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E SE VINCESSE ANCORA BERLUSCONI?, di Luca Ricolfi

Pubblicato il 21 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

Lo so, all’estero sarebbero increduli. E anche fra noi italiani, che ci conosciamo abbastanza bene, serpeggerebbero sorpresa e costernazione. Però, arrivati a questo punto, l’ipotesi non può essere scartata completamente: Berlusconi potrebbe vincere le elezioni. Improbabile, a tutt’oggi. Ma non impossibile. Vediamo perché.

LUCA RICOLFILUCA RICOLFI

I sondaggi, per cominciare. Non tutti se lo ricordano, ma è esistito un tempo in cui i sondaggisti accorti «correggevano» i sondaggi. Se nelle interviste la Dc raccoglieva il 35% dei consensi, il sondaggista esperto diceva al committente: qui bisogna aggiungere qualche punto, perché molta gente preferisce nascondere che vota Dc; certo, la voterà, al momento buono, ma non ama dirlo, nemmeno a uno sconosciuto intervistatore.

Se nelle interviste i Verdi prendevano il 4%, il sondaggista esperto dimezzava la percentuale, perché sapeva che la dichiarazione di voto ai Verdi era la tipica risposta-rifugio.

Quella risposta-rifugio che non ti fa fare brutta figura (che male c’è a votare verde?) ma intanto ti permette di non dichiarare la tua vera preferenza. Meno diffusa era un altro tipo di correzione, che comincerà a essere presa in considerazione soprattutto nella seconda Repubblica: se tutti credono che le elezioni le vincerà un certo partito, conviene potare un po’ i consensi del vincitore annunciato.

Si sarebbe dovuto fare fin dal 1976, quando ci si aspettava il trionfo del Pci (che poi non ci fu), ma sarebbe stato bene farlo soprattutto nel 1994 e nel 2006, quando un po’ tutti erano sicuri di una schiacciante vittoria della sinistra, che di nuovo non ci fu. Quest’ultimo, negli studi elettorali, si chiama effetto winner: saltare sul carro del vincitore al momento del sondaggio, per poi scegliere quel che si vuole quando si va a votare davvero.

BERSANI MONTIBERSANI MONTI

Che c’entra tutto questo con Berlusconi ?

C’entra, perché anche oggi, verosimilmente, operano le distorsioni di sempre. C’è un vincitore annunciato (il Pd di Bersani), ci sono liste momentaneamente imbarazzanti (tutto ciò che sa di Lega e Berlusconi), ci sono liste rifugio, con cui sei abbastanza tranquillo di non fare brutta figura (lista Monti). Il sondaggista esperto, se vuole indovinare il voto o dare informazioni attendibili al suo committente, dovrebbe aggiungere un po’ di voti a Pdl e Lega, toglierne un po’ a Bersani e Monti.

Insomma dovrebbe «aggiustare» i sondaggi. Non sappiamo se qualche istituto lo fa effettivamente o se, più correttamente, i numeri che vengono pubblicati ogni giorno sono quelli veri, quelli che risultano ai sondaggisti prima di ogni correzione o ritocco. Se, come dobbiamo augurarci, i dati resi pubblici non sono ritoccati, dovremmo concludere che il distacco effettivo del centro-destra è sensibilmente minore di quello che viene indicato dai sondaggi. Diciamo, giusto per dare un’idea, che dovremmo aggiungere un paio di punti al centro-destra e toglierne altrettanti al Pd e alla lista Monti.

C’è poi un altro fattore che gioca a favore di Berlusconi. Nella seconda Repubblica il cosiddetto incumbent, ossia l’ultimo che ha governato, non ha mai vinto le elezioni. Gli italiani hanno sempre bocciato chi aveva governato, e hanno sempre scommesso su chi stava all’opposizione. Da questo punto di vista far cadere Berlusconi senza andare al voto è stato un grosso assist a Berlusconi stesso: ha concesso agli italiani il tempo di dimenticare la loro delusione per il duo Tremonti-Berlusconi e di convogliare tutta la loro rabbia sul governo Monti.

Un anno fa Berlusconi era il governo uscente e Bersani era l’opposizione che si candidava a prendere la guida del Paese, oggi il governo uscente è quello di Monti, e l’opposizione è Berlusconi, non certo Bersani che con Monti e il suo governo è stato assai leale. Insomma lo svantaggio di essere l’ultimo ad aver governato ricade su Monti, e il vantaggio di essere l’opposizione – dopo lo strappo con Monti – è tutto di Berlusconi.

