Archivio per la categoria ‘Politica’

MONTI: LE TASSE AL POSTO DEL CUORE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 28 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

A proposito delle scuse pretese da Berlu­sconi per avere detto la verità su Mus­solini, a quando quelle di Monti ai ter­remotati dell’Emilia e a tutti noi italia­ni? Tutto preso a salvare la banca del Pd e a ingraziarsi i potenti d’Europa, il premier si è distratto e nell’anno di regno, non ha cavato un ragno dal buco.

Neppure dalle voragini aperte dal sisma. Il suo governo non solo ha lasciato sostanzial­mente soli i malcapitati, ma, non contento, li ha pure tassati. Un ragioniere avrebbe avuto più buonsenso oltre che buon cuore. Ecco perché ie­ri, in visita elettorale nei luoghi del disastro, il premier si è preso giustamente del buffone, del ladro ed è stato bersaglio (mancato) di lanci di ortaggi e uova.

Ho conosciuto e incontrato amministratori, imprenditori e famiglie delle zone terremotate. Non chiedono elemosina e compassione, forse neppure aiuti. Ma pretendono di non essere al­meno bastonati e puniti dallo Stato dopo essere stati nel misterioso mirino della natura. Se il go­verno ha trovato quattro miliardi per la banca del Pd, vuole dire che non mancano i soldi. Man­ca la politica, che ruba e sperpera ma non può prescindere, a differenza dei tecnici, dai bisogni della gente.

E dire che Monti si è scelto come compagni di avventura due emiliani, Casini e Fini. I quali pre­feriscono parlare in tv di bunga bunga, conflitto di interessi, insomma di Berlusconi e dei suoi presunti problemi, che della loro gente. Ci si può fidare di politici del genere? Qui non stiamo parlando di solo solidarismo, in gioco c’è la tenu­ta di uno dei territori locomotiva del Paese. Gli emiliani sono gente tosta, ce la faranno, ma cer­to stanno prendendo coscienza che il Pd, parti­to egemone e con un controllo militare del terri­torio, è più sensibile ai problemi delle sue ban­che che a quelli dei suoi amministrati. Bersani ha voglia a sbranare. Sbrani i suoi, e se stesso, per aver permesso tanto a Monti e alla regione più rossa d’Italia.Buffoni,e questa volta non sia­mo noi a dirlo. Il Giornale, 28 gennaio 2013

BERLUSCONI E MUSSOLINI, di Francesco Perfetti

Pubblicato il 28 gennaio, 2013 in Politica, Storia | No Comments »

A leggerle per intero, le dichiarazioni di Silvio Berlusconi pronunciate ieri mattina a Milano in occasione dell’inaugurazione del Memoriale della Shoa, sono meno mirabolanti di quel che si possa pensare e di come sono state pronunciate. Il Cavaliere ha condannato non soltanto le leggi razziali ma anche l’alleanza con la Germania di Hitler precisando che la scelta antisemita è stata la «peggior colpa» del Duce: il che, per inciso, lascia intendere che altre colpe, anche gravi, potrebbero essergli imputate.Ha poi aggiunto, senza entrare in particolari, che «per tanti altri versi» Mussolini aveva fatto bene. Poche parole, poche battute, ma sufficienti per innescare un vespaio. Nel corso di una campagna elettorale dai toni così accesi come quelli che si registrano ogni giorno, le parole di Berlusconi su Mussolini, sulle leggi razziali e sul fascismo hanno avuto l’effetto di radicalizzare ulteriormente la lotta politica rafforzando e ricompattando il fronte dell’antiberlusconismo. In realtà, se c’è una osservazione critica da muovere alle poche battute del Cavaliere, questa potrebbe riguardare l’opportunità di averle pronunciate in una occasione e in una sede che avrebbero dovuto indurre a una maggiore compostezza, se non anche cautela politica, perché il peso storico della tragedia dell’Olocausto rappresenta, con la sua unicità, un fatto di enorme portata di fronte al quale il silenzio e il raccoglimento dovrebbero essere d’obbligo. Detto questo, però, va anche precisato che Mussolini e il suo governo qualcosa di positivo pure lo fecero. Vorrei solo ricordare, in questo momento di grave crisi economica e con un disavanzo statale a livelli stratosferici, che fu proprio durante il primo governo Mussolini che, grazie alla politica economico-finanziaria di Alberto De Stefani, l’Italia riuscì a centrare l’obiettivo del pareggio del bilancio: un obiettivo che, in tutta la storia unitaria del paese, fu raggiunto in due sole occasioni, con il governo di Marco Minghetti e della Destra storica nel 1876 e, appunto, con il governo Mussolini nel 1924. Si potrebbero aggiungere, all’attivo di un ideale bilancio del regime, altri risultati di non poco conto: dalla riforma della scuola legata al nome di Giovanni Gentile alla chiusura della questione romana, dalle grandi bonifiche fino alla creazione di quella «economia mista» che è sopravvissuta al crollo del regime e ha finito per costituire un tratto caratterizzante dell’Italia democratica del secondo dopoguerra, dalla legislazione sociale allo Stato imprenditore. Tutti fatti, questi, che hanno spinto alcuni studiosi, soprattutto di scuola americana, ad assimilare il fascismo a una developmental dictatorship, cioè a dire a una «dittatura di sviluppo» o, se si preferisce, a un regime funzionale a uno stadio di trapasso economico verso l’industrializzazione. Ma de hoc est satis anche perché, sull’altro piatto della bilancia, c’è naturalmente il peso dell’illegalismo e della violenza delle origini cui fecero seguito, dopo il delitto Matteotti, la trasformazione dello Stato in senso autoritario, il consolidamento della dittatura e, nell’ultima fase, il tentativo di costruire uno Stato totalitario propriamente detto. Silvio Berlusconi ha lasciato intendere, nelle sue poche battute, che la fase di involuzione del fascismo, quella che avrebbe portato alla catastrofe, ebbe inizio proprio quando l’Italia scelse di allearsi con la Germania di Hitler mettendo in soffitta la tradizionale linea di politica estera, che, all’indomani del primo conflitto mondiale e fino alla guerra d’Etiopia, l’aveva vista ancora partecipe del «campo» dei Paesi vincitori del conflitto mondiale e preoccupata di garantire la pace europea. Si tratta, pur in prima approssimazione, di una interpretazione corretta perché proprio l’alleanza con la Germania significò l’imbocco di una strada di subalternità politica e sudditanza ideologica che avrebbe portato alla disastrosa scelta bellica e all’accettazione ingiustificata e ingiustificabile di aberranti e criminali pulsioni antisemite. Accennando in maniera implicita a tutto questo e pur tacendo il connotato illiberale e dittatoriale del fascismo, Berlusconi ha, senza dirlo apertamente, richiamato l’attenzione sull’opportunità che la storia non utilizzi le lenti deformanti dell’ideologia e che invece, in linea con la celebre espressione di Benedetto Croce, sia non «giustiziera» ma «giustificatrice», capace cioè di comprendere e far comprendere lo svolgimento dei fatti. Ma quale può esser mai, da un punto di vista politico, il motivo di questa uscita di Berlusconi che, per quanto in sé e per sé non inesatta, finisce per caricare i suoi avversari? È difficile pensare che quella del Cavaliere sia una «voce dal sen fuggita». È più probabile che si tratti di una strategia per far sì che il suo nome si al centro dell’attenzione. E che egli possa apparire, ancora una volta contro tutti, il Cavaliere coraggioso capace di dire cose impopolari. Il Tempo, 28 gennaio 2013

