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I TROMBATI D’ORO: A FINI UNA LIQUIDAZIONE DI 260 MILA EURO E UN VITALIZIO DI 6200 AL MESE

Pubblicato il 27 febbraio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Lontani dagli occhi, ma non dal portafoglio. Una lunga fila di politici e politicanti di professione non si presenterà più in parlamento ma non mancherà di passare, ogni mese, a ritirare una pensione con troppi zero.

Pensione che saranno i contribuenti italiani a pagare con i propri sacrifici.

Un esempio su tutti? Gianfranco Fini che, incassati la bellezza di 148mila voti (0,46% alla Camera), si prende un periodo sabbatico dalla politica. Si dedicherà ai suoi hobby (magari alle immersioni in quel di Giannutri) e alla cultura, senza la minima preoccupazione di dover sbarcare il lunario. Fra un paio di mesi il (quasi) ex presidente della Camera porterà a casa un assegno di fine mandato da 260mila euro netti. Tutto qui? Macchè. Dopo una lunga vita “spesa” a far politica, l’ex leader di An potrà finalmente ritirarsi in pensione percependo 6200 euro netti al mese.

A fare i conti ai “trombati” eccellenti è Franco Bechis su Libero (leggi l’articolo) che mette a nudo i politicanti di professione che si preparano a lasciare i palazzi romani con assegni a sei cifre. La lista è davvero lunga. E volti sono tutti noti. Sono i vari futuristi, gli immancabili radicali e il solito Antonio Di Pietro. Fino a qualche giorno fa, a sentirli parlare, si poteva addirittura pensare che il destino dell’Italia e gli equilibri del futuro governo fossero nelle loro mani. “Che fai mi cacci?”, aveva tuonato Fini a Silvio Berlusconi all’assemblea nazionale del Pdl. Alla fine ci hanno pensato gli italiani. Al leader del Fli non resta che portare a casa il “tapiro” che ieri gli è stato regalato da Valerio Staffelli e accontentarsi del vitalizio che gli è garantito dopo trentun lunghi anni di legislature, incarichi governativi e via via dicendo. Tra i futuristi non è certo l’unico a ringraziare le casse opulte dello Stato. Italo Bocchino lascia il parlamento con un assegno di fine mandato da 150mila euro. Mica male, se si pensa che non ha diritto né al vitalizio né la pensione per altri diciassette anni.

Di Pietro, che ieri ha presentato le proprie dimissioni dall’Italia dei Valori, tornerà a Montenero di Bisaccia? Dismessa la toga cosa farà? Nessun problema. L’ex leader dell’Idv, per pocoallato dei Antonio Ingroia nella breve e fallimentare esperienza della lista “Rivoluzione civile”, non è certo la prima volta che è costretto a fare valigie e schiodarsi dala parlamento. Proprio per questo, dovrà accontentarsi di un buono uscita da 60mila euro netti: la prima gli era già stata versata, tempo fa. Non solo. Come Fine, anche l’ex pm di Mani pulite potrà godere, da aprile, di una pingue pensioncina da 4300 euro al mese.

Sulle stesse cifre si aggira anche Emma Bonino che gli elettori hanno deciso di lasciar fuori dalla politica. Sempre che qualcuno non voglia “piazzarla” sullo scranno del Quirinale come successore di Giorgio Napolitano, l’esponente radicale lascerà l’agone politico con un assegno da 60mila euro e una pensione da 6500 euro al mese. Più alto il buono uscita dell’ex presidente del Senato Franco Marini (188mila euro) che potrà godere di 5300 euro di pensione al mese a cui si aggiungerà quella da sindacalista. Insomma, trombati sì, ma col portafoglio bello gonfio. Il Giornale, 27 febbbraio 2013

ASSALTO A BERLUSCONI (E ALL’ITALIA), di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 febbraio, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

Attenzione, i nemici non sono Bersani o Grillo, che ad abbattere Berlusconi ci hanno provato senza successo.