D’accordo, direte voi, ma sui programmi Berlusconi non è credibile. Qui occorre intendersi. Sui programmi nessuno è credibile, forse nemmeno Monti, la cui famigerata agenda ha già subito fin troppe giravolte (ad esempio su Imu e pressione fiscale). E naturalmente Berlusconi non fa eccezione, racconta di aver rispettato il «Contratto con gli italiani», ma non dice la verità, come sa chiunque abbia studiato seriamente le cifre (che fine hanno fatto le due aliquote Ires al 23 e 33%?). Però un conto è fare promesse credibili, un conto è apparire credibili agli occhi dell’opinione pubblica. Distinzione sottile, ma riflettiamoci su: fra Bersani, Monti e Berlusconi chi fa proposte che più facilmente possono essere credute?

Secondo me è Berlusconi che ha più probabilità di intercettare gli umori della gente. E spiego perché. Da almeno due anni, dunque da prima dell’avvento di Monti, i sondaggi segnalano che il problema delle tasse è diventato assolutamente prioritario, come non lo era mai stato prima. Di fronte a questo problema chi è più credibile? La sinistra, che le tasse e la spesa pubblica le ha nel suo Dna? Il governo Monti, che i mali dell’Italia li ha curati innanzitutto con maggiori tasse? O Berlusconi che promette di eliminare l’Imu sulla prima casa e l’ha già fatto con l’Ici?

E sul lavoro, l’altro grande problema degli italiani, chi è più credibile?

La sinistra, verrebbe da dire. Però guardiamo anche al linguaggio, alle parole che si usano per farsi capire dagli italiani. «Mettere il lavoro al centro», slogan ripetuto fino alla noia dai dirigenti della sinistra, non evoca nulla di preciso, di concreto. Dire che chi vuol assumere un giovane a tempo pieno potrà farlo senza pagare un euro di tasse e contributi («come fosse in nero», ha detto Berlusconi in tv), uno dei cavalli di battaglia del centro-destra, è una proposta che chiunque capisce, e chi ha un’attività apprezza.

Naturalmente ognuno può pensare che nulla di quel che dice Berlusconi sarà realizzato, o all’opposto che tutto sarà realizzato e proprio questo ci porterà al disastro. Ma resta il fatto che quel che vuol fare Berlusconi si capisce subito, mentre quel che vogliono Bersani e Monti si capisce meno, o appare lontano, astratto, difficilmente traducibile in misure concrete. Per dirla con Adriano Celentano, Berlusconi è rock, Monti è lento, come si vede bene in tv. Non sono categorie politiche, ma nella comunicazione sono cose che contano.

E la politica è anche questo, comunicazione, energia, saper arrivare agli elettori. Tutte cose che in un mondo ben ordinato dovrebbero contare poco ma che, quando nessuno è veramente credibile, finiscono per contare molto.

Insomma, se fossi Bersani dormirei ancora sonni tranquilli. Non tranquillissimi, però. La Stampa, 21 gennaio 2013

MONTI E I SUOI: TECNICAMENTE INCAPACI

Pubblicato il 21 gennaio, 2013 in Economia, Politica | No Comments »

RomaPer il sottosegretario Polillo vale la regola del budino: «Per sapere se è buono bisogna assaggiarlo». Assaggiate un po’ di riforme dei tecnici, il budino non pare troppo riuscito.

Il banco del governo presieduto da Mario Monti

«Solo gli stolti non ammettono gli errori» si è difesa Elsa Fornero, il ministro più attaccato per «incapacità tecnica» sulle sue riforme, ma in buona compagnia tra gaffe, sbagli e retromarce.

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A LA «BOIATA» DEL LAVORO

Così ha definito la riforma il presidente di Confindustria Squinzi, mentre Monti dice già che «va riformata». Si voleva rendere più flessibile il lavoro, si è ottenuto l’opposto. Per ridurre gli «effetti impropri» dei contratti a progetto i precari sono stati resi più costosi e vincolanti per le imprese, con effetti peggiorativi sull’occupazione, mai cosi bassa come nel 2012, l’anno dei ministri non «incapaci».

B PASTICCIO FORNERO

Altro pasticcio firmato Fornero che riforma le pensioni, alza l’età e aumenta gli anni necessari, ma dimentica gli over 55 usciti dal mercato del lavoro, senza più stipendio ma senza ancora pensione: gli esodati. Quanti? 65mila per la Fornero, oltre 300mila secondo i vertici Inps, raggiunti dall’anatema del ministro per averla sconfessata: «Nel privato sarebbero stati licenziati». Si è trovata una copertura provvisoria, ma quello degli esodati resta ancora una bomba da disinnescare.

C IMU GIÀ DA CAMBIARE

Monti ha difeso la tassa sulle abitazioni con orgoglio nella conferenza stampa delle dimissioni, ora ammette che «va modificata». L’Imu sulla prima casa colpisce tutti, ricchi e poveri, senza tenere conto del reddito annuo e con valori catastali aumentati del 60% che hanno portato ad una patrimoniale pesante per le famiglie. Senza parlare del caos delle aliquote. Un’altra stangata al settore immobiliare e al mattone, cassaforte delle famiglie. Una «tassa iniqua» persino secondo la Commissione Ue.