MONTI E BERSANI SBANCATI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 gennaio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

Ci sono impresentabili ladri di polli, altri perché truffatori da strada, altri ancora che fanno la cresta sulle note spese pubbliche.

Non ci stupiamo più, ne abbiamo viste e raccontate di ogni genere. Ma i peggiori, e più pericolosi, sono gli insospettabili che si muovono con autorevolezza tra salotti e palazzi e che godono di buona stampa.

Non elemosinano una vacanza o un’auto di lusso, stanno alla larga, almeno ufficialmente, da donnine e vizi italici. È che sono assetati di potere e, per arrivarci o mantenerlo, hanno bisogno di montagne di soldi, centinaia di milioni, a volte miliardi. Altro che P2, P3 o P4. Gli impresentabili veri e invisibili oggi si annidano in quella ragnatela di potere che è la finanza rossa, un intreccio tra banche, colossi assicurativi, sistema di cooperative e giornali che fanno girare i soldi per alimentare e sostenere il Pd. Il quale ricambia, tramite la politica (governi, comuni, enti pubblici), procurando loro nuovi affari e commesse.

La Coop non sei tu, come dice lo slogan, sono loro, un cerchio magico di politici e affaristi che godono, a differenza di altri, di una sostanziale immunità giudiziaria. Per questo fa ridere che Bersani e soci cerchino di chiamarsi fuori dallo scandalo Monte dei Paschi. Hanno permesso che miliardi di euro, privati e pubblici, venissero usati dalla «loro» banca con una disinvoltura criminale. Hanno ottenuto coperture di livello, silenzi che valgono oro. Non si sono chiesti come mai il Monte abbia acquistato per 10 miliardi una banca, l’Antonveneta, che tre mesi prima ne valeva 6. E oggi non si chiedono se per caso la differenza sia finita in qualche tasca invece che a finanziare aziende e famiglie. Belsito e Bossi Trota, a confronto, sono galantuomini gettati in pasto all’opinione pubblica per saziare la rabbia popolare.

Ma soprattutto fa ridere che solo ieri Monti si sia accorto che il Montepaschi è una banca del Pd. Ma chi vuole prendere in giro, lui che è cresciuto a pane, banche e circoli esclusivi, quanto ben informati? Il premier in loden sente puzza di bruciato e si chiama fuori dopo che aveva fatto approvare con voto di fiducia un nuovo finanzia­mento miliardario alla banca rossa. Monti e Bersani hanno paura e scappano, come dei Corona qualsiasi. E si scaricano a vicenda le colpe come fanno, appunto, gli impresentabili. Non sono Trote, ma pesci sì, in barile. Il Giornale, 27 gennaio 2013

IL COMPAGNO MONTI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

La deriva a sinistra di Mario Monti pare inarrestabile. Ieri il premier e candidato premier di se stesso, di Fini (più noto come il cognato di Tulliani) e di Casini (quello dei parenti in lista) ha esaltato la «gloriosa storia comunista» del Pd. Che cosa ci sia stato di glorioso nel comunismo ci sfugge. È stata, quella comunista, la più feroce e criminale ideologia del secolo scorso. E in Italia il Pci l’ha sostenuta con forza, prendendo parte attiva nei misfatti dell’Unione Sovietica, dalla quale fu finanziato in nero per tramare e complottare contro di noi e le libertà dell’Occidente tutto. E ancora: sono schegge impazzite di quell’area, i famosi «compagni che sbagliano» che hanno insanguinato l’Italia nella stagione degli anni di piombo.

