqua legge elettorale che ha issato  sugli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama tanti asinelli, ma non v’è alcuno che lo voglia davvero. Non i partiti, tutti, e i loro capobastoni che si scelgono i candidati e la loro posizione,  “utile” ad essere eletti, pardon, nominati, nella lista,  nè  ovviamente i candidati, specie quelli collocati in posizione “utile”, cioè nelle teste di lista, che non devono nè accapigliarsi tra di loro nè sul territorio per conquistare voti e preferenze. Solo gli elettori, tutti, vorrebbero che fosse loro restituito il diritto alla scelta del candidato da votare e far votare. Ma gli elettori sono gli unici  destinati a rimanere scornati, sia perchè il quadro che delinea Ainis è assai realistico, sia perchè, ove pure la Consulta dovesse ritoccare la lege, lo farà solo nella parte che è stata impugnata, cioè la mancata soglia minima necessaria per accedere al  premio di maggioranza, non certo nella parte che statuisce la lista bloccata e l’inibizione agli elettori di esprimere la preferenza e scegliere chi più medrita di rappresentarli in Parlamento. E così gli asini resteranno dove sono, e gli elettori pure!

DC, GLI ETERNI RITORNI E GLI INFINITI TENTATIVI DI IMITAZIONE

Pubblicato il 10 novembre, 2013 in Cronaca, Il territorio, Politica | No Comments »

«La Balena bianca non può rinascere, al massimo può riprodursi un balenottero. In giro ci sono numerosi tentativi di imitazione mal riusciti». Gerardo Bianco, 82 anni e una vita sotto le insegne dello Scudocrociato, l’ultimo capogruppo del partito che fu di De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti (oggi presidente dell’associazione ex parlamentari) liquidava così due anni fa, parlando con Il Secolo, gli eterni ritorni sotto mentite spoglie della Democrazia Cristiana, o forse sarebbe il caso gli eterni tentativi di riesumare il partito-cardine della Prima Repubblica. Come se si potesse fermare la sabbia nella clessidra del tempo il richiamo e la tentazione sono irrefrenabili. L’ultima diretta evocazione è arrivata da Carlo Giovanardi che si è detto convinto che «il Pdl senza Berlusconi sarà la nuova Dc». Ma nelle ultime settimane, dando seguito alle divisioni nella galassia montiana, al movimentismo casiniano e ai contatti di quest’area con gli ex Dc del Pdl, la grande sagoma del balenottero è tornata a nuotare nelle acque dei retroscena giornalistici con costante frequenza e insistenza.

Non che questo rappresenti una novità. Sono vent’anni che si succedono sedute spiritiche e travestimenti, e sigle più o meno improbabili, richiami al rassemblement dei moderati, ale Dc 2.0 e alle variabili «popolari». Mattia Feltri, di recente, sulla Stampa ha ricordato quando Giovanni Paolo II, a Loreto esortò all’impegno pubblico dei cattolici – era il 1994 – e il professore Rocco Buttiglione provò a lanciare l’amo: «Un’alleanza politica dei cattolici può portare solo benefici all’unità del paese». Da allora è stato tutto un susseguirsi di false partenze, strani incontri, improvvise fughe nella terra di nessuno. Ci fu la grande illusione rappresentata da Mario Segni, campione di scriteriata dissipazione da fare invidia a Gianfranco Fini. E poi nel tempo tante sigle in sequenza: dal Ppi al Ccd, dal Cdu all’Udr, dal Cdr (Cristiano Democratici per la Repubblica) all’Uduer, dalla Democrazia Europea di Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni, fino al Nuovo Partito Popolare, oltre naturalmente alle varie riedizioni della Dc sic et simpliciter, con relative, infinite dispute sul nome e sul simbolo. Senza dimenticare gli unici partiti riusciti ottenere percentuali accettabili, come l’Udc di Pier Ferdinando Casini e la Margherita di Francesco Rutelli, sia pure in opposti schieramenti. Un collage disordinato e fragile. Una somma di sigle alla costante ricerca dell’ «eterno ritorno dell’uguale», incapaci di individuare la ricetta e la capacità attrattiva dell’originale. Perché in fondo, come spiega Gianfranco Rotondi che della materia se ne intende, «la Dc la puoi rifare se riesci a prendere gli elettori della Dc. Ma quegli elettori si sono dati a Berlusconi. Quindi se non si riesce a rifare la Dc il motivo per me è semplice: l’ha già rifatta Berlusconi». Rendendo vado l’infinito inseguimento di quello che oggi è soltanto un non luogo politico. Domenico De Feo, 10 novembre 2012

……Dedichiamo questa nota dedicata all’impossibile “ritorno”  della DC,  alias “balena bianca”, all’improvvido e torittese   “balenabianca13″ firmatario di un annuncio elettorale per il 2014.