D BUFALE FINANZIARIE

La Tobin Tax è una delle bufale più incredibili dei tecnici. Apparentemente nessuno se ne vuole assumere la responsabilità. Ma da metà 2013 entrerà in vigore. Si tratta di una bufala non solo per l’inutilità a fermare la speculazione (sempre che questo sia un obiettivo desiderabile), ma per la sua costruzione tecnica. Dovrebbe portare ad un gettito di un miliardo, in realtà frutterà molto di meno. Il buco, previsto in 800 milioni di euro, sarà dovuto proprio alla cattiva scrittura della norma. Si prevede infatti di tassare le compravendite di titoli italiani, fatte da stranieri, su mercati esteri. Come introdurre un’imposta sugli spaghetti al pomodoro cucinati a Londra da inglesi. È evidente che non sarà possibile riscuotere alcuna tassa all’estero: non ne abbiamo alcuna giurisdizione. I tecnici lo sanno? Se la risposta è affermativa la situazione è persino peggiore. Non si tratta più di un buco creato dall’incapacità, ma da un buco volontario per non tassare le banche. Trattasi di falso in bilancio. Pubblico.
E «REFUSO» DISOCCUPATI

In un disegno di legge viene reintrodotto il pagamento del ticket sanitario per i disoccupati, che per legge ne sono esentati. Nessuno se ne accorge finché non arriva in Parlamento. Niente paura, era solo un «refuso» nella legge, spiega il governo dei capaci.

F TERZI BOCCIATO

Un anno fa il ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata annunciava il suo prossimo viaggio in India per «far tornare alle loro famiglie» i due soldati italiani arrestati in India. Ma lì sono rimasti per tutto l’anno. A Natale un permesso per tornare dalle famiglie, poi di nuovo alle autorità indiane. Un altro insuccesso degli «ottimati».

G TAGLI AI MALATI, ANZI NO

Altro grosso pasticcio il taglio dei fondi per l’assistenza dei malati di Sla, costretti a manifestare in barella e respiratori davanti a Palazzo Chigi per riavere l’assistenza. E il ministro Fornero pianse ancora.

H IL FLOP DI BONDI E AMATO

Vengono chiamati da Monti come supervisori dello stesso governo: Enrico Bondi (spending review), Giuliano Amato (costi della politica), Enrico Giavazzi (contributi alle imprese). Risultati non eclatanti, la spending review è poca cosa, il valore aggiunto di Amato non è chiaro, mentre Bondi chiede ai cittadini di suggerire dove tagliare. Arriva una mail ogni 2 secondi. Domanda: che fine hanno fatto tutti quei consigli?

I LE GAFFE

Dagli universitari sfigati se si laureano tardi, ai giovani «choosy», schizzinosi con il lavoro, ai complimenti di Obama a Monti, mai pronunciati dalla Casa Bianca ma comparsi magicamente nel resoconto sul sito del governo.

J PASSERA PROMETTE

«Punto e a capo, è una ripartenza nel rapporto tra la Fiat e l’Italia» annuncia Monti a Melfi, davanti agli operai e a fianco di Marchionne. Che qualche giorno dopo annuncia la chiusura di Melfi. Mentre di Passera, superministro, si ricordano – oltre ai mille tavoli aperti e non chiusi – le mirabolanti promesse di 100 miliardi per la crescita «entro l’anno» e di 120mila nuovi posti di lavoro. Per ora solo nelle carte del superministro. Paolo Bracalini, 21 gennaio 2013