Poco importa, come ha detto sempre ieri Monti, che il Pd si sia gradualmente allontanato da quella storia. Perché la strada da compiere è ancora lunga. Il suo gruppo dirigente non ha mai fatto una autocritica piena e sincera, ha ancora in tasca la tessera del Pci, rivendica con orgoglio il passato e ancora oggi cerca soci da quella parte: da Vendola ai nuovi comunisti fino al nuovo entrato Ingroia.

Perché Monti abiuri il liberismo e coccoli il comunismo non è un mistero. Sondaggi alla mano, se vuole mantenere una poltrona deve attaccarsi come una cozza a Bersani e soci e sperare in una alleanza post elettorale. Anche perché, col passare del tempo, la verità sulle sue presunte doti di salvatore della Patria sta venendo a galla con cinica precisione. È di ieri la notizia che durante il suo anno di governo, in Italia ha chiuso un’azienda al minuto, massacrata da tasse e mancanza di consumi. Un record non male per l’ex presidente della Bocconi, scuola di economia e liberismo. Che ora ci vorrebbe trasportare nelle mani di ex, post e neo gloriosi comunisti. Già ce lo vedo sul palco di qualche piazza a intonare «Bella Ciao» insieme con Vendola, Ingroia e Bersani. Ovviamente in loden e con traduzione simultanea per mantenere il prestigio internazionale. Perché lui è Monti e noi no. Per fortuna. Il Giornale, 24 gennaio 2013

..…………Non ci piaceva prima, figuriamoci ora che al finto loden ha sostituito l’eskimo, la divisa dei terroristi che insanguinarono l’Italia negli anni 70, emulando le gesta dei loro antenati, dalla Russia a Cuba. Il potere, dicvìceva Andreotti, logora chi non ce l’ha e, aggiungiamo, fa impazzire chi ce l’ha, magari malguadagnato, e vede profilarsi il momento in cui dovrà lasciarlo. E’ il caso di Monti. Ma deve farsene una ragione. Dopo il 24 febbrqaio, comuqnue vada, è destinato a far tappezzeria al Senato, naturalmente con un lauto compenso mensile sicchè potrà godersi la vecchiaia, dopo averla distrutta a milioni di italiani. g.

A UN MESE DALLE ELEZIONI TRA FANTAPOLITICA E REALTA’

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Gossip, Politica | No Comments »

Ad un mese dalle elezioni c’è chi si diletta a fantasticare sukl dopo elezioni. Per esempio lo fa Dagopsia che racconta di studi in corso al Qurtinale per fronteggiare le varie ipotesi che dovessero uscuire dalle urne. Per esempio nel caso che non ci sia un vincitore al Senato. In questo caso, scrive Dagospia, il Qurinale ipotizza un patto tra il primo e il secondo…ma il secondo, allo stato, dell’arte è Berlusconi, per cui se lo sio deve escludere bisogna che Mosè Monti, che a differenza di Mosè, si crede Dio per davvero, deve raddoppiare i consensi che  gli vengono attribuiti al momento  dai sondaggi, molto al di sotto di quelli attribhuiti a Berlusconi e molti vicini a quelli di Grillo con il rischio di arrivare quarto o, se si vuole, penultimo. Insomma un pò di fantapolitica mescolata a qualche realtà. Buona lettura. g.

DAGOREPORT

La più alta istituzione italiana (non soltanto perchè è ubicata nell’antico palazzo di villeggiatura dei Papi, intorno al quale si spandevano le vigne del Quirinale), nonostante i critici, alla fine è quella che nell’ordinamento italiano è stata definita meglio dai padri costituenti: nei momenti di difficoltà del Paese ha gli strumenti per intervenire, vedi il governo del Presidente varato da Re Giorgio Napolitano nel novembre 2011 di fronte all’incalzare dello spread (che la scelta di Mosè Monti si sia rivelata inadeguata e velleitaria possiamo dirlo ora, alla luce della vera e propria metamorfosi kafkiana che il prescelto ha subito a evidente insaputa sua e del suo dante causa), mentre nei periodi di calma o di calma apparente può ritirarsi lasciando spazio al libero esplicarsi della dialettica politica e sociale.

O elettorale, come sta avvenendo oggi. Ma questo non significa che Re Giorgio e i suoi stretti collaboratori non stiano già attrezzandosi per gestire il dopo elezioni: anche sul Colle si seguono i sondaggi, si parla con i leader, e soprattutto ci si prepara a dare veste istituzionale e costituzionale al responso delle urne.

Sulla base dell’attuale stato dell’arte, nella fase in cui ciascun elettore comincia più seriamente a pensare chi non votare per poi concentrarsi su chi votare, lo schema sul quale si stanno intrecciando le valutazioni del Colle (schema pervenuto a noi e non ad altri per ragioni di banale trasparenza istituzionale in relazione alla qualità del nostro target, come dice chi ci capisce) ruota sostanzialmente su questi punti:

1. nel caso di vittoria del Centro sinistra alla Camera e di un risultato vicino o di non maggioranza sufficiente al Senato, il vincitore anche non totale delle elezioni viene incaricato di formare il nuovo governo. La volontà del popolo sovrano verrà rispettata alla virgola, quindi nessuna soluzione che non preveda a Palazzo Chigi l’effettivo vincitore delle elezioni, fosse solo per un voto.

2. Contemporaneamente, va coinvolta nel perimetro istituzionale/di governo la forza più importante scaturita dalla urne dopo il vincitore. L’Italia, ragionano al Colle, non può permettersi di fronte ai propri cittadini e di fronte al mondo, non solo all’Europa, di non avere una maggioranza che faccia fronte prima a 10 precise scelte economiche che oggi è difficilissimo rintracciare nella propaganda elettorale di tutti i partiti e partitini, ivi compreso quello di Mosè Monti e Tinagli Irene (l’unica testimonial di Scelta Civica che con inconsapevole sprezzo del pericolo si offre alle telecamere essendo possibilista su tutto, tanto c’è un gruppo di lavoro che approfondisce qualunque questione di cui al momento non ricorda i numeri o la risposta) e poi, ma solo poi, ad alcune necessità di riforme sul fronte istituzionale.