9 NOVEMBRE 1989-9 NOVEMBRE 2013: LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO.

Pubblicato il 9 novembre, 2013 in Il territorio, Politica, Storia | No Comments »

Oggi ricorre il 24° anniversario della caduta del Muro di Berlino. Nessun giornale ne ha fatto oggetto neppure di un corsivo in prima, o magari in ultima pagina, per ricordare un evento che segnò la fine dell’impero del male e il ritorno alla libertà di metà del continente europeo, quello orientale, tenuto in catene con decine  e decine  di milioni di uomini e donne, dal più criminale dei regimi totalitari per oltre sette decenni. Lo ricordiamo in questa pagina, rendendo omaggio alla memoria  delle vittime, milioni di esseri umani!, sacrificati sull’altare di una “religione” che della schiavitù politica aveva fatto il suo credo e la sua ragione politica, distrutti, l’uno e l’altra, dai picconi   che nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989  abbatterono, dopo 28 anni, il muro che divideva in due Berlino. Quelle immagini sono scolpite nella mente e nei cuori di quanti ebbero la ventura di vivere quelle ore con gli occhi puntati sui teleschermi che  le trasmettevano in tutto il mondo, insieme alle altre, a quelle della marea  di uomini, donne, bambini, sopratutto bambini che dal campo di concentramento di Berlino Est invadevano, finalmente liberi, le strade dell’altra parte del mondo, il mondo libero, il mondo dell’Occidente che riaccoglieva nelle sue braccia e stringeva la cuore gli ormai ex schiavi dell’impero del male, restituiti alla libertà, alla vita. g.

L’INGANNO DELLE STATISTICHE: LE TASSE LE PAGANO SEMPRE GLI STESSI

Pubblicato il 3 novembre, 2013 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

Secondo la Cgia di Mestre la legge di Stabilità nel 2014 porta al contribuente un aggravio di un miliardo di euro. In sé questo miliardo addizionale è già un segnale che il governo anziché ridurre i pesi fiscali li aumenta. Ma c’è di più. L’aumento è una media di Trilussa, fra contribuenti elettori del Pd o presunti tali, che avranno riduzioni di tributi e contribuenti borghesi, e piccolo borghesi, che subiranno cospicui rincari. A ciò si aggiunga che, avverte la stessa Cgia, il miliardo di maggiori tributi potrà essere superato.

E anche in questo caso a pagare saranno in prevalenza i borghesi e piccolo borghesi.

La legge di Stabilità comporta aumenti di determinati tributi a carico di determinate categorie di soggetti per 6,2 miliardi e riduzioni di altri tributi relativi ad altri soggetti per 5,2 miliardi: la differenza è di uno, ma riguarda soggetti differenti. Vale l’osservazione di Trilussa sull’inganno delle statistiche: se Tizio mangia due polli e Caio non ne mangia, la media dice che ciascuno mangia un pollo. Nel nostro caso, la situazione è analoga per le riduzioni fiscali che vanno a beneficio di Tizio, mentre i pesi sono carico di Caio, con l’aggiunta però di Sempronio, cioè le banche e assicurazioni, che apparentemente sono trattate come Caio, perché nel 2014 hanno un aggravio fiscale, ma negli anni successivi ottengono, tramite il mutamento del regime sulle detrazioni dei crediti in sofferenza (richiesto e ottenuto) un beneficio di minori tributi di entità maggiore (e abbelliscono i bilanci attuali).