.………………Ieri Monti, ormai ben calato nel ruolo del camdidato, all’apertura della sua campagna elettorale, è riuscito anche a commuoversi e a piangere (proprio come la Fornero quando presentava la sua riforma lacrime e sangue del lavoro)   parlando dei suoi nipoitini (che per loro fortuna il latte lo possono comprare grazie al sostanzioso stipendio che il nonnino percepisce al Senato) e assicurando che il suo governo ha agito pensando ai tanti “nipoti” italiani per salvare i quali ha affamamto i loro padri e anche i loro nonni. Regista di questo squallido spettacolo è il il ministro Riccardi, cattolico d’annata, il quale sa bene, per mestiere, cosa si deve fare per prendere per i fondelli la gente comune, l’uomo della strada. E pare che l’algido Monti, quello, per dirla con Bersani, che guarda gli altri dal’alto in basso,  che nel 1994 si fece predn ere in guiro da Berlusconi e i cambio ottgenne la comoda e ben retribuota poltrona di commissario europeo, ha imparato la lezioncina e l’ha messa in campo nella convention bergamsca dove in prima fila c’era uno che, Cordero di Montezemolo, non assomiglia affatto ai poveri pensionati italiani, defraudati, incostituzionalmente, dell’adeguamento pensionistico che per il 2013 varrà circa 800 euro e per il 2012 è valso circa 350 eruo in meno all’anno. No, Montezemolo, con le mani in pasta in tante cose, a tutto può assomigliare meno che ai milioni di contribuenti italiani posti sotto torchio da Monti, senza che ciò, lo scrive oggi il Financial Time di Londra,  sia servito nulla, se non ad impoverire gli italiani, mentre, scrive sempre l’autorevole giornale economico brittannico che ai temtpi di Berlusconi era una sopecie di Bibbia per i suoi oppositori, le sue rifvorme sono state acqua fresca, anzi, diremmo noi, acqua putrida. E allora perchè mai gli italiani dovrebbero votrarlo? Solo per soddisfare il suo immenso “io” oppure per consenire a vecchia rnesi della politica del nulla – Fini e Casini – di contiunuare a ciarlare senza costrfutto? Gli elettori sapranno come rispondere.g.




MASCALZONI NO, MA ANCHE SI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 20 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

Il candidato Ingroia, leader rivoluzionario, non si è abituato al suo nuovo ruolo di politico.

Antonio Ingroia in giro per la città tra i palazzi del potere

Da pm faceva domande e i malcapitati dovevano rispondere. Oggi a rispondere, come candidato premier, tocca a lui. E lui le domande proprio non le sopporta, come ha dimostrato l’altra sera nella trasmissione condotta su Raitre da Lucia Annunziata. Tanto che mi è venuto spontaneo dargli, in diretta, del mascalzone. Che significa, cito da vocabolario: falso, senza scrupoli, birbante, monello. Non volevo offenderlo, ma solo evidenziare le sue reticenze e le sue furbizie dialettiche. Un classico «mascalzone latino», nome noto nel mondo grazie alla vela, che finge di non vedere il suo doppiopesismo: moralmente ed eticamente intransigente con gli altri, indulgente con se stesso. Tanto da non dimettersi dalla magistratura, da candidarsi anche dove non può essere eletto per legge (Sicilia), da sostenere i No Tav e avere come alleato l’inventore della Tav (Di Pietro), da criticare la legge elettorale ma utilizzarla per piazzare candidati protetti a destra e a manca. L’elenco sarebbe lungo. Ingroia non sarà mascalzone nel senso criminale della parola, ma diciamolo: il suo comportamento è certamente da birbante. Basta intenderci sul significato delle parole. Il Giornale, 20 gennaio 2013

ECCO IL RIGORE DI MONTI: SI FA PAGARE LA PORTAVOCE DALL’UNIONE EUROPEA.

Pubblicato il 18 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Betty Olivi viene stipendiata dalla Commissione europea (cioè da noi) ma lavora a Roma, 24 ore su 24, per la lista dei centrini. E non potrebbe farlo

Ecco il rigore di Monti: si fa pagare la portavoce dalla "sua" cara EuropaElisabetta “Betty” Olivi insieme al “capo” Monti.

Poco rigore, molta Europa. Che il Vecchio Continente e le sue istituzioni tifino per Mario Monti ancora premier non è certo un mistero. Ma dal “tifo” al supporto logistico ce ne passa. E così scoprire che Monti si fa pagare la portavoce e un assistente da Bruxelles desta una certa sorpresa, anche per la dimensione di “duro e puro” che il Professore ha cercato di costruire attorno alla sua persona. Che è successo? E’ successo che Monti ha chiesto il “distaccamento” di due funzionari europei: si tratta, nello specifico, di Elisabetta Olivi, che cura i rapporti con la stampa, e Stefano Grassi, il consigliere per le politiche comunitarie e per le riforme economiche, nonché indicato come “suggeritore” per gli interventi pubblici.

Regole non rispettate – I due sono funzionari della Commissione e, tecnicamente, possono lavorare nei Paesi membri: si tratta del cosiddetto “comando nell’interesse collettivo”, una sorta di distaccamento lavorativo. Ma è possibile ricorrere a questa fattispecie rispettando una condizione ben precisa: l’interesse esclusivo deve essere della Commissione, poiché il funzionario, come spiega il Fatto Quotidiano, beneficia del trattamento economico e previdenziale di Bruxelles. Questa condizione ben precisa, oggi, non viene rispettata: anche se il governo è formalmente ancora in carica, lo staff di Monti lavora a tempo pieno nella campagna elettorale.

