Archivio per la categoria ‘Politica’
Un Paese nel quale il pensiero, le opinioni, le parole devono ubbidire a una certa Ortodossia pubblica, imposta per legge, non è un Paese libero. L’Italia – con gli innumerevoli divieti che, opponendo un ostacolo alla libera manifestazione del pensiero, prefigurano, di converso, il reato d’opinione – lo sta diventando.
Siamo inclini ad attribuire populisticamente tutte le colpe alla politica o, meglio, ai cattivi politici, che pure non ne sono esenti, e non ci accorgiamo che ci stiamo scavando noi stessi la fossa sotto i piedi, non solo votando certi personaggi, ma ispirandone culturalmente e politicamente la cattiva politica.
GLI STATALISTI TRASVERSALI
Pubblicato il 19 ottobre, 2013 in Politica | No Comments »
Circola in questi giorni un appello firmato da un gruppo di economisti — fra i quali Francesco Giavazzi che del tema si è già occupato sul Corriere — contro il nuovo statalismo, le azioni neo-protezioniste del governo Letta. I sottoscrittori fanno riferimento a tre interventi a gamba tesa del governo volti a bloccare gli investitori stranieri: l’operazione che ha portato la Cassa depositi e prestiti al pieno controllo di Ansaldo Energia, quella su Telecom Italia e, infine, la ristatalizzazione di fatto di Alitalia attraverso l’intervento delle Poste.
In tutti e tre i casi, anziché lasciare che il mercato seguisse il suo corso e che le suddette aziende venissero acquisite da investitori disposti a rischiarvi i propri soldi, si è scelta, cambiando le regole ex post, a giochi ormai aperti, la via statalista. Pessimi segnali inviati ai mercati da quello stesso governo che diceva di volere attirare capitali esteri, di voler far cambiare idea a coloro che non investono in Italia perché ritengono il nostro Paese inaffidabile. Le vicende di cui si occupa l’appello, peraltro coerenti con una lunga tradizione statalista, hanno di singolare il fatto che si devono all’azione non di un governo di sinistra ma di un governo ove la destra ha un peso pari a quello della sinistra. Che un governo di sinistra possa decidere interventi di tal fatta lo si può pure capire. Perché lo esigono i sindacati e perché, nei ranghi della sinistra, sono tanti quelli che continuano a preferire l’intervento pubblico alla libera competizione di mercato.
L’unico problema fastidioso davanti al quale può trovarsi la sinistra quando statalizza è che le può accadere di mettersi in urto con quella Europa di cui si considera la più fedele interprete italiana. Come sta accadendo nella vicenda Alitalia: è difficile dar torto agli inglesi mentre chiedono la condanna dell’Italia per violazione dei trattati in materia di concorrenza. Ma che dire della destra? Non toccherebbe a lei la più fiera difesa del mercato? Non toccherebbe alla destra contrastare le pulsioni stataliste della sinistra? E invece no. Queste operazioni si sono fatte col consenso e l’attiva partecipazione del Pdl. L’anomalia italiana è che in questo Paese non è statalista solo la sinistra.
Lo è anche la destra. Si può capire, naturalmente, che sulla vicenda Alitalia il Pdl abbia la coda di paglia e voglia in qualche modo coprire l’errore che, a suo tempo, venne commesso da Berlusconi quando sbarrò il passo a Air France, ma questo da solo non dovrebbe essere un buon motivo per razzolare in modo opposto a come si predica. Non ha molto senso battersi contro l’Imu o altre tasse e poi lasciare che l’intervento pubblico dilaghi. Poiché le tasse alte sono solo un sintomo, o l’effetto, di una presenza statale che non si sa contenere né ridurre. Prima di contrapporsi fra lealisti e ministeriali quelli del Pdl dovrebbero riflettere su che cosa vorranno proporre al Paese quando arriverà il momento di farlo. Il che implica anche una presa d’atto delle ragioni di fondo dei fallimenti dei governi Berlusconi, del fatto che le (troppe) parole spese sulla «rivoluzione liberale» non fossero accompagnate da atti in grado di dare davvero senso, e credibilità, a quelle parole. Piuttosto che sui gradi di fedeltà al capo sarebbe forse più sensato, per il Pdl, dividersi tra chi pensa che non ci siano autocritiche da fare e chi pensa che sia infine necessario cambiare registro. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 19 ottobre 2013
IL PAESE DELLE OMBRE
Pubblicato il 18 ottobre, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »
Ammettere la testimonianza di Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia da parte della Corte d’assise di Palermo sarà pure «pertinente», come ha affermato ieri uno dei sostituti procuratori. Ma non può non lasciare un sottofondo di stupore e di perplessità. Gli stessi magistrati si rendono conto dell’enormità della loro mossa. E infatti, per giustificarla riconoscono limiti rigidi e ampi che toccano le funzioni del presidente della Repubblica e le esigenze di riservatezza legate al suo ruolo. Il rischio, tuttavia, è che il capo dello Stato appaia oggetto di un ulteriore strattone da parte di alcuni settori del potere giudiziario immersi da tempo in conflitti interni; e decisi a riaffermare la propria identità a costo di scaricarne gli effetti su un Quirinale che sta tentando una stabilizzazione anche nella magistratura.
