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NON FACCIAMOCI PROCESSARE NELLE PIAZZE E NELLE AULE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 17 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

Sintesi del primo round post elettorale. Primo: la magistratura conquista la seconda carica dello Stato grazie all’elezione a presidente del Senato di Piero Grasso, già pm e procuratore antimafia. Secondo: i comunisti, con Laura Boldrini (una terzomondista, giustizialista e arrogante) si prendono la terza carica, quella di presidente della Camera. Terzo: i grillini dell’antipolitica si concedono subito il più classico dei riti politichesi, l’inciucio: grazie ad alcuni di loro infatti Bersani ha ottenuto i voti necessari per fare eleggere Grasso al Senato. Quarto: Monti si è definitivamente bruciato dimostrandosi per quello che è: un pasticcione egocentrico e incapace che dopo quella elettorale incassa un’altra umiliazione, tentando inutilmente di farsi eleggere presidente del Senato. Quinto: chi nel Pdl pensa ancora che con tutta questa gente si possa dialogare o cavare un ragno dal buco esce scornato: noi liberali saremo soli a difendere i nostri diritti, le nostre libertà e il nostro presidente Silvio Berlusconi, inseguito anche ieri da pm impazziti.

Morale: magistrati e comunisti, con l’aiuto di quel furbetto in malafede di Grillo, dopo aver preso possesso delle istituzioni ora proveranno a prendere quello del Paese. Non c’è progetto politico, solo la voglia di sovvertire il risultato delle elezioni togliendo di mezzo il centrodestra che alla vigilia era stato dato per morto ma che nelle urne morto non era. Non ce la faranno, perché governare è un fatto politico e non aritmetico, ma è sicuro che le proveranno tutte.
Ieri, nel suo discorso di insediamento, Piero Grasso ha ricordato Aldo Moro, di cui ricorreva l’anniversario del sequestro. Ha detto, il neopresidente del Senato, tante parole retoriche sullo statista ucciso dalle Br, ma ha volutamente omesso quelle più importanti, urlate da Moro in faccia a magistrati e giustizialisti: «Sia chiaro a tutti, la Dc non si farà processare nelle piazze e nelle aule». Un altolà che calmò gli animi e riportò buonsenso. Ecco, rompiamo noi i troppi silenzi e l’omertà dello smemorato neopresidente del Senato: attenti, noi moderati e liberali non ci faremo processare nelle piazze e nelle aule. Perché la questione la si risolve nelle urne. Anche se la piazza, sia chiaro, non ci fa paura e se sarà il caso sapremo usarla. Il Giornale, 17 marzo 2013

.………..E, aggiungiamo noi, non possiamo consentire che il cenrodestra venga vilipeso da qualche giornalistina da quattro soldi. E’ accaduto oggi, in Tv, su RAI 3, nell’intervista ad Alfano da parte della signora Annunziata, che vanta tanti meriti ma ovunque sia andata ha collezionato altrettanti flop. Costei, saccente e sprezzante, rivolta ad Alfano che rivendicava al centrodestra il diritto di indicare il nuovo Capo dello Stato dopo l’occupazione militare del Parlamento da parte del PD e la elezioni degli ultimi tre capi di stato di sinistra, la giornalista,   dipendente del servizio publico, pagato e pagata  con i soldi dei contribuenti italiani, tra cui i 10 milioni di elettori che appena due settimane fa hanno votato centrodestra, si è permessa di definire “impresentabile” il centro destra. Incalzata da un furente e pur calmo Alfano che ironicamente, ma non troppo, le ha chiesto dall’alto di quale cattedra etica si fosse permessa di insultare il centrodestra, la balbettante giornalista si è giustificata citando il caso della “marcia” dei parlamentari del PDL dinanzi al Tribunale di Milano. Una toppa peggiore del buco. Perchè quella di “marciare”  è un diritto  sacrosanto di tutti e quello di farlo davanti al Tribunale di Milano altrettanto e altrettanto lo è quello di entrare nel Tribunale di Milano che giudica ed emette sentenze “in nome del popolo italiano” del quuale i parlamentari sono gli unici, legittimi rappresentanti. Lo ha ricordato con forza Alfano, che però, per buona educazione, forse, ha dimenticato di invitare la giornalista che si issa da sola sul podio delle ovvietà che forse le conviene fare ripetizione della Cosituzione in nome della quale c’è chi, come oggi  la Annunziata, sciorina incredibili corbellerie. g.

LA NON POLITICA E I SUOI CALCOLI, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 17 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

Con l’elezione alla presidenza delle Camere di Pietro Grasso e di Laura Boldrini, grazie ai voti della coalizione di sinistra animata dal Partito democratico, che li aveva eletti – si consuma definitivamente quella lunga storia della Sinistra italiana che per settant’anni ha avuto al suo centro l’esperienza comunista, e della quale quel partito è stato fino a oggi in qualche modo la prosecuzione.

