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CHI VOTA GRILLO SI RITROVA FALCE E MARTELLO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 10 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Molti elettori sono tentati di votare la lista di Grillo. Su Cinquestelle si è scritto mol­to e dicono che il comico ci riserverà fuochi d’artificio per il gran fi­nale della campagna elettorale. Non ne dubitiamo. Negare la sua capacità di at­trarre simpatia e, su alcuni temi, anche consenso sarebbe da stupidi. Lo dicono i sondaggi, da oggi proibiti, lo si sente di­re al bar e perfino in qualche salotto be­ne. L’uomo catalizza su di sé tutta l’at­tenzione in maniera esclusiva e milita­re, tanto che chi, all’interno del suo mo­vimento, ha tentato di farsi riconoscere dal grande pubblico è stato espulso. Non si tratta solo di ambizione od os­sessione. È una strategia politico-me­diatica ben studiata, tanto che i giorna­li, a differenza di quanto avvenuto con altri partiti, non hanno passato al setac­cio e radiografato liste e candidati del movimento. Detto che Grillo non andrà in Parlamento, noi elettori ancora oggi non sappiamo chi saranno i futuri sena­tori e deputati Cinquestelle. Brava gen­te, ci dice Grillo, pescata dalla società ci­vile. Di questo non ne dubitiamo,ma c’è bravo e bravo, nel senso che ci sono bra­vi liberali, bravi comunisti, bravi fasci­sti. È un caso che gli espulsi più celebri di Cinquestelle abbiano trovato posto nel­le liste di Ingroia e del Pd? Io non credo, e un primo esame dei candidati «anoni­mi » di Grillo lo conferma. La sua è una società civile che arriva soprattutto dal­l’area della sinistra radicale, dal movi­mento No Tav, dai Cobas, dal mondo dell’ambientalismo ideologico. Ciò è le­gittimo, ma mi chiedo perché nascon­derlo con tanta meticolosità. E forse una risposta è che il dichiararlo rende­rebbe meno appetibile quel voto tra gli elettori indecisi che in passato hanno sempre dato la preferenza al centrode­stra. Insomma, chi vota Grillo non manda in Parlamento il simpatico comico, ma persone che mai e poi mai avrebbe vota­to se solo informato. Non perché inde­gne, ma perché lontane anni luce dalla propria idea politica. Ammazzare la ca­sta è un conto e può anche stuzzicare l’appetito. Farsi rappresentare e affida­re il proprio futuro a radicali di sinistra è altra cosa. Perché esaurita la risata del «li abbiamo mandati a casa», ci sarà po­co da ridere. Il Giornale, 10 febbraio 2013

10 FEBBRAIO: RICORDARE LE VITTIME DELLE FOIBE TITINE CANCELLANDO I NOMI DEI CARNEFICI DALLA TOPONOMASTICA ITALIANA

Pubblicato il 9 febbraio, 2013 in Politica, Storia | No Comments »

A quasi 70 anni dai fatti, ci sono ancora dozzine di strade e piazze intitolate al Maresciallo, “il boia degli italiani”

Provate a immaginare una giornata della memoria dell’Olocausto celebrata in un Paese dove ci siano delle vie o piazze dedicate ad Hitler oppure a uno dei suoi gerarchi.

Domani, 10 febbraio, lo Stato ricorda l’esodo di oltre 200mila istriani fiumani e dalmati e la tragedia delle foibe con le sue migliaia di vittime. Però una dozzina di vie di città italiane sono ancora intitolate al maresciallo Tito, boia degli italiani alla fine della seconda guerra mondiale.

Da due anni il sindaco di Calalzo (Belluno), Luca de Carlo, e il suo assessore, Antonio Da Col, sono impegnati nella battaglia per cambiare la toponomastica dedicata al fondatore della Jugoslavia comunista. Nel 2011 hanno scritto al presidente Giorgio Napolitano: «Sarebbe un segnale fondamentale per ricomporre le tragedie della storia, se Lei decidesse di accogliere il comune sentire delle nostre genti ritirando le onorificenze a Tito (oltre che ai suoi colonnelli Ribicic e Rustja) e contestualmente disponendo la rimozione in tutto il Paese dei toponimi ad essi intitolati». Nessuna risposta è mai arrivata dal Quirinale.

Josep Broz Tito venne decorato nel 1969, dall’allora presidente Giuseppe Saragat, come «Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana» con l’aggiunta del Gran cordone, il più alto riconoscimento. Nessuno ha mai pensato di levargli questa onorificenza per «indegnità», come è previsto dalla legge. L’Italia l’ha fatto lo scorso anno, per la stessa onorificenza di Tito, che Napolitano aveva appuntato sul petto di Bashar al Assad nel 2010. Il presidente siriano, pur immerso fino al collo nel bagno di sangue nel suo Paese, non ha mai ucciso però un solo italiano.

Oltre a Tito sono stati decorati dal Quirinale i suoi uomini più fidati: Mitja Ribicic, Cavaliere di Gran Croce e l’ammiraglio jugoslavo Franjo Rustja. Il primo, nel 1945, era un alto ufficiale della polizia segreta attiva contro gli italiani. A Lubiana, nel 2005, venne aperta un’inchiesta a suo carico per crimini di guerra, ma 60 anni dopo è stato impossibile trovare le prove.
L’ammiraglio Rustja nei terribili 40 giorni dell’occupazione di Trieste (maggio-giugno 1945) era primo assistente al comando del IX Corpus. L’unità di Tito che deportò e fece sparire per sempre molti italiani.

Lo scorso anno il sindaco di Calalzo ha inviato la lettera contro le vie e piazze dedicate a Tito alla dozzina di comuni italiani che le ospitano tutt’oggi.