È sacrosanto chiedere a tutti informazioni che possano contribuire a trovare la verità. Ma in questo caso non si può non valutare anche una questione di opportunità; e chiedersi se non sia foriero di pericolosi equivoci gettare ombre sul presidente della Repubblica, citandolo come testimone delle preoccupazioni di un suo collaboratore scomparso. In una fase in cui a livello internazionale Napolitano viene considerato uno dei pochi ancoraggi di un’Italia condannata a galleggiare nell’incertezza, la vicenda assume contorni lievemente surreali. Dietro un aggettivo come «inusuale», utilizzato ieri dalla Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, si indovina l’imbarazzo per una sentenza che accoglie e insieme schiva le decisioni della Corte costituzionale.
Si tratta del verdetto col quale a gennaio la Consulta stabilì la distruzione delle intercettazioni telefoniche tra il Quirinale e l’ex ministro Nicola Mancino, ritenendole inammissibili. Non solo. I commenti fatti a caldo da alcuni magistrati della Procura palermitana contengono giudizi negativi e liquidatori sull’ipotesi di amnistia e indulto avanzata nei giorni scorsi al Parlamento proprio da Napolitano: parole anche queste un po’ irrituali. Oggettivamente fanno sponda a quanti, nei partiti, hanno criticato la proposta del capo dello Stato, evocando un inconfessabile salvacondotto per Silvio Berlusconi: sebbene si abbia la sensazione che il vero motivo dell’attacco al Quirinale sia l’ennesimo tentativo di dare una spallata al governo delle larghe intese.
Dalla presidenza della Repubblica ieri è arrivato un comunicato nel quale si precisa di essere «in attesa di conoscere il testo integrale dell’ordinanza di ammissione della testimonianza… per valutarla nel massimo rispetto istituzionale»: risposta ineccepibile e insieme gelida, che lascia aperta la possibilità di rispondere alla Corte d’assise di Palermo in base alle tesi esposte dai giudici; e che lascia trasparire l’eventualità di un nuovo conflitto tra vertici dello Stato. Il fatto che perfino il presidente del Senato, Pietro Grasso, sia stato chiamato a deporre a Palermo, non rende l’iniziativa meno singolare, anzi. Grasso è stato a lungo ai vertici della Procura del capoluogo siciliano, e poi capo dell’Antimafia a livello nazionale. E si è attirato l’ostilità di alcuni settori della magistratura per non avere voluto avallare teoremi a suo avviso poco fondati sul piano delle prove.