3. La forza più importante dopo il Pd è quella di Berlusconi Silvio resuscitato e la riflessione sul Colle si è fatta più puntuale in relazione alla crescente evanescenza elettorale e alla proporzionale complicazione dei rapporti interni al centrino di Casini, Mosè Monti, Tulliani-Fini Gianfranco e alla concorrenza stessa a sinistra tra Vendola ed Ingroia, che su molte questioni sposta ancor di più verso sinistra l’asse di un governo Bersani sostenuto soltanto dagli apporti di cui sopra.

4. Piu’ in particolare, se le urne indicheranno il pareggio al Senato, si sta lavorando sin d’ora a costruire la cornice per un patto chiaro di governo con il secondo classificato alle elezioni che inizi dal riporre subito in soffitta tutte le bandiere di propaganda elettorale che gli schieramenti stanno inalberando: la patrimoniale, che sta terrorizzando tutta la restante borghesia italiana sopravvissuta all’Imu, da una parte e il taglio repentino delle tasse dall’altro, tanto per fare due esempi. La piattaforma sarà invece la condivisione di precisi interventi economici di tagli effettivi e duraturi della spesa e di sostegno alle imprese per la crescita, e la risoluzione di alcuni temi specifici su cui Mosè Monti ha colpevolmente latitato o fatto inutile melina: Alitalia, Finmeccanica, Ilva, Mps per cominciare.

5. Il punto chiave sul quale stanno lavorando dalle parti del Colle è questo: come tradurre il pareggio annunciato o la vittoria mutilata in una formula istituzionale, secondando o aiutando le stesse volontà politiche dei protagonisti al di là della propaganda elettorale di queste settimane, che legittimi la formazione di un governo politico a maggioranza più larga ma politicamente riconoscibile sia rispetto alla gravità dei problemi, sia rispetto alla comunità internazionale, sia rispetto ai limiti tecnici emersi con il governo tecnico. Un primo riferimento c’è: i vertici delle istituzioni rappresentative della volontà popolare, cioè Camera e Senato, hanno nei propri regolamenti i contrappesi cui guardare anche nel caso che si profila dalle urne.

Laddove infatti c’è un presidente di assemblea espressione di una maggioranza sono garantite le vicepresidenze a favore delle maggiori espressioni delle minoranze. Sono regole che già esistono. Ecco perchè Re Giorgio e i suoi collaboratori stanno monitorando con serena attenzione gli scenari possibili, certi di fronte ad un possibile pareggio, della coerenza istituzionale del percorso necessario a farvi fronte. In pratica, la prima opzione per la collaborazione con Bersani Pierluigi e’ la seconda forza che esce dalle urne, non la quarta: quindi Casini, Fini (60 anni di Parlamento in due) e Mosè Monti, senatore a vita, devono almeno raddoppiare gli attuali livelli di consenso attribuiti loro dai sondaggi e negoziare un’alleanza organica con Pd e Vendola oppure sono fuori perchè vale lo schema sin qui esposto.

6. Un punto importante sul quale si stanno arrovellando su per le alte cime è questo: come denominare l’esperienza di collaborazione governativa che in tale scenario si andrebbe a ipotizzare e costruire. Il naming non e’ affatto secondario, se solo si pensa a come nel corso della Prima Repubblica sono state denominate e oggi sono diventate storia esperienze come quella delle “convergenze parallele” di morotea memoria o il governo della “non sfiducia” che rimanda ad Andreotti.

Sul Colle, ovviamente solo perché e’ loro dovere farsi trovare pronti, sono avanti anche su questo: innanzitutto escludono dalla denominazione ogni riferimento emergenziale, visto che la formula potrà effettivamente servire dopo che il popolo ha votato e per rispettarne la volontà, e sono concentrati su due concetti. Eccoli: “Governo di unita’ repubblicana”, “Governo di convergenza per lo sviluppo” e “Governo di responsabilità nazionale”.

7. L’ultima notazione che ci perviene da lassù e’ questa: pur augurandosi che una forza politica vinca bene sia alla Camera sia al Senato, a favore della soluzione dell’alleanza con il secondo miglior piazzato per governare il Paese, c’è la fortissima consapevolezza che di fatto si sta superando il bipolarismo senza avere una legge elettorale che lo certifichi e, soprattutto, senza la possibilità di averla nel prossimo Parlamento. Saranno cento grillini a votare una legge elettorale sul modello tedesco? Come si fa ad assicurare la governabilità necessaria come il pane alle imprese e ai mercati, con il Porcellum vigente e il modello più vicino al proporzionale di cui ci sarebbe stato bisogno in queste elezioni? La formula di governo post pareggio avrebbe anche il compito di aprire la strada, dopo aver affrontato i problemi economici, ad una legge elettorale diversa per il futuro della legislatura per la quale stiamo andando a votare.