Luigi Aurelio Verrengia, nel 2011 primo cittadino di Parete nel casertano, aveva dichiarato: «Non sono favorevole alla rimozione, a meno che non sia determinata da disposizioni legislative. Penso che sia orrenda la storia delle foibe, ma resta pur sempre la valutazione che Tito ebbe una funzione storica rispetto all’antinazismo e all’antifascismo».

Il sindaco di Scampitella, in Campania, aveva promesso di farlo, ma via Tito campeggia ancora su Google map vicino a via Kennedy. Stesso discorso per Campegine (Reggio Emilia) dove una mozione di Pdl e Lega per cancellare via Tito è stata respinta. «Nonostante tutto è stato un grande statista» aveva detto nell’occasione Luca Vecchi, capogruppo del Pd. Via Maresciallo Tito spicca anche a Cornaredo, in Lombardia. A Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, è vicina alla strada dedicata a Palmiro Togliatti e a quella a Mao Tse Tung.

Non a caso i sindaci interpellati non hanno risposto al sindaco di Calalzo, che ieri, assieme a una delegazione dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, che rappresenta gli esuli, è andato a protestare dal prefetto di Belluno. «Sono state levate le medaglie ad Assad e a Tanzi, dopo il crack Parmalat, ma non a Tito – spiega De Carlo a il Giornale -. Lancio l’idea di una raccolta di firme in Rete per ritirare l’onorificenza al boia degli italiani e cambiare i nomi di vie e piazze a lui intitolate».

Sembra assurdo, ma nel silenzio tombale del Quirinale e di tanti comuni è l’unico scossone di un paese che celebra le vittime delle foibe con manifesti di rito intrisi di luoghi comuni  e allo stesso tempo continua a onorare il loro carnefice, il comunista Tito e i suoi complici.

IL MONTE (DEI PASCHI) E DEI FAVORI: SCONTI A PD, CGIL E ARCI

Pubblicato il 3 febbraio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

Ecco il Monte dei favori:  sconti sui mutui a Pd, Cgil e Arci. E gli altri protestavano...Giuseppe Mussari e Susanna Camusso

di Franco Bechis

Ha una convenzione con il Partito democratico direzione nazionale, ormai estesa a gran parte delle federazioni locali. È  sui conti correnti del Monte dei Paschi di Siena che ora affluiscono i finanziamenti pubblici al Pd, come quelli privati  e la percentuale che viene chiesta dal partito sullo stipendio dei propri eletti, designati e nominati in incarichi pubblici e privati. Ma il Monte dei Paschi di Siena ha un rapporto commerciale speciale con l’intera galassia rossa: partito, associazioni, sindacato di riferimento. È  la banca rossa che si gioca questo primato ormai con un solo concorrente: il gruppo Unipol, nato e cresciuto fra le cooperative rosse. La banca rossa della rossa Toscana da una parte e la banca rossa della rossa Emilia dall’altra. Non è un caso se spesso fra i due gruppi c’è stata tensione (come all’epoca dei contrapposti piani su Bnl), se il partito si è spaccato spesso fra i tifosi dell’uno e dell’altro polo finanziario.

Monte dei Paschi di Siena ha una convenzione bancaria quadro con tutta la Cgil di Susanna Camusso. È  una convenzione talmente importante e favorevole da essere stata inserita fra i principali motivi di adesione alla Cgil nelle ultime campagne tesseramento del sindacato guidato dalla Camusso. Per non fare torto a nessuno dei due poli finanziari rossi la Cgil ha sottoscritto una convenzione assicurativa con il gruppo Unipol e una bancaria con Mps che «prevede per gli iscritti alla Cgil agevolazioni importanti nella gestione dei conti correnti, per i mutui, per i risparmi, i prestiti personali, anche a favore dei lavoratori atipici e immigrati».

Infatti le convenzioni Mps-Cgil sono più di una, in modo da dare un prodotto adeguato per ogni categoria assistita dal sindacato. C’è una convenzione generale di cui possono usufruire tutti gli iscritti. Ma ce ne è una per i pensionati della Camusso sottoscritta fra la banca senese e lo Spi-Cgil: 5 euro di spese bancarie al trimestre per operazioni illimitate, bancomat gratuito il primo anno, tassi assai favorevoli anche per lo scoperto di conto corrente da una a sei mensilità della pensione ricevuta, e in  più (per chi avesse questo privilegio), abbattimento del 50% di tutti i costi standard per la gestione, amministrazione e custodia di titoli, e addebito gratuito di tutte le utenze in conto corrente. C’è una convenzione per gli immigrati iscritti alla Cgil, che abolisce le commissioni su rimesse e bonifici all’estero fino a 250 euro e da lì in poi applica una commissione dello 0,15%. Si tratta in genere di condizioni assai vantaggiose, che non poche volte hanno provocato le proteste di altre forze sindacali che non sono riuscite ad avere con la banca rossa o altri istituti di credito convenzioni paragonabili.

Anche una parte consistente dell’associazionismo rosso ha trovato nel Monte dei Paschi di Siena la banca di riferimento, e chissà se il solido rapporto riuscirà a sopravvivere alla bufera politico-finanziaria di queste ore. Ci sono convenzioni specifiche ad esempio con buona parte della galassia Arci. Le condizioni dipendono anche dal numero degli iscritti. Il contratto ad esempio con Arci pesca è buono, ma non così favorevole come quello dei pensionati Cgil. Gli sconti maggiori riguardano l’abbattimento del 50% delle spese di custodia titoli e delle spese di istruttoria per le pratiche di mutuo fondiario, per cui sono garantiti finanziamenti a 40 anni. Tassi più favorevoli di quelli di mercato anche per i prestiti personali a rimborso rateale per importi fino a 60 mila euro rimborsabili in un arco massimo di dieci anni.