C’è da sperare che quanto sta accadendo non abbia niente da spartire con una stagione apparentemente archiviata. La testimonianza richiesta alla prima carica dello Stato e al suo supplente, tuttavia, se anche non è una forzatura in punto di diritto, suona poco comprensibile dal punto di vista istituzionale. Rischia di gettare su un Napolitano rieletto per un settennato senza che l’abbia chiesto né cercato, il peso di vicende figlie di un conflitto trasversale fra spezzoni della magistratura e dei partiti: un residuo di veleni antichi e più recenti, versati su un equilibrio politico e su un sistema già fragili e tormentati. Massimo Franco, Il Corriere della Sera, 18 ottobre 2013
…….Quella di Palermo, la convocazione di Napolitano come teste in un processo che intende processare lo Stato, anche alla luce della sentenza che ha scagionato per la seconda volta il generale Mori da qualsiasi accusa di compromessi con la mafia, appare non solo inusuale, irrituale e surreale, ma anche offensiva per lo Stato e le sue Istituzioni e pone la Magistratura, o meglio una certa piccola parte della Magistratura, nella posizione di improprio “avversario” di quello Stato di cui essa è solo una parte, importante, certo, ma sempr e solo una parte, chiamata non a legiferare nè a ipotizzare improbabili complotti ma a punire delitti certi quando siano stati accertati. Infine v’è una nota tra il ridicolo e il patetico che va sottolineata: Nnapolitano dovrebbe testimoniare circa le pene intime di un suo collaboratore poi morto per malore, forse provocato da ingiuste accuse. E se Napoitano testimoniasse che il suo ormai defunto consigleire giuridico è morte di crepacuore provocato dalle accuse infondate di qualche PM in cerca di gloria, che accadrebbe? Che quel PM potrebbe finire sotto processo per responsabilità indiretta della morte di un uomo? g.
L’INDIGESTIONE DELLE DEROGHE, di Michele Ainis
Pubblicato il 14 ottobre, 2013 in Politica | No Comments »
Il governo Letta ha passato la nottata, ma per l’Italia è ancora notte fonda. Viviamo in un sistema che alleva disoccupazione e recessione, prigioniero di lobby armate fino ai denti, lacerato dal divorzio fra popolo e Palazzo. Zero efficienza economica, zero equità sociale, zero legittimazione democratica. C’è un nesso fra queste tre voragini? Sì che c’è, ma per illuminarlo dobbiamo aprire gli occhi sul quarto zero tondeggiante sullo sfondo: quello delle riforme istituzionali e costituzionali. Ci sarà pure una ragione se alle nostre latitudini fa notizia la sopravvivenza del governo, non già la sua caduta. Se ciascun potere dello Stato, nessuno escluso, appare debole ma al contempo rissoso, sleale, prepotente. Se infine il sistema nel suo complesso è incapace di produrre grandi scelte, però microdecisioni sì, e sono sempre decisioni di favore.
Le prove? Alla data del 2012 il nostro ordinamento ospitava 63 mila norme di deroga. Significa che la regola non esiste più: defunta, insieme al principio d’eguaglianza. Perché la deroga, l’eccezione, non è che l’abito normativo cucito indosso su misura a questa o a quella camarilla. E perché i sarti sono tanti, quando i Consigli regionali mettono becco sugli affari nazionali, quando le coalizioni di governo sono affollate come vagoni della metropolitana, quando ogni progetto di legge fa la spola tra due Camere, e ciascuna può aggiungervi il suo bel vagoncino colorato.
Nel 2006 il gabinetto Prodi esordì con un record planetario: 1.364 commi stipati in un solo articolo di legge. L’anno dopo diede il suo addio alle scene con una Finanziaria un po’ più magra: 97 articoli, che tuttavia in Parlamento si gonfiarono fino a diventare 151, e infine 1.201 commi. Nei suoi quattro anni di gloria, il gabinetto Berlusconi sfornò una manovra dopo l’altra, salvo rimangiarsele come il conte Ugolino. Sicché, per esempio, l’ultima (agosto 2011) dettava un contributo di solidarietà per i redditi più alti, ma alla fine della giostra il contributo restò sul collo dei soli dipendenti pubblici. Nel 2012 il gabinetto Monti annunziò una stangata fiscale per tassisti e farmacisti, il Parlamento stangò la stangata. Per forza: in Italia le manovre si varano immancabilmente per decreto, i decreti devono ottenere la conversione in legge, ma ogni decreto convertito diventa un decreto pervertito.
Da qui l’urgenza di porre mano alle riforme. Stabilendo la fine del bicameralismo paritario, una trovata che non ha eguali al mondo. Disegnando rapporti più nitidi fra il centro e la periferia del nostro vecchio impero. Attivando canali di partecipazione e decisione da parte del corpo elettorale. E in ultimo rafforzando la stabilità degli esecutivi, giacché in caso contrario anche l’economia sarà sempre instabile e precaria. Insomma, non è vero che le riforme costituzionali non diano da mangiare: semmai è questo lungo digiuno di riforme ad averci affamato. Ma a quanto pare non ne parla più nessuno. E nel silenzio degli astanti, s’ode unicamente la voce dei loro detrattori. Che però non entrano nel merito, non sanno misurarsi con la sostanza dei problemi. No: si trincerano dietro questioni procedurali (l’articolo 138) o personali, profittando di un’inchiesta che coinvolge 5 membri della commissione di studio per delegittimare l’intera commissione, quindi il suo lavoro, quindi la riforma in sé.