Il conto è passivo solo per Caio, il contribuente che non interessa al Pd, che possiede uno o più immobili o locali per i quali dovrà subire i nuovi gravami fiscali. È attivo per Tizio, il contribuente lavoratore dipendente a basso reddito che invece riceve sgravi nell’Irpef. Fra le riduzioni tributarie campeggiano 1,5 miliardi di riduzioni Irpef per lavoratori dipendenti con reddito modesto. Trattandosi di una platea vasta, il beneficio che ne ricaverà ciascuno è modesto: 150 euro all’anno per alcuni, un po’ più o un po’ meno per altri.

A fronte di questo beneficio diffuso, che non risolve nessun problema se non quello del Pd che strizza l’occhio ai suoi elettori, sta un aggravio di 3,7 miliardi circa per la nuova Tasi: che non è una vera tassa ma un’addizionale all’Imu essendo calcolata nell’un per mille del valore catastale degli immobili. Sempre dalle tabelle ministeriali si desume che la cifra che gli enti locali perdono 3,7 miliardi a causa del fatto che nel 2014 non si paga più l’Imu sull’abitazione principale. Sembrerebbe che con la Tasi i comuni recuperino (in media) l’Imu prima casa. Ma in questa apparente «partita a saldo zero» che toglie nel 2014 al contribuente borghese e piccolo borghese ciò che gli è stato promesso per il 2013 e quindi lo aggrava di altri 3,7 miliardi c’è un trucco da gioco delle tre carte, che lo danneggia ulteriormente. Infatti la seconda rata di circa 1,8 miliardi di Imu prima casa relativa al 2013 non è ancora stata tolta. Per effettuare la riduzione il governo dovrà trovare una copertura, e ci sarà qualche altro aumento fiscale, perché i tagli delle spese non sono facilmente fattibili in un mese.

Il conteggio di 3,7 miliardi di maggiori entrate 2014 non ha come contropartita minori entrate per 3,7 miliardi, perché per finanziare la abrogazione della seconda rata di Imu ci potrebbe essere un aumento di tributi indiretti sulla benzina e altri beni e qualche altro gravame fiscale, per un altro miliardo. Sin qui il conto ufficiale del governo. Ma la legge di Stabilità dice che si possono accrescere le aliquote della Tasi al 2,5 per mille. Il che comporta un gettito mostruoso di Tasi di 9,350 miliardi. E poi c’è un aumento, non conteggiato, di tassa per i rifiuti.

Il fatto è che gli aumenti di tributi attuali per 6,2 miliardi e il prevedibile aumento di un altro miliardo fra qui e fine anno, cioè 7,2 miliardi, non servono solo per le riduzioni di imposte per 5,2 miliardi (1,5 di Irpef e 3,7 di Imu) e per 2 miliardi di nuove spese, ci sono molte nuove spese che lo Stato ha messo a bilancio (soprattutto per gli elettori Pd) e altre spese che Regioni ed enti locali possono fare aumentando le aliquote, come consente loro questa legge di Stabilità. Che per ora è una legge irta di tasse redistributive a senso unico. Francesco Forte, economista, 3 novembre 2014

……Forte si sofferma, giustamente, sulla nuova tassa che riguarda gli immobili, cioè la Tasi, una delle due che compongono la Trise, insieme all’altra, cioè la Tari. E in materia di Tasi le argomentazioni del prof. Forte sono le stesse di tanti altri “critici” della furbata del premier secondo il quale il suo governo non mette le mani nelle taqsche degli italiani…le mette, le mette, altro che le mette. E la iniquità, circa la Tasi,  intesa come mancanza di equità, a favore di alcuni a danno di altri,   si estende alla Tari, la tassa sui rifiuti. Vediamo perchè.

Da sempre, prima la tassa sui RSU, ridefinita poi TARSU, ed infine, sia pure per il solo 2013,  TARES, questo tributo è stato calcolato con riferimento alla superficie delle abitazioni, riferimento ingiusto e vessatorio considerata la tipologia della tassa – tassa e non imposta – dovuta per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani prodotti da tutti i cittadini.

Se così è, va da sè che il tributo non può essere dovuto in relazione alla superficie delle abitazioni ma solo ed esclusivamente in relazione al numero degli abitanti – anzi dei componenti del nucleo familiare – i  quali, ciascuno, secondo statistiche più o meno concordi, producono un Kg. a testa giornaliero di rifiuti, al lordo della raccolta differenziata che,  ove si fa,  evidentemente riduce la quantità giornaliera di RSU prodotti procapite e successivamente smaltiti in discarica, o altrove.