La raffica di convenzioni dimostra come il Monte dei Paschi sia diventata ben al di là di Siena la banca rossa per eccellenza per il Pd, la Cgil e tutto il loro retroterra. Come lo dimostra la progressiva trasformazione compiuta dalla metà degli anni Novanta in banca di riferimento delle lotte intestine al Pd. Qualcosa si è capito durante le primarie dell’autunno scorso, quando Matteo Renzi, infilzato da Pier Luigi Bersani per il suo rapporto con Davide Serra e i paradisi fiscali, lo ha zittito: «Spieghi lui Mps e le operazioni con  Banca 121 e Antonveneta». Parole non colte nella loro profondità. Assai interessanti ora che è esploso lo scandalo finanziario legato proprio a quelle operazioni di Mps. Libero, 3 febbraio 2013

…..…C’è ancora qualcuno che possa mettere in dubbio il legame tra il PD e il Monte dei Paschi di Siena?

IL QUIRINALE, CIOE’ NAPOLITANO CI COSTA 228 MILIONI DI EURO L’ANNO

Pubblicato il 2 febbraio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Tre milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili, 144mila euro per bestiame e macchinari agricoli. E altro ancora…

Non basta tagliare alcuni rami per sfoltire un albero gigante. Per questo, al netto della riduzione del personale e della spesa, il Quirinale continua a gravare inesorabilmente sul bilancio dello Stato (e quindi dei contribuenti).

Duecentoventotto milioni di euro. Una cifra che, se paragonata a quella di Buckingham Palace o del palazzo presidenziale tedesco, fotografa perfettamente l’anomalia italiana. Il Colle costa quasi dieci volte in più dell’equivalente tedesco, circa otto volte tanto il palazzo della Regina Elisabetta, il doppio dell’Eliseo, tanto per fare solo alcuni esempi.

Tuttavia, per il segretario generale della Presidenza, Donato Marra, fare un paragone del genere è controproducente, specie “in riferimento alle forme di Stato monarchico” dove i “costi di funzionamento degli apparati delle Case reali gravano solo in parte su una dotazione specifica (appannaggio, civil list), mentre per la parte restante sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato”.

Sul sito della presidenza della Repubblica viene spiegato che la dotazione a carico del bilancio dello Stato resta su un livello sostanzialmente analogo a quello del 2008, che è stato esteso a tutto il personale di ruolo il regime previdenziale contributivo, che tale personale di ruolo è stato ridotto di 24 unità (da 823 a 799) mentre è rimasto sostanzialmente stabile (da 103 a 102 unità) l’ammontare del personale comandato e a contratto; che anche il personale militare e delle forze di Polizia distaccato per esigenze di sicurezza si è ridotto di 42 unità (da 861 a 819). Insomma, nel corso del settennato il personale complessivamente a disposizione dell’Amministrazione si è pertanto ridotto di ben 461 unità.

Tuttavia resta il fatto che la spesa complessiva prevista ammonti a 228 milioni di euro. Ma come viene ripartita questa spesa? Dal documento analitico di bilancio pubblicato sul sito della presidenza della Repubblica si evidenzia per esempio una cifra di più di 3 milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; superano i due milioni e mezzo (2.620.828) le spese della voce “consiglieri e consulenti” del Presidente della Repubblica.

Inoltre, 185mila euro servono per portare Giorgio Napolitano in giro per il mondo; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili. Se non bastasse, ci sono poi 398mila euro per le spese di cucina, banchetti e cene istituzionali. Per il bestiame e le attrezzature agricole, il Colle spende 144mila euro.

Tra le voci più costose del bilancio c’è quella relativa alla tenuta di Castelporziano per la quale (oltre a uno specifico contributo del ministero dell’Ambiente di 500mila euro e i quasi 50mila euro derivanti dalla vendita di esemplari di fauna selvatica della tenuta) si spendono, sola per la gestione forestale e faunistica, 120mila euro.

E poi ci sono 580mila in agenzie di informazioni, pubblicazioni, servizi fotografici e video, 160mila euro di spese postali. Insomma, se da un lato è apprezzabile lo sforzo attuato nel ridurre la spesa complessiva, dall’altro questa resta comunque a livelli spropositati. Sopratttutto in tempo di crisi economica. Il Giornale, 2 febbraio 2013

.………………Insomma lo Stato, cioè noialtri, paghiamo a Napolitano anche i tanti doppiopetti che indossa con rara eleganza, con l’eleganza di un re, del resto, anche per la sua rassomiglianza con lo scomparso ultimo Re d’Italia, Umberto 2°, così lo avevano ribattezzato nel suo PCI, sin dai tempi dell’Assembela Costituente. Perchè l’on. Napolitano, alla faccia del rinnovamento, vive con gli emolumenti di appartenenbte alla Casta sin da allora, cioè da ben 67 anni, e gli ultimi sette li ha vissuti da re e imperatore, quale nemmeno l’unico che si potuto fregiare, legittimamente di questo titolo, Vittorio Emanuelel 3°, abbia mai fatto. Ovviamente, come tutti,  l’on. Napolitano predica e si commuove spesso e volentieri, specie quando si occupa della gente italica che non può coniugare pranzo e cena, ma vive gaudente anche queste ultime settimane che lo separano dalla fine del mandato, ben sapendo che dopo e finchè campa lo attende il laticlavio senatoriale, un comodo ufficio con tanto di segretari e segretarie e  macchina e autista, il tutto a spese dxello Stato. Non c’è male per un ex comunista la cui unica preoccupazione era il benessere delle classi operai. Ma per queste resta solo il Paradiso nell’altro mondo…in questo il Paradiso è riswervato a Napolitano e i taqnti come lui. g.