Ancora una volta il pericolo arriva dalla magistratura che, come dimostra il patetico caso Ingroia, era ed è politicizzata. E da ieri pure furente per la sonora bocciatura subita nelle urne da Rivoluzione civile, il partito dei pm manettari e dei giornalisti complici. Direte: ci risiamo con la menata della giustizia. Già, ci risiamo. E attenzione a non sottovalutare il problema. Perché il tribunale di Milano ha stilato un calendario di udienze e sentenze che riguardano Silvio Berlusconi che non ha precedenti nella storia. Eccolo: venerdì requisitoria del processo di appello per i diritti Mediaset, che andrà a sentenza il 23 marzo (presunta tangente pagata da Berlusconi a se stesso). Il 7 marzo sentenza per il processo Unipol (la pubblicazione dell’ormai famosa intercettazione: «Abbiamo una banca» pronunciata da Fassino). L’8 marzo, festa della donna (guarda caso), requisitoria della Boccassini per il processo Ruby, che andrà a sentenza il 18 o al più tardi il 25 dello stesso mese.
Una concentrazione tale di appuntamenti è incompatibile, oltre che con il buon senso, con i diritti della difesa e dell’imputato, che peraltro negli stessi giorni sarà impegnato a decidere se, come e con chi governare il Paese su mandato di una decina di milioni di italiani che, pur sapendo tutto, ma proprio tutto dei suoi presunti guai giudiziari, ha deciso di confermargli per l’ennesima volta un’ampia fiducia.
Questa ultima porcata ha un obiettivo chiaro: indebolire e delegittimare il leader del centrodestra agli occhi degli italiani e del mondo nei giorni della trattativa più delicata per la sinistra che, dopo aver perso la faccia nell’urna, ora rischia anche tutto il resto in Parlamento. Insomma, ci risiamo. Più il Pdl tiene, più il suo leader deve essere abbattuto per altre vie, nella fattispecie quella giudiziaria.
Calcolare i tempi dei processi in base alle esigenze politiche della sinistra è da criminali, oltre che incivile. Basterebbe congelare le prescrizioni e rinviare lo show a dopo il chiarimento politico. Questione di poche settimane per fatti (sulla cui fondatezza vi rimando all’articolo di Luca Fazzo) datati anni e anni fa. Non sarebbe la fine del mondo. Ma Ingroia insegna. Il loro mondo non è il nostro, è fatto di odi, partigianerie e impunità. Almeno che Napolitano ci metta una pezza e richiami tutti all’onestà che dovrebbe avere chiunque abbia deciso di servire lo Stato. Il Giornale, 27 febbraio 2013

MIRACOLO BERLUSCONI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 26 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Fa testa a testa al Senato, è prima coalizione al Nord, in Campania, Sicilia, Puglia, sotto di un solo punto al Pd alla Camera.

Silvio Berlusconi ha compiuto il miracolo di non consegnare questo Paese alle sinistre e di sbarrare il campo alla setta di Grillo. Noi liberali eravamo stati dati per morti già un anno fa. Hanno provato in tutti i modi a spartirsi il bottino, ma niente. I giochi di salotto alla Montezemolo, abilmente amplificati da giornali e televisioni compiacenti, non hanno ottenuto il risultato sperato. Per governare, questo dicono le elezioni di ieri, bisognerà fare i conti ancora con il nostro mondo, maggioritario nel Paese, sia pure distratto da sirene alla Giannino. Un mondo che politicamente è ancora saldamente nelle mani di Silvio Berlusconi.

Bersani era partito per smacchiare il giaguaro Berlusconi ed è stato smacchiato dal comico Grillo. Il segretario del Pd ha fallito e si appresta ad andare a pettinare le bambole. Renzi se la ride e scalda i motori. Alla Camera, grazie al premio di maggioranza, il Pd ha più deputati, ma al Senato dovrà provare ad allearsi con un nemico. Due le ipotesi. O compera in blocco i grillini, cosa difficile e comunque, stante i numeri, non risolutiva, oppure si dovrà mettere in ginocchio da Berlusconi per tentare un governissimo che faccia qualche cosa di urgente e poi ci riporti al voto.

Questo anche perché l’alleato occulto Mario Monti ha preso una tranvata tecnica bestiale. Tanto che i suoi soci Casini e Fini stanno per fare le valigie e, forse, andranno a lavorare per la prima volta in vita loro. Cosa che dovranno sicuramente fare Ingroia e Di Pietro, che restano fuori dal Parlamento. Questa probabilmente è la notizia più bella della giornata. Vuol dire che il Paese dei «forza magistrati» e dei mafiologi a tempo pieno non esiste fuori dagli studi di Santoro e dai fogli di Travaglio. Volevano ammanettare l’Italia, gli elettori li hanno arrestati come ladri di polli.

Il Pd smonta la gioiosa macchina da guerra. Enrico Letta e soci ripongono negli armadi i vestiti già acquistati per il giuramento da ministri. Ora tocca a Napolitano sbrogliare la matassa. Non mi fido. Vediamo che cosa si inventeranno, ma se Dio vuole, grazie a voi che avete creduto in Berlusconi, a quel tavolo saranno rappresentate con forza anche le nostre ragioni. Nessuno faccia il furbo. E, per iniziare, Monti si dimetta da senatore a vita e Ingroia non torni in magistratura. Lo dico così, tanto per ripartire col piede giusto. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 26 febbraio 2013

……Però..però Sallusti sa anche che i miracoli non si ripetono. La rimonta di Berlusconi è certamente il frutto di una straordinaria ed irripetibile perfomance di Berlusconi che, come nel 2006, da solo, da solo!, ha affrontato la traversata del deserto, ha incrociato la spada con guerrieri di ogni tipo, si è infilato nelle tane dei suoi più acerrimi persecutori e ne ha avuto ragione. Ma la rimonta  che porta scritto innegabilmente e solitariamente  il nome di Berlusconi, diciamolo francamente, certifica anche che il centrodestra, quello che non ha perso ieri l’altro, è il centrodestra targato Berlusconi senza del quale non esiste o diventa,  prima ancora che  elettoralmente  minoritario, quasi evanescente, un “fuoco fatuo” come il celebre romanzo di  Pierre Drieu La Rochelle, il cui protagonista si suicida dopo aver constatato l’inutilità di una esistena mediocre.  Perciò,  prima che sia troppo tardi, bisogna dare vita  ad un partito che sia tale, che sia presente sul territorio, che sia presente sempre e non solo alle scadenze elettorali,  e sopratutto sia di tutti e non chiuso in conventicole cui si è ammessi solo se si è  parte di cerchi più o meno magici. Altrimenti il dopo Berlusconi che prima o poi incomincerà riserverà amare sorprese per tutti. g.