Niente incarici politici – Tra i possibili “distaccamenti” dei funzionari, la Commissione ammette quelli “presso persona che assolva un mandato previsto dai trattati o presso un presidente eletto di un’istituzione o di un organo delle Comunità o di un gruppo politico del Parlamento europeo o del Comitato delle regioni o di un gruppo del Comitato erconomico e sociale europeo”. Insomma, pare evidente, l’ipotesi di un incarico partitico o politico non è assolutamente possibile. Eppure, Grassi e Olivi fanno proprio questo tipo di lavoro. E a pagarli è l’Europa. Lo conferma una nota di Palazzo Chigi: “A partire dal primo dicembre 2011 la dottoressa Elisabetta Olivi e il dottor Stefano Grassi sono distaccati dalla Commissione europea e non percepiscono alcun emolumento dalla presidenza del Consiglio dei ministri”.

Gatta da pelare… – Per la precisione, dal momento della discesa in campo di Monti, Grassi si è un po’ defilato, mentre la signora Olivi, ventiquattro ore su ventiquattro, è sempre al fianco del Professore. Pagata dall’Europa, ossia da noi, con soldi pubblici. Un brutto fatto per il Professore, sempre attento alle questioni di facciata e che della moralità sbandierata ha fatto uno dei vessilli della sua campagna elettorale. Libero, 18 gennaio 2013

NELLA LISTFRA MONTI SCATTA L’ALLARME: L’OPERAZIONE CIV ICA NON DECOLLA. LO DICONO I SONDAGGI

Pubblicato il 18 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

Allarmismi non ne trapelano, eppure un filo d’ansia comincia a serpeggiare nell’entourage di Mario Monti. A 25 giorni dalla «salita in politica», l’operazione «Scelta civica» fatica a decollare, come dimostra la sequenza dei sondaggi più credibili: dopo una iniziale lievitazione delle intenzioni di voto per la Lista Monti, l’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli ha segnalato nell’ultima rilevazione (interviste svolte il 14 gennaio) una inversione di tendenza, con una significativa retrocessione, dal 12 per cento al 10,9, con una flessione dell’1,1%, che nell’arco di sette giorni è considerata poco incoraggiante dagli esperti del ramo. Per non parlare dell’ultimo sondaggio di Euromedia della signora Ghisleri, che lavora per Berlusconi e spesso «ci prende»: «Scelta civica» è inchiodata ad un poco gratificante 6,0%. Con una aggravante dall’angolo visuale di Udc e Fli: l’ingresso in scena di «Scelta civica» rischia di cannibalizzare gli alleati, fenomeno anche in questo caso confermato dai sondaggi, che da qualche giorno stanno arretrando l’Udc verso una quota (il 4%) mai sfiorata neanche nel periodo della massima «quaresima». Per non parlare del Fli, la cui «nuova frontiera» sembra esser quella di restare sopra l’1 per cento. Fabio Martini, La Stampa, 18 gennaio 2013

IL FINANCIAL TIMES IMPALLINA MONTI. CHE RESTA SOLO CON I MENESTRELLI

Pubblicato il 17 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

di Francesco Signoretta/
Il “Financial Times” impallina Monti. Che resta solo con i menestrelli

Gli restano i menestrelli che, con una certa stanchezza, girano di castello in castello narrando le sue gesta. In poche settimane Monti ha perso quasi tutto, persino gli sponsor della prima ora, quelli che – all’inizio del suo mandato – elogiavano qualsiasi cosa facesse, dal modo di vestire alla cena col cotechino e lui si prestava al gioco inventandosi uomo della provvidenza. Dopo un anno di stangate e inserzioni pubblicitarie in formato Palazzo Chigi (“Salva-Italia”, “Cresci-Italia” e magari anche il Cynar come digestivo), i dati stanno condannando – con sentenza definitiva – l’operato del governo tecnico e la campagna elettorale del Professore  è diventata una corsa a ostacoli. A dargli l’ultimo schiaffo è il Financial Times, che un tempo lo elogiava: le ambizioni del premier bocconiano sono ridimensionate perché «la più lunga recessione dell’Italia del dopoguerra si fa sentire e Mr. Monti si sta in larga parte prendendo la colpa». Secondo il quotidiano britannico, infatti, i dati economici vanno contro la tesi del Professore secondo cui l’Italia starebbe superando la crisi: «La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37,1%, sette punti in più da quando Monti è diventato premier un anno fa e nonostante le riforme nel mercato del lavoro. La spesa per consumi ha registrato il calo più forte dal dopoguerra, mentre la produzione industriale è al di sotto del 25% rispetto ai massimi prima del 2008». Secondo FT, questi fattori potrebbero pesare sui risultati elettorali della lista Monti e ridurre il potere di trattativa del tecnopremier nel caso di un accordo di governo con il Pd. In verità, alcuni “segnali” erano stati mandati, già da qualche mese, dal Financial Times. Già il 9 dicembre scorso il quotidiano inglese, di fronte alle dimissioni del governo, titolava: «Finalmente la politica italiana ha sgonfiato la bolla Monti». Una frase per certi versi liberatoria del cui valore solo la sinistra e i centristi di casa nostra non si sono resi conto. Crollava anche l’ultima ridotta, dopo che a giugno, sempre sulle pagine di FT, erano emerse le prime perplessità: «I mercati si renderanno presto conto – faceva notare uno dei commentatori del giornale –  che l’Italia non ha fatto molto». E bocciava il premier tecnico, a capo di «un governo litigioso» e tutto «focalizzato sulla scena internazionale».  Troppi legami con la Merkel, pochi con la realtà. La commedia è finita. Il  Secolo d’Italia, 17 gennaio 2013