BERSANI CI SBRANA (E CI FA PAGARE LA NUTELLA), di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 2 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Bersani lo aveva promesso: chi parla o scrive del Pd e del Montepaschi di Siena lo azzanniamo. Detto fatto. Ieri ha annunciato di averci querelato. Non conosciamo ancora i dettagli ma possiamo immaginare. Ha paura, il segretario, di perdere le elezioni proprio sul più bello, come già capitò a un suo avo, Achille Occhetto. Quindi guai a riportare e amplificare, come abbiamo fatto in questi giorni, uno scandalo che il procuratore di Siena ha definito «esplosivo» e che coinvolge tutta la finanza di sinistra (i pm di Milano parlano della «banda del 5 per cento», riferendosi a presunte tangenti).

La querela non mi spaventa, né intimorisce. Come noto ne ho viste di peggio. E oggi offro a Bersani nuovi spunti per nuove querele. Infatti pubblichiamo come i suoi consiglieri regionali lombardi (compreso il fedelissimo capogruppo Luca Gaffuri) spendevano i nostri soldi: Nutella, gelati, ombrelli, cene e quant’altro. Che fa, segretario? Ri-denuncia me o butta fuori loro dal partito? Oltre che da un ex segretario accusato di tangenti (Penati), da finanzieri e banchieri imbroglioni, Bersani è assediato anche da decine di Belsito. Ma non si può dirlo, figuriamoci scriverlo. Meglio che la gente non sappia di che pasta è fatto il partito degli onesti, dei puri e illibati. Caro segretario, se ne faccia una ragione: a voi di sinistra vi hanno beccato con le mani nella Nutella, quella vera e, metaforicamente parlando, quella assai più dolce dei quattro miliardi che potrebbero mancare nei conti del Montepaschi (e da noi ripianati con l’Imu).

Questa volta, le assicuro segretario, non ho intenzione di ricadere nel reato di omesso controllo. Lavorerò e vigilerò perché tutto, ma proprio tutto quello che riguarda banche e consiglieri di area Pd, venga scritto senza sconti od omissioni. Un partito che si dice democratico dovrebbe approvare e incentivare. Lei sceglie la strada della querela generica, senza chiedere eventuali smentite o precisazioni che sarebbero ben accette e che la invito a fare. Ciò si chiama minaccia, intimidazione, pratica nota e applicata nei regimi comunisti. Appunto. Il Giornale, 2 febbraio 2013

MPS: ADESSO CI DEVONO SPIEGARE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 31 gennaio, 2013 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Da oggi la finanza legata alla sinistra ha un nome: quelli del 5 per cento, che è il valore delle tangenti che i signori trattenevano per sé.

Il presidente di Mps Alessandro Profumo

La presunta superiorità morale ed etica di quel mondo sta crollando sotto i colpi di una inchiesta, quella sulla banca Monte dei Paschi, che il cauto procuratore di Siena ha definito ieri «esplosiva». Il buco creato dai banchieri del Pd lo abbiamo già tappato noi, versando quei quattro miliardi di Imu sulla prima casa che corrispondono alla somma girata a Siena dal governo Monti per tamponare il buco e salvare la baracca.
Ora Bersani la smetta di minacciare. Ci sbrani, se vuole mantenere la parola data per tentare di silenziare il caso. Ma credo che il suo problema sia oggi quello di non essere rincorso con i forconi dai suoi elettori, truffati dalla banca e beffati dall’uso disinvolto di euri pubblici fatto dai consiglieri Pd della Regione Lombardia (20 indagati, compresi i soci che fanno capo a Di Pietro). Ma anche Monti la deve smettere di fare il santarellino indignato. Il suo governo ha dato, di fatto, copertura economica e mediatica a quello che è il più grande scandalo bancario della Repubblica. Di più. Il suo ministro dell’Economia, quello dell’Imu, del rigore, dell’aiuto al Montepaschi, del «non abbiamo soldi per i terremotati», quello che ieri si è presentato in Parlamento per autoassolversi, non la racconta tutta. Per esempio, lui che all’epoca era già ai vertici dell’economia italiana, non ha spiegato come mai il Monte dei Paschi gli concesse un mutuo superiore al valore della casa che stava per comperare. Prassi anomala, con i tempi che corrono è già tanto se a un comune mortale le banche finanziano il 50 per cento del necessario.
Insomma, Bersani e Monti volevano farci fessi, con i loro loden e le loro primarie democratiche. Per fortuna non è che tutti gli altri sono «qui a pettinare le bambole», come ama dire il leader del Pd. E adesso che lo spieghino agli elettori cosa è successo. E ci restituiscano i soldi dell’Imu, che noi in questo schifo non c’entriamo nulla. Il Giornale, 31 gennaio 2013

.…………….Oggi i giornali titolano che la Banca senese era governata da una banda di malfattori. Ma a sentire la papessa Bindi ieri sera a Porta a Porta la faccenda è diversa. Come nessu no lo dice, nè lo ha detto la Bindi che dall’alto della presunta supeirorità etica del centrosinistra tentava, inutilmente, di arginare l’offensiva assai documentata del direttore di Libero Maurizio Belpietro ( a proposito, il PDL eviti di mandare in trasmisisone belle “guaglione” ma assai inadatte a controbattere una come la Bindi…) che tra l’altro ha citato lo statuto del PD  senese che tutti i nominati negli enti, pubblici e privati, come appunto il Monte dei Paschi di Siena, hanbno l’obbligo di versare oboli sostanziosi al partito. Come Mussari, il pluriindagato in quyesta storiaccia, che al PD ha versato in qualche anno ben 700 mila euro. “Liberalità“, li ha definiti la Bindi… Dopo di che, ogni commento è inutile e superfluo.g.