ELEZIONI POLITICHE: DOPO IL VOTO PENSATE AL PAESE, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 26 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

La smacchiatura si è fermata al primo ciclo. Poi il giaguaro è uscito fuori e ha dato la sua zampata. Così l’imprevedibile Silvio Berlusconi ha sbaragliato i sondaggi e tramortito la sinistra. Ancora una volta un voto storico. Che va rispettato. Il risultato delle urne propone alcuni dati inequivocabili. Il centrodestra, condotto dal Cavaliere, è vivo e solido e, seggio più seggio meno, ieri lo ha certificato. Bersani è stato sconfitto due volte: alle Primarie con Renzi aveva mostrato tutta la sua debolezza, ora non perde, ma la sua è una vittoria di Pirro perché è così risicata che da solo non riuscirà a governare. Flop di Monti che, sarà pure soddisfatto del risultato, ma si è suicidato con l’Imu oltre a non aver salvato l’Italia e a non aver ascoltato con umiltà la gente. Non pervenuti Casini, con un centrino infeltrito, e Fini che scompare, dopo trent’anni, da Montecitorio. La rivoluzione di Ingroia non ha appassionato gli italiani e non perché non ha avuto spazio sui giornali o in tv. Una rivoluzione che riesce a fare però una vittima eccellente: Di Pietro, anche lui fuori dalla Camera. Giannino con Fare ha fatto tutto da solo e non ha superato neanche lo sbarramento. Forse ha perso anche il presidente Napolitano con l’idea del governo tecnico che ha «annullato» il vantaggio che avrebbe avuto la sinistra tredici mesi fa.

Il vero vincitore, quello che ha raccolto il default del sistema politico italiano, è Beppe Grillo che diventa il primo partito alla Camera e che promette di combattere ogni inciucio tra centrodestra e centrosinistra facendo mettere i grillini «dietro ognuno di loro».

Tra vincitori e vinti il rischio per l’Italia è l’ingovernabilità. Servirà un governo di larga solidarietà nazionale, un’alleanza, anche a breve termine con lo scopo preciso di attuare almeno tre cose necessarie e non rinviabili per il Paese. Va cambiata la legge elettorale, va eletto il prossimo presidente della Repubblica, si deve far ripartire lo sviluppo e la crescita. Servono buon senso e una prova di responsabilità. Anche da parte dei grillini. La spallata l’hanno data alla politica, ora bisogna pensare all’Italia.  Sarina Biraghi, Il Tempo, 26 febbraio 2013

.……Sottoscriviamo questo commento, pacato quanto equilibrato, , del Direttore de Il Tempo, sui risultati elettorali delle elezioni politiche appena conclusesi. I risultati certificano, al di la ogni sofisma, la ingovernabilità del Paese dopo i 14 mesi del governo tecnico  voluto da Napolitano che ne ha determinato il crollo economico sotto il peso della valanga fiscale e il blocco delo sviluppo insieme a quello dei consumi. Le elezioni di ieri non hanno eletto un Parlamento capace di esprimere  un governo in grado di affrontare con la forza e l’autorevolezza necessarie i gravi problemi del Paese. E se non si vuole ricorrere ad un nuovo passaggio elettorale che potrebbe provocare un tsunami ancor più travolgente di quello che ha appena  visto protagonista assoluto Grillo e i suoi grillini, per una volta, alemno per una volta, le forze maggiori, benchè comunque  entrambe ampiamente penalizzate dagli elettori, dovrebbero, debbono!,  lavorare insieme.  In  questo momento, mentre incombe lo spettro di una nuova aggressione alla nostra economia da parte dei mercati e degli speculatori, bisogna mettere da parte ciò che divide per ricercare le ragioni della  reciproca consapevolezza dei doveri di ciascuno verso gli elettori. Fuor di metafora, pensiamo che in questo momento, con il Senato di fatto ingovernabile, occorre che le due forse maggiori, il PD e il PDL diano vita ad un governo di emergenza nazionale, di salute pubblica, di grandi intese, o comunque lo si voglia chiamare, che fissi i problemi improcastinabli del Paese, delinei i confini sia programamqtici che temporali di questa intesa, salvi il Paese e poi, solo poi, si potrà tornare alle urne per restituire agli elettori, con una nuova e più ragionata e democratica legge elettorale, la parola con il compito di individuare con certezza il vincitore e lo sconfitto. E’ una strada indubbiamente difficile, in un Paese abituato da sempre a dividersi in brutti e belli, in  buoni e cattivi, alti e bassi,  ma se davero si vuole il bene del Paese è un sacrificio che va compiuto. Berlusconi che non è lo sconfitto se ne è dichiarato consapevole, dall’altra parte ieri sera è venuto un alt da parte di un portavoce molto  prolisso, tal Mogor, si attende ancora che ne parli Bersani. Pensi Bersani che dopo non essere stato il vincitore non è il caso che si trasformi in affossatore di quel che resta di questo Paese.   Si può passare alla cronaca per aver fatto per un breve periodo il presidente del consiglio ma si può passare alla storia per aver fatto scelte penalizzanti per se stessi ma lungimiranti per il proprio Paese. g.