Un classico paralogismo: Pietro e Paolo erano apostoli, gli apostoli erano dodici, dunque Pietro e Paolo erano dodici. Come a dire che se nel mio condominio abita un clandestino, allora siamo tutti clandestini. Però siccome quella vicenda giudiziaria è ancora da chiarire, siccome fin qui volano sospetti ma non fatti, il paralogismo non è che paranoia.
Diciamolo senza troppi giri di parole: il fallimento di questo processo di riforma ucciderebbe la residua credibilità dei nostri politici. Anche delle nuove leve, dei quarantenni che stanno scalzando i loro padri. Non foss’altro perché gli italiani, viceversa, alle riforme mostrano di crederci: alla consultazione in rete indetta dal governo hanno partecipato all’incirca 170 mila cittadini, e il 13% sono giovani sotto i 28 anni. Non trasformate i credenti in creduloni. Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 14 ottobre 2013
I CONCORSI TRUCCATI IN UN PAESE ANCOERA FEUDALE
Pubblicato il 6 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »
L’inchiesta di Bari coinvolge 38 docenti, tra cui i 5 “saggi” chiamati dal governo, ma svela ciò che tutti sanno: le università sono una lobby
L’inchiesta di Bari coinvolge 38 docenti, tra cui i 5 “saggi” chiamati dal governo, ma svela ciò che tutti sanno: le università sono una lobby
Non servono i saggi per rispondere a questa domanda. Come si diventa professori universitari? Lo sanno tutti. Non basta fare il concorso. Quello è l’atto finale, la fatica è arrivarci con qualche possibilità di vincerlo.
È una corsa con regole antiche, dove la bravura è solo una delle tante componenti in gioco.
L’università è un mondo feudale. I baroni non si chiamano così per caso. Ognuno di loro ha vassalli da piazzare. Entri se sei fedele, se sei pure bravo tanto meglio. È la logica della cooptazione. Ti scelgo dall’alto, per affinità, per affidabilità, per simpatia, perché apparteniamo allo stesso partito, alla stessa lobby, allo stesso giro. I baroni si riproducono tagliando fuori i devianti, le schegge impazzite, i cani sciolti. Molti sono convinti che in fondo questo sia un buon modo per selezionare una classe dirigente.
Magari hanno ragione, magari no e il prezzo che si paga è la «mummificazione». Fatto sta che sotto il concorso pubblico ufficiale ci sono trattative, accordi, arrivi pilotati, rapporti di forza, «questa volta tocca al mio», «tu vai qui e l’altro lo mandiamo lì». La stragrande maggioranza dei futuri accademici vive e accetta questa logica. È l’università. È sempre stato così. Perché cambiare? L’importante è mandare avanti la finzione dei concorsi. È la consuetudine e pazienza se è «contra legem».
I concorsi in genere funzionano così e il bello è che non è un segreto. Poi ogni tanto il meccanismo si inceppa. Qualcuno per fortuna ha il coraggio di denunciare o i baroni la fanno davvero sporca. È quello che è successo con un’inchiesta che parte da Bari e tocca una costellazione di atenei: Trento, Sassari, Bicocca, Lum, Valle d’Aosta, Benevento, Roma Tre e l’Europea. Sotto accusa finiscono 38 docenti, ma la notizia è che tra questi ci sono cinque «saggi». Cinque costituzionalisti cari al Colle. Augusto Barbera, Lorenza Violini, Beniamino Caravita, Giuseppe De Vergottini, Carmela Salazar.
Che fanno i saggi? Solo pochi illuminati lo hanno davvero capito. Forse qualcuno ancora se li ricorda. Sono quel gruppo di professori nominati da Enrico Letta su consiglio di Napolitano per immaginare la terza Repubblica. Sulla carta dovevano gettare le basi per cambiare la Costituzione. In principio erano venti, poi per accontentare le larghe intese sono diventati trentacinque, alla fine si sono aggiunti anche sette estensori, con il compito di mettere in italiano corrente i pensieri degli altri. Risultato: quarantadue. Il lavoro lo hanno finito. Quando servirà ancora non si sa.