TRE DOMANDE DI PARTE A UN PRESIDENTE DI PARTE, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 30 gennaio, 2013 in Politica, Storia | No Comments »

Illustre Presidente Napolitano, dopo aver sentito il suo vibrante discorso sul fascismo e l’antisemitismo, mi permetta di rivolgerle tre brevi domande.

La prima. Sapeva che il presidente dell’infame Tribunale della razza, nonché firmatario del «Manifesto della razza», Gaetano Azzariti, diventò il più stretto collaboratore del suo leader Togliatti al ministero di Grazia e Giustizia, dopo essere stato Guardasigilli con Badoglio? Avete mai avuto nulla da ridire, lei e il suo Partito, sul fatto che poi, grazie a questi precedenti, lo stesso Azzariti sia diventato presidente della Corte costituzionale fino alla sua morte nel 1961?

La seconda. Sapeva che il primo concordato tra lo Stato italiano e gli ebrei fu fatto nel 1930 dal regime fascista? Una commissione composta da tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi varò un concordato in cui, scrive De Felice, «il governo fascista accettò pressoché in toto il punto di vista ebraico». Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini «la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani» e sulla rivista ebraica Israel Angelo Sacerdoti definì la nuova legge «la migliore di quelle emanate in altri Stati».

Terzo. Presidente, ha mai detto e scritto qualcosa sulle centinaia di italiani, comunisti, antifascisti e a volte anche ebrei, che fuggirono dall’Italia fascista e furono uccisi nella Russia comunista con l’avallo del segretario del suo partito, il sullodato Togliatti? In Italia, persino sotto il Duce, avrebbero avuto una sorte migliore…  . Il Giornale, 30 gennaio 2013

.……………..Non aspetti risposta Veneziani da Napolitano, uno dei più fedeli sudditi italiani del regime comunista, responsabile non solo della morte delle centinaia di militanti comunisti italiani fuggiti nel paradiso proletario  trovandovi il carcere e la morte, ma non ha mai versato una lacrima sui milioni di russi amamazzati e trucidati dal regime sovietico nei lunghi  e terribili anni delle purghe staliniste, nei lager siberiani o  nelle carceri moscovite dove scomparivano nel nulla, come se mai fossero esistiti. Certo, il regime fascista fu sicuramente un regime autoritario e liberticida, ma allo stesso modo, assai peggio, lo fu il regime sovietico ma mentre del primo, ad ogni occasione, se ne ricordano le nefandezze, dell’altro si fa di tutto per occultarne addirittura l’esistenza, come se  dal 1917 al 1989, la Russia, e tanta parte del mondo, siano state governate da tante mammollette e non, invece, dai peggiori carnefici  che la storia ricordi, non foss’altro per il numero delle vittime, c’è chi sostine decine di milioni di vittime. Ma Napolitano pare non averne nè memoria nè pentimento, non tanto personale, quanto della sua parte politica che mai ha fatto i conti con la storia e con se stessa. Del resto, Togliatti, accusato di aver personalmente autorizzato l’assassinio di tanti comunsiti italiani non ortodossi, è lo stesso Guardasigilli che non solo, come ricorda Veneziani, arruolò al ministero che guidava il presidente del Tribunale della razza voluto da Mussolini dopo la promulgazione delle leggi razziali, ma fu lo stesso che volle l’amnistia per gli ex fascisti, molti dei quali, tantissimi, transitarono dal fascismo al comunismo, spesso diventandone autorevoli esponenti, come negli anni roventi del primo dopoguerra un libro, “Camerata dove sei?”, documentò con nomi e cognomi, da ex littori a famosi intelettuali che smisero la sahariana per indossare la camicia rossa. Ma di questo, disinvoltamente, pur nella fremente ira del momento, Napolitano ha preferito tacere, Ovviamente tacerà anche alle domande di Veneziani. g.

LO SVILUPPO DELL’IGNORANZA, OVVERO IL CAPITALE UMANO TRASCURATO

Pubblicato il 30 gennaio, 2013 in Cultura, Politica | No Comments »

La vergogna della mancata riforma elettorale non ha ostacolato un’abbondante fioritura di promesse sui provvedimenti da assumere all’indomani delle elezioni. Immediati, si dice, e draconiani. Nei primi cento giorni, nei primi dieci giorni, nella prima settimana, nella prima seduta del consiglio dei ministri, con il primo decreto legge… E allora dimezzamento dei parlamentari, regolamentazione dei conflitti d’interesse, nuova legge elettorale, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, eliminazione di questa o quella tassa (e perché non di tutte le tasse?) e via vaneggiando. La classe politica, rosa dall’ansia che l’opinione pubblica pensi di lei quello che effettivamente pensa, si compiace di immaginarsi risoluta, volitiva e imperiosa. E si concentra non sul breve, ma sul brevissimo termine, quasi che l’illusione di immediatezza possa compensare il suo crescente discredito.