Una lunga storia, dicevo: che nei decenni passati ha visto già sedere sul più alto scranno di Montecitorio quattro suoi eminenti rappresentanti: Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Giorgio Napolitano e Luciano Violante. Basta per l’appunto ricordare quei nomi per misurare l’ampiezza senza misura della frattura che oggi si consuma a sinistra. Non si tratta delle idee. È ovvio che i valori e le visioni del mondo delle persone che oggi sono investite delle due massime cariche parlamentari siano molto diversi da quelli dei loro predecessori ricordati sopra. Ma ciò che innanzitutto colpisce è quanto siano sideralmente distanti le rispettive biografie. In sostanza, infatti, nelle biografie degli attuali presidenti del Senato e della Camera non ha il minimo posto la politica; che invece è stata la vita e la passione inesausta degli altri.

Intendo la politica come scontro di idee, esperienza di conflitti sociali, come elaborazione di strategie di lotta, come partecipazione ad assemblee elettive e pratica nell’attività deliberativa e legislativa: nulla di tutto questo c’è nel passato di Grasso o di Boldrini. Non si tratta di stabilire se ciò sia un bene o un male. Quel che importa notare è che qui c’è un punto di diversità assoluta rispetto a quella che per decenni, viceversa, è stata la vita concreta (e aggiungo l’ideale di impegno civile) degli uomini e delle donne che si sono riconosciuti nella Sinistra. Alla quale peraltro non risulta che fino a ieri né l’uno né l’altra abbiano mai detto di appartenere. Si può allora forse dire che l’elezione di Grasso e di Boldrini segni non tanto una vittoria dell’antipolitica quanto piuttosto, in senso proprio, della non politica.

È come se quella Sinistra che viene da lontano (e la parte cattolica che da tempo le si è aggiunta) si fosse convinta di non poter più trovare al proprio interno, nella propria storia, né volti, né voci, né biografie capaci di rappresentarla veramente. Come se essa giudicasse ormai irrimediabilmente inutilizzabile la propria vicenda politica, vicina e meno vicina: in un certo senso le proprie stesse radici. Rifiutatasi dopo essere stata comunista di divenire socialdemocratica, e sempre in preda all’antica paura di dispiacere a sinistra, la cultura politica del Partito democratico sembra aver smarrito il filo di qualunque identità che si colleghi al suo passato. Sicché oggi le è apparso naturale designare ai vertici della rappresentanza del Paese da un lato un importante membro della magistratura inquirente, dall’altro una apprezzata funzionaria internazionale, impegnata nella difesa dei diritti umani.

Certo, dietro tale designazione c’era evidentemente anche un calcolo politico. Quello che, presentando candidature ben viste a sinistra, il Pd riuscisse finalmente ad agganciare i grillini, nella speranza di portarli domani ad appoggiare il tentativo di un governo Bersani. A tale obiettivo è stato consapevolmente sacrificato vuoi ogni residuo rapporto con il Centro di Monti, vuoi ogni eventuale avvio di negoziati armistiziali con il Pdl e con la Lega. È quanto mai dubbio, però, che una manciata di voti grillini per il presidente Grasso annunci davvero una conversione del Movimento 5 Stelle e l’alba di un nuovo ministero. Assai più probabile, dopo questa giornata, è che sull’orizzonte italiano si allunghi, invece, solo l’ombra di elezioni anticipate.

LA MARCIA DELLA LIBERTA’, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 12 marzo, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

Era dal 1980 che i moderati non scendevano pacificamente in piazza. Era ottobre e 40mila dirigenti della Fiat sfilarono per le vie di Torino contro i sindacati che avevano paralizzato la fabbrica con scioperi, picchetti e violenze quotidiane.

Chiedevano, i dirigenti, la libertà di lavorare. Ieri erano solo, si fa per dire, in duecento, quanti sono i deputati e senatori del Pdl. Hanno marciato su Palazzo di giustizia di Milano per manifestare contro quella magistratura che ha sferrato un attacco micidiale per togliere dalla scena politica Silvio Berlusconi. Ormai siamo oltre l’accanimento, c’è chiara la volontà di umiliare un imputato, di farlo passare per malato immaginario quando fior di specialisti di fama internazionale giurano sulle precarie condizioni del suo cuore e dei suoi occhi.
Il clima d’odio montato dalle Procure ha raggiunto livelli da barbarie e pericolosamente coinvolto anche gli specialisti che hanno in cura il presidente. Insulti e minacce non stanno risparmiando neppure il professor Zangrillo, primario del San Raffaele e medico privato di Berlusconi, al quale invece andrebbero le scuse della Boccassini per aver messo in dubbio le sue diagnosi, confermate ieri pomeriggio dai periti medici nominati dal tribunale.
Quel far west che era la Fiat di trent’anni fa, e che originò la marcia silenziosa dei giusti, è molto simile al far west di oggi delle Procure: abusi, arbitri, violenze, la legge sterzata a uso e consumo personale da parte di una categoria, quella di pm politicizzati, che per ben 24 volte negli ultimi 18 anni ha dato l’assalto a Berlusconi senza riuscire a ottenere una sola condanna definitiva tanto erano infondate le accuse.
La manifestazione di ieri ha placato per qualche ora la furia delle toghe, nonostante da Napoli sia arrivata la richiesta per un nuovo processo. Ma per andare oltre occorre tenere il problema sul piano politico. Serve un segnale forte di pacificazione che ripristini un senso di giustizia e di garanzia per gli oltre otto milioni di italiani che hanno appena riconfermato fiducia in Silvio Berlusconi e nel Pdl. Oggi il segretario Alfano ne parlerà con il presidente Napolitano, dal quale ci si aspettano parole importanti. Altrimenti la battaglia, oltre che nelle piazze, si sposterà in Parlamento con forme e modi drastici. Perché, come dimostrato ieri, senatori e deputati del Pdl non sono più disposti, finalmente, a sopportare oltre. Nel caso, e per quel poco che conta, avranno tutto il nostro appoggio. Il Giornale, 12 marzo 2013