I cinque saggi fino a prova contraria sono innocenti. Non è il caso di metterli alla gogna. Il sistema feudale però esiste. Basta chiederlo in privato a qualsiasi barone. Ed è qui che nasce il problema politico. Questo è un Paese feudale dove chi deve cambiare le regole è un feudatario. Non è solo l’università. L’accademia è solo uno dei simboli più visibili. È la nostra visione del mondo che resta aggrappata a un eterno feudalesimo. Sono feudali le burocrazie che comandano nei ministeri, paladini di ogni controriforma. È feudale il sistema politico. Sono feudali i tecnici che di tanto in tanto si improvvisano salvatori della patria. È feudale il mondo della sanità, della magistratura, del giornalismo. È feudale la cultura degli eurocrati di Bruxelles. È feudale il verbo del Quirinale.
È stato sempre così. Solo che il sistema negli anni è diventato ancora più rigido. Lo spazio per gli outsider sta scomparendo. L’ingresso delle consorterie è zeppo di cavalli di frisia e filo spinato. La crisi ha fatto il resto. Se prima era tollerata un quota di non cooptazione dall’alto, ora la fame di posti liberi ha tagliato fuori i non allineati. E sono loro che generano cambiamento.
Il finale di questa storia allora è tutto qui. Quando qualcuno sceglie 42 saggi per pilotare il cambiamento non vi fidate. Nella migliore delle ipotesi sta perdendo tempo, nella peggiore il concorso è truccato. Il prossimo candidato vincente è già stato scelto. Il nome? C’è chi lo sa. da Il Giornale, 6 ottobre 2013
……..Nessun commento!
BERLUSCONI “ZITTISCE” IL PDL E CHIAMA AL VOTO
Pubblicato il 1 ottobre, 2013 in Politica | No Comments »
Per il Pdl doveva essere il teatro dei tormenti, e ciascuno degli attori sulla scena, falchi e colombe, Santanchè e Augello, Schifani e Quagliariello, si era preparato un discorso, ognuno pronto a recitare le sue rimostranze da cuore infranto al sovrano e di fronte alle fazioni avversarie, quasi nemiche, a mostrare i denti persino, “vorrei che dal raccontarsi di oggi venisse un senso al nostro destino”, diceva Sandro Bondi, il coordinatore fedelissimo, prima di entrare a Montecitorio. Ma alla fine la riunione dei gruppi parlamentari del Pdl, in un’aula della Camera, silenziosa e cinerea, è stato lo spettacolo d’un uomo solo, Silvio Berlusconi sul palco, riflettori puntati, tutti gli altri zitti, un’attenzione, intorno, tesa, muta, a tratti feroce, ansia di rivelazione imminente. E il Cavaliere li ha lasciati poi così, i suoi deputati e senatori, ancora incerti e malmostosi, “Berlusconi ci lascia appesi”, si lagna Fabrizio Cicchitto. Il grande capo, senza tentennamenti e senza dibattito, ha detto loro che “l’esperienza di governo è finita”, “ora mi aspetto che si dimettano anche i sottosegretari”, ma poi ha pure ritirato le dimissioni di massa dei parlamentari, ha assicurato il voto sull’Iva e sulla legge di stabilità, e non ha nemmeno accennato – mai – a come votare, mercoledì, la possibile richiesta di fiducia al governo di Enrico Letta (che tuttavia appare improbabile senza prima le dimissioni del premier).