Questa valutazione  era alla base del Dlg dell’allora ministro verde dell’Ambiente Ronchi, che varato nel 1996 prevedeva appunto la modifica della base imponibile della tassa RSU dalla superficie delle abitazioni al numero dei componenti del nucleo familiare. L’attuazione del  Dlg di cui si fa   cenno fu rinviata di anno in anno, previo modifiche – una per tutte: 50% riferita alla superficie, 50% riferita al numero dei componenti il nucleo familiare-,  sino a quando, senza che sia mai stato formalmente abrogato o superato da altra normativa, del  Dlg Ronchi  si è persa traccia e sino all’anno di grazia 2013 si è continuato a far pagare la tassa  calcolata sulla superficie degli immobili come se le stanze o i metri quadri, producessero i rifiuti per cui la tassa dovuta.

Per essere più chiari basta un esempio: una casa di 200 metri quadri con  famiglia di due componenti paga il doppio di una casa di 100 metri quadri con quattro componenti, sebbene evidentemente quattro persone producono il doppio  di rifiuti di due e di certo i 100 metri in più  della famiglia con due componenti al più possono produrre polvere che non pesa alcunchè.

Si potrà obiettare che nella TARSU, o Tares, erano considerati, sia pure senza dirlo,  anche quelli che oggi, nella nuova TRISE, vengono definiti “servizi indivisibili”: e sia!

Ma ciò non può più avvenire dal 2014 in poi,  visto che quei servizi  cosiddetti indivisibili  (Polizia Muncipale, manutenzione delle strade e della publica illuminazione, con tutte le riserve che si possono nutrire sul fatto che questi servizi sono pagati dai cittadini con gli altri tributi che essi versano allo Stato sotto le diverse forme) sono stati fatti confluire nella TASI che sostituisce l’IMU.

Dal 2014 nella TARI confluisce solo la tassa  sui rifiuti ,tassa,   non  imposta!, e non v’è  bisogno di sottolineare  la differenza imposta, quale è quella sulla casa,  e la tassa  per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani o di quel che resta dopo la depurazione che avviene con la raccolta differenziata.

Quindi la Tari, come già la Tarsu,  è una tassa su un preciso servizio prestato dalla pubblica amministrazione  ai cittadini e quindi il suo ammontare non può prescindere dall’oggetto del servizio, cioè i rifiuti raccolti che sono,  e non potrebbe essere diversamente,  quelli prodotti da ciascun singolo cittadino, statisticamente valutati o comunque accertati con sistemi che rispettino sia il principio della equità sia quello del “chi inquina paga”.

Collegare invece la TARI, come la TASI, alla casa, alla superficie, alla rendita catastale, significa imporre sulla casa una seconda  patrimoniale assolutamente ingiustificata e proditoria che colpisce due volte lo stesso bene. Come fare per far pagare a ciascuno il suo? In Svizzera, per dire, i Comuni fanno pagare una tassa indiretta ma assolutamente equa: i cittadini comprano dal Comune, attraverso  suoi rivenditori autorizzati, le buste  per la raccolta dei rifiuti per cui ogni cittadino paga esattamente per quel che produce.

Si può immaginare la prima e acida  obiezione: in Italia si produrrebbero imitazioni delle buste a milioni. Ma tanto può costringere un paese  moderno a rinunciare alla equità che in ogni paese civile è la base stessa della civile convivenza?

Ecco perchè anche la Tari come la Tasi,  va ridisegnata e rimodulata, calcolandola sull’effettivo servizio che ogni cittadino riceve  dal Comune  per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti; diversamente si tratterebbe di una vera,  evidente e colpevole estorsione ai danni del cittadino, colpiti da una tassa indebitamente calcolata su parametri del tutto errati. g.

CASO CANCELLIERI-LIGRESTI: DUE PESI E DUE GIUSTIZIE?