8. Non c’entra nulla con il tema del governo post elezioni e con il lavoro del Colle ma dopo le grandi paginate degli ultimi due giorni ci sono ancora giornali che si occupano di Cosentino. Nessuno tuttavia ha detto nei giorni scorsi o dice oggi quello che lo stesso Nick o mericano sa bene: nel prossimo Parlamento avrebbero votato in due minuti a favore del suo arresto, visto che non ci sara’ alcuna maggioranza garantista come, sia pure a strappi, c’era nelle Camere sciolte qualche mese fa. DAGOSPIA, 24 gennaio 2013

I TECNICI DEL GOVERNO MONTI..ALTRO CHE SOBRI

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Presentati come preparatissimi e integerrimi, dovevano dare lezioni a tutti. Ma sono incappati in inchieste, strani affari immobiliari e ferie a scrocco: da Grilli a Passera, da Griffi a Malinconico

Roma Per essere i portabandiera della sobrietà, i ministri di Mario Monti sono stati coinvolti, nei loro 13-mesi-13 di impero tecnico, in scandali, scandaletti e vicende inopportune né più né meno degli esponenti di ogni altro governo repubblicano.

Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli

A volte piccoli inciampi, altre volte storiacce da dimissioni. Di certo nel libro nero del governo del Professore ci sono abbastanza pagine da sbianchettare ogni vanto di pretese virtù.
La vicenda di Paola Severino che raccontiamo in altra parte di questo giornale, è solo l’ultima. E nemmeno la più imbarazzante. Come spesso accade in Italia gli scheletri sono nascosti tra i mattoni. Fu una casa, infatti, a far arrossire nel gennaio 2012 Filippo Patroni Griffi, ministro della Semplificazione. Si scoprì che il magistrato «salito» al governo la vita se l’era semplificata eccome acquistando nel 2008 l’appartamento in cui vive da affittuario dalla fine degli anni Ottanta, (109 metri quadrati catastali al primo piano con vista sul Colosseo) a un prezzo decisamente di saldo: 177.754 euro. Patroni Griffi beneficiò, come gli altri condòmini, di un prezzo già vecchio e scontato di un altro 45 per cento grazie alla vendita in blocco. Una clausola che non si dovrebbe applicare agli immobili di pregio. Ma il fatto è che Patroni Griffi e i suoi coinquilini riuscirono a farsi riconoscere dapprima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato lo status di «immobile non di pregio». Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di cui non si è saputo più nulla. E sulla casa si è impantanato anche Vittorio Grilli, ministro dell’Economia che, come da noi raccontato ieri, nel 2004 acquistò un quartierino da oltre 300 mq ai Parioli per un prezzo (1,065 milioni) pari a metà del valore dell’immobile e contraendo un mutuo gonfiato fino a 1,5 milioni. Le spiegazioni fornite dal ministro sono state finora tutt’altro che chiarificatrici.

Di tutt’altra natura l’affaire che portò alle dimissioni da sottosegretario della Presidenza del consiglio con delega all’editoria Carlo Malinconico: a partire dal 2007 era stato più volte ospite di un lussuoso resort dell’Argentario, Il Pellicano, senza sborsare un euro. Il conto infatti veniva regolarmente saldato da Francesco De Vito Piscicelli, imprenditore della cricca di Angelo Balducci. Malinconico, bontà sua, invocò la clausola-Scajola: l’inconsapevolezza.
Poco rilievo ha avuto tutto sommato l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Biella di un pezzo grosso del governo tecnico, Corrado Passera, perché nel 2006-07, da amministratore delegato di Banca Intesa prima e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo poi avrebbe operato un arbitrato tributario internazionale per garantire al gruppo bancario benefici di carattere fiscale. «Un atto dovuto», tagliò corto lui.

Questioni di incompatibilità investirono invece Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, e Corrado Clini, titolare dell’Ambiente. Il primo il 30 gennaio si dimise dalla presidenza del Cnr, ente dal suo stesso dicastero controllato. Il conflitto di interessi era chiarissimo e l’incompatibilità palesemente prevista dallo statuto del Cnr, eppure Profumo traccheggiò chiedendo un parere all’Antitrust prima di capitolare in seguito alle polemiche sollevate. Quanto a Clini, lasciò la presidenza dell’Area Science Park di Trieste, la cui nomina è espressa dal governo: non bastò l’iniziale autosospensione.
Tra gli altri esponenti del governo dei sobri si fa per dire vanno ricordati il sottosegretraio ai Beni Culturali Roberto Cecchi rinviato a giudizio alla Corte dei

Conti per danno erariale che sarebbe stato procurato dall’acquisto di una costosa «patacca» da lui raccomandato allo Stato; il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini, dimessosi il 15 maggio 2012 perché indagato per concorso in frode fiscale e dichiarazione fraudolenta; il viceministro del Welfare Michel Martone, la cui carriera accademica, secondo Arcangelo Martino, imprenditore coinvolto nell’inchiesta sulla P3, sarebbe stata forse agevolata da «aiutini» sollecitati dal papà. Andrea Cuomo, 24 gennaio 2013

MONTI HA USATO I SOLDI DEGLI ITALIANI. QUELLI DELL’IMU IN PARTICOLARE, PER SALVARE LA BANCA ROSSA DI BERSANI

Pubblicato il 23 gennaio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

Monti, i soldi dell'Imu per salvare la banca rossa
I Monti-bond da 3,9 miliardi equivalgono a quanto pagato dagli italiani per la tassa sulla prima casa

Per capire quello che sta succedendo oggi bisogna fare un salto nel 2007. Quando Mps, la più antica banca italiana, compra da Santander Antoneventa a un prezzo di gran lunga superiore (10 miliardi di euro) rispetto a quello che era stato pagato (6,5 miliardi di euro) dal gruppo spagnolo solo tre mesi prima . Se è vero che Mps diventa la terza banca del Paese con oltre tre mila sportelli, è altrettanto vero che dall’acquisizione a prezzi stratosferici cominciano molti guai per l’istituto di credito senese. Sull’operazione la Procura apre un’inchiesta per capire se fu accompagnata da un giro di tangenti a politici e intermediari. Così la banca storicamente vicina alla sinistra, diventa una sorvegliata speciale sia da parte dei mercati che della magistratura.  I risultati di bilancio sono pessimi e peggiorano con il passare degli anni. Mps si lancia quindi in operazioni finanziarie che si trasformano in un boomerang per i propri conti, presiti, derivati, e chiede un aumento di capitale ai propri soci nel tentativo di chiudere il buco.  Ieri, mercoledì 23 gennaio, Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, ed ex presidente di Mps si è dimesso in seguito allo scandalo derivati conclusi nel 2009.