………………La marcia dei 40 mila dipendenti della Fiat,  lungo le strade di Torino, per lo più operai e quadri, stanchi delle soperchierie dei sindacati rossi fu un segnale ma anche la tromba che suonò la carica della riscossa della gente comune che voleva lavorare  e anche più semplicemente non subire le angherie di prepotenti che si nascondevano dietro il paravento sindacale per nascondere la loro indole e i loro obiettivi. La “marcia” segnò uno spartiacque nella storia italiana, ponendo fine alla stagione delle violenze rosse che avevano insanguinato il Paese. Ora c’è un’altra la violenza, quella che che taluni pm politicizzati perpetrano nelle aule di giustizia, trincerandosi dietro l’autonomia dell’ordine giudiziario  e  talvolta dietro il principio della obbligatorietà dell’azione penale per sferrare attacchi inauditi ai dirigenti e milianti di destra. Autonomia che spesso invece sono gli stessi magistrati a violare e l’obbligatorietà dell’azione penale che vale verso alcuni ma non per tutti. Ciò accade anche perchè l’ordine giudiziario non è sottoposto ad alcun controllo ma ad un organo interno alla giustizia, il che rende spesso problematico ottenere per loro ciò che essi chiedono per i comuni cittadini: rispetto della legge e prima ancora rispetto per il bene più prezioso, cioè la libertà personale. E’ di queste ore la notizia, clamorosa, che le fotografie che avrebbero dovuto inchiodare Ottaviano Del Turco, all’epoca del suo clamoroso e scenografico arresto, presidente dell’Abbruzzo, alle sue responsabilità di percettore di tangenti,  non  mostravano un bel niente benchè il procuratore dell’Aquila assicurò  che la loro visione era la prova decisiva. Oggi in Aula l’avvocato di Del Turco ha mostrato le foto nelle quali non è ritratto  un bel niente per cui la prova regina è svanita nel nulla, mentre restano le accuse di un imprenditore che da subito apparve poco credibile ma le cui accuse, si disse, erano suffragete da prove. Prove oggi svanite mentre resta la gogna mediatica cui fu sottoposto Del Turco, costretto a dimettersi e ridotto in carcere come un malfattore. Nessuno conosce l’esito del processo ma sin d’ora ci chiediamo: quel procuratore che sulla scorta di fotografie inesitenti ordinò l’arresto di Del Turco pagherà per il suo errore? E’ solo questa, o almeno questa,  la riforma che vogliamo della giustizia. Che paghino anche i magistrati che sbagliano, come qualsiasi altro. g.

BARBARI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 10 marzo, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

Se dei presunti intellettuali, come è successo ieri dalle colonne di Repubblica, fanno un appello a un comico capo partito, allora vuole dire che il Paese è davvero alla frutta. Vedere questi tromboni di sinistra alla Barbara Spinelli in ginocchio davanti a Grillo è un vero spettacolo: ti preghiamo, ti scongiuriamo, sostieni Bersani, dicono in lacrime. Non hanno coraggio né dignità, sono uno scarto della società che ha solo paura di perdere per sempre. Via Berlusconi, avevano pensato, finalmente tocca a noi. E invece niente, si ritrovano appesi al pollice di Grillo strozzati nella loro boria.

Non meritano ascolto. Sono patetici, pensano di rappresentare un Paese che esiste solo nei loro salotti e nei loro giornali. E nelle Procure che assetate di sangue pensano di poter sparare il colpo alla nuca a Silvio Berlusconi. Quello che è successo ieri a Milano va oltre l’accanimento, siamo alla barbarie, a un Piazzale Loreto due punto zero. Berlusconi è malato in ospedale, fior di primari hanno certificato la sua impossibilità a presenziare all’ennesimo processo. Niente, i periti del tribunale hanno ammesso la malattia ma sostengono che se trasportato in ambulanza, l’ex premier può essere domani in aula. Lo vogliono finire anche fisicamente, da Napoli rimbalza la voce di una possibile richiesta di arresto sul caso dei parlamentari di sinistra passati al centrodestra. Se ci sarà una nuova campagna elettorale, come probabile, Berlusconi dovrà essere o morto o in galera, perché così hanno deciso. E non importa che nella sola ultima legislatura 161 parlamentari abbiano cambiato casacca per motivi più o meno nobili in base a un diritto costituzionale (non esiste il vincolo di mandato).