FORZA, ITALIA! di Vittorio Feltri

Pubblicato il 24 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Finito il tormentone della propaganda, ne comincia un altro: quello del voto. Da oggi urne aperte. Domani pomeriggio, ore 15, chiusura e spoglio; entro sera, all’incirca, si saprà com’è andata. Ma la discussione sull’esito dei conteggi proseguirà chissà per quanto tempo, perché questa non è una consultazione di routine. Probabilmente sarà l’ultima con l’attuale legge elettorale, nata per rafforzare il bipolarismo e scopertasi, a gioco lungo, un bidone.

Non poteva essere diversamente: non esiste un sistema di voto che funzioni se non funziona la politica. E la politica italiana ha dimostrato di essere un cimitero in cui si agitano solamente anime morte. I partiti sono più sensibili all’egoismo che all’intelligenza: apparati che puntano alla conservazione di se medesimi e non pensano a riformarsi, figuriamoci se si preoccupano di riformare le strutture obsolete del Paese. Nonostante ciò, si definiscono, tutti, riformisti. Conviene riderci su.

Se il Pd avesse capito che il vento è cambiato, avrebbe favorito l’ascesa di Matteo Renzi: con lui candidato non ci sarebbe stata gara; avrebbe vinto il giovanotto, dato che piaceva anche a destra e dintorni. Silvio Berlusconi non sarebbe ridisceso in campo, Beppe Grillo non avrebbe avuto tanto spazio, Mario Monti non si sarebbe improvvisato tribuno di complemento. E per un paio di anni i cittadini avrebbero atteso pazientemente che il ragazzo fiorentino terminasse il rodaggio, salvo poi linciarlo in caso di fallimento.

Invece, secondo costume nazionale, Pier Luigi Bersani ha voluto a ogni costo anteporre l’interesse personale (e dei propri supporter) a quello del Pd, e ora è lì che trema davanti ai grillini volanti: ipotizza già di reclutarne qualcuno, ingolosendolo con poltrone e relative prebende. Il comico genovese è diventato lo spauracchio: tutti a chiedersi dove si fermerà, e molti ad augurarsi che non si fermi. Un’incognita che impedisce perfino ai sondaggisti più esperti di valutare le percentuali sia del M5S sia degli altri gruppi partecipanti alla competizione.

Monti si è rivelato una montatura, un fuoco di paglia, anzi un fuoco fatuo. I suoi due mentori, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, a furia di lodare il loden lo hanno imbrodato e si sono imbrodati: il primo è scomparso sotto le macerie del Fli; il secondo lotta per non affogare nella pozzanghera dei consensi residuali attribuiti all’Udc. Oscar Giannino è caduto: vittima del proprio narcisismo, grande almeno quanto l’ingegno che lo aveva distinto nel grigiore dei giornalisti non soltanto economici.

Senza infingimenti, questa è la radiografia dei partiti tra cui ci accingiamo a scegliere il preferito. Bella impresa. Nessuno di essi dice – forse non la conosce – la verità: l’Europa è una iattura e l’euro un cappio. Il solo ad averlo detto (a denti stretti) è il Cavaliere. Se invece di sussurrare, avesse gridato a voce alta che questa Ue è la causa di ogni nostra disgrazia, e che urge ricostruirla o fuggirne, più della metà degli italiani gli sarebbe corsa appresso. Non lo ha fatto, nel timore di essere attaccato violentemente dai propri detrattori, suppongo. Non ha valutato che i compatrioti, anche i più conformisti in pubblico, nel segreto del seggio premiano chi va contro corrente. Sono infastiditi dal luogo comune: bisogna fare così perché lo pretende l’Europa. Della quale non si può parlar male, altrimenti sei guardato con sospetto, peggio: con disprezzo.

L’argomento principe usato per tacitare i critici del castello burocratico di Bruxelles è il seguente: uscire dall’Unione significa schiattare. Ma dove sta scritto? Semmai è il contrario: la Grecia è soffocata dall’euro, sta agonizzando. L’Inghilterra si è tenuta la sterlina e organizzerà un referendum per fuggire dalla Ue. Tutte cose note a Berlusconi che, in cuor suo, medita di affrontarle. Non fosse che per questo egli merita un estremo atto di fiducia. O ci toglie lui dalle fiamme (anche monetarie) che incendiano i Paesi del Sud Europa, o saremo ridotti a un cumulo di cenere. Non è questione di orgoglio tardonazionalistico: qui ne va della nostra sopravvivenza. Vittorio Feltri, 24 febbraio 2013

VERSO IL VOTO: L’ULTIMA SPIAGGIA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Non voglio vivere in un Paese dove un leader politico chiama i carabinieri per buttare fuori da una manifestazione pubblica i giornalisti.