I Monti-bond Lo scorso dicembre, contro il parere di Mario Draghi, il governo italiano ottiene il via libera dalla Ue per l’erogazione di 3,9 miliardi di euro di aiuti di Stato alla banca senese. La formula allunga-debito, prevede che alla scadenza del prestito o Mps rimborsa o fa entrare lo Stato nell’azionariato. Ed oggi sono proprio i Monti-bond che infiammano la polemica politica.  Sì, perché l’ Imu sulla prima casa che tutti gli italiani proprietari di immobili hanno dovuto versare entro lo scorso dicembre, ammonta proprio a 4 miliardi di euro. E così questo scandalo bancario rischia di trasformarsi in un boomerang per la sinistra, esattamente come nel 2006 accadde con il caso Unipol (Fassino, intercettato al telefono, con Consorte, diceva “Abbiamo una banca): se è vero che a vincere fu il centrosinistra, la Cdl fece un ottimo risultato al Senato (156 seggi contro 158)

Amico dei banchieri “Le banche hanno badato troppo alla finanza e poco all’economia reale, alle famiglie e alle imprese. Monti ha coccolato le banche e dato schiaffi al ceto medio”. attacca il segretario del Pdl Angelino Alfano: “Noi abbiamo due richieste precise per le banche  la prima è restituire all’economia reale, alle famiglie e alle imprese, i soldi avuti a basso tasso di interesse dalla Bce; il secondo riaprire i rubinetti del credito”. Attacchi al governo dei banchieri arrivano anche da Antonio Di Pietro “La vicenda che ha coinvolto il dimissionario presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, è gravissima. Ma è ancor più grave che il governo Monti abbia finanziato le casse del Monte dei Paschi di Siena con un prestito da 3,9 miliardi di euro, cifra equivalente all’Imu sulla prima casa, l’imposta con cui questo esecutivo ha tartassato gli italiani. Si tratta di soldi pubblici, presi dalle casse dello Stato e dalle tasche dei cittadini, e versati a Mps da questo governo di banchieri”, aggiunge Di Pietro, “Tutta quest’operazione rappresenta l’ennesimo schiaffo alle famiglie italiane salassate da Monti con le politiche del rigore. Politiche che hanno fatto pagare il costo della crisi ai lavoratori, ai giovani, ai pensionati, ai più onesti, alle piccole e medie imprese e agli artigiani che, in questo momento, sono presi per il collo dal sistema bancario. Ci auguriamo che la magistratura faccia al più presto luce su questa torbida vicenda”. In tutta la vicenda che sta emergendo riguardo al Monte dei Paschi di Siena, si conferma che gli azionisti e i clienti, cioè i cittadini, sono sempre e semplicemente carne da macello, rincara Sandro Bondi, del Pdl, che aggiunge: “Mentre le conseguenze delle scelte avventate compiute dai vertici della Banca vengono coperte dagli aiuti del governo Monti, i rubinetti dei prestiti alle imprese e alle famiglie vengono chiusi determinando un’ulteriore spinta alla recessione”.Questa è la filosofia del governo Monti: difendere i ceti oligarchici contro il popolo. Proprio la funzione che nell’antica Roma era affidata alla figura del dictator: ‘Adversus plebem dictator’”, conclude Bondi. Libero, 23 gennaio 2013

MOLLANO IL SEGGIO MA CONTINUANO AD INCASSARE

Pubblicato il 23 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

D’Alema, Pisanu, Rutelli, Scajola&C. non si ricandidano. Hanno vitalizio fino a 6500 euro al mese e liquidazioni fino a 278mila

Trombati e contenti Mollano il seggio  ma continuano a incassare

di Franco Bechis

Basta asciugarsi la lacrimuccia che sicuramente scappa quando si realizza che si è all’ultimo giorno di palazzo. Qualche ferita resterà, a seconda dei casi, perché c’è chi ha fatto il passo indietro spontaneo, c’è chi l’ha fatto in modo spintaneo, c’è chi a sua insaputa in extremis è stato trombato e per questo dovrà dire addio al Parlamento. Ma asciugata la lacrimuccia e sistemato l’orgoglio ferito, per buona parte degli esclusi dalla XVII legislatura è già ora di ordinare festeggiare. Perché c’è l’altra faccia dell’amarezza: da domani potranno fare un altro lavoro, e magari restarsene in panciolle ricevendo comunque ogni mese il proprio rassicurante vitalizio. E a marzo arriverà per tutti gli esclusi un assegno di fine mandato non tassato (quindi netto) di gran lusso: andrà dai 44 mila euro per chi è stato eletto solo nel 2008, fino a quasi 300 mila netti a seconda della propria carriera parlamentare. Cifre che non interessano il fisco, che sfuggono a redditometro e spesometro, che sono cumulabili con ogni altro reddito, pensione o Tfr. Una manna, in grado di fare sorridere gran parte dei trombati.