Del resto, questa nevrotica compressione dell’orizzonte temporale, che diventa una sorta di presbiopia, di incapacità di vedere lontano, non è una novità. È anzi il carattere saliente, o meglio la peggior malattia, del (mancato) riformismo italiano. Non è affatto vero che non abbiamo avuto riforme. Ne abbiamo avute troppe. Una girandola di riformine e riformette, messe insieme alla bell’e meglio, lasciate a mezzo come scheletri di edifici mai finiti, abbattute dal successivo governo, parzialmente ricostruite dal successivo del successivo. Non le riforme ci sono mancate, ma un indirizzo riformatore determinato e costante, in grado di sopravvivere oltre i due o tre anni di vita media dei governi. Una politica, la nostra, priva della terza dimensione, in cui l’idolatria dell’urgenza ha cancellato la profondità temporale. La ragione vera, cioè quella pratica, di questa angustia mentale è che i frutti di molte riforme non sono affatto immediati, non si vedono nell’arco di una legislatura. E sono perciò, elettoralmente parlando, ininfluenti. Quindi inutili. Nulla illustra meglio questo assunto del complesso formazione – istruzione – educazione, ossia valorizzazione del capitale umano. La cui pressoché totale assenza dal dibattito elettorale è stupefacente ancor prima che scandalosa.

È ben vero che se ne fa menzione nei programmi dei partiti, ma o in modo riduttivo, come nel programma del Pd sotto la sola voce «Istruzione» (che si risolve poi in promesse, assai elettorali, di aumenti di stipendio agli insegnanti). O in modo disorganico e rimandando la pratica a tempi migliori, come nel programma di Monti. Presenze compunte e doverose, come l’elemosina in chiesa, in sintonia con quella visione ornamentale della cultura che è il sintomo più vistoso della nostra arretratezza. In realtà, se su questi temi si tossicchia, si deglutisce e poi, all’atto pratico, si procede a qualche ulteriore taglietto (tanto quelli protestano comunque…) è perché non si riesce a capire di che cosa si stia in effetti parlando. Non si riesce a vedere il nesso tra una scuola rabberciata, una formazione professionale spregiata, un’università sgangherata, tassi di lettura desolanti e la loro logica conseguenza, cioè una bassa, bassissima produttività.

Viviamo in un Paese in cui il 5 per cento della popolazione adulta (dai 14 anni in su) legge da solo quasi il 50 per cento dei libri acquistati. Abbiamo cioè un’infrastruttura culturale ottocentesca, un elitarismo ridicolo, ma esigiamo la democrazia dei consumi e il welfare del terzo millennio.

Una politica cieca non riesce a liberarsi dall’assillo dell’urgenza e a deporre qualche spicciolo – non miliardi, per carità, non centinaia di milioni – in un ideale salvadanaio chiamato crescita culturale del Paese. Se lo facesse, ma con costanza però, con metodo e per un tratto di tempo sufficientemente lungo, si potrebbe, forse, raggiungere il grande obiettivo, mancato fin dal tempo dell’unità nazionale. Che non è il sabaudo e militaresco «fare gli italiani» (e chi, di preciso, avrebbe poi dovuto farli?), ma quello all’apparenza più modesto di dare a tutti gli italiani gli strumenti essenziali per costruire sé stessi.

Più che di essere fatti gli italiani hanno bisogno di essere trattati per quel che sono, il maggior capitale, la maggior risorsa, la maggior materia prima di cui l’Italia disponga. Solo in questo modo cesseranno di essere dei sottoposti, meritevoli di attenzione solo quando devono andare a votare. E potranno davvero costruire la loro convivenza. Cioè un Paese maturo, civile, consapevole. Pienamente europeo. Gian Arturo Ferrari, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2013

……..Oh, se a Ballarò oppure a Porta a Porta, o sulla 7, o altrove, si discutesse di questa accorata denuncia dell’unico sviluppo che miete successo nel nostro Paese, ovvero quello dell’ignoranza. Speranza vana. E sopratutto inutile, visti i tanti Crozza che girano sull’etere che invece del sapere o, almeno, del buon dire, spargono tanta, ma tanta ignoranza. g.

MONTE DEI PASCHI DI SIENA: DIECI DOMANDE A BERSANI

Pubblicato il 29 gennaio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

Il Partito fa il partito, la banca fa la banca. Alza un bel muro, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Lui sta da una parte, i banchieri di Siena, quelli di ieri che hanno svuotato il più antico istituto di credito al mondo e quelli di oggi che tentano di salvarlo, dall’altra.

Il segretario Pd Pier Luigi Bersani e Giuseppe Mussari

Ma questo muro dev’essere un argine invisibile. Non c’era quando Mussari arrivava nel 2001 alla testa della Fondazione, benedetto dalla dirigenza del partito. Fra una standing ovation e l’altra. Non c’era quando la Fondazione, che controlla in modo ferreo, oggi per fortuna un po’ meno, l’istituto di credito era una galleria di facce targate Pd e ancora Pd: 13 su 16 nel board che conta. E non c’era nemmeno quando Mussari, dopo aver fato il bello e il cattivo tempo per un decennio e anche più, se n’è andato. Consegnando cumuli di macerie alla collettività. E allora ecco dieci donande per Bersani.

1. Onorevole Bersani, lei afferma di non avere alcun imbarazzo per la vicenda Mps perché il Pd si occupa di politica, non di banche. Perfetto. Però Massimo D’Alema, che se non sbaglio è del suo stesso partito, ha dichiarato alla Stampa: «Noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona dell’ex sindaco Franco Ceccuzzi, Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa, assieme a tutto il consiglio d’amministrazione del Monte dei Paschi». Il Pd di Bersani non si occupa di banche, il Pd di D’Alema invece sì, al punto di cambiare tutto il vertice del Mps?