È accaduto ieri al comizio finale di Beppe Grillo. E non difendo i giornalisti, ma i loro lettori, di qualsiasi orientamento, che hanno il diritto di essere informati. Non voglio vivere in un Paese dove l’indicazione di voto dei Carc (gli estremisti sostenitori dei brigatisti e della lotta armata) è per un partito, il Cinquestelle, che si candida a governarci. Anche per questo è necessario uscire dall’impazzimento di una campagna elettorale violenta e carica d’odio contro noi moderati. E ritrovare in queste ultime ore prima del voto lucidità e buon senso. Facciamolo per noi, per gli interessi nostri, del nostro lavoro e dei nostri figli. Al diavolo risentimenti e moralismi. Non mi interessa premiare Berlusconi, Maroni o chi per loro. Ma so per certo che solo le politiche di Berlusconi e Maroni potranno provare a risolvere i miei problemi e a rispettare i miei princìpi. Non me ne può fregare di meno della loro vita privata o dei malandrini che si erano infiltrati nei loro partiti. Qui c’è in gioco la nostra vita, privata e professionale. E allora non si può scherzare o farsi abbagliare da comici, cantanti, attori, improvvisati santoni del bene comune o professori arroganti. La questione è semplice, ed è come noi immaginiamo il futuro – oltre che del mondo – anche della nostra famiglia e del nostro lavoro. Qui a fianco abbiamo riassunto la proposta che ci fanno gli amici del centrodestra. È incompleta, ma l’essenziale c’è. Meno tasse, meno Stato, più solidarietà e libertà personali e d’impresa, più sicurezza. Qualcun altro ci offre di più? Baratteremmo tutto questo per il gusto di vedere qualche cialtrone rimanere a casa? La mia risposta in entrambi i casi è: no, sugli uomini si può discutere e arricciare il naso, sui princìpi fondamentali non si deroga.
Per questo mi appello a chi, pur pensando da liberale, ha ancora qualche dubbio se, o come, votare domani e dopo. Bene. Grillo è un neofascista violento che ci vuole indottrinare facendo leva sulle debolezze del sistema. Monti, bene che andrà, dal basso del suo risultato potrà solo fare da stampella, insieme con Fini, ai post-comunisti di Bersani. Che ci piaccia o no, per continuare a sperare e non essere travolti, ci resta il vecchio ma non ancora domo centrodestra. Diamogli fiducia, non ce ne pentiremo. Buon voto a tutti.
Alessamdro Sallusti, Il Giornale, 23 febbraio 2013

.…………….Pensavamo di scrivere qualcosa di nostro a proposito del voto di domani. Ce ne toglie l’incomodo Alessandro Sallusti con questo suo editoriale di cui ci piace oltre che il merito, il titolo. Ultima spiaggia, appunto. Perchè siamo davvero all’ultima spiaggia, le cui ragioni non  le declina Sallusti ma sono individuabili negli editoriali di Galli Della Loggia, di Valerio Lo Prete, di Giacomo Amadori, pubblicati stamattina dal Corriere della Sera, dal Foglio e da Panorama on-line  e che noi abbiamo ripreso, nei quali qualsiasi attento lettore può trovare i mille motivi per cui milioni di elettori, di qualsiasi tendenza, o sono tentati di non votare o alzano gli occhi verso il fenomeno del grillismo pur consapevoli che un voto a Grillo non è un rimedio ma  una scorciatoia verso l’abisso, nella speranza, però,  che nell’abisso, prima degli elettori e dell’Italia, ci finiscano quelli che da anni e anni ci malgovernano, sopratutto ci ignorano, ignorano i diritti del cittadini, ignorano le loro speranze, ignorano le loro attese, ignorano le loro necessità, pur, tutti, mettendo “al centro” di tutto il cittadino., ipocritamente consapevoli di dire il falso. In verità al centro (del potere e del malaffare)  ci sono loro,  le caste, politiche,  sindacali,  giudiziarie, professionali,  giornalistiche, e lobbistiche, dalle industrie farmaceutiche a quelle  assicurative, passando per la mamma di tutte le lobby, cioè quella bancaria, mentre i cittadini, gli elettori, di   fatto sono estranei nella vita del Paese, trattati come muli da soma, peggio, come asini, da usare e poi scorticare, estromessi da ogni decisione, salvo quella, quando capita, di votare  senza neppure poter scegliere chi debba o possa meglio rappresentarli. In questo quadro così maledettamente squallido, è ovvio che siano in tanti a manifestare il proprio scetticismo, la propria voglia di estraniarsi: se la vedano loro, quelli che sono attaccati  alla poltrona e non la lasciano neppure con le cannonate, e ci lascino in pace. Pare di risentire i romani alla fine della seconda guerra mondiale quando  dinanzi alle macerie gridavano: andatavene tutti,  lasciateci piangere da soli. Questo lo scenario drammatico creato dai partiti, tutti, senza distinzione di sorta.  E dinanzi a questo scenario, escluso di poter dare il voto al rimedio che è peggiore del male, cioè al grillismo, non ci resta che o disertare le urne o votare per il male minore, che, per quel che ci riguarda, è votare per il centrodestra. Il quale, sia detto con chiarezza e fermezza, ha tante colpe e tante promesse mancate, non mantenute, la prima delle quali è di dover essere diverso dalla sinistre e  non ci pare, che, al di là delle parole, tanto possa dirsi che sia avvenuto. E, però, come potremmo, al di là delle recriminaziomi sul non fatto, passare dall’altra parte seguendo l’onda dei tanti voltagabbana che anche nel nostro piccolo paesello abbondano più delle pietre in campagna? Non ci sentiremmo in pace, non tanto con  tanti presuntuosi  giudicanti, quanto con l’unica nostra giudice che è la nostra coscienza: e la nostra coscienza ci dice che non si può tradire una scelta di vita. Ci tureremo il naso, alla  Montanelli, e voteremo a destra. g.