Da marzo arriverà un vitalizio netto da 6.500 euro al mese nelle tasche del senatore uscente del Pdl Beppe Pisanu, del deputato uscente Udc Mario Tassone e di Valter Veltroni, fondatore del Pd che già aveva provato questa emozione quando era sindaco di Roma: un assegno mensile lordo di oltre 9.300 euro che lui sosteneva di dare in beneficienza a una organizzazione umanitaria in  Africa. Ora Veltroni se li terrà, in attesa di qualche occupazione integrativa. E verserà sul conto anche la buonuscita da 44 mila euro, che sembra ridotta rispetto ai suoi 19 anni da parlamentare perché ne ha già incassato la parte più sostanziosa quando si dimise per diventare sindaco di Roma. Anche Pisanu ne ha già incassata una parte (ha 39 anni di parlamento alle spalle): ora però gli arriverà un assegno da 175 mila euro netti. Stessa esperienza per Tassone, che di anni alle spalle come onorevole ne ha 35: ha già incassato una parte della liquidazione, riceverà ancora 158 mila euro.

La doppia liquidazione è esperienza che faranno molti altri parlamentari uscenti che nella loro carriera hanno già interrotto l’esperienza parlamentare o perché non ricandidati nella legislatura o perché eletti altrove. Al Parlamento europeo ad esempio Massimo D’Alema, fra il 2004 e il 2006, prendendosi la prima liquidazione per i suoi 24 anni da parlamentare. Gli resta da incassare un assegno da 64 mila euro e il vitalizio da circa 6 mila euro mensili netti. Avranno invece maxi liquidazioni i parlamentari che non  hanno mai interrotto il loro mestiere dal primo giorno in cui sono entrati alla Camera o al Senato. Le cifre più sostanziose toccheranno a Filippo Berselli (Pdl, ex An): 278 mila euro a cui si aggiunge da subito un vitalizio da 6.200 euro al mese e a Livia Turco che incasserà subito una liquidazione da 241 mila euro, ma dovrà ancora aspettare due anni per ricevere un vitalizio da 6.100 euro. Terzo posto nella classifica delle liquidazioni per il leghista Roberto Castelli, che incasserà un assegno da 195 mila euro e da marzo anche un vitalizio di circa 5.500 euro netti mensili. Il vitalizio sarà appena superiore (5.600 euro netti al mese) per Francesco Rutelli, che però dovrà attendere ancora un anno per riceverlo perché non ha ancora maturato i requisiti anagrafici. Subito incasserà 111 mila euro di liquidazione, visto che ne ha già incassata una parte per i suoi 23 anni da parlamentare quando si candidò a sindaco di Roma. Claudio Scajola si rasserenerà un po’ quando avrà la liquidazione (158 mila euro netti) e l’assegno del vitalizio mensile netto (4.700 euro) che incasserà senza fare nulla.

Le regole non sono uguali per tutti, perché dipendono dal momento in cui si entra in Parlamento. Per la liquidazione i parlamentari in genere ricevono l’80% della indennità parlamentare lorda per ogni anno di legislatura. Per il vitalizio la cosa è più complicata. Oggi si può avere a 65 anni con 5 anni di legislatura e si può scendere per ogni anno in più fatto fino a 60 anni. L’assegno oscilla fra il 20 e il 60% della indennità lorda. Fino al 2007 però non c’era questo limite di età e l’assegno oscillava fra il 25 e l’80% della indennità lorda. Libero, 23 gennaio 2013

……………….Ecco la casta che si perpetua nei privilegi,  alla faccia di una sessantina di milioni di persone, milioni di pensionati al limite dell’indigenza, otto milioni di poveri, il 37% di giovani senza lavoro e senza futuro. Tutti dicono di voler cancellare i privilegi ed eliminare le caste, ma al dunque tutto rimane come prima e talvolta peggio di prima. g.

ELEZIONI: SORPRESE, RICATTI E BUTTAFUORI

Pubblicato il 22 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Nicola Cosentino era impresentabile, e dunque non è stato presentato nelle liste del Pdl in Campania. Sembra un’ovvietà, ma è una novità. Si è alzata l’asticella della decenza pubblica: gli italiani hanno fissato nuovi limiti a ciò che è consentito in politica, e ora tutti ne devono tener conto. Quest’anno non è passato invano. Mentre pagavamo i debiti dello Stato, ci sono diventati intollerabili i predatori insediatisi nello Stato. E bisogna ammettere che i nuovi arrivati, da Grillo a Monti, seppure in modi molto diversi tra loro, hanno contribuito a rendere inaccettabile ciò che lo è.
Il trauma nel Pdl è grande, perché escludere un imputato è più difficile in un partito il cui leader è a sua volta imputato in tre processi e vive in una condizione di guerra perenne con la magistratura. E perché è difficile per tutti, non solo per dei garantisti, prendere una decisione che tra qualche settimana aprirà le porte del carcere preventivo all’ex deputato Cosentino, accusato di essere un «colletto bianco» della camorra (del resto un anno fa l’ex ministro dell’Interno Maroni, oggi principale alleato di Berlusconi, votò ostentatamente a Montecitorio per il suo arresto). Ci sono volute 72 ore di feroce battaglia politica e un epilogo tra il drammatico e il farsesco, con l’escluso accusato di fuggire con le liste, il caos per ricostruirle, il sospetto su chi tra i suoi sponsor gliele avesse date.