SE UNO E’ DEL PD VOTA MONTI. SE PARTEGGIA PER MONTI VOTA PD, di Marco Ventura

Pubblicato il 17 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

Cari amici moderati e liberali, oggi è un giorno importante.

Il giorno in cui Mario Monti ha finalmente fatto chiarezza sui suoi compagni di viaggio, la sua idea di governo per l’Italia, l’orizzonte delle sue alleanze. Il giorno del “patto di non belligeranza” col Partito democratico di Pier Luigi Bersani alleato di Nichi Vendola. Adesso è tutto chiaro. In realtà lo era già prima, dal primo giorno in cui il professor Monti ha annunciato la sua salita in politica. Prima della conferenza stampa ufficiale, intervistato da Eugenio Scalfari su “Repubblica”, aveva detto (vado a memoria): “Allearmi con Berlusconi? Lo sai che non lo farò mai”. Mai. (Scalfari e Monti si danno il tu).

E ieri, di buon mattino, Monti ha quindi incontrato Bersani, quello che il suo staff definisce il “competitor” mentre il ruolo di “avversario” è tutto riservato a Berlusconi: con il “competitor” si corre pescando nello stesso elettorato, avendo un progetto simile, rivolgendosi a target che un po’ si sovrappongono; con l’ “avversario” non c’è accordo o sovrapposizione possibile. Più tardi, a margine di un’intervista tv, Monti ha  argomentato: “Volevo che fosse chiaro che tra Berlusconi e Bersani delle differenze ci sono, la nostra non può più essere una politica di equidistanza”. Nessun equilibrismo.

Il centro di Monti è sbilanciato, strabico, storto. Pende da una parte. Pende a sinistra. D’ora poi Monti e Bersani, il Professore e il Segretario, viaggeranno a braccetto. Chi vota uno, vota anche l’altro. Chi paga uno, piglia due. Chi sostiene il Prof darà una mano al Segr. Chi dice centro, intende sinistra. Chi vuole Monti premier, si ritrova Bersani. Chi aspira a una politica vicina ai valori cattolici, avrà Vendola ministro. Chi crede nel liberalismo economico e nelle riforme, metterà nell’urna una scheda che per la proprietà transitiva (gli amici degli amici sono miei amici, gli alleati dei miei rappresentanti sono miei eletti) porterà Fassina all’Economia e i duri del sindacato nella cabina di comando del Paese.

Cari amici moderati, l’altro aspetto che colpisce è che all’indomani delle polemiche sul presunto anatema di qualche esponente del Partito popolare europeo contro Berlusconi (al limite dell’espulsione) e le prevedibili marce indietro e i distinguo successivi, col contorno di un’imprevista telefonata irritata di Monti che non ama etichettarsi “di centro”, il Popolo della Libertà è il più consistente partito (e gruppo parlamentare) italiano del Ppe, e quello che non governerà mai al fianco della sinistra. Esattamente come tutti gli altri partiti nella Ue che si riconoscono nei valori e negli obiettivi del Popolarismo europeo. Monti, da oggi, è fuori. Con i “socialisti” di Bersani. Magari più in là aggiusterà il tiro, ma sarà troppo tardi.

È probabile che Monti abbia deciso di rompere gli indugi e allearsi con la sinistra, levare gli ormeggi e lanciarsi nel mare aperto di una campagna tutta in collaborazione con il Pd, perché ha capito che è soprattutto là, a sinistra, che può ancora guadagnare voti, mentre il popolo di centrodestra non ha ceduto alle sirene del montismo, si sta orientando a confermare la fiducia in “Berlusconi la vendetta”, il sesto Berlusconi in 18 anni, o a non votare. O a scegliere la protesta con Grillo.