Non importa che Prodi non cadde per il tradimento di De Gregorio (il parlamentare passato col centrodestra e finito sotto inchiesta) ma per un’inchiesta giudiziaria di tale pm De Magistris, oggi sindaco di Napoli, che coinvolgeva l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Ormai la verità non conta, sono bestie che sentono l’odore del sangue del nemico braccato e ferito e hanno la bava alla bocca. Vogliono esibire il corpo di Berlusconi, ma cercano tutti noi, i nostri ideali e le nostre libertà. Sono dei pazzi, nel senso clinico della parola, vanno fermati. Possiamo farlo solo noi alzando la voce. Non so che cosa deciderà di fare Berlusconi. Il mio consiglio non richiesto è di non consegnarsi, non arrendersi. Se sarà necessario combattere, lo faremo. Per noi, oltre che per lui. Il Giornale, 10 marzo 2013

……La prima Repubblica cadde per mano di un analfabeta, la seconda per mano di un superburocrate, la terza, appena nata,  rischia di cadere per mano di un manipolo di giudici, tutti aspiranti Vysinskij, il famigerato pubblico ministero di Stalin che mandò a morte decine di migliaia di oppositori del feroce  dittatore russo. Ma se tutto ha un limite, a noi sembra che questo limite sia stato raggiunto e ampiamente superato. Il PDL,  se c’è,  anche oltre la preparazione  delle liste dei nominati, questo è il momento di dimostrarlo. g.


GRAZIE GIUDICI…. BERLUSCONI ORA PRENDERA’ PIU’ VOTI

Pubblicato il 9 marzo, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

La persecuzione giudiziaria contro Silvio Berlusconi non s’arresta dinanzi a nulla. Neanche dinanzi a certificati malesseri agli occhi che secondo medici diversi da quelli ospedalieri dove è ricoverato Berlusconi non impediscono a Berlusconi di parteciapre oggi ,a differenza di ieri, all’udienza in corso per il processo d’appello per i diritti Mediaset per il quale in primo grado Berlusconi è stato condannato a 4 anni e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Non v’è chi non constati il particolare accanimento di certa “giustizia” che fa durare un modesto contenziosi civile anche una quindicina d’anni tra rinvii, scioperi, sospensioni… Ma Berlusconi è diverso. Da vent’anni assistiamo ad una speciale caccia alla volpe dove la volpe è Berlusconi e i suoi cacciatori  agiscono in nome e per conto…. E’ una inciviltà giuridica senza precedenti, come altrettanto incredibile è la pretesa dell’Associazione magistrati che vorrebbe  proibire il libero esercizio della protesta da parte della gente, dei circa 10 milioni di elettori che appena 2 settimane fa hanno tributato consenso e fiducia a Berlusconi dimostrando così di non fregarsene più di tanto di cosa lui faccia sotto le lenzuola di casa sua sotto le  quali invece prurigionosi pubblici ministeri si sono infilati a curiosare. L’accanimenmto è così evidente che di per sè è ragione per cui chi lo ha votato lo continuerà a votare. E a giugno, se si vota a giugno o comunque quando si voterà di nuovo, Berlusconi, non il PDL, ma Berlusconi,  prenderà più voti di quanti non ne ha presi lo scorso 24 febbraio: anche questo è un modo per  esprimere la protesta contro un sistema che fa acqua da tutte le parti e si autoassolve perseguitando in maniera così sfacciata Silvio Berlusconi al quale oggi, più di ieri, esprimiamo la nostra solidarietà. g.

…….Credo che Madame Boccassini  muoia dal desiderio di  sbattere Berlusconi in galera e buttare via la chiave…….ma dopo averlo fatto non rischia di  rimanere senza il suo hobby preferito? non rischia di  rimanere  senza il suo LAVORO preferito?  e poi con chi se la prenderà? quale sarà più la sua ragione di vita? come farà senza fare  la caccia a Berlusconi? dovrà poi essere costretta a ritornare a fare quello che deve fare un magistrato? ma forse quello  è un ruolo che non le si addice più…. signora Boccassini la prego lasci stare altrimenti potrebbe stare male e ammalarsi…….POI LE MANDANO LA VISITA FISCALE!  Francesco.

IL FANTASMA SENZA TEMPO, di Angelo Panebianco

Pubblicato il 6 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

Chi pensa che la democrazia necessiti di governi forti, dotati di tutti gli strumenti istituzionali necessari per attuare le proprie promesse elettorali, è un pericoloso golpista, un fautore di disegni autoritari, un nemico della «vera» democrazia? Da più di trenta anni è sempre a questa domanda che siamo inchiodati tutte le volte che insorgono conflitti intorno a progetti di riforma costituzionale. Oggi, una classe politica con un piede nella fossa (come Grillo, graziosamente, le ricorda ogni giorno), potrebbe avere interesse a non dare a quella domanda la risposta che è fin qui sempre prevalsa.