Dietro le parole di Berlusconi, nelle sue pause e nelle sue omissioni quasi dorotee, ciascuno degli uomini del Pdl ha potuto riconoscere ciò che voleva, la piega più in sintonia con i suoi desideri. Alcune colombe sono tornate a casa con un subbuglio di speranza, “forse è confuso, ma c’è un accordo”, dice l’onorevole Sergio Pizzolante, e c’è chi racconta d’una trattativa evanescente con Letta e Napolitano, mentre sul volto di Daniela Santanchè e Denis Verdini, la Pitonessa e l’architetto della linea dura, anzi durissima, si legge uno sguardo di trionfo che stona con i racconti delle colombe. “Il partito è tutto compatto intorno a Berlusconi”, dice al Foglio la Pitonessa, ma con un’inclinazione di voce che tradisce un’esultanza nervosa, dopo giorni d’aspra contesa con i ministri Alfano, Quagliariello, Lupi e Lorenzin arrivati sul crinale d’una minaccia senza ritorno, contenuta in una parola rimbalzata da un corridoio all’altro del partito e dei gruppi parlamentari: “Scissione”, Forza Italia da una parte e il Pdl dall’altra. Nel pomeriggio, circondato da un parlottio fastidioso, strattonato dalla baruffa tra il Giornale e la ex delegazione del Pdl al governo, Berlusconi, prima di riunire i parlamentari, aveva ricevuto i ministri immusoniti, ne aveva soppesato le intenzioni, per poi rassicurarli, pur concedendo pochissimo, “pensavo fossimo tutti d’accordo, sono rammaricato se c’è stato un malinteso. Ma dobbiamo restare insieme”. Per Verdini è tutto teatro, farsa, recita, “le elezioni sono l’unico sbocco possibile, le vogliono tutti, anche Grillo, anche il Pd”, dice lui, “l’avete sentito cosa pensa D’Alema? Vuole evitare il congresso”. Per i falchi non c’è rischio di scissione, e d’altra parte dicono che Berlusconi abbia commentato così: “E dove vanno senza di me?”. Dunque non preoccupano i titoli dell’Osservatore Romano e nemmeno il ribollire dei cattolici nel Pdl, in contatto, in queste ore, con Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro, quell’agitazione che tanto ricorda l’adunata del 16 dicembre 2012 al teatro Olimpico di Roma, quando gran parte del gruppo dirigente berlusconiano sembrava pronta a consegnarsi a Mario Monti, con un manifesto che cominciava così, “noi vogliamo costruire subito una nuova alleanza riformista e modernizzatrice, la casa comune dei popolari italiani che si riconoscono nel Ppe”. Ad Arcore si mormora che Fedele Confalonieri ed Ennio Doris premano per un ripensamento del loro amico e socio, ma il Cavaliere sembra rincorrere l’idea che sia preferibile la crisi, e il rischio della morte, al ripetersi dell’identico e dell’inutile come dentro a un labirinto di specchi. Salvatore Merlo, Il Foglio, 1° ottobre 2013
…..Merlo non è una penna di sinistra e il Foglio è il quotidiano di Giuliano Ferrara, per cui nussuno può dubitare della assoluta non faziosità di questo commento di Merlo alla assembela dei parlamentari del PDL (non aveva cambiato nome?) di ieri a Roma. A leggerlo, dopo aver visto e sentito i commenti di parte già ieri sera, balza agli occhi che la crisi del centrodestra berlusconiano non si è chiusa ieri sera con una assemblea dove a nessuno è stato consentito di parlare, ma, anzi, si è aperta ancora più profonda e forse in maniera irreversibile. Peccato. Ci avevamo creduto con la buona fede del militante, invece sembra sempre più probabile che dobbiamo , noi popolo di centrodestra, riprendere una lunga traversata del deserto. Ma non cifa paura perchè ci sorreggono i nostri Valori che sono irrinunciabili. g.
FORZA ITALIA: OGGI ALLE 17 LA RESA DEI CONTI TRA FALCHI E COLOMBE
Pubblicato il 30 settembre, 2013 in Politica | No Comments »
Nessuno dividerà il Pdl. Silvio Berlusconi ne è convinto e non esita a ripeterlo. Parole, quelle dell’ex capo del governo, che cercano di ridimensionare l’evidente caos che anima il Pdl e la guerra tra falchi e colombe, ormai venuta alla scoperto. Una miscela che sta portando il partito ad un passo dalla spaccatura sulle sorti del governo. La decisione di accelerare la crisi annunciando la fine del sostegno all’esecutivo e le dimissioni della delegazione ministeriale ha fatto esplodere un pesante malumore tra i dirigenti. Prese di distanza e accuse reciproche come non si era mai visto e sullo fondo il rischio, paventato allo stesso Cavaliere, di scissioni nel momento in cui il partito sarà chiamato alla conta in Parlamento sul voto di fiducia. Il redde rationem è fissato per oggi pomeriggio quando alla Camera si terrà la riunione congiunta dei gruppi di Camera e Senato alla presenza di Berlusconi per decidere cosa fare. Che il rischio di una spaccatura sia nell’aria è la paura di molti. Ecco perché il Cavaliere ha intenzione di arrivare all’incontro con una strategia ben definita provando a far rientrare la frattura in un vertice ristretto a via del Plebiscito. Domani a palazzo Grazioli incontrerà i capigruppo, i coordinatori ma soprattutto Angelino Alfano. E, con il segretario del Pdl che le distanze in questo momento sono più evidenti. Il vice premier non ha gradito di essere rimasto tagliato fuori dalla decisione del Cavaliere di diramare la nota per ufficializzare la crisi. E così dopo 24 ore di pressing dell’ala governativa e di molti dirigenti del Pdl, che individuano in Denis Verdini e Daniela Santanché i cattivi consiglieri, responsabili del precipitare degli eventi, il segretario del partito decide di mettere nero su bianco la sua contrarietà alla gestione della situazione.
Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin sono lontani dall’idea di Forza Italia che hanno in mente i falchi del partito. Al di là delle tensioni dei governativi, il Cavaliere deve fare i conti anche con il dissenso che ormai traspare nei gruppi parlamentari. Ed in particolare tra le fila dei senatori, tenute sotto stretta osservazione per l’alto rischio smottamento nel momento in cui Letta sarà chiamato a chiedere la fiducia. Sorprese non si escludono nella pattuglia siciliana anche se Gianfranco Micciché ha smentito l’idea di sostenere il governo delle tasse. Osservato speciale è anche Maurizio Sacconi, contrario a derive estremiste del partito. Poi c’è Gaetano Quagliariello, ormai considerato fuori dal partito: secondo fonti Pdl, starebbe da tempo lavorando per arruolare senatori per sostenere Letta.
Numeri e scissioni certi non ce ne sono perché tutto dipenderà da quello che dirà Silvio Berlusconi nei due incontri, a Palazzo Grazioli e alla Camera. L’obiettivo dell’ex capo del governo sarà quello dunque di trovare un compromesso riconoscendo ad Alfano un ruolo di primo piano. E magari ridimensionando i cosiddetti falchi in modo da tenere il Pdl unito nel momento della conta in parlamento.
“Io ho espresso più una forte opposizione alla decisione di far dimettere i nostri parlamentari. E’ vero che era un fatto simbolico e soprattutto un fallo di reazione, perché per prima ha sbagliato la sinistra, ma ad un fallo non si risponde con una testata sennò si perdono le partite”. Lo ha detto Gaetano Quagliariello, ministro dimissionario per le riforme, a La telefonata di Belpietro. “Credo – ha aggiunto – che quello sia stata la madre di tutti gli errori, da cui siano discesi tutti gli altri. Penso che siano state fatte le cose un po’ affrettatamente, ma prima di sganciare l’atomica bisognava fare una serie di passi”. Oggi, alla riunione delle 17 dei gruppi del Pdl, “Discuteremo – ha detto Quagliariello – spero a volto scoperto, apertamente su che cosa è meglio fare in questo situazione”. La Stampa, 30 settembre 2013
….Questo che pubblichiamo è il commento meno fazioso – da una parte e dall’altra – sulle vicende interne al partito che fu – doveva essere- il partito di tutti i moderati italiani, finalmente riuniti sotto una sola bandiera, un solo simbolo,un solo obiettivo, e che invece rischia fortemente non solo di spaccarsi, di dividersi, forse anche di trasformarsi in un fantasma di ciò che doveva essere e non è stato. Di sicuro, comunque vadano oggi le cose alla riunione dei gruppi parlamentari ex PDL, ritrasformatosi in Forza Italia senza alcun “passaggio” formale come avviene di solito nei partiti retti con statuto democratico, qualcosa si è rotto e difficilmente, come insegnava quasi un secolo addietro Pirandello, potrà più rincollarsi. La sensazione che la strategia sia stata sostituita dalla tattica nelle scelte politiche, senza respiro se non l’invocazione del ritorno alle urne con tutti i punti interrogativi che le urne normalmente pongono, è difficilmente smentibile e di per sè crea non pochi problemi, specie nelle periferie elettorali, dove vivono, anzi sopravvivono, gli elettori alle prese con il difficile barcamenarsi tra tasse, balzelli, difficoltà di ogni genere e che si domandano perchè mai si ponga fine al governo fino ieri rappresentato come il grande capolavoro dello statista Berlusconi, da questi invece messo in crisi proprio quando doveva cogliere i risultati concreti per i quali era stato fatto nascere. Forse, come adombra il commento della Stampa, prevarrà in molti la tutela del “personale” esistente rispetto alle attese del popolo nel cui nome si dichiara di operare, forse no, ma qualsiasi decisione sarà assunta, di certo lascerà il segno nella vasta area dei moderati italiani che avranno la sensazione di essere rimasti di nuovo, ancora una volta, senza guida e rappresentanza, come da centanni a questa parte. g.
