DAGOREPORT
La più alta istituzione italiana (non soltanto perchè è ubicata nell’antico palazzo di villeggiatura dei Papi, intorno al quale si spandevano le vigne del Quirinale), nonostante i critici, alla fine è quella che nell’ordinamento italiano è stata definita meglio dai padri costituenti: nei momenti di difficoltà del Paese ha gli strumenti per intervenire, vedi il governo del Presidente varato da Re Giorgio Napolitano nel novembre 2011 di fronte all’incalzare dello spread (che la scelta di Mosè Monti si sia rivelata inadeguata e velleitaria possiamo dirlo ora, alla luce della vera e propria metamorfosi kafkiana che il prescelto ha subito a evidente insaputa sua e del suo dante causa), mentre nei periodi di calma o di calma apparente può ritirarsi lasciando spazio al libero esplicarsi della dialettica politica e sociale.
O elettorale, come sta avvenendo oggi. Ma questo non significa che Re Giorgio e i suoi stretti collaboratori non stiano già attrezzandosi per gestire il dopo elezioni: anche sul Colle si seguono i sondaggi, si parla con i leader, e soprattutto ci si prepara a dare veste istituzionale e costituzionale al responso delle urne.
Sulla base dell’attuale stato dell’arte, nella fase in cui ciascun elettore comincia più seriamente a pensare chi non votare per poi concentrarsi su chi votare, lo schema sul quale si stanno intrecciando le valutazioni del Colle (schema pervenuto a noi e non ad altri per ragioni di banale trasparenza istituzionale in relazione alla qualità del nostro target, come dice chi ci capisce) ruota sostanzialmente su questi punti:
1. nel caso di vittoria del Centro sinistra alla Camera e di un risultato vicino o di non maggioranza sufficiente al Senato, il vincitore anche non totale delle elezioni viene incaricato di formare il nuovo governo. La volontà del popolo sovrano verrà rispettata alla virgola, quindi nessuna soluzione che non preveda a Palazzo Chigi l’effettivo vincitore delle elezioni, fosse solo per un voto.
2. Contemporaneamente, va coinvolta nel perimetro istituzionale/di governo la forza più importante scaturita dalla urne dopo il vincitore. L’Italia, ragionano al Colle, non può permettersi di fronte ai propri cittadini e di fronte al mondo, non solo all’Europa, di non avere una maggioranza che faccia fronte prima a 10 precise scelte economiche che oggi è difficilissimo rintracciare nella propaganda elettorale di tutti i partiti e partitini, ivi compreso quello di Mosè Monti e Tinagli Irene (l’unica testimonial di Scelta Civica che con inconsapevole sprezzo del pericolo si offre alle telecamere essendo possibilista su tutto, tanto c’è un gruppo di lavoro che approfondisce qualunque questione di cui al momento non ricorda i numeri o la risposta) e poi, ma solo poi, ad alcune necessità di riforme sul fronte istituzionale.
3. La forza più importante dopo il Pd è quella di Berlusconi Silvio resuscitato e la riflessione sul Colle si è fatta più puntuale in relazione alla crescente evanescenza elettorale e alla proporzionale complicazione dei rapporti interni al centrino di Casini, Mosè Monti, Tulliani-Fini Gianfranco e alla concorrenza stessa a sinistra tra Vendola ed Ingroia, che su molte questioni sposta ancor di più verso sinistra l’asse di un governo Bersani sostenuto soltanto dagli apporti di cui sopra.
4. Piu’ in particolare, se le urne indicheranno il pareggio al Senato, si sta lavorando sin d’ora a costruire la cornice per un patto chiaro di governo con il secondo classificato alle elezioni che inizi dal riporre subito in soffitta tutte le bandiere di propaganda elettorale che gli schieramenti stanno inalberando: la patrimoniale, che sta terrorizzando tutta la restante borghesia italiana sopravvissuta all’Imu, da una parte e il taglio repentino delle tasse dall’altro, tanto per fare due esempi. La piattaforma sarà invece la condivisione di precisi interventi economici di tagli effettivi e duraturi della spesa e di sostegno alle imprese per la crescita, e la risoluzione di alcuni temi specifici su cui Mosè Monti ha colpevolmente latitato o fatto inutile melina: Alitalia, Finmeccanica, Ilva, Mps per cominciare.
5. Il punto chiave sul quale stanno lavorando dalle parti del Colle è questo: come tradurre il pareggio annunciato o la vittoria mutilata in una formula istituzionale, secondando o aiutando le stesse volontà politiche dei protagonisti al di là della propaganda elettorale di queste settimane, che legittimi la formazione di un governo politico a maggioranza più larga ma politicamente riconoscibile sia rispetto alla gravità dei problemi, sia rispetto alla comunità internazionale, sia rispetto ai limiti tecnici emersi con il governo tecnico. Un primo riferimento c’è: i vertici delle istituzioni rappresentative della volontà popolare, cioè Camera e Senato, hanno nei propri regolamenti i contrappesi cui guardare anche nel caso che si profila dalle urne.
Laddove infatti c’è un presidente di assemblea espressione di una maggioranza sono garantite le vicepresidenze a favore delle maggiori espressioni delle minoranze. Sono regole che già esistono. Ecco perchè Re Giorgio e i suoi collaboratori stanno monitorando con serena attenzione gli scenari possibili, certi di fronte ad un possibile pareggio, della coerenza istituzionale del percorso necessario a farvi fronte. In pratica, la prima opzione per la collaborazione con Bersani Pierluigi e’ la seconda forza che esce dalle urne, non la quarta: quindi Casini, Fini (60 anni di Parlamento in due) e Mosè Monti, senatore a vita, devono almeno raddoppiare gli attuali livelli di consenso attribuiti loro dai sondaggi e negoziare un’alleanza organica con Pd e Vendola oppure sono fuori perchè vale lo schema sin qui esposto.
6. Un punto importante sul quale si stanno arrovellando su per le alte cime è questo: come denominare l’esperienza di collaborazione governativa che in tale scenario si andrebbe a ipotizzare e costruire. Il naming non e’ affatto secondario, se solo si pensa a come nel corso della Prima Repubblica sono state denominate e oggi sono diventate storia esperienze come quella delle “convergenze parallele” di morotea memoria o il governo della “non sfiducia” che rimanda ad Andreotti.
Sul Colle, ovviamente solo perché e’ loro dovere farsi trovare pronti, sono avanti anche su questo: innanzitutto escludono dalla denominazione ogni riferimento emergenziale, visto che la formula potrà effettivamente servire dopo che il popolo ha votato e per rispettarne la volontà, e sono concentrati su due concetti. Eccoli: “Governo di unita’ repubblicana”, “Governo di convergenza per lo sviluppo” e “Governo di responsabilità nazionale”.
7. L’ultima notazione che ci perviene da lassù e’ questa: pur augurandosi che una forza politica vinca bene sia alla Camera sia al Senato, a favore della soluzione dell’alleanza con il secondo miglior piazzato per governare il Paese, c’è la fortissima consapevolezza che di fatto si sta superando il bipolarismo senza avere una legge elettorale che lo certifichi e, soprattutto, senza la possibilità di averla nel prossimo Parlamento. Saranno cento grillini a votare una legge elettorale sul modello tedesco? Come si fa ad assicurare la governabilità necessaria come il pane alle imprese e ai mercati, con il Porcellum vigente e il modello più vicino al proporzionale di cui ci sarebbe stato bisogno in queste elezioni? La formula di governo post pareggio avrebbe anche il compito di aprire la strada, dopo aver affrontato i problemi economici, ad una legge elettorale diversa per il futuro della legislatura per la quale stiamo andando a votare.
8. Non c’entra nulla con il tema del governo post elezioni e con il lavoro del Colle ma dopo le grandi paginate degli ultimi due giorni ci sono ancora giornali che si occupano di Cosentino. Nessuno tuttavia ha detto nei giorni scorsi o dice oggi quello che lo stesso Nick o mericano sa bene: nel prossimo Parlamento avrebbero votato in due minuti a favore del suo arresto, visto che non ci sara’ alcuna maggioranza garantista come, sia pure a strappi, c’era nelle Camere sciolte qualche mese fa. DAGOSPIA, 24 gennaio 2013