Pubblicato il 2 novembre, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

La notizia è la seguente. Si scopre che un autorevole membro di governo (la ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri) ha telefonato a funzionari di Stato (ispettori del ministero) per perorare la scarcerazione di una donna (Giulia Ligresti) che si trova in stato di detenzione a Torino; donna che la ministra conosce personalmente molto bene, essendo lei amica di famiglia dei Ligresti, che tra l’altro sono datori di lavoro di suo figlio (di recente liquidato con buona uscita di oltre due milioni).

Pochi giorni dopo l’intervento ministeriale, la signora Ligresti viene scarcerata e ieri, a cose note, la Procura di Torino si è affrettata a fare sapere che tutto è avvenuto nel rispetto delle leggi con tanto di diffida a sostenere un nesso tra i due fatti (pressioni-scarcerazione).

La pratica viene definita dagli interessati come un legittimo e innocuo «intervento umanitario», vista la particolare situazione fisica e psicologica della detenuta. Bene, siamo d’accordo, mai interferenza – legittima o no a norma di legge o di opportunità non importa – fu più benedetta e ricordo che a suo tempo, era agosto, facemmo anche noi una campagna per mettere fine alla barbara detenzione preventiva di Giulia Ligresti. Ma ci chiediamo, alla luce di tutto questo: perché se un autorevole esponente di governo (Silvio Berlusconi) telefona a funzionari di Stato (dirigenti della Questura di Milano) per perorare l’affidamento a norma di legge di una donna (Ruby) che lui conosceva e che si trovava in stato di fermo, si becca sette anni di carcere? E perché, in questo caso, i funzionari pubblici che hanno sostenuto che tutto è avvenuto a norma di legge sono finiti sotto inchiesta per falsa testimonianza? La parola di un poliziotto di Milano vale meno di quella di un pm di Torino?

Azzardiamo delle risposte. La Cancellieri ha commesso un reato, ma, a differenza di Berlusconi, la passa liscia perché ha sempre difeso l’operato dei magistrati. Oppure. Ha commesso reato, ma ha lo scudo di essere stata ministra prima di Monti (agli Interni) e poi di Letta, due governi ferocemente antiberlusconiani che si sono rifiutati di affrontare la riforma della giustizia. O ancora. Come Berlusconi, non ha commesso alcun reato, solo che lei non è Berlusconi e quindi giustamente la sfanga. Qualsiasi sia la risposta giusta, fate voi, siamo di fronte alla prova inconfutabile che in Italia la giustizia è marcia fino al midollo, esercitata spesso da criminali che per di più ci prendono per i fondelli. Vero, caro ministro dell’Ingiustizia? Alessandro Sallusti

CAMERA DEI DEPUTATI: STIPENDI DA NABABBI AI DIPENDENTI

Pubblicato il 31 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

136mila agli elettricisti, 358 mila ai consiglieri

La Camera dei Deputati (Corbis)La Camera dei Deputati (Corbis)

I conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici – categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio – vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.

Una piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore privato che di quello pubblico. Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici. Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1. La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa. Tutto bene così?

In realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro. Fonte: Corriere della Sera, 31 ottobre 2013

…….Chi l’ha detto che i nostri superprivilegiati parlamentari pensano solo a se stessi? Invece pensano anche agli altri, cioè  e solo ai dipendenti della Camera, molti dei quali, c’è da scommettere sono parenti, compari e figli di parenti e compari degli stessi parlamentari, ai quali sono riservati stipendi da nababbi.

LO SCHIAFFO ALLA DEMOCRAZIA

Pubblicato il 30 ottobre, 2013 in Politica | No Comments »

CONTRO BERLUSCONI

SCHIAFFO ALLA DEMOCRAZIA

La rabbiosa voglia di vendetta nei confronti del Presidente Berlusconi, leader politico del centrodestra italiano, è tale da non fermarsi di fronte a nulla.

La sinistra italiana,  cui si è accodato il servile e rancoroso ex premier Mario Monti,  dopo aver ottenuto finalmente la condanna giudiziaria di Berlusconi con una sentenza che conferma le ragioni della sempre più crescente sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia politicizzata,  ora, con una risicata maggioranza,  è giunta a manipolare il Regolamento del Senato per cambiare il sistema di voto  - da segreto a palese – con cui procedere a dichiarare la decadenza o meno di Berlusconi dalla carica di senatore, alterando non solo la volontà dei Padri Costituenti che  imposero il voto segreto nelle votazioni riguardanti le persone per tutelare la libertà di coscienza dei parlamentari, ma anche contro il diritto europeo, chiamato in causa come Vangelo quando si tratta di imporre tasse e sacrifici agli italiani e ignorato quando  a poterne  usufruire è il presidente Berlusconi

E’ la stessa sinistra che per due decenni ha accusato Berlusconi di aver fatto varare  in Parlamento le cosiddette “leggi ad personam”, per tutelarsi dall’aggressione giudiziaria che lo perseguita dal giorno della sua discesa in campo che mandò all’aria i sogni di potere della sinistra.

Ora, invece,  la sinistra, con la faccia tosta che le è congeniale, ha imposto  al Senato una nuova abominevole formula legislativa: la legge “contra personam”, cioè contro il solo Berlusconi, infliggendo alla democrazia italiana un sonoro ceffone.

Al Presidente Berlusconi, unico riferimento politico del centrodestra, esprimiamo la nostra personale solidarietà e quella del 35% degli elettori torittesi che anche lo scorso febbraio, nelle urne, insieme a noi, come sempre,  lo hanno gratificato con i loro voto e   lo gratificheranno ancor  più convintamente nel futuro.

Toritto, novembre 2013

IL PECCATO NAZIONALE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 28 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

«Non è mica colpa nostra! È lui, sono loro (a piacere Berlusconi, Prodi, la Sinistra, la Destra) che hanno ridotto il Paese così». La grande maggioranza degli italiani è ormai consapevole della gravità della situazione in cui ci troviamo, avverte che a questo punto solo scelte coraggiose e magari anche impopolari, solo drastiche rotture rispetto al passato possono allontanarci da quel vero e proprio declino storico che altrimenti ci attende. Ma questa maggioranza è tenuta in ostaggio da quel grido lanciato di continuo dalla minoranza disinformata e settaria dell’opinione pubblica: «Non è colpa nostra! È colpa di altri». Un grido, un giudizio intimidatorio, che ha il solo effetto politico di dividere, di impedire quel minimo di accordo generale sulle responsabilità passate e perciò sulle decisioni audaci di cui c’è tanto disperato bisogno. Contribuendo così a rendere la soluzione della crisi ancora più lontana.

Invece bisogna convincersi - a destra come a sinistra – che non è «colpa loro». Della situazione drammatica in cui si trova l’Italia è colpa nostra, è colpa di tutti, sia pure, come si capisce, in grado diverso. La politica, i politici, per esempio, hanno certamente responsabilità primaria perché alla fine è la politica che decide. Ma in realtà la vera colpa della politica nel caso italiano è stata soprattutto quella di non avere alcun progetto, alcuna idea; e se l’aveva di non essere stata capace di realizzarla. Di non aver fatto. Per esempio di non essere stata in grado di opporsi alle richieste caotiche e spesso alle pretese (nonché ai vizi antichi) della società italiana. E quindi di aver scelto ogni volta la soluzione più facile e più demagogica: che naturalmente era quasi sempre anche la meno saggia e la più costosa per l’erario. L’Italia insomma è stata per un trentennio la scena di un grandioso concorso di colpe: tra i partiti e la politica da un lato, e dall’altro gli italiani e – elemento non meno importante – le élite economico-burocratiche che di fatto hanno anch’esse (eccome!) governato il Paese.