L’importante è saperlo, amici moderati. La politica troppo spesso è, oggi anche più di ieri, un fatto personale. Monti non ama Berlusconi come non lo ama Casini e non lo ama Fini. Idiosincrasie tra divi che non accettano di essere numeri 2. Gelosie, invidie, suscettibilità. Bersani non è un leader, meglio per Monti allearsi con lui che con Berlusconi. A dispetto della collocazione del Pd agli antipodi del Ppe, e dell’alleanza con Vendola e della tentazione della desistenza con Ingroia, a dispetto del legame con le frange dure e pure del Sindacato, e degli stessi attacchi dei colonnelli (in primis Fassina) al governo Monti, quest’ultimo ha fatto la sua scelta. Per il Pd. Ha preso un pacco e ne ha restituito un altro. E si ritroverà a fianco di Bersani a sfiocchettarlo il 26 febbraio. Marco Ventura, PANORAMA, 17 GENNAIO 2013

CI RISIAMO, LE TOGHE SALGONO IN POLITICA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 17 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

Per dirla alla Mario Monti, le procure salgono in politica. Non è una novità, è vero, ma fa comunque un certo effetto vedere che puntualmente ad ogni campagna elettorale i pm fanno uscire dal letargo inchieste ferme da anni per buttarle in pasto all’opinione pubblica. Ieri è toccato alla Lega (perquisizioni in sede per la faccenda delle quote latte) e al Pdl (arresto dell’ex sindaco di Parma per vicende di anni fa). E nelle stanze che contano già si mormora di un imminente, nuovo, spettacolare blitz per fare un po’ di terra bruciata attorno al Pdl lombardo.

Lo schema si ripete da 18 anni: ha creato danni enormi al Paese ma non è mai riuscito a centrare l’obiettivo di azzerare l’unica alternativa alla sinistra. Anzi, semmai il contrario. Come nel caso del duo Santoro-Travaglio, più picchiano, più l’elettorato di centrodestra si compatta, perché la gente non è stupida come pensano pm rivoluzionari e opinionisti politici frustrati da continue sconfitte. Tipo Ingroia, il magistrato eroe degli antiberlusconiani che ci querelò quando, mesi fa, scrivemmo che si stava comportando da politico e che oggi ritroviamo candidato premier contro i suoi indagati. Abusi e partigianerie sono quotidiani. A Berlusconi è stato negato il rinvio del processo Ruby in quanto alle elezioni è candidato semplice e non aspirante premier. A Rosaria Capacchione, discussa candidata del Pd in Campania coinvolta in una delicata inchiesta, il tribunale ha invece concesso la sospensione del processo fino a dopo il voto per permetterle di fare campagna elettorale senza intralci. Ne so qualche cosa della bilancia truccata della nostra giustizia. L’ho provato sulla mia pelle, non è simpatico. Prepariamoci. Da qui alle elezioni saranno 40 giorni di fuoco. Spareranno dalle procure, dall’Europa, tenteranno con qualsiasi mezzo di fermare una rimonta che fino a una settimana fa ritenevano impossibile. La paura non è mai buona consigliera. Noi non l’abbiamo, loro sì. Questo è un vantaggio per chi non pensa di arrendersi agli intrighi della sinistra. 17 gennaio 2013

L’ULTIMO SONDAGGIO: BERLUSCONI A 4 PUNTI DA BERSANI

Pubblicato il 15 gennaio, 2013 in Politica | No Comments »

L’improvviso. Quando tutto sembrava scorrere lentamente verso un finale già scritto sul palcoscenico della politica accade qualcosa che non ti aspetti. Il coro dei sondaggisti porta sussurri e notizie: i numeri stanno cambiando.

Dicono che la nave di Bersani non sta arrivando più così tranquillamente in porto, perde vento e forza, sta ancora lì in testa al 38,7 per cento, ma si lascia indietro un 2,9% di consensi. Potrebbe non farcela a governare, perché il Senato è sempre più a rischio, sempre più in bilico. E più passa il tempo più lui perde. Dicono che il professor Monti stia facendo davvero i conti con la realtà e quell’undici per cento lo condanna a non essere né il signore di una destra confortevole né una riserva per la nazione. Dicono soprattutto che lui, l’altro, quello che bisognava cancellare, sorride. Il vento sta soffiando dalla sua parte. Quasi tre punti in più in percentuale e a quattro passi da Bersani. Gli spettatori a questo punto si stanno rendendo conto che ancora tutto può succedere.

C’è spesso nel teatro un personaggio che scardina tutte le trame, mischia le carte, ribalta i giochi, cambia la storia. Qualche volta è il «fool» tanto caro a Shakespeare, quel folle che con le sue mattane porta in scena una saggezza antica, popolaresca. Il «fool» con il «quid». È Bertoldo o Arlecchino. È l’uomo di infinite facezie. È il mago Atlante dell’Orlando Furioso, che nel suo castello dove si incrociano i destini imprigiona o seduce i cavalieri, tanto che ognuno di loro entra inseguendo le proprie passioni e finisce per sfuggire dalle ossessioni di una vita. Tutti questi personaggi spezzano la trama, segnano l’inatteso, l’epifania. Insomma, quello che non ti aspetti. E sono la maledizione e il colpo di reni di ogni autore. Quando entrano loro in scena la storia deraglia, e spiazza: protagonisti, comparse e pubblico. E sembra quasi scappare dalle mani del narratore.