Senza una radicale ristrutturazione delle loro offerte politiche, centrosinistra e centrodestra non riuscirebbero a invertire la corrente, a riconquistare i consensi perduti. Ma la ristrutturazione dell’offerta politica è possibile solo se vengono cambiate le regole del gioco. Diversi editorialisti di questo giornale hanno ricordato, nei giorni seguiti alle elezioni, che la condizione di stallo in cui siamo potrebbe essere avviata a soluzione, se si realizzasse uno scambio virtuoso (fra sistema maggioritario a doppio turno e semi-presidenzialismo). Se si trovasse la volontà politica, basterebbero pochi mesi per fare tutto. Poi si tornerebbe a votare.
Ma occorrerebbe un consenso almeno sul fatto che la democrazia necessiti di quella stabilità che solo governi istituzionalmente forti sono in grado di assicurare, e che maggioritario e semi-presidenzialismo servono a quello scopo.
La Costituzione vigente fu redatta quando incombeva il fantasma del tiranno e il Paese era spaccato fra comunisti e anticomunisti. Si scelse di costruire un sistema di governo fondato sulla permanente debolezza degli esecutivi. E da lì non ci siamo mai schiodati. La fine della Guerra fredda aprì una «finestra di opportunità»: la riforma elettorale maggioritaria dei primi anni Novanta doveva favorire un cambiamento della forma di governo ma poi, con il fallimento della Bicamerale (il mancato accordo fra Berlusconi e D’Alema nella Commissione per le riforme costituzionali presieduta da quest’ultimo nel 1997), quella finestra si richiuse. Forse ora, proprio perché si trova con le spalle al muro, la classe politica potrebbe finalmente fare ciò che non seppe fare allora. Per riuscirci dovrebbe sconfiggere radicati e diffusi pregiudizi. Secondo i quali è un bene che l’Italia, unica fra le grandi democrazie europee, manchi dei requisiti istituzionali necessari per dare stabilità e forza ai governi.
Tutte le volte che la nostra forma di governo viene messa in discussione, nel Paese parte la mobilitazione dei «Giù-le-Mani-dalla-Costituzione-Boys» (acronimo: GMCB), una variopinta compagnia di ultraconservatori, spesso travestiti da progressisti, afflitti da inguaribile provincialismo. Così provinciali da non essersi mai degnati di studiare seriamente costituzioni e prassi degli altri grandi Paesi europei.
A riprova del fatto che non basta intervenire sulla legge elettorale per uscire dai guai si consideri la questione del bicameralismo simmetrico (due Camere con uguali poteri). È oggi quasi impossibile per chiunque (fanno fatica a farlo persino i GMCB) difendere un simile obbrobrio. Ma perché i venerandi costituenti si macchiarono di tale colpa? Erano forse stupidi o pazzi? Non lo erano.
Il bicameralismo simmetrico serviva al loro scopo, era coerente con il disegno costituzionale nel suo insieme, quello che condannava l’Italia ad avere sempre governi istituzionalmente debolissimi. Assicurando alle varie frazioni parlamentari, grazie anche al bicameralismo simmetrico, i margini di manovra e la chance per stravolgere ogni decisione governativa.

Una cosa è il potere (che a nessun Parlamento può essere negato) di respingere i provvedimenti del governo, tutt’altra cosa è il potere di stravolgerli sistematicamente, di svuotarli dall’interno. È questo potere che la nostra Costituzione esalta. Per inciso, Mario Monti voleva dire proprio questo quando, qualche mese fa, affermò che i governi non dovrebbero essere alla mercé dei Parlamenti, suscitando la reazione sdegnata dei tedeschi (i quali però non sanno che il loro Parlamento non ha lo stesso potere che ha il nostro di «conciare per le feste» i governi, di fare carne di porco dei loro provvedimenti). Le tanto lodate riforme del lavoro che fece a suo tempo il governo Schröder in Germania sarebbero impossibili in Italia (come si è visto nella vicenda della riforma del lavoro targata Fornero). Due Camere con uguali poteri erano, e sono, una garanzia di governi sempre in balia di qualunque frazione, o sottofrazione, parlamentare, e di massima lentezza e inefficienza dei processi decisionali. Più in generale, la debolezza istituzionale dell’esecutivo era, ed è, una assicurazione contro gli eventuali pruriti riformatori di questo o quel governo.
E naturalmente i regolamenti parlamentari vennero costruiti in modo coerente con il disegno costituzionale di cui sopra: fortunate, ad esempio, sono quelle democrazie (parlamentari o semi-presidenziali) in cui quasi nessuno ricorda i nomi dei presidenti delle Camere in carica, talmente irrilevanti, istituzionalmente e politicamente, sono le loro funzioni.
Basterebbero pochi mesi per dare alle istituzioni quella forza e quella efficienza la cui mancanza, alla fine, ha pesantemente e pericolosamente logorato la Repubblica. Non ha senso rassegnarsi a quel logoramento solo per fedeltà alle scelte contingenti (e, all’epoca, giustificate) di uomini – i costituenti – che uscivano da venti anni di dittatura. Il Corriere della Sera, 6 marzo 2013

.…….E’ sacrosanto: prima della riforma della legge elettorale, è necessaria  ed improcastinabile la riforma dell’assetto istituzionale dello Stato e dei poteri del governo. Altrimenti non si esce dall’imbuto, o, come ha scritto ieri Ainis, dall’ingorgo. Sono le cose che va dicendo da tempo Berlusconi il quale ha un  demerito ed un merito. Il demerito è quello di aver fatto saltare nel 1997 il tavolo delle riforme presieduto da D’Alema, il più “cattivo” dei postcomunisti ma anche il più intgelligente. Il merito è quello di aver varato (nonostante e contro Casini e Fini) alla fine del quinquenio 2001-2006 la riforma costituzionale (che tra l’altro poneva fine al bicameralismo perfetto,  oggi lamentato da Panebianco) che però non avendo ricevuto il suffragio dei due terzi del Parlamento dovette essere sottoposta al referendum confermativo che invece non la confermò. E quasi dieci anni dopo ci ritroviamo al punto di partenza, anzi all’interno di un tunnel del quale non si intravede nè la fine nè la luce, come coferma il rifuto poche ore fa di Bersani ad un governo che coinvolga il PDL , finalizzato appunto alle riforme, senza delle quali nè si governa, nè si ferma il populismo, questo si davvero tale, di Grillo. Insomma siamno al 1997, con i due contendenti che non trovano la “quadra”, direbbe Bossi, a tutto discapito degli italiani. g.