Oggi, insomma, paghiamo per errori e omissioni che rimontano indietro di decenni. La nostra crisi odierna viene da lontano. Viene dal consenso ricercato da tutti – sì da tutti, dalla Destra come dalla Sinistra – ricorrendo alla spesa pubblica. Viene da centinaia di migliaia di pensioni di invalidità elargite a chi non le meritava, e in genere da un sistema pensionistico che per anni ha consentito a decine e decine di migliaia di italiani di destra come di sinistra di andare in pensione con un’anzianità ridicola; viene da troppi lavori pubblici decisi da amministrazioni di ogni colore e costatati dieci volte il previsto; da troppi posti assegnati in base a una raccomandazione (solo agli elettori del Pdl? Solo a quelli del Pd?). Viene da troppi organici gonfiati per ragioni clientelari ad opera di tutte le pubbliche amministrazioni; da troppi investimenti sbagliati, rimandati o non fatti dagli imprenditori e dalla loro propensione a eludere le leggi; dalle troppe tasse evase da commercianti e professionisti (davvero tutti di destra o tutti di sinistra?); viene dalla troppa indulgenza usata nella scuola e nell’università, dall’aver accondisceso a tante illegalità specie se potevano (non importa con quale fondamento) invocare ragioni «sociali» (vedi le «occupazioni» di ogni specie); da una miriade infinita di piccoli abusi quotidianamente praticati e tollerati – per esempio nell’edilizia, nell’urbanistica, nella circolazione, nella raccolta dei rifiuti – che tutti insieme hanno rovinato e spesso reso invivibili le città e il paesaggio italiani. Da tutto ciò viene la nostra crisi: da questo multiforme sfilacciamento del tessuto collettivo, da questa indifferenza al senso della realtà. Chiamarsene fuori facendo sfoggio di virtù e cercare un capro espiatorio nella parte politica che non ci piace testimonia solo di una cieca faziosità.

È quella stessa faziosità propria della minoranza settaria che tiene in ostaggio anche il discorso pubblico del Paese e si manifesta nell’irrefrenabile pulsione a trovare complici del male specialmente nella stampa: in chi scrive nel modo che essa non gradisce. Sempre rivolgendo la sua ossessiva domanda inquisitoria che suona: «Ma voi dove eravate quando A faceva questo?», «Che cosa avete scritto quando B diceva quest’altro?». Domande inquisitorie che naturalmente contengono già dentro di sé la risposta, dal momento che secondo questi accusatori – che credono di ricordare tutto e invece non ricordano nulla – la stampa che a loro non piace avrebbe sempre chiuso gli occhi, sempre taciuto, finto di non vedere, e suonato la grancassa in onore del Potere.

Se avesse senso verrebbe da rispondere: «Fuori le prove!». In realtà una tale accusa è solo il segno della superficialità disinformata e settaria, unita al moralismo aggressivo che ci hanno regalato gli anni della Seconda Repubblica. La superficialità e il moralismo che portano a credere che chi non si proclama preliminarmente contro vuol dire che allora è necessariamente a favore; che l’unico commento possibile a qualsiasi cosa che non piaccia debba essere la maledizione. Che rifiutano visceralmente l’idea che capire e analizzare è più importante – e soprattutto più utile al lettore – che non aizzare o capeggiare una tifoseria. Alla domanda «Dove eravate quando…?» la risposta dunque è: eravamo dalla parte di questa idea dell’informazione e del giornalismo. Di certo ve ne possono essere legittimamente, e ve ne sono, delle altre. Ma ancora più certo è che non sarà con le filippiche ossessive, con le cacce all’untore né con le autoassoluzioni a buon mercato, che l’Italia riuscirà a correggere i mille sbagli commessi. Che essa riuscirà a costruire quel minimo di accordo su quanto è realmente successo nel suo passato senza il quale non può esserci speranza alcuna di un futuro.Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 28 ottobre 2013

LA MAIONESE IMPAZZITA, di Antonio Polito

Pubblicato il 25 ottobre, 2013 in Politica | No Comments »

Provate a seguire da vicino l’iter di un provvedimento legislativo. Scoprirete che i partiti che compongono la maggioranza non sono tre come si dice, ma almeno sette. Nel Pd agiscono separatamente il gruppo dei «Renzi for president» e l’avversa coalizione del «Tutto tranne Renzi»; più un manipolo di deputati che rispondono direttamente alla Cgil. Nel Pdl i «fittiani» contendono palmo a palmo il terreno agli «alfaniani», e il consenso del Pdl va contrattato con entrambi (più Brunetta). Scelta civica si è sciolta in due fazioni, per niente moderate nella foga con cui si combattono. Per condurre in porto il vostro provvedimento preferito dovrete dunque fare sette stazioni della via crucis parlamentare, per quattro volte (se il governo non mette la fiducia, due letture alla Camera e due al Senato). Vi servono insomma ventotto sì. Un’intesa larghissima: si fa prima al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Una volta approvata, la nuova norma rimanderà di sicuro a un regolamento attuativo. E lì ricomincerà la vostra gimkana, stavolta tra i burocrati dei ministeri che hanno il potere di scriverlo.