IN ATTESA DEL VOTO: IL NOSTRO VOTO E’ UN MID-TERN A RISCHIO PER MERKEL E UE, di Marco Valerio Lo Prete

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

A 24 ore dal voto di domani, i sondaggi sulle elezioni politiche italiane restano secretati, ma se anche fossero pubblici non aiuterebbero a fare sufficiente chiarezza sull’esito finale delle consultazioni. Quel che è certo, ha scritto ieri il commentatore Anatole Kaletsky sull’International Herald Tribune (la versione globalizzata del New York Times), è che “Angela Merkel potrebbe finire come il principale sconfitto delle elezioni italiane”. Anche per questo i mercati europei si preparano a ballare di nuovo. I dati macroeconomici, di per sé, non contribuiscono a rassicurare sul futuro dell’euro. Ieri mattina la Commissione europea ha reso note le sue previsioni aggiornate per l’inverno 2013, dalle quali emerge che il pil dell’Eurozona diminuirà nel complesso dello 0,3 per cento (e non più dello 0,1 per cento come previsto nel novembre scorso). La Francia, seconda economia dell’area, non crescerà quest’anno come non è cresciuta nel 2012, mentre il rapporto deficit/pil raggiungerà il 3,7 per cento quest’anno per poi salire al 3,9. Il pil italiano calerà di un punto percentuale nel 2013, e non più di mezzo punto come stimato finora da Bruxelles, mentre il tasso di disoccupazione continuerà a salire almeno fino al 2014, arrivando al 12 per cento. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, ha comunque enfatizzato gli aspetti positivi: “Per l’Italia è prevista l’uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013”, e poi “il paese ha corretto il deficit di bilancio nei tempi stabiliti e che anche nei prossimi anni rispetterà gli obiettivi”. In tutto questo Berlino si consola quest’anno con una crescita di mezzo punto percentuale. Poca cosa. A Bruxelles non a caso si discute sempre più apertamente di “concessioni” da fare a questo o a quel paese per raggiungere gli obiettivi di risanamento senza strozzare la ripresa.

Qui entra in campo il voto di domani: “Le elezioni italiane potrebbero avere effetti più distruttivi per il resto d’Europa che per l’Italia”, ha scritto Kaletsky. A generare appresione non sono gli scenari considerati comunque poco probabili, come un trionfo di Beppe Grillo o una decisiva rimonta di Silvio Berlusconi. E’ sufficiente l’“umiliante quarto posto che i sondaggi assegnano a Monti”, dietro Pd, Pdl e Beppe Grillo – si legge sul New York Times – perché presto “Merkel si troverà in un terribile imbarazzo: o sostenere un governo italiano che rifiuta ulteriori dosi di austerity e riforme ispirate da Berlino, oppure consentire il break-up dell’euro”. Entrambi gli scenari influirebbero pesantemente sul voto di settembre in Germania. Da qui l’idea che la cancelliera possa uscire come la “principale sconfitta” di un risultato incerto in Italia. Pessimista anche il think tank americano Center for strategic and international studies: “Quale che sia il risultato, l’Italia si allontanerà dal suo sentiero di austerity e responsabilità fiscale e, a seconda del tipo di coalizione, avrà un governo debole, instabile, con un’opposizione rafforzata”. Di diverso avviso gli analisti della banca londinese Barclays: “Un’alleanza tra centrosinistra e centristi guidati da Monti sarebbe positiva nel breve termine per i mercati finanziari”. Se tale maggioranza esistesse al Senato, garantirebbe il rispetto del risanamento fiscale previsto dal Fiscal compact.

La pensa in maniera simile Guido Rosa, presidente dell’associazione Banche estere in Italia, che pure precisa di non esprimere preferenze per questo o quel partito: “Le banche che rappresento vorrebbero lavorare anche di più nel nostro paese che è fortemente finanziarizzato. Il rischio principale adesso è l’instabilità politica. Si tratta di capire infatti se sarà perseguito il rigore fiscale come nell’ultimo anno. Poi però ci sono anche le riforme strutturali, non abbastanza discusse finora”. Sul medio-lungo termine si spinge anche la riflessione di un operatore di un’importante banca inglese che al Foglio spiega: nel giro di pochi mesi, gli investitori inizieranno a “prezzare” l’eterogeneità della coalizione Pd-Monti e la sua eventuale difficoltà a promuovere riforme come quella del mercato del lavoro. Lo ricordano i dati di Bruxelles: con la tendenza attuale, infatti, il pil non si riprende velocemente e il debito pubblico non diminuisce. di Marco Valerio Lo PreteIl Foglio Quotidiano, 23 febbraio 2013