L’INGORGO DELLE SCELTE, di Michele Ainis

Pubblicato il 5 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

L’ingorgo delle scelte

Un vecchio regolamento ferroviario del Kansas innalzava un monumento alla prudenza: «Quando due treni s’incrociano sul medesimo binario devono fermarsi entrambi, e nessuno dei due può ripartire se non sia prima ripartito l’altro». Eccola qui, in questa norma paradossale e assurda, la fotografia dello stallo in cui ci siamo ficcati. Ma il paradosso investe pure il capostazione, non soltanto noi viaggiatori immobili. Perché è a lui, Giorgio Napolitano, che tocca dirimere l’ingorgo; e perché il Quirinale è a sua volta intrappolato in un ingorgo, dato che a metà aprile le Camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente. Qualora viceversa il nuovo coincidesse con il vecchio, tireremmo un respiro di sollievo; ma difficilmente il Parlamento ci farà questo regalo.

Da qui, allora, una domanda: e se fosse il successore di Napolitano a cresimare il premier battezzato dal suo predecessore? Situazione inedita, ma niente affatto impossibile. Per metterla a fuoco, osserviamo l’orologio della crisi: 12 o 15 marzo, prima convocazione delle Camere. A quel punto bisognerà eleggerne i rispettivi presidenti, e non sarà una passeggiata; poi costituzione dei gruppi, delle commissioni, delle giunte. Diciamo che la settimana dopo, a essere ottimisti, sul Colle può iniziare il valzer delle consultazioni. Quali? Quante?
A occhio e croce, c’è da aspettarsi un triplo giro. Prima quelle di Napolitano coi partiti, e con le personalità di cui reputerà utile il consiglio. Ma se i partiti gli dipingeranno un quadro politico ostaggio dei veti incrociati (probabile, se non proprio sicuro), al presidente non resterà che conferire un mandato esplorativo, per favorire la decantazione della crisi. D’altronde Napolitano ne ha già fatto uso: nel gennaio 2008, quando si rivolse a Marini, all’epoca presidente del Senato.

Dunque nuove consultazioni dell’esploratore, questa volta ristrette all’essenziale. Poniamo che riesca il gioco di prestigio, che un coniglio sbuchi fuori dal cilindro: c’è un personaggio che ha buone chance d’ottenere la fiducia, sicché riceve l’incarico di formare il gabinetto. Lui si riserva d’accettare, perché così vuole la prassi; e intanto verifica i numeri con un altro giro di consultazioni. E tre. Dopo di che torna al Quirinale per sciogliere la riserva, decidere i ministri, prestare giuramento; ma salendo le scale del palazzo, può capitargli di venire accolto da un nuovo padrone di casa. Come una fanciulla promessa in matrimonio, la quale – giunta ai piedi dell’altare – scopra che lo sposo è un altro uomo rispetto al fidanzato.

Disse una volta Bobbio: «La nostra storia costituzionale si è svolta attraverso un continuo alternarsi di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi)». Lui si riferiva alla Prima Repubblica, segnata da 50 crisi di governo in cinquant’anni; ma quella diagnosi può forse valere anche per la Terza, di cui scorgiamo nel frattempo un’alba livida, spettrale. Dove i fantasmi s’inseguono l’un l’altro senza mai riuscire ad acciuffarsi: il Pdl stringerebbe un accordo col Pd, che invece lo stringerebbe con il M5S, che invece si divincola. Da qui l’oroscopo sulla durata della crisi: toccammo il record nel 1996, dopo la caduta del governo Dini (125 giorni), e magari stavolta lo supereremo. Ma da qui, inoltre, il rischio d’uno slalom del nuovo premier fra due capi dello Stato.

Diciamolo da subito: non sarebbe una tragedia. Perché le istituzioni sono abitate da persone, però al contempo sono anonime, spersonalizzate. Le persone passano, le istituzioni restano. E perché Napolitano, quando conferirà un mandato, non potrà certo scegliere in base alle proprie simpatie. No, dovrà indicare chi sia in grado di coagulare attorno a sé una maggioranza; e tale qualità dipende dal mandatario, non dal mandante. Semmai il paradosso deriva da una regola del galateo istituzionale, fin qui sempre rispettata (l’unica eccezione risale al 1849). Quella che impone all’esecutivo di dimettersi dopo il giuramento del capo dello Stato, che a sua volta respinge poi le dimissioni. Sicché il nuovo governo dovrà bussare comunque alla porta del nuovo presidente, dovrà ottenerne la benedizione; e sia pure a costo di spegnersi e riaccendersi come un fiammifero. Ma il problema è tutto lì: trovare un cerino, e dargli fuoco. Michele Ainis, Il Corriere della Seea, 5 marzo 2013