Il nostro sistema politico-parlamentare è letteralmente esploso. E la cosa incredibile è che il massimo della frammentazione convive con il massimo del leaderismo nei partiti. Il Pd, che pure è il più democratico, è una monarchia elettiva (quattro capi in cinque anni, l’unico partito al mondo che incorona il segretario con una consultazione del corpo elettorale). Il Pdl è una monarchia ereditaria. La terza forza, il M5S, è una diarchia orientale, con un profeta e un califfo.
In queste condizioni il semplice fatto che esista un governo è già un miracolo, figurarsi l’operatività. Se andiamo a votare può anche peggiorare. E non è solo colpa del Porcellum . Con i partiti come sono oggi, e con i sondaggi che circolano oggi, nessun sistema elettorale, nemmeno il più maggioritario, può garantire una maggioranza solida. Se anche questa si producesse nelle urne, si spaccherebbe in Parlamento un attimo dopo, come è miseramente accaduto alla più formidabile maggioranza della storia, quella uscita dal voto del 2008 e guidata da Berlusconi. Da tre anni il governo della Repubblica non è più espressione del risultato elettorale. Nessuna delle coalizioni che abbiamo trovato sulla scheda appena otto mesi fa esiste più.

Qualsiasi terapia del male italiano deve passare da qui: come rendere il Paese governabile. Come aprirsi un sentiero praticabile tra due Camere, venti Regioni, più di cento Province, più di ottomila Comuni. Come ridurre il numero dei partiti, ridurne il potere, ridurne l’ingerenza. È infatti nel sistema politico-istituzionale che si è incistata nella sua forma più perniciosa quella crisi di cultura e di valori di cui hanno scritto sul Corriere Galli della Loggia e Ostellino.
La soluzione viene di solito indicata nelle riforme costituzionali. Solo chi spera nel tanto peggio tanto meglio può negarne l’urgenza. Ma neanche quelle basteranno se non si produce una profonda rigenerazione morale dei partiti. Laddove l’aggettivo «morale» non sta solo nel «non rubare», e il sostantivo «rigenerazione» non coincide con l’ennesimo «repulisti» affidato al codice penale: questo sistema politico è figlio di Mani pulite, e non sembra venuto tanto meglio.
Rigenerazione morale vuol dire innanzitutto una nuova generazione, homines novi . Vuol dire restaurare un nesso, anche labile, tra l’attività politica e il bene comune. Vuol dire liberarsi dei demagoghi e dei voltagabbana. L’Italia non può farcela senza una politica migliore. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 25 ottobre 2013

……..Polito, come Ostellino e Galli della Loggia nei giorni scorsi, fanno affidamento sulla speranza che ci siano non tanto uomini nuovi, quanto un ripensamento nei comportamenti anche da quelli che proprio nuovi non sono, pe restituire la politica al suo compito: seervire i cittadini. Ma basta leggere la Gazzetta del Mezzogiornmo di questa mattina per constatare che l’affidamento che fanno Polito, Ostellino e Galli della Loggia è solo utopistico. Ieri la Regione Puglia ha approvato una leggina che trasforma i gruppi consiliari regionali da emanazione del Consiglio e quindi di natura pubblica inj asasociaizoni private per cui da oggi non più assoggettati, per esempio, al controllo della Corte dei Conti. Si è affrettata la Gazzetta a scrivere che però quello che è accaduto in altre regioni non è accaduto in Puglia, nel senso che non ci sono stati nè gli sperperi nè gli abusi che appena l’altro ieri hanno interessato altri gruppi consilairi di altre regioni. E allora che bisgono c’era di sottrarre per il futuro i comportamenti dei gruppi consiliari della Puglia al controllo della Corte dei Conti? Anzi, proprio l’averlo  fatto con la motivazione addotta dalla Gazzetta ci induce a nutrire più di un dubbio e a sospettare che la speranza di  una politica migliore che si restituisca al suo compito, servere onestamente i cittadini, è solo utopia. g.