2. Il partito non si occupa di banche, però i 16 membri del comitato d’indirizzo della Fondazione Mps che a sua volta controlla la banca vengono così nominati: 8 dal Comune di Siena, targato Pd, 5 dalla Provincia di Siena, targata Pd, 1 dalla Regione Toscana, targata Pd e uno a testa, infine, dall’università e dalla Curia. Il Pd non ha le mani nella banca ma ha, a stare bassi, tredici dei suoi uomini nello strategico comitato d’indirizzo della Fondazione. Tredici su sedici: non è un è po’ troppo per dire che il partito è estraneo alla banca?

3. Il Pd non poteva sapere, perché il Pd, e i DS prima del Pd, e il Pds, prima dei Ds, e il Pci, prima di tutti gli altri, pensa alla politica. Però tutti questi partiti, che poi sono lo stesso nelle sue diverse evoluzioni, seguivano con attenzione quel che avveniva in una città simbolo come Siena. Le risulta che uno dei cavalli di battaglia del candidato sindaco Franco Ceccuzzi fosse: «La Fondazione non scenderà mai sotto il 50 per cento della banca»? Come mai Ceccuzzi diventò sindaco contravvenendo alla regola aurea che lei adesso richiama: «Il Pd non si occupa di banche»?

4. Ceccuzzi fu di parola. A luglio 2011, la Fondazione si svenò sottoscrivendo un aumento di capitale della banca e così s’indebitò, facendo saltare tutti i parametri, per mantenere il controllo assoluto della banca. Non vede una certa coerenza fra i comizi di Ceccuzzi e il comportamento della Fondazione? E, dettaglio ulteriore, le risulta pure che questa coerenza fosse il frutto di un documento scritto, con la Fondazione come cassa di risonanza dei desiderata del primo cittadino? Coda curiosa: il collegio sindacale della Fondazione si oppose all’aumento di capitale, ma l’operazione andò avanti…

5. Le risulta anche che il tentativo di svecchiare e rinnovare la Fondazione, che ripeto è la cabina di regia della banca, sia partito proprio dall’unico posto da cui poteva partire cioè il gruppo del Pd in consiglio comunale, grossomodo alla fine del 2011? E forse le risulta anche che il tentativo di cambiamento provocò una feroce spaccatura dentro il partito nella città del Palio e che il sindaco, sempre per seguire la massima che la politica è estranea alla banca e alle sue vicende, di fatto governò il rinnovamento della Fondazione centellinando le facce nuove?

6. L’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, avvocato calabrese e storico militante del Pci-Pds-Ds, nel periodo che va dal 27 febbraio 2002 al 6 febbraio 2012 ha versato a titolo personale nelle casse del partito, il suo partito, 683.500 euro. Forse avete cacciato un vostro disinteressato benefattore? Certo, i soldi sono stati destinati alla federazione provinciale di Siena, ma questo basta per dire che Roma non c’entra niente con questa storia? Comunque ancora ad agosto 2012, con la banca in acque agitate, Mps sponsorizzava con 10 mila euro la Festa del Pd. Marketing? Mah. Piuttosto, sempre e solo simpatia?

7. Le risulta che l’arrivo dell’avvocato Mussari nel 2001 alla testa del Monte dei Paschi fosse stato sponsorizzato, sempre per il principio che il partito non fa incursioni nel mondo della finanza, dai seguenti personaggi: il magnifico rettore dell’università Luigi Berlinguer, oggi curiosamente capo dei probiviri del Pd; il parlamentare eletto in città Franco Bassanini; Massimo D’Alema e Giuliano Amato da Roma? D’Alema del resto rivendica, come abbiamo ricordato un momento fa, l’uscita di scena di Mussari, dunque tutto torna. O no?

8. L’alleanza fra i quattro, il quadrilatero, si ruppe rovinosamente negli anni successivi ai tempi dell’operazione Unipol. A dirlo, sempre in base al fatto che il partito fa gli affari suoi e pure quelli delle banche, fu proprio Bassanini in un’intervista a Panorama: «Consorte e D’Alema fecero pressioni su Siena perché si alleasse con Unipol», ovviamente nella scalata a Bnl. «Chi difese l’autonomia di Mps – prosegue Bassanini – come me e Amato venne emarginato». Non le pare, visto tutto quello che è successo, un’accusa grave?

9. Massimo Mucchetti, autorevole giornalista economico per lungo tempo vicedirettore ad personam del Corriere della sera, oggi che è candidato del suo partito, capolista al Senato in Lombardia, dice ala Stampa: «Non vedo una responsabilità oggettiva del partito, ma della città». Solo che la città è da sempre nelle mani del partito comunista e dei suoi eredi. Insomma, passando per Siena non è che si ritorna Roma, alla sede del suo partito? Non è che buttare tutte le colpe, passate, presenti e future, sulle teste calde del Granducato di Toscana sia un modo un po’ troppo comodo per sfuggire a responsabilità che sono molto più grandi e gravi?

10. C’è chi dice che l’attuale numero uno di Mps Alessandro Profumo sia stato scelto a Roma, dopo frenetiche consultazioni ai piano alti del suo partito. Solo malignità e voci incontrollabili che non meritano nemmeno una precisazione? Certo, Profumo, che pure sta meritoriamente aprendo i cassetti in cui sono custoditi i segreti e le sofferenze della banca, si è impegnato in campagna elettorale sostenendo in Lombardia il candidato del centrosinistra al Pirellone Umberto Ambrosoli. Insomma, siamo ancora al tanto vituperato collateralismo fra il partito e l’istituto di credito più antico ma oggi anche più invecchiato al mondo?

MONTI: UN PIFFERAIO CHE PROMETTE MENO TASSE…DOPO AVERLE MESSE.