IN ATTESA DEL VOTO: IL SENTIMENTO DI UNA NAZIONE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Le elezioni di domenica rappresenteranno la prova del fuoco per quella tendenza di fondo – la tendenza a governare in nome del «vincolo esterno» – con la quale negli ultimi trent’anni le classi dirigenti italiane hanno pensato di risolvere i problemi del Paese. Un Paese fin dall’Unità sentito (non a torto!) come assolutamente restìo a cambiare abitudini e pregiudizi inveterati, legato ai suoi vizi, ai suoi mille interessi contrapposti, leciti e meno leciti, ai suoi tenaci corporativismi d’ogni tipo; un Paese quindi sempre riottoso alle direttive dall’alto, alle norme, abituato a usare lo Stato e a piegarlo al proprio utile, ma mai o quasi mai a piegarsi all’utile di quello. Insomma politicamente indomabile.
Che tale fosse l’Italia che la Repubblica aveva ereditato dal passato le classi dirigenti hanno dovuto prenderne atto specialmente a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Allorché fu chiaro che il carnevale della spesa pubblica facile, iniziato quindici anni prima, stava creando una situazione finanziariamente insostenibile, e che però togliere a un tale Paese le rendite, i privilegi, gli abusi, o semplicemente ridimensionare i benefici, a cui esso si era ormai abituato, era impossibile. Impossibile riorganizzare l’amministrazione pubblica all’insegna del merito e dell’efficienza; impossibile rivedere il catastrofico ordinamento regionale; impossibile rivedere le leggi dappertutto eccessivamente permissive appena approvate; impossibile rifare la scuola sempre più sfasciata, e così via per molte, troppe voci. Impossibile beninteso stante il suffragio universale: dal momento che chiunque ci avesse provato avrebbe pagato di sicuro un prezzo elettorale catastrofico.
Si cominciò allora a toccare con mano quanto fosse ormai impossibile cambiare dall’interno il rapporto politica/società. Si cominciò allora ad ascoltare sempre più spesso il ritornello «Sì, è questo ciò che ci vorrebbe, ma non si può fare!», «Sì, le cose stanno così, questa è la verità, ma non la si può dire!». Lo sussurravano non pochi politici intelligenti e informati: ma regolarmente e inevitabilmente rassegnati. Intimidita, la politica si trovò ormai messa nell’angolo da un Paese che di prendere atto del modo in cui stessero le cose non voleva assolutamente saperne.
È a questo punto, in questa distretta sempre più soffocante, che – per convincere la società italiana di ciò di cui essa da sola non poteva convincersi, per farle accettare ciò che da sola non avrebbe mai accettato – la parte più avvertita della classe dirigente si decise a imboccare con decisione la strada del vincolo esterno. Sull’esempio – ormai si può dire – di quello che in fondo era stato lo stesso atto fondativo del regime repubblicano: quando dopo il 1943 fu per l’appunto un fattore esterno, la sconfitta militare e la vittoria alleata, a stabilire la democrazia in Italia.
Questa volta il vincolo esterno fu rappresentato dall’Unione Europea. Sarebbero state le direttive e le politiche comunitarie a mettere le briglie al Paese. Sarebbe stato l’euro a imporre il ravvedimento finanziario agli italiani dissipatori e riottosi. A partire dagli anni Novanta l’Unione Europea si trasformò nel salvagente al quale si aggrappò una parte maggioritaria della classe politica, via via che da un lato diveniva evidente la non riformabilità dall’interno della società italiana, e dall’altro, insieme, l’incapacità della politica nazionale di guadagnare con i propri mezzi il consenso necessario ad un mutamento di rotta.
Come in nessun altro luogo del continente l’adesione incondizionata all’europeismo e alla sua ideologia divennero così la nuova carta di legittimazione del sistema: obbligatoria per chiunque volesse non solo accedere al governo, ma perfino essere ammesso ad una piena rispettabilità politica. È inutile sottolineare quanto l’ultima fase della politica italiana si sia identificata con la prospettiva ora indicata. Che domenica si trova ad affrontare la prova del fuoco elettorale nella situazione più difficile principalmente, a me pare, per una ragione. La ragione è che il vincolo esterno, per risultare accettabile e non ferire il legittimo (insisto: legittimo, sacrosanto) sentimento di autostima di un Paese, deve essere assolutamente trasformato da chi se ne fa forte in un fatto nazionale. E cioè innanzi tutto produrre anche un immediato beneficio: altrimenti esso finisce per apparire inevitabilmente un’imposizione esterna fatta nell’interesse precipuo della parte esterna. Ora, disgraziatamente, in 14 mesi il vincolo esterno europeo è stato ben lungi dal soddisfare questa condizione dell’immediato beneficio. La situazione generale del Paese invece di migliorare è peggiorata. E dire, come si sente dire, «poteva andare molto peggio», non può avere altro effetto, sui molti che versano in condizioni di disagio, se non quasi di una presa in giro. Così come l’affermazione – anche questa molto ripetuta – «non c’era altro da fare» è un’affermazione che ha lo svantaggio di non poter essere suffragata da nessuna prova davvero convincente agli occhi degli elettori.