IL POST ELEZIONI: ECCO LA CARTA VINCENTE

Pubblicato il 4 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

Guardare avanti. Imporsi di gestire l’esito del voto per il bene dell’Italia.
Detta così appare un’ovvietà e non sembrerebbe neppure tanto difficile da realizzare. Eppure, come sosteniamo fin dal titolo di copertina, siamo coscienti che quello di Giorgio Napolitano sia un rompicapo in piena regola. Visti i risultati e le non-maggioranze, nessuno dei partecipanti alle elezioni può seriamente rivendicare oggi il diritto di proporsi come possibile presidente del Consiglio. Una soluzione, però, va trovata con questo Parlamento. Che è il Parlamento dei tre blocchi (Bersani, Berlusconi e Grillo) più uno strapuntino (Monti).

Il presidente della Repubblica ha già iniziato le sue consultazioni in via informale prima di avviarle ufficialmente nella seconda metà di marzo. Esponenti di centrodestra e centrosinistra, nel frattempo, convengono sulla necessità di trovare un’intesa su alcuni punti per evitare di tornare a votare nel 2013 avendo ben chiaro il pericolo (la certezza, anzi) di consegnare definitivamente il Paese all’imbonitore Beppe Grillo. Un programma è presto fatto: riduzione delle spese della politica, ripensamento dell’Imu, misure per lo sviluppo, lotta all’evasione fiscale, nuova legge elettorale.

Bene, c’è innanzitutto da trovare una figura autorevole e riconosciuta come tale da Pd e Pdl, che insieme possono dar vita a una straordinaria forza di maggioranza e stabilità alla Camera e in Senato (siamo certi che Mario Monti si unirà ai due poli). Questa figura non deve essere di parte, deve avere standing e credibilità internazionale, deve anche avere l’autorevolezza che gli consenta di battere i pugni sui tavoli che contano in Europa.

Inutile dilungarsi ancora, l’uomo c’è, ha molti altri pregi e il suo nome è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea.
Ha già dimostrato di non essere un grigio burocrate (vedi gli interventi salvaeuro dell’ultimo anno e mezzo), di saper dettare l’agenda nei momenti cruciali (vedi il programma salvastati), di avere personalità da vendere. Prendete una delle più recenti dichiarazioni, è del 18 febbraio ed è stata pronunciata davanti al Parlamento europeo e potrebbe essere inserita in un programma condiviso da destra e sinistra:

«Quello che bisogna fare è cercare di mitigare gli effetti delle politiche di austerità, visto che il livello delle tasse è già molto elevato nell’eurozona (si legga, in proposito, il commento di Wolfang Münchau a pagina 84, ndr)».

Sappiamo che Draghi è già stato sondato sull’eventualità di essere richiamato in patria e che ha sollevato non poche perplessità. Ma, da straordinario civil servant già impegnato al ministero del Tesoro e in Banca d’Italia prima di essere eletto alla Bce grazie al sostegno del governo italiano, Draghi sa bene che ci sono momenti in cui si impongono atti di responsabilità davanti ai quali ogni personale ritrosia deve lasciare spazio al superiore interesse del Paese. Questo è uno di quei momenti. Giorgio Mulè, Direttore di Panorama

GOVERNO: UNA SOLUZIONE RAGIONEVOLE, di Antonio Polito

Pubblicato il 1 marzo, 2013 in Politica | No Comments »

La frettolosa offerta di Bersani a Grillo è il frutto di un vizio antico: inseguire ogni nuovo radicalismo come se fosse una «costola della sinistra», sperando così di riassorbirlo. Ma Grillo, nonostante abbia strappato molti elettori alla sinistra, non è un compagno che sbaglia. È un’altra cosa. E per capire che cos’è andrebbe innanzitutto preso in parola. La sua risposta a Bersani è infatti un programma politico: 1) non voterò mai la fiducia a nessun governo; 2) non certo a chi è stato sconfitto e si sarebbe già dovuto dimettere; 3) se proprio volete, votate voi la fiducia a un governo 5 Stelle. Tutto dice che non sta bluffando. Il suo movimento è nato per spazzare via il sistema dei partiti; perché mai dovrebbe accorrere a salvarlo proprio ora che è morente? Non sarà il senso di responsabilità a frenarlo, non ne ha: se la promessa di rimborsare l’Imu di Berlusconi è «voto di scambio», la sua proposta del reddito di cittadinanza è «aggiotaggio». E poi Grillo vuole cambiare il mondo, è portatore di una vera e propria ideologia: si batte per la decrescita felice, un’Italia in cui tutti siano più poveri ma più solidali ed ecocompatibili, «meno lavoro, meno energia, meno materiali». Non la svenderà per sedersi al tavolo di una trattativa politica.

Naturalmente possiamo sbagliarci. Ma, se non ci sbagliamo, il rompicapo italiano paradossalmente si semplifica. È infatti fuori discussione che bisogna formare un governo. Finché non ce n’è uno, nessuno investe, nessuno compra, nessuno presta: l’anno potrebbe finire con un altro crollo del due per cento di Pil. La decrescita è già tra noi, e non sembra affatto felice.