Pubblicato il 29 gennaio, 2013 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

All’improvviso la situazione economica italiana sembra essere migliorata (a dispetto di quanto però dicono prestigiose istituzioni) al punto da incoraggiare la prospettiva di un Eden fiscale nella prossima legislatura. Così ecco che mentre Berlusconi si impegna su una serie di sforbiciate a aliquote e tasse, Monti rilancia alla grande. «Presenteremo presto un piano per ridurre il gettito di Imu, Irap e Irpef, da finanziare con una riduzione spesa pubblica sul Pil pari al 4,5% in cinque anni». In una bozza circolata in serata i dettagli: aumento a partire dal 2013 della detrazione sulla prima casa da 200 a 400 euro. Raddoppio delle detrazioni per figlio a carico da 50 a 100 euro per figlio. Introduzione di una detrazione di 100 euro per gli anziani che vivono soli. Tutto fino a un massimo di 800 euro. Il costo stimato è di 2,5 miliardi. La copertura viene dal contenimento della spesa corrente primaria pari a circa 3 miliardi. «Lo Stato – spiega il Prof – non spenderà un euro in più rispetto al 2012». Per il taglio dell’Irap Monti promette l’«eliminazione del monte salari dalla base imponibile Irap». Il risultato sarà un dimezzamento dell’attuale carico fiscale sul settore privato. Per l’Irpef il taglio fiscale avverrà attraverso l’aumento delle detrazioni per i carichi familiari e la riduzione delle aliquote a partire da quelle più basse. Lo Stato detasserà il salario dei dipendenti delle imprese che aumentano la produttività. Il credito di imposta prevede sgravi fiscali per le imprese che introducono innovazione di prodotto e di processo. Il costo della misura è pari a circa un 1,3 miliardi di euro. Il valore complessivo del pacchetto di interventi è di circa 30 miliardi. Rilancia l’idea di una grande coalizione per le riforme, ma al tempo stesso minaccia l’ipotesi di una manovra correttiva in primavera: «Dipende dal voto». Intervenendo a Omnibus, Monti è sibiliino: anche se nel 2013 il Pil andasse peggio di quanto previsto tempo fa, e se fosse negativo questo non porterebbe di per sè la necessità di una manovra, perché l’obiettivo di bilancio è in temini strutturali, non per ciclo. Quindi io escludo la manovra, ma non escludo niente in certi casi di esiti del voto. In una bozza circolata in serata si prospettava una riforma del mercato del lavoro. Si punta a sperimentare soluzioni più flessibili, partendo da quanto è consentito dall’articolo 8, quello sulle deroghe contrattuali, che ha effetti anche sul recesso dal rapporto di lavoro. Sempre in tema di occupazione il piano del premier propone un piano straordinario per dare l’opportunità di lavoro ad ogni giovane che esce da un ciclo scolastico, mentre a chi non ha opportunità di lavoro, deve essere offerta un’opportunità «dal servizio pubblico, in collaborazione stretta con organizzazioni private imprenditoriali e no, entro il termine massimo di 4 mesi». Anche ieri Monti ha lanciato bordate al Pd accusandolo di essere «molto condizionato» dalla Cgil. «È un peccato che si facciano meno riforme di quelle necessarie, semplicemente perchè ci sono queste gabbie. Io credo che bisogna superarle». Torna a smentire un’alleanza con Berlusconi ma ribadisce che invece vuole essere un punto di riferimento per quanti elettori del Pdl rimasti delusi. «Credo che ci siano molti elettori del Pdl che dovrebbero essere delusi, la rivoluzione liberale e federalista che avevano promesso, non ci sono state. Credo che il nostro programma vada incontro a molte delle esigenze di iniezioni di cose liberali in Italia, un desiderio frustrato degli elettori di Berlusconi. Voglio avere a che fare con questo popolo».Il Tempo, 29 gennaio 2013

…..Che Monti oltre che essere uno spergiuro (aveva garantito che in cambio della nomina n a senatore a vita avrebbe mantenuto una rigorosa distanza dalla politica e poi vi si è buttato dentro come un topo nel formaggio) era anche un incompetente tanto da applicare ad una economia disastrata un0 aumento vertiginoso delle tasse bloccando di fatto ogni possibilità di crescita che si poggia, come sanno anche gli studenti al primo anno di economia, sui consumi che le tasse invece bloccano, è un fatto. Ma che si trasformasse in un qualsiasi politicastro tanto da lui “rigorosoamente” insultato, davvero non se lo aspettava nessuno. Un mese fa, allorchè Berlusconi, da lui definito pifferaio magico, primise che ove vincesse avrebbe tolto l’IMU dalla prima casa, sornione e sarcastico, Monti dichiarò, urbi et orbi, con quella mano a grappolo che è ormai la sua inimitabile rappresentazione scenica, che se tanto fosse accaduto l’anno successivo l’IMU avrebbe dovuto essere rimessa, raddoppiata! E’ un fatto. Ciascuno è libero di dire quel che vuole, ma un minimo di decetente coerenza pur è obbligatoria. Per gli altri, ma per se medesimo Monti non la pretende. Infatti ora non solo annuncia che vuol togliere l’IMU sulla prtima casa, ma annuncia ulterori tagli e riduzioni su altre voci della infinita gamma delle tasse italiane. Come definirlo? Lo lasciamo decidere agli elettori italiani, quelli che ogni giorno si alzano e che vadano a lavorare o vadano ai giardinetti (i pensionati) devono gfare i conti con la miseria, quella che di certo non attanaglia nè lui, nè la di lui moglie, nè la di lui famiglia, essi tutti al sicuro dal laticlavio senatoriale oltre che dalle richhe prevbende ottenute nel passato dalla destra e dalla sinistra. In nome del suo (falso) ecumenismo. g.