C’era un altro modo ancora, però, e a prescindere dagli effetti economici, in cui il vincolo esterno avrebbe potuto essere depurato della sua origine e trasformato in un dato dall’impatto fortemente nazionale: e non lo è stato. Se esso fosse diventato il pretesto per un invito appassionato – rivolto non già alle forze politiche, ma alla società italiana nel suo complesso – perché nell’occasione essa affrontasse uno spietato esame di coscienza, perché ripensasse una buona volta la propria storia iniziando a capire il peso, ormai insopportabile, delle sue troppe pigrizie, delle sue troppe incapacità, delle sue troppe indulgenze. Vi sono circostanze critiche in cui il governo democratico di un Paese deve essere capace anche di questo: di una pedagogia civile ispirata dalla verità e sorretta dalla cultura. In caso contrario il prezzo da pagare – non solo elettorale, e non solo per chi ha governato – può rivelarsi molto alto.

MONTI: SENZA LODEN E SENZA RISPETTO

Pubblicato il 22 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

A tre giorni dalla fine della campagna elettorale Mario Monti passa da un forum a una tv mostrando tutti i suoi timori per il risultato di lunedì. Non è bastato togliersi il loden per rincorrere due avversari come Berlusconi e Bersani. Oltre a mancargli il fiato, al premier mancano i numeri e qualche volta la lucidità, quella necessaria per non fare di ogni intervista un attacco al Cavaliere e soprattutto per non scivolare su pesanti gaffe. Tutti i candidati dovrebbero mettere al primo punto del loro programma (e della loro strategia) il rispetto dei cittadini elettori. Monti invece pur di attaccare il Cav dice che «se gli italiani votano ancora Berlusconi, il problema non è lui ma sono gli italiani». Un ottimo modo per tornare a mostrare quel distacco e quella sicumera del tecnico al governo al quale non serve niente, tanto meno il voto della gente che continua a votare centrodestra.

I timori, mascherati da stizza, crescono perché le critiche arrivano anche da oltre confine. Munchau, l’editorialista del Financial Times, ha scritto chiaramente che la politica d’austerità di Monti è sbagliata ed è giusta l’idea di Berlusconi di tagliare le tasse. A chiusura di giornata l’ultima gaffe è stata quella sulla Merkel, la cancelliera amica di Monti, «usata» per dire che non sarebbe contenta di vedere Bersani al governo. I tedeschi, lo sa bene il Prof, sono precisi e non inclini alle bugie e così hanno risposto immediatamente: «La Merkel non si è espressa sulle elezioni italiane e non lo ha fatto neanche in passato». Che giornataccia. E siamo a meno tre giorni. C’è tempo per segnare ancora qualche altro autogol.  Sarina Biraghi, Il Tempo, 22 febbraio 2013

ASSICURAZIONE RC: IN ITALIA PREZZI PIU’ ALTI DELL’80% RISPETTO ALLA GERMANIA

Pubblicato il 22 febbraio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

Rc auto, in Italia prezzi piu' alti in UeROMA – I premi rc auto sono in Italia in media più elevati e crescono più velocemente rispetto a quelli dei principali paesi europei. E’ quanto emerge da un’indagine Antitrust sul settore. Il premio medio è più del doppio di quelli di Francia e Portogallo, supera quello tedesco dell’80% circa e quello olandese di quasi il 70%.

La crescita dei prezzi per l’assicurazione sul periodo 2006-2010, rileva il Garante per la concorrenza, è stata quasi il doppio di quella della zona Euro e quasi il triplo di quella registrata in Francia. Anche per quanto riguarda la frequenza sinistri e il costo medio dei sinistri, il costo è in Italia tra i più elevati tra i principali paesi europei: in particolare, la frequenza sinistri è quasi il doppio di quella in Francia e in Olanda e supera di circa il 30% quella in Germania; il costo medio dei sinistri in Italia supera quello della Francia di circa il 13%, quello della Germania di oltre il 20% ed è più del doppio di quello del Portogallo. Tuttavia il numero delle frodi accertate ai danni delle compagnie in Italia appare quattro volte inferiore a quello accertato dalle compagnie nel Regno Unito e la metà di quello accertato in Francia.

Riformare il sistema del risarcimento diretto e introdurre nuovi modelli contrattuali finalizzati al controllo dei costi per ridurre i premi. Facilitare la mobilità tra una compagnia e l’altra, introducendo sistemi di confronto semplici e rivedendo il meccanismo delle classi di merito interne. E’ la ricetta dell’Antitrust per ridurre il costo delle polizze rc auto, a chiusura dell’indagine conoscitiva sul settore. FONTE ANSA: 22 febbraio 2013

…..Ecco un’altra cosa di cui nion abbiamo sentito parlare in campagna elettorale, cioè dell’industrai dello sfruttamento degli automobilisti da parte delle compagnie assicurative che fanno quello che vogliono alla faccia non solo degli utenti ma anche dei tanti antitrust del mondo. Chissà se stgasera alle ultime  battute, qualcuno dei contendenti si ricorderà di questo sistema organizzato di truffa ai danni degli automobilisti. g.