Serve dunque una maggioranza che voti la fiducia a un governo in entrambe le Camere. Se Grillo si escluderà, resteranno solo in tre: il Pd, il Pdl e Monti. La soluzione si trova lì, o non si trova.

È possibile? È molto difficile. Ma la comune rovina potrebbe diventare un’opportunità. Avendo perso insieme più di dieci milioni di voti, i due partiti maggiori dovrebbero cercare un nuovo inizio, piuttosto che sperare in un colpo di fortuna al casinò con un altro giro di Porcellum . Hanno entrambi bisogno di tempo per emendarsi, rigenerarsi, farsi perdonare. Il disastro politico che abbiamo di fronte è colpa loro. Del resto il Paese ha bisogno di qualcosa che solo loro possono fare: la riforma di una democrazia parlamentare che non funziona più. Da tempo il Pd chiede il modello elettorale a doppio turno; da tempo il Pdl aspira al presidenzialismo. Basterebbe sommare le due cose per darsi un sistema istituzionale forte come in Francia, che garantisce esiti elettorali certi e governi stabili.

A Grillo i partiti potrebbero rubare il programma di moralizzazione della vita politica semplicemente applicandolo, e nel modo più integrale: azzeramento del finanziamento pubblico, dimezzamento del numero dei parlamentari, eliminazione del Senato (diventerebbe una Camera dei rappresentanti delle Regioni), abolizione delle Province. In prima fila dovrebbero mandare la seconda generazione, accantonando i gruppi dirigenti attuali: quello del Pd perché ha perso troppe elezioni, quello del Pdl perché ha fallito in troppi governi. A Palazzo Chigi dovrebbe andare un homo novus , meglio se donna, e al Tesoro una personalità fuori dalla mischia che applichi gli impegni che abbiamo già preso con l’Europa. Un governo sostenuto dai due maggiori partiti avrebbe forse la forza di trattare con la Germania per un allentamento dell’austerità e con la Bce nell’eventualità di un paracadute; mentre ogni governicchio sarebbe un paria sulla scena internazionale e ogni avventura sarebbe un incubo.

Se fossimo in Germania un governo così sarebbe già nato, e non è escluso che un risultato elettorale ambiguo lo faccia nascere davvero anche lì a fine anno. In Italia ha davanti a sé due formidabili ostacoli: la guerra civile strisciante che dura da vent’anni e la posizione giudiziaria di Silvio Berlusconi, che a lui fa sognare lo scudo di una carica istituzionale e ai suoi nemici fa sperare in un nuovo esilio d’oltremare. Ma il Pd e il Pdl devono sapere che quando i partiti non servono a governare vengono spazzati via. In Francia stavano per farlo i generali, prima che de Gaulle desse vita alla Quinta Repubblica. In Italia sta per farlo Grillo. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 1° marzo 2013

L’ORGOGLIO NAZIONALE, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 28 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Ieri Berlusconi ha aperto il suo videomessaggio ricordando una frase del programma Pdl: l’Italia è il Paese che amo.

Sotto la neve di Monaco di Baviera lo ha pensato e lo ha fatto capire ai tedeschi anche Giorgio Napolitano, che con la voce rotta dalla commozione, ha detto: «Esigiamo rispetto per il nostro Paese». Ha difeso così l’Italia, all’indomani della tempesta perfetta del risultato elettorale, perché la frase di quel gaffeur di Peer Steinbrueck non gli è proprio andata giù. Del resto il candidato cancelliere della Spd aveva definito i due vincitori delle elezioni, Grillo e Berlusconi, «due clown». E meno male che Napolitano c’è.

Perché di quelle parole «fuori luogo e peggio», indirizzate a due esponenti politici, ma soprattutto alla metà del popolo italiano e sovrano che li ha votati, pare non essersi accorto nessuno. Un insulto ben più grave dell’epiteto «culona» con cui Berlusconi definì la cancelliera Merkel e per il quale si levarono cori di moralisti e benpensanti che presero le distanze da quel maleducato, rozzo, maschilista Cavaliere.

Ieri nessuna indignazione, nessun risentimento, nessun «vaffa» contro chi si ostina a considerarci «pulcinella» dell’Europa, spaghetti e mandolino o, peggio, spaghetti e pistola. Il presidente, già nel semestre bianco, ha difeso con un colpo solo l’unità e la dignità nazionale oltre che l’autonomia democratica di un’Italia che si appresta a vivere una fase politica inedita seppur preoccupante, difficilmente comprensibile per i tedeschi, con tre «minoranze» alla ricerca del dialogo impossibile. Quei partiti, Pd, Pdl e Movimento 5 Stelle, che lo stesso Napolitano, non solo riconosce come frutto della volontà dell’elettorato, ma che lui ascolterà senza alcuna preclusione, per poi decidere a chi affidare l’incarico.

Governo a parte, l’Europa ci guarda e il Paese va orgogliosamente difeso. L’arma più adatta è l’unità dell’Italia fatta di Comuni e Regioni non di «macroregioni». Con rispetto di Maroni. Sarina Biraghi, Il Tempo, 28 febbraio 2013

……Almeno questa volta Napolitano c’è!