Eppure, sebbene la presunzione di innocenza valga anche per Cosentino, non c’era bisogno dei sondaggi per capire che quella candidatura avrebbe politicamente sfregiato la coalizione di centrodestra. Al Nord ma anche al Sud, dove perfino il governatore pdl della Campania, Stefano Caldoro, aveva posto il suo aut aut: «O lui o me». Spinto da un Alfano tornato a combattere una battaglia di rinnovamento del partito, alla fine Berlusconi ha detto no.
Purtroppo però non tutto è bene ciò che finisce bene. Intanto Cosentino ha dato una preoccupante dimostrazione di forza. Per il Cavaliere è stato più facile mettere da parte Dell’Utri, sodale di una vita, che il ras della Campania. Perché? Le minacce dell’escluso («Vi sfascio, vi rovino») fanno pensare che almeno in Campania il Pdl sia più una truppa di capitani di ventura che un partito, e che qualcuno di loro abbia accumulato abbastanza potere da ricattare il re. L’autoriforma di quel partito deve cominciare da lì: democrazia interna e collegialità.
Il secondo problema sta nel fatto che, ancora una volta, i partiti si sono dovuti far scrivere il copione dai giudici. Questo riguarda anche il Pd, che pure con ben altra decisione ha tolto dalle liste i suoi «chiacchierati». Alcuni di loro però avevano addirittura fatto e vinto le primarie. Ci vuole dunque una legge che regoli la vita dei partiti, del resto prevista dalla Costituzione. E ci vuole una riforma elettorale che dia agli elettori il potere di scegliere i parlamentari, invece che a un sinedrio o a un capo.
Infine bisogna ricordare che l’impresentabilità non è un aspetto solo penale. Di relitti di una politica arrogante e incapace, pur senza avvisi di garanzia, nelle liste ne sono rimasti parecchi. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 22 gennaio 2013

MONTI E’ STATO IL COMMISSARIO LIQUIDATORE DELL’ITALIA:PAROLA DI LUIGI ZINGALES

Pubblicato il 22 gennaio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

zingalesLUIGI ZINGALES

Meno tasse, meno burocrazia, meno Stato e più impresa. Praticamente, spiega Luigi Zingales, «siamo la nuova Lega». Il professore di imprenditorialità e finanza all’Università di Chicago, bocconiano doc, tra i promotori del movimento guidato da Oscar Giannino che si presenta alle prossime elezioni “Fare per Fermare il declino”, non ha dubbi: «Noi riproponiamo lo spirito originario delle proposte leghiste, che era quello liberale e liberista».

Inutile ricordargli che di quel progetto faceva parte anche Silvio Berlusconi. All’economista il Cav non piace. «Ha fatto», dice, «lo stesso errore che sta facendo ora Mario Monti, si è circondato di persone sbagliate».

Il Financial Times, però,sembra convinto che i difetti di Monti vadano al di là dei compagni di viaggio…
Il principale difetto dell’attuale premier è quello di aver fatto il commissario liquidatore dell’Italia. Un modo per accontentare i creditori, senza però pensare ai debitori, che sono gli italiani e sono stati caricati di tasse.

Cosa si poteva e doveva fare di più?
Ci sono tanti punti su cui non è stato fatto tutto il possibile. Mi viene in mente una cosa che può sembrare marginale, ma è emblematica: perché non ha tolto tutte le auto blu agli ex ministri?

Non avrebbe aiutato molto i conti pubblici…
Ma forse avrebbe reso un po’ meno odiose le imposte, che tra le altre cose anche quelle auto vanno a finanziarie. La lotta all’evasione non si fa trasformando tutti i cittadini in presunti colpevoli, come fa il redditometro, ma abbassando le tasse e offrendo servizi più efficienti.

Se doveste vincere le elezioni cosa fareste dell’Imu?
In linea di principio tra un’imposta sulla casa e l’Irpef preferisco la prima, anche perché se fosse effettivamente destinata tutta ai Comuni rientrerebbe in quel meccanismo virtuoso di controllo da parte dei cittadini del rapporto tra imposte e servizi. Detto questo credo che l’Imu debba essere ridisegnata sulla base della capacità contributiva dei cittadini e resa più graduale.

Niente riduzione delle tasse, dunque?
Tutt’altro. Credo che la priorità sia quella di abbattere la spesa (6 punti percentuali in 5 anni) e tagliare di conseguenza le tasse. A partire da quelle sul lavoro e sui giovani.

Anche Berlusconi ha proposto di detassare i giovani assunti. Cosa ne pensa?
Che sia una buona idea. Ma deve essere finanziata. E un’ipotesi potrebbe essere quella di toccare le pensioni d’oro, ma solo quelle con un rapporto sproporzionato tra contributi versati e assegno incassato.

silvio BerlusconiE sul fronte del lavoro, pensa che la riforma Fornero vada nella giusta direzione?
La riforma Fornero non ha migliorato le cose, probabilmente le ha peggiorate. E in questo caso era meglio non fare alcuna riforma che farla sbagliata. Ma il vero problema in Italia non è solo la flessibilità. Il principale gap di competitività delle nostre imprese riguarda il peso della burocrazia. È qui che bisogna intervenire con una riforma che rivoluzioni l’efficienza della Pa, perché oggi ogni imprenditore si alza la mattina e deve combattere per tre ore contro la burocrazia prima di poter iniziare a lavorare.

Ci hanno provato in tanti…
Lo so. Serve la determinazione di una Thatcher, che con la forza del coraggio e delle idee è riuscita a trasformare un Paese alla deriva in un Paese che ancora oggi produce più del nostro.

E il welfare?
Il liberismo non rifiuta il welfare. Anzi. La rete di protezione per i lavoratori è necessaria anche perché aiuta le persone, senza togliere il costo del fallimento, ad assumersi i rischi dell’impresa. Libero, 22 gennaio 2013