Il sospetto è che nello spettacolo di queste elezioni a giocare di nuovo il ruolo del fool sia ancora Silvio Berlusconi. Non è la prima volta. È successo nel 1994 quando ha lasciato a bocca aperta quanti assistevano alla frantumazione pubblica della gioiosa macchina da guerra. È successo nel 2006 quando con una rimonta improbabile ha costretto alla quasi patta la coalizione di Prodi. Questa volta perfino la rimonta veniva considerata impossibile. Il fool era stato messo fuori scena, e tutti ci siamo affannati a fare in modo che non fosse neppure scritturato, tanto per evitare sorprese. Si è cercato di coprire quel buco di sceneggiatura con altre figure, più giovani, più rassicuranti, meno ingombranti. Questa volta, si diceva, niente rischi. Lo spettacolo sarà magari un po’ più noioso, ma è stato raccomandato da tutte le accademie del mondo. L’Italia ha bisogno di qualcosa di sobrio, istituzionale, facile da tradurre, con tutti i sacri crismi dei corsi di scrittura creativa. Non c’è spazio per l’improvviso.

La trama era semplice. Bersani vince perché è uno con cui giocheresti a briscola senza sorprese. Con lui c’è l’ultima maschera che ti narra la solita filastrocca del Novecento. Al governo magari ci sarà qualcosa da aggiustare, ma questa volta tutti giurano che né un Vendola né un Renzi faranno saltare il banco. È quello che gli eredi di Occhetto aspettano da vent’anni, una riparazione a quella porta scorrevole che nel ‘94 ha cambiato il giusto corso degli eventi. È da allora che si considerano gli unici legittimati a guidare l’Italia. Monti si accontenta di spazzare via la destra berlusconiana e con sobrietà trattare con i vincitori un’equa distribuzione del potere futuro. La parola d’ordine sarà «normalizzare». Casini e Fini riproporranno la loro vecchia politica, coltivandosi una nicchia di rendite di posizione, con la soddisfazione morale di brindare alla sconfitta dell’ex alleato ora arcinemico. Dovevano essere loro a portare sulla scena il gusto della vendetta. In tutto questo la parte del folle l’avrebbero lasciata a Grillo. Il populista con guru a seguito. Così facile da demonizzare, così tranquillo da demonizzare.

E adesso? Cambia tutto. Saltano le certezze, paura e preoccupazione mettono nuovo sale nel piatto della politica. Bisogna fermarlo. Bisogna fermare il «fool». Il coro dei sondaggisti si fa più forte: i numeri stanno cambiando. E sulla scena si alza una preghiera: ci sarà pure un giudice da qualche parte? Vittorio Macioce, 15 gennaio 2013

ORA LA PAURA FA NOVANTA,

Pubblicato il 14 gennaio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Di avere una fifa blu Bersani lo ha già dimostrato rifiutando di confrontarsi in tv con il Cav, peraltro con una scusa. I democratici hanno sostenuto, infatti, che il vis-a-vis è soltanto tra candidati premier mentre il regolamento prevede che possano andare i capi di coalizione.
Nelle file del «partito» di Mario Monti si registrano i primi mugugni dei «sedotti e scaricati» mentre Vendola lancia la sua sfida: «Non abbiamo bisogno di badanti per governare». Al leader di Sel l’alleanza con i montiani non va proprio giù specialmente se Casini diventerà il presidente del Senato. E riconoscendo che Berlusconi è un «fenomeno da non sottovalutare» apre a Ingroia, mettendo ulteriormente nei guai il segretario del Pd. La battaglia delle alleanze per la maggioranza in Senato si gioca in quattro regioni e l’area chiave è la Lombardia: lì il Pdl è già avanti di 4 punti sul centrosinistra.

Ma i sondaggi non sono il Vangelo. Lo sanno bene a sinistra dopo le sconfitte del 1994 e del 2008. Saranno gli elettori a scegliere tra concretezza e demagogia. Intanto Silvio Berlusconi stasera è di nuovo in tv. Sarina Biraghi, Il Tempo, 14 gennaio 2013

………….Mentre l’ex direttore de il Tempo, Sechi, si accinge a vestire i panni di senatore grazie al posto di capolsita montiano in Sardegna, il nuovo direttore riporta a destra il timone e la rotta del quotidiano più importante di Roma, i cui lettori di certo non seguiranno Sechi nel voto edlo 24 febbraio. g.