IL FALO’ DELLA SERVITU’, di Antonio Polito
Pubblicato il 27 settembre, 2013 in Politica | No Comments »
Pare che circolino dei moduli prestampati per consentire ai parlamentari del Pdl di presentare le loro dimissioni senza star lì a perder tempo. Ma poiché la Costituzione dice che il parlamentare è senza vincolo di mandato, e questa assomiglia molto a una servitù di mandato, si precisa che chi vuole può anche scriversela di suo pugno la lettera, con le motivazioni che preferisce, purché la firmi. A questo il Porcellum ha ridotto il Parlamento, e non solo a destra per la verità: a un bivacco di subordinati.
Ma del resto quasi tutto è senza precedenti in questa storia delle dimissioni di massa postdatate. Al punto che il presidente della Repubblica ha sentito il dovere di alzare la voce come non aveva mai fatto prima, condannandola con parole durissime, segnalandone la «gravità e assurdità». Napolitano l’ha interpretato come un atto che porta il gioco politico già estremo di queste settimane oltre il segno, oltre un punto di non ritorno. Le dimissioni dei ministri del Pdl avrebbero sì aperto una crisi di governo; ma le dimissioni dei parlamentari aprirebbero una crisi costituzionale, mettendo in conflitto tra di loro i poteri dello Stato. Esse minacciano, cioè, un atto al limite dell’eversione (la serrata del Parlamento) per protestare contro ciò che si definisce un «atto eversivo» (un voto del Parlamento sulla decadenza).
Berlusconi sembra dunque sperare che la decadenza dell’intero Parlamento possa rendere meno amara la inevitabile fine della sua vita parlamentare. Coinvolgendo le istituzioni nel proprio destino giudiziario, accetta però il teorema dei suoi nemici, che vorrebbero ridurre la sua storia politica ventennale a una vicenda di processi e di condanne. E toglie le castagne dal fuoco a chi nel Pd alimenta da mesi il falò dell’intransigenza, diventando lui il sicario di un governo in realtà mai digerito a sinistra.
Ma tant’è: da oggi si può davvero dire che l’esecutivo Letta è al capolinea. Non avrebbe senso assumere altri impegni di bilancio, per evitare l’aumento dell’Iva o il ritorno dell’Imu, quando non si sa chi potrà rispettarli. Il presidente del Consiglio deve dunque fare la cosa giusta e istituzionalmente corretta: andare alle Camere per verificare se ne ha ancora la fiducia. In questi mesi, anche per gli errori di un governo che ha sommato invece di selezionare le pretese dei partiti, Letta non è riuscito a domare il fronte di chi voleva le elezioni a febbraio e che ha sfruttato la vicenda giudiziaria di Berlusconi per averle. Ora non gli resta che l’ultima carta: rimettere al centro la ragione per cui è nato.
Il 15 di ottobre, infatti, non è solo la data in cui Berlusconi andrà agli arresti domiciliari o ai servizi sociali. È anche il termine per presentare la legge di Stabilità, e cioè il principale strumento di politica finanziaria dello Stato. Senza di quello, l’Italia può tornare nel gorgo dove stava affogando nel novembre del 2011. Due anni di lacrime e sangue vanificati in un istante. Vediamo chi vota per la rovina nazionale. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 27 settembre 2013
….Ciascuno legga questo nota di Polito, come crede, resta il fatto che al di là di tutto esprime il disagio, la preoccupazione, la paura, forse anche la disperazione di chi ancora fidava nella capacità della politica – servizio e non strumento – di affrontare con lucidità i problemi del Paese e della sua gente. Ed è costretto a ricredersi. g.
MACCHE’ AN, BISOGNA RIFONDARE LA DESTRA, di Marcello Veneziani
Pubblicato il 24 settembre, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »