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I FANTASMI DEL CENTRO

Pubblicato il 15 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

Il casiniano, il montezemoliano, l’ipermontiano, l’eterno scissionista. Catalogo delle anime vaganti alla perenne ricerca di un grande rassemblement (e magari di un leader)

Quella che vi proponiamo in questa pagina è una fotografia di tutto quello che in questi giorni si muove nell’inafferrabile (eufemismo) mondo del centro montiano italiano. Un mondo che, come vi sarete accorti, è impegnato da mesi a portare avanti una missione non proprio semplice che più o meno corrisponde al voler creare un grande partito che non si chiama partito e che si ritrova con un numero indefinito di leader che sono riusciti nella non facile impresa di essere allo stesso tempo in campo senza però essere tecnicamente in campo. In queste righe troverete insomma un catalogo con cui orientarvi quando nelle prossime ore sentirete tirare fuori dai giornali e dalle televisioni e dai politici espressioni non sempre perfettamente inquadrabili come “Lista per l’Italia”, “Grande rassemblement”, “Patto per il centro”, “Movimento per l’Italia” e tutte le altre complicate parole che ci accompagneranno fino alla formazione di quella che (forse il 20 dicembre) presto si trasformerà in un “grande listone nazionale” – all’interno del quale dovrebbero riconoscersi molti dei così detti montiani. Troverete quindi, in queste righe, a diverso titolo, il casiniano, il montezemoliano, l’ipermontiano e lo scissionista che non si scinde mai ma che stavolta forse potrebbe scindersi davvero. In realtà, avevamo provato a scrivere qualcosa anche su un’altra categoria che fa parte delle anime centriste ma dovendo approfondire in modo non superficiale la figura del finiano e del rutelliano abbiamo incontrato difficoltà a descrivere due correnti che un tempo rappresentavano sì una parte significativa del centro ma che invece oggi rappresentano, più che una corrente di pensiero, grosso modo il singolo pensiero del fondatore di quella corrente, e dunque siamo andati avanti e ci siamo concentrati su queste altre categorie dell’essere centrista. Cominciamo con il primo: il casiniano.

Il casiniano. Il casiniano puro è molto impaurito ma anche molto determinato, è molto travagliato ma anche molto esaltato, è molto agitato ma anche molto elettrizzato e solitamente passa le sue giornate a lanciare il suo “ultimatum”, a proporre il suo “patto”, a porre il suo “veto” e a ripetere un numero indefinito di volte frasi come “responsabilità delle istituzioni”, “accelerazioni nelle riforme”, “sintonia con Napolitano”, “unione dei moderati”, “andare oltre i poli”, “ascoltare i mercati”; citando in tutto questo le espressioni “Ppe” e “agenda Monti” con la stessa commozione con cui i nativi digitali scandiscono la parola “app”. Il casiniano puro – che come è noto non vende sogni ma solide realtà – con una certa costanza dice di voler correre da solo, di non voler allearsi con nessuno, di non voler stringere nessun accordo per carità e di volersi soltanto occupare di essere all’avanguardia nel nobile progetto di aggregare le famose forze moderate. Il casiniano puro però conosce i sondaggi e conosce le regole, conosce i numeri e conosce le proiezioni, conosce le leggi e conosce il Porcellum (ah, quello sbarramento…) e sa che oggi correre da solo senza avere un partito e senza avere un candidato e soprattutto senza avere neppure un granaio (siculo) potrebbe essere davvero molto rischioso. E per questo, il casiniano non passa giorno senza che lasci intendere – più o meno con la stessa abilità con cui Walter Veltroni da sindaco di Roma lasciava intendere di essere contemporaneamente tifoso della Roma, della Lazio senza nulla togliere alla Juventus – di non avere nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Pier Luigi Bersani; fermo restando di non avere però nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Mario Monti; fermo restando di non avere però nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Luca Cordero di Montezemolo; fermo restando però di non avere nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da un nome a scelta tra Corrado Passera, Andrea Riccardi ed Emma Marcegaglia. Il casiniano puro solitamente stravede per Massimo D’Alema, partecipa almeno una volta a settimana ad appassionanti convegni sui “cattolici e la politica”, parla in politichese stretto, ha le fibrillazioni ogni volta che sente nominare la parola “Colle”, studia a memoria i moniti del presidente, riempie le pagine dei giornali con dichiarazioni malignamente studiate per essere comprese solo da una cerchia ristretta di fortunati eletti, chiede sempre di non tirare nessuno per la giacchetta, promette sempre di aprire molti “cantieri”, annuncia almeno una volta al mese la nascita di un grande “soggetto” per andare “oltre i poli”, proclama ogni ora la fine del bipolarismo (preferibilmente con un’intervista al Corriere della Sera), chiede ogni fine settimana di andare oltre gli schieramenti (preferibilmente con un’intervista al Corriere della Sera) e assicura anche qui grande costanza e, ridendo sotto i baffi, di non voler rifare una nuova Dc, no no. Ogni giorno, poi, quando si sveglia, per capire se è il giorno delle aperture a sinistra o delle aperture al centro o delle aperture a destra, non disponendo di un mattinale il casiniano è lì che fruga e che rovista tra le rassegne stampa per cercare un’intervista, una chiacchierata, una dichiarazione o quantomeno un colloquio rilasciato da Casini a questo o quel giornale per capire meglio il senso da dare alla lunga giornata parlamentare (nel dubbio, se non ci sono interviste, si imparano a memoria le prime tre pagine del Messaggero). Il casiniano puro poi – che solitamente è molto belloccio, molto curato, molto ingessato, molto brizzolato e con la cravatta e il dopobarba da statista provetto – pur non potendolo dire, e pur non potendolo direttamente condannare, osserva sempre con un pizzico di avversione l’altra grande tipologia del casiniano: quello cioè di rito meridionale, quello con accento marcato, quello che i suoi antipatizzanti chiamano “casiniano modello Felice Caccamo”, e quello che in cuor suo (pur sapendo che il casiniano impuro magari non porterà bene la cravatta ma porta comunque in dote quei due o tre voti indispensabili per avere due cristiani al Senato) il casiniano doc consideran troppo lontano anche esteticamente dal cerchio magico Calta-familiare e per questo ogni tanto tratta con la stessa sufficienza con cui nei grandi giornali i grandi inviati si rivolgono al povero martire di turno che passa i giorni a battere le dita sulla famosa macchina. Il casiniano puro, infine, sogna naturalmente un Monti dopo Monti, ma essendo anche uomo di sostanza ogni mattina, prima di cercare l’intervista sul giornale, tra sé e sé pensa che certo, va bene tutto, va bene andare da soli, va bene il Terzo polo, va bene la coerenza, va bene Monti, ma se poi quelli lì prendono tutta la maggioranza e ci lasciano le briciole, oltre a sognare un Monti dopo Monti chi ci assicura di avere un seggio dopo un seggio e di avere una solida realtà dietro a quel magnifico sogno?

Il montezemoliano. Il montezemoliano perfetto è molto cauto, molto prudente, molto misurato, molto controllato, molto acconciato, molto pettinato e abitualmente passa le giornate a muoversi con circospezione e con ponderatezza per dare l’impressione a tutti gli osservatori di essere pronto ad annunciare da un momento all’altro qualcosa di davvero molto importante. Il montezemoliano perfetto solitamente sta sempre attento però a non annunciare mai qualcosa di decisivo o qualcosa di importante perché sa che la sua forza è proprio quella di essere percepito come il portatore sano di una verità misteriosa la cui rivelazione deve essere sempre abilmente rimandata per non interrompere così all’improvviso l’emozione di una grande attesa. Il montezemoliano perfetto – che vive dunque come se fosse impegnato a descrivere ogni giorno il grande avvento di qualcosa di così alto e così elevato che ai più solitamente risulta essere ai limiti dell’indecifrabile e dell’inafferrabile – è tendenzialmente un uomo o una donna di sinistra che, forte anche della sua grande e decantata esperienza internazionale, non si rassegna a fare i conti con questa sinistra e sogna di avere un’altra sinistra così diversa dalla sinistra che spesso tende a non avere nulla a che fare con la parola sinistra. Il montezemoliano perfetto, inoltre, tra una citazione e un’altra della parola “rassemblement” (scandita sempre con gvande consapevolezza e gvande senso di pvofondità), passa buona parte delle sue giornate a spiegare perché l’Unione di Bersani rischia di trasformarsi nell’Unione di Prodi, imposta molte delle sue accurate analisi sul centrosinistra come se il ballottaggio di qualche domenica fa fosse stato vinto non da Pier Luigi Bersani su Matteo Renzi ma da Maurizio Landini su Oliviero Diliberto, e pur essendo intrinsecamente e inconfessabilmente e profondamente simpatizzante del sindaco di Firenze, quando Bersani ha vinto il secondo turno il montezemoliano ha tirato un bel sospiro di sollievo e ha ricominciato a giocare nuovamente con le figurine dei parlamentari e dei sottosegretari del secondo governo Prodi (tra parentesi, il montezemoliano cita almeno una volta al mese il nome di Franco Turigliatto). Il montezemoliano perfetto, inoltre, si muove solitamente come se fosse pronto da un momento all’altro a salire al Colle per giurare da ministro e – pur sapendo di essere costantemente sotto la luce del riflettore, e pur sapendo che per un montezemoliano anche la scelta di prendere un aereo al posto di un treno potrebbe essere letta come un segnale di insofferenza per il proprio capo – si fa spesso coraggio e anche a costo di sembrare banale prova ad affermare ogni giorno una verità elementare: che la sinistra per essere una vera sinistra non deve essere come questa sinistra; che la destra per essere una vera destra non deve essere come questa destra; che gli imprenditori che vogliono fare politica non possono fare come hanno fatto finora tutti gli imprenditori che hanno fatto politica; e che le forze politiche che vogliono fare un salto nel futuro devono necessariamente “aprirsi alla società” e naturalmente (qualsiasi cosa significhi) “superare gli steccati”. Il montezemoliano perfetto, infine, ha spesso il terrore di essere confuso con Fini e con Rutelli, ripete quando ne ha occasione che il nostro paese deve fare i conti con un grande “fallimento della politica”, indica periodicamente come unica e necessaria prospettiva per l’Italia la costruzione di (sic) “un edificio che abbia come pietra angolare la fiducia e il coraggio” e, pur essendo molto ottimista, pur essendo molto fiducioso, pur non fidandosi dei sondaggi e pur ripetendo giorno e notte che-però-ci-sono-gli-astenuti-e-gli-indecisi-da-considerare, vive con una certa serenità e una certa eleganza la sua piccola (eufemismo) contraddizione di fondo. Il fatto cioè di essere parte di uno dei pochi partiti in Italia che non si chiama partito che ha un leader che non è un leader che sponsorizza un partito che in realtà è una lista e che sogna di mettere a capo di questa lista un leader che non si è ancora candidato e che forse non si candiderà mai.

Lo scissionista. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista pur non essendo in grado di lasciare il proprio orticello coltivato da tempo lì a sinistra è un politico anomalo che non si sente né di centro né di destra né tantomeno di sinistra e che ha costruito il suo consenso e il suo profilo dando sempre l’impressione di essere pronto da un momento all’altro a fare il gesto clamoroso e prendere il passaporto e trasferirsi in un altro stato. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma continua per forza di cose a chiedere un posto nelle liste di sinistra descrive il suo partito come fosse ancora guidato da Achille Occhetto; parla sempre di “Pds” al posto di “Pd”; mostra dei mancamenti di fronte al nome di “De Gasperi”; chiede spesso al suo segretario di non farsi dettare l’agenda da Nichi Vendola; ripete con costanza che con Di Pietro e con Vendola non si può governare; dice dalla mattina alla sera che al paese serve “un’innovazione e un cambiamento”; parla spesso di “valori”, di “etica”, di “patto sociale”, di “rotta da invertire”; sostiene di essere costantemente “in contatto” con Corrado Passera e con Raffaele Bonanni (ma vanta anche consuetudini con Savino Pezzotta); ha ottimi e indecifrabili “rapporti” con il mondo americano; sostiene di avere ottime e indecifrabili “entrature” nell’universo vaticano; e tra una cosa e un’altra nel corso degli anni ha imparato a indossare perfettamente i panni della famosa guardia di confine: quella cioè che minacciando ogni giorno di superare il valico ottiene spesso laute ricompense per posare in terra la valigia e aspettare almeno un altro giro. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma senza rinunciare al suo orticello lì a sinistra oggi però si trova in difficoltà e, pur essendo sempre pronto a minacciare in qualsiasi momento del giorno e della notte (preferibilmente con un’intervista al Corriere) di uscire fuori dal recinto del proprio partito, adesso, osservando il nuovo messia bocconiano, inizia a fare due calcoli e quasi quasi un pensierino ce lo fa. Pensa che con Monti in campo un nuovo mondo è possibile. Pensa che con Monti in campo una nuova Dc è possibile. Pensa che con Monti in campo una nuova fase è possibile. E pensa soprattutto che se Monti si candida prima che il Pd faccia le sue parlamentarie allo scissionista di sinistra potrebbe persino convenire questa volta emigrare per evitare di farsi contare e sperare così di continuare a pesare. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma senza rinunciare al suo tesoretto di parlamentari ben protetto lì a sinistra sa però che una sua scissione non è cosa così elementare, e preferisce dunque immaginare un altro scenario su cui provare a ragionare. Lo scissionista di sinistra non lo può ammettere ma sa perfettamente che il modo migliore per valorizzare il suo tesoretto è quello di non muoversi dal suo partito, di continuare a presidiare il confine, di non far cadere dalla mano il passaporto e di sperare che alle prossime elezioni non esca alcun vincitore ed esca invece dal cilindro di nuovo il nome del grande professore. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista pur non essendo in grado di lasciare il proprio orticello coltivato lì a sinistra sa però di correre il rischio di fare la fine di Rutelli e di Fini e di vedersi insomma un giorno non solo bocciato e criticato da un qualsiasi Lorenzo Dellai ma anche di ritrovarsi – dopo avere per anni criticato le scelleratezze del “partito solido” – in un partito così liquido da sembrare magnificamente gassoso. E dunque, nel dubbio, per non diventare come l’amico Rutelli, lo scissionista di sinistra incoraggia Monti a scendere in campo, incoraggia gli amici del centro a organizzare il campo ma sempre stando bene attento a non perdere i posti preziosi conquistati negli anni a forza di minacciare continuamente di cambiarlo lui, il campo.

L’ipermontiano. L’ipermontiano genuino si distingue da tutte le altre creature di centro per essere riuscito nella non facile impresa di ritrovarsi in campo senza essere davvero lì in mezzo al campo. L’ipermontiano solitamente ha molte cattedre, molti cognomi, molti titoli di studio, si muove con lo stile di chi è pronto a occupare in qualsiasi momento della giornata un qualsiasi sottosegretariato di un qualsiasi governo e in buona sostanza si divide in due grandi categorie di spirito. Da una parte esiste l’ultrà del montismo che si nasconde in ogni dove e in ogni schieramento e che in nome del terzismo non perde occasione per ringraziare pubblicamente il presidente del Consiglio per avere dato dignità a tutta quella nobile fetta del paese abituata a confrontarsi più con gli editoriali dei grandi giornali che con i voti degli elettori; e che oggi non può che rallegrarsi dall’avere un candidato che potrebbe essere candidato a qualsiasi cosa e che potrebbe fare qualsiasi cosa senza avere neppure bisogno di verificare se esiste qualche italiano davvero disposto a votarlo. L’ultrà del montismo, paradossalmente, quello cioè che senza respirare sa recitarti a memoria l’elenco dei Barroso dei Van Rompuy degli Juncker delle Merkel dei Martens dei Münchau e di tutti gli altri endorsement ricevuti in Europa dal professor bocconiano, lo noti più che al centro negli schieramenti alternativi a quella che un domani dovrebbe essere la famigerata Lista di Centro. A destra, l’ultrà del montismo lo noti perché è quello che in nome dell’Europa, dei mercati, dello spread, delle riforme, dell’autorevolezza e del prestigio internazionale (pur avendo idee profondamente diverse da quelle del professore e pur avendo costruito parte della propria carriera spiegando perché la politica non può essere schiava delle banche, dei mercati e del capitalismo), utilizza il nome di Monti per criticare indirettamente il fondatore del proprio partito (nel frattempo però diventato montiano) e per dimostrare che, pur non avendo un nuovo leader, un leader loro ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Dall’altra parte, il montiano di sinistra sostiene di essere montiano prima che Monti stesso si scoprisse montiano e mentre osserva con distacco il Monti che partecipa a braccetto con la Merkel alle riunioni del Ppe è lì che prova a dimostrarti con coraggio che il Monti che viene pubblicamente elogiato da tutti i grandi leader di centrodestra d’Europa è in realtà il simbolo di un nuovo riformismo squisitamente di centrosinistra. Accanto all’ultrà del montismo esiste poi una categoria assai sofisticata e assai diffusa di montiani in sonno che, pronunciando con orgoglio e con dubbia consapevolezza la frase “diciamo sì all’agenda Monti”, si dice genericamente montiana ma senza entrare nel merito e facendo anzi dell’assenza di argomentazioni rispetto alla famosa “Agenda Monti” un proprio personalissimo punto di forza. Accanto a queste due tipologie, gli ipermontiani hanno poi imparato a conoscere anche un’altra curiosa creatura cresciuta all’ombra del governo del professore. Una creatura che ha passato gli ultimi anni della sua vita a parlare con tono solenne di “vizi della casta”, “malcostumi della casta”, “privilegi della casta” e che dopo avere insomma trascorso molto tempo a spiegare perché la politica ha fallito (cfr. montezemoliano) oggi che finalmente ha scovato l’editorialista giusto cui affidare la risoluzione di tutti i problemi creati dalla famigerata “casta” si ritrova nella strana condizione di osservare i sondaggi e vedere molto in alto uno strano politico che ha fatto propria la battaglia contro la casta ma che non si chiama Mario Monti ma si chiama semplicemente Beppe Grillo. L’ipermontiano però, pur essendo un vecchio romanticone che più che ai dati pensa agli ideali e soprattutto ai valori (cfr. scissionista), ogni tanto però uno sguardo ai numeri glielo dà: ed è proprio quando fa due calcoli che si rende conto che una discesa in campo del proprio beniamino sarebbe più che necessaria per evitare un rischio concreto che tormenta i montiani di ogni rito. Un rischio riassumibile con una buona battuta che ogni montiano pronto a spendersi per Monti in queste ore non manca di fare. Che va bene fare di tutto per creare attorno a Monti una grande e formidabile aura da riserva della Repubblica, ok, ma se poi la riserva della Repubblica non entra in campo che fine faranno tutti questi meravigliosi panchinari con tutti quei doppi cognomi? Nel dubbio però il montiano prepara la strada al suo beniamino e si spende ogni giorno per dimostrare che Monti non è una parentesi, che il montismo non si può superare e che qualsiasi cosa succederà nei prossimi mesi l’Italia semplicemente – voti o non voti, elettori o non elettori – non potrà fare più a meno dell’agenda del professore. Il tutto però sempre con la convinzione che in fondo in fondo al Prof. convenga non contarsi troppo per continuare un domani a pesare molto nel futuro del paese. Claudio Cerasa,  FOGLIO QUOTIDIANO, 15 dicxembre 2012

.………………………Il “pezzo” è lungo ma dato che oggi è sabato e si ha anche la domenioca a disposizione lo si può leggere e magari riuscire a capire qualcosa di quel che sta accadendo in quel posto chiamato “centro” nella politica italiana a poche sedttimane dal voto. Non è facile, forse non lo capiscono neppure i protagonisti, pardon, i “centristi”, da quelli d’annata a quelli appena arrivati, trafelati, da destra, da sinistra e anc he dall’Anmgola dove pare ci sia una vera e propria clinica dove si sfornano centristi doc, di origine controllata. A parte gloi scherzi, mentre il Paese e il popolo vivcono ore di ansia e di paura, mentre le tasse si manginao il 50% di quel che si guadagna, mentre il 58% degli artigiani chiwede soldi in prestio per pagare le tasse, mentre il mercato del mattone si è bloccato, mentre le banche non fanno più mutui e gli italiani non comprano più nulla, dalle auto alle salsiccie, in tutto questo marasma c’è chi dalla mattina alla sera giochicchia con numeri, sigle, pronostici, previsioniu e porospettive nelle quali gli unici che non trovano posto sono appunto il Paese e il suo Popolo 8questa volta con la p maiuscola!)g.

ITALIA, RISCHIO COLONIA

Pubblicato il 14 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

Tutti vogliono Monti, tranne gli italiani. Lo vuole l’Europa, lo vuole il Ppe, lo vuole la Merkel, lo implora Obama, gli lascia spazio Berlusconi, lo vogliono i vescovi, lo evoca perfino il francese e socialista Hollande, che a pensarci bene dovrebbe tifare per Bersani, ma a quanto pare neppure lui se la sente di controfirmare la vittoria della coalizione vendoliana.

Perché se Bersani è il candidato premier, il buon Nichi con la sua sola presenza definisce l’identità del futuro e ipotetico governo.
Il pranzo dei popolari europei a Bruxelles diventa insomma un brindisi a Monti e l’improvvisata del rettore sa tanto di un outing sul quello che vuole fare nel 2013. Monti fa capire che è pronto a mettersi in gioco per tornare a Palazzo Chigi e indica anche da che parte stia. La sua casa è il Ppe. Questo significa che in chiave italiana lui non può essere che alternativo a Bersani. È una rinuncia alla poltrona di ministro dell’economia in un governo colorato Pd. Forse ha anche capito che le promesse sul Quirinale erano un pour parler e di fatto con questa investitura popolare è difficile che a sinistra continuino a vederlo come un personaggio super partes e istituzionale.
Monti è pronto al grande passo, ma prima di farlo davvero deve risolvere una questione non marginale. Per vincere le elezioni servono i voti. I suoi sponsor internazionali sono molto influenti ma ancora non possono prenderlo di peso e piazzarlo sulla poltrona di premier. I partiti centristi che ogni secondo sbandierano la loro fede montiana fanno invidia ai farisei per salamelecchi e devozione, ma con il loro patrimonio elettorale in Parlamento possono piazzarci un paio di tende. Si sbracciano tanto e raccolgono poco. Gli italiani, oltretutto, non sbavano per i tecnici come fanno i potenti di mezzo mondo. La partita insomma è tutta da giocare. C’è una novità che arriva però da Bruxelles. Merkel e Berlusconi si sono trovati d’accordo su una cosa. E questa cosa è Monti candidato premier. La cancelliera lo fa per spirito coloniale, vuole un’Italia allineata a Berlino e un’Europa a vocazione tedesca. Il Cavaliere è indispensabile per dare un’alternativa alla vittoria scontata di Bersani. Monti può chiedere in prestito al Cavaliere i voti per sfidare la coalizione delle sinistre. Perfino in Europa sanno che battere Bersani con Casini e Fini è impossibile. È come presentarsi al blocco di partenza con due zavorre ai piedi. Salvatore Tramontano, Il Giornale, Ven, 14/12/2012

……………….Ci pare che si facciano i conti senza l’oste, cioè senza i voti e sopratutto senza chi i voti li deve dare, cioè gli elettori. Tutti vogliono Monti e lo incensano sino al punto che si corre il rischio che una mattina Monti esca di casa vestito da Gesù Bambino (magari il giorno di Natale) per effetto dell’incenso con cui lo si sta investendo. Ma chi lo vuole, all’estrero e in casa  nostra, lo vuole solo per meri calcoli opportunistici: la cosiddetta Europa perchè il signor Monti è uno zelante esecutore di ordini il primo fra i quali è impovbgerire gli italiani e sottrarre alle aziende italiane la capacità d concorrere sul mercato dell’impresa, in Italia  perchè i resti di quella che fu  chiamata seconda Repubblica e che in verità è stata una brtuttissima  fotocopia della prima non solo non hanno  saputo rifondarsi prima di essere investiti dal ciclone dell’antpolitica ma non hanno mostrato alcuna prova di pentimento rispetto al recente passato.Prova ne è la legge elettorale. Chi ci segue sa che abbiamo sempre sostenuto che la legge elettorale dei nominati non sarebbe stata  cambiata perchè va bene sia per chi vince che può governare (traditori permettendo) con qualche margine di sicurezza, sia per chi perde che può contare su un solido drappello di “pronti a tutto” e va bene anche a chi da mane a sera, in questi anni,l dopo averla inventata, l’hanno9 tanto vitupoerata, cioè i Casini, i Fini, i Di Pietro. Tutti insieme appassionatamente,da destra a sinistra, hanno evitato di fare una legge elettorale che consentisse agli elettori di scegliere i proprio rappresentanti  e gli elettori se la sono legata al dito e gliela faranno pagare. Ma non  può essere  Monti, ammesso che questi tirato per la giacchetta asccettasse di sottoposri al giudizio elettorale, che potrebbe salvarli. Sia perchè il “messia”a szua volta ha già tanto da farsi pwerdonare,l sia perchè gli italiani, mutuando per una volta il signor Monti e la sua retorica a buon mercato, sanno bene cosa fare. g.

IL PROBLEMA DELL’ITALIA E’ L’EURO. LO SCRIVE IL TELEGRAPH CHE SI DISCOSTA DALLA BOLGIA ANTIBERLUSCONI DEI GIORNALI EUROPEI.

Pubblicato il 13 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

No. Non tutta la stampa estera si è scagliata a peso morto contro la candidatura di Silvio Berlusconi.

Non tutti i politici e i giornalisti si sono uniformati al trend generale, quello che ha portato in rapida sequenza LiberationTimes, i tedeschi come la Zeitung e pure il Guardian a scagliarsi contro il Cavaliere, nella bolgia di un antiberlusconismo impiccione e che si preoccupa di faccende che italiane sono e dovrebbero rimanere.

Una voce fuori dal coro c’è. E non ha neppure un peso specifico da nulla. Ambrose Evans-Pritchard, dalle pagine del Telegraph, ha tentato una lettura discordante, puntando il dito non su Berlusconi – la cui politica è anche elogiata in un paio di passaggi – ma piuttosto sulla moneta unica. Questo, a seguire il ragionamento del quotidiano, è il vero problema italiano, forse l’unico. Roma dovrebbe lasciare l’Europa dell’unità monetaria. Una stretta di mano e tanti saluti.

Il pezzo di Pritchard fa notare un paio di dati. Siamo più ricchi della Germania. Abbiamo un debito a lungo termine che per il Fondo Monetario è al top per sostenibilità e – l’autore sottolinea – il merito è della riforma pensionistica del Cavaliere.

Citando poi uno studio della Bank of America, l’articolista chiarisce un punto: l’Italia, più di tutti gli altri membri dell’unione monetaria, avrebbe benefici lasciandola e tornando alle lire. Un ostacolo si frappone però tra noi e la recisione del cordone ombelicale che ci lega all’euro. Ed è precisamente la presenza in sella al Paese di Monti. “Alto papavero del progetto europeista”, prima il premier dimissionario lascerà il suo posto, meglio sarà.  13 dicembre 2012

L’ULTIMO OLTRAGGIO: VOGLIONO IMPEDIRMI DI FARE IL GIORNALISTA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 13 dicembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

L’Ordine dei giornalisti di Milano mi ha sospeso dalla professione e, non contento, ha aperto pure un procedimento disciplinare con il malcelato intento di radiarmi dalla professione.

A memoria, nessun giornalista condannato in via definitiva per diffamazione è mai stato sottoposto a un simile trattamento.

L’Ordine, contraddicendo le dichiarazioni pubbliche dei giorni scorsi di totale solidarietà, si trincera dietro la necessità di rispettare atti dovuti, comportandosi così come il peggior burocrate di Stato. La cosa non mi stupisce, conoscendo l’aria politica che tira da quelle parti. Semmai mi domando a che titolo e con che scopo il presidente nazionale Iacopino fosse fisicamente al mio fianco pochi giorni fa al Tribunale di Milano durante la prima udienza del processo per la tentata evasione.

Sta di fatto che colleghi a me sconosciuti sono riusciti a fare ciò che neppure magistrati sciagurati hanno avuto il coraggio di osare: impedirmi di scrivere ed esercitare la professione. Se pensano di spaventarmi o intimorirmi si sbagliano di grosso. Non mi fanno paura. Semmai si coprono di ridicolo loro e trascinano nella vergogna l’intera categoria: giornalista espulso per un articolo mai scritto.

Come diceva Sciascia, al mondo gli uomini si classificano in: uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà. Bene, io provo con forza a rimanere nella prima categoria. I colleghi dell’Ordine dei giornalisti, e non solo loro, si distribuiscano pure dove meglio credono. Affari loro. La mia libertà non è nella loro disponibilità. Alesandro Sallusti.

………………Come scriveva Manzoni le palle, pardon, il coraggio,  chi non ce l’ha, non se lo può dare. Sallusti ce l’ha. g.

LE TURBOLENZE POLITICHE NON INFLUENZANO I MERCATI. PAROLA DI “MOODY’S”

Pubblicato il 13 dicembre, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Per mesi ci hanno detto che l’incertezza politica pesava sui mercati. Ora per Moody’s conta poco chi andrà al governo: l’importante è che restino le riforme

Per mesi ci hanno detto che rating, spread e mercati andavano male per “le incertezze politiche” dell’Italia.

Il logo di Moody’s alla sede di New York dell’agenzia di rating

Prima il governo Berlusconi non faceva abbastanza per assicurare l’affidabilità creditizia del Paese, poi nemmeno le riforme di Monti hanno avuto gli effetti sperati, a guardare l’andamento altalenante del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi.

Ora Moody’s fa retrofront: “Le turbolenze politiche non influenzano i mercati e hanno conseguenze limitate”. Per l’agenzia di rating conta poco chi andrà a Palazzo Chigi a febbraio. Purché mantenga “le riforme strutturali e il consolidamento di bilancio” messi in atto dai tecnici. “Ci aspettiamo che il prossimo governo mantenga gli elementi chiave della legge di stabilità“. Fonte ANSA, 13 dicembre 2012

………………Nemmeno poche ore fa,  tutta la galassia dei profeti italiani, da Bersani a Casini, da Fini al presidente diConfindustria, tutti a scaricare sulla decisione, sempre tardiva, del PDL di “scaricare” Monti la responsabilità della risalita dello spread,  negli ultimi giorni. Solo Monti che forse era a conoscenza della imminente discesa in campo dell’Agenzia di rating internazionale, sia pure con il solito linguaggio ermetico che gli è congeniale, si è smarcato da questa interpretazione di comodo della crisi dei mercati. Ora giunge la dichiarazione di Moody’s che fa strame delle sciocchezze in libertà dei varti Bersani, Fini e Casini, accumunati non solo dall’odio verso Berlusocni – che ha tante colpe! – ma anche dalla profonmda ignmoranza delle leggi del mercato finanziario che non conosce la lingua dei politici ma solo quella degli affari. g.

L’OCCUPAZIONE TEDESCA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 12 dicembre, 2012 in Politica, Storia | No Comments »

Lo spread scende, la Borsa sale e gli sciacalli restano a bocca asciutta. Il tentativo di fermare il ritorno in campo del centrodestra usando le leve della finanza è svanito nel giro di ventiquattro ore. Delusi dai poteri forti, gli antiberlusconiani ora si aggrappano alla Germania di Angela Merkel, che ieri è intervenuta in modo inusuale sugli affari interni italiani, auspicando, di fatto, un non-ritorno di Berlusconi. Già, se la generale Merkel perdesse il suo soldatino Monti, addio ai sogni egemonici a costo zero. E quindi giù bastonate e ricatti all’Italia libera, come se il risultato delle nostre elezioni valesse meno del suo pensiero.

È dai tempi della Repubblica sociale italiana che la Germania non osava tanto nei confronti dell’Italia. Ricordate? Mussolini liberato sul Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi e insediato sotto tutela a Salò, con ministri e generali fantocci che dovevano obbedire agli ordini che arrivavano da Berlino.
Sappiamo come andò a finire. Mussolini travestito da tedesco fermato sulla via di fuga, poi Giulino di Mezzegra e Piazzale Loreto. Se Dio vuole, i tempi sono cambiati. Niente paracadutisti, armi e cappi. Ma la guerra è la stessa, la si combatte con le banche, lo spread, i giornali.

Passi La Repubblica, ma fa tristezza vedere il Corriere della Sera, presunto quotidiano della borghesia del Nord, svendere i suoi lettori e il Paese intero ai voleri della Germania. Ferruccio de Bortoli, il direttore, si comporta come il Mussolini repubblichino: si aggrappa alla Germania per tentare di negare agli italiani il diritto di essere liberi, liberi di scegliere nelle urne chi dovrà governarli, senza condizionamenti esterni. Evoca lo spread così come il Duce imbrogliava, per convincere il suo popolo, fantasticando sull’arma segreta di Hitler che avrebbe cambiato i destini della guerra. Paradossi della storia. La sinistra costretta a ripetere gli errori del fascismo, il centrodestra a combattere una guerra di liberazione.
Noi non siamo la Germania, e ce ne vantiamo. Vogliamo stare in Europa ma da Paese libero e sovrano, in grado di porre condizioni utili alle nostre imprese e alle nostre famiglie. Se ci sarà da combattere, mediaticamente parlando, noi siamo pronti.

.…..Scrive  il direttore del Giornale, Sallusti, incarcerato e ora  anche sospeso dal solerte Ordine dei Giornalisti della Lombardia che si è unito in incestuoso rapporto con la cricca dei giudici che hanno mandato al gabbio un giornalista reo di “omesso controllo”, reato previsto da una legge fascista mai abrogata in 70 anni di  strombazzata democrazia, che Monti è il Mussolini del 2012, perchè come Mussolini si è messo al servizio della Germania. Non condividiamo questo accostamento, senza entrare nei particolari della Storia, tra un comune e servizievole burocrate che non ha mai pensato all’Itala ma solo a se stersso, quale è Monti, e Mussolini, che pur con tutti i suoi errori, compreso il peggiore, quello di aver indossato una divisa tedesca per sfuggire al suo destino, resta uno statista che ha lasciato un segno nella storia del nostro Paese la cui valutazione obiettiva e oggettiva sarà compito, quando si saranno placate le pur naturali passioni di parte, agli storici del futuro. Nel frattempo non mescoliamo le cime con le foglie. g.

GLI ELETTORI A CACCIA DI IDEE E FIDUCIA

Pubblicato il 10 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

Come sarà governata l’Italia nei prossimi cinque anni? I cittadini si pongono questa domanda prima di andare al voto. E non è affatto così scontato. La natura della crisi economica, la sua inedita profondità e durata, stanno cambiando il modo con cui vengono scelti i partiti e i candidati. L’appartenenza ideologica in passato era un collante enorme, oggi non fa la differenza, non determina la vittoria e la sconfitta. L’altissimo numero di indecisi che vediamo nei sondaggi dice questa semplice verità: non basta più la bandiera e sui leader c’è un tasso di sfiducia e rancore molto alto. Il partito maggiormente coinvolto dal fenomeno è il Pdl e il suo leader Silvio Berlusconi, ma anche il Partito democratico – che pure vola nei sondaggi – si trova di fronte a questo problema e alla necessità di rinnovare la classe dirigente per non offrire all’elettorato un’immagine già logorata dalla storia degli ultimi vent’anni. Il Pd ha parzialmente risolto il problema con le primarie, ma quando la campagna elettorale affronterà i temi della quotidianità, allora anche nel centrosinistra sorgeranno difficoltà. E il vantaggio diminuirà. Dominano l’inquietudine, l’incertezza, una visione appannata del futuro. Europa, Economia, Fisco, Welfare e Famiglia saranno i punti dell’agenda reale che dovranno essere per forza messi a fuoco in un dibattito per ora virtuale, concentrato su alleanze e candidature, autoreferenziale. Le elezioni saranno vinte da chi si rinnova e presenta progetti concreti agli elettori.Il 2008 è uno spartiacque: non bastano i volti, non serve il traino del leader, occorrono idee buone e persone che trasmettono fiducia e vengono identificate con lo «spirito di servizio». Il governo dei tecnici è stata una risposta necessaria ma insufficiente perché carente di politica e immaginazione. Mario Monti è percepito come una persona seria, autorevole, rispettata in Europa, ma l’esecutivo è di qualità inferiore rispetto al premier. Lo stesso Monti ha un’ottima performance sul piano del prestigio internazionale e della credibilità sui mercati, ma contemporaneamente è vissuto da un pezzo dell’elettorato – di destra e di sinistra – come un superburocrate distante dal popolo. Il cittadino conosce e riconosce entrambe le versioni e per questo è confuso: da un lato sa che abbiamo un fardello colossale di debito pubblico, un’agenda europea e impegni da rispettare; dall’altro lato vive la recessione con crescente tensione e si rende conto che la crescita è lontana e bisogna invertire la rotta ma con una soluzione di discontinuità. Quale? E soprattutto, come? I candidati devono rispondere a queste domande. Non Avere ma Essere. Non contro ma per qualcosa. Non demolire ma costruire. Non «io» ma «noi». Gli italiani in cerca di fiducia. Mario Sechi, Il Tempo, 10 dicembre 2012

ADDIO MONTI (SENZA RIMPIANTI) di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 9 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

Monti, offeso dalla non fiducia del Pdl, ha annunciato che si dimetterà subito dopo l’approvazione della legge di stabilità, cioè a giorni.

È il vecchio vizio dei professori, che giudicano ma non sopportano di essere giudicati, che bocciano ma pretendono di essere sempre promossi, per diritto divino.

Voglio essere sincero e non unirmi al coro di chi oggi si straccerà le vesti, supplicherà il professore di non farlo, lo ringrazierà per il lavoro svolto. Io voglio invece stare dall’altra parte, quella delle migliaia di lavoratori e aziende che sotto l’illuminato governo Monti hanno perso il lavoro e chiuso bottega. Voglio stare con chi maledice quell’ingiusta tassa che è l’Imu,con gli esodati espulsi dalla società per l’arroganza professorale della ministra Fornero.

Nessun lutto, quindi. Della presunta credibilità internazionale non si campa. Ristabiliamo la democrazia sospesa poco più di un anno fa da un blitz del presidente Napolitano. Riprendiamoci la sovranità nazionale delegata in modo sciagurato alle banche e all’Europa tedesca. Riprendiamoci, lo dico da detenuto, la libertà: di decidere, di fare, se sarà il caso di soffrire. Non per il vezzo di una casta osannata e sostenuta dai giornali dei poteri occulti, ma perché lo scegliamo noi. Usciamo allo scoperto, votiamo e sia quel che sia.

È il momento di serrare le fila. Prima lo ha fat­to Grillo attraversando a nuoto lo Stretto di Messina ed è sembrato che l’Italia fosse sua. Poi è venuto il momento della sinistra con la bagarre sulle primarie, un bagno mediatico che ha oscurato tutti. Adesso tocca a noi liberali e moderati incazzati. Riprendiamoci lo spazio che ci appartiene senza paure, distinguo e moralismi. Non cadiamo nel tranello dei sensi di colpa. Dobbiamo essere orgogliosi di aver avuto il coraggio di innescare l’addio del governo dei tecnici. Non ci ha dato nulla, non ci avrebbe dato nulla. Anzi, ci avrebbe fatto a pezzi ancora di più.

Che se poi, come si sussurra, Monti si è dimesso anche per non entrare in conflitto col Pdl in vista di una sua possibile elezione al Quirinale, meglio ancora. Vuole dire che, a differenza di quanto si legge qui e là, i liberali di questo Paese non sono morti, ma ancora temuti e rispettati. Come ci compete. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 9 dicembre 2012

.……….Si dice anche che  Monti, stizzito e incazzato nero per esssere stato ttrattato come un qualsiasi altro politico, specie se di complemento come lui, stia decxidendo si scendere in campo in prima persona con ua sua lista, intitolata s e medesimo. Se questo accadesse, intanto si avebbe la prova che non sbagliava il PDL a sostenere che se Monti voleva succedere a se stesso, come gridavano alla luna Casini, Fini e, buon ultimo, Montezemolo,  avrebbe dovuto farsi eleggere rinunciando a fare il commissario del popolo nominato da Napolitano e poi si vedrebbe quanto cvale nel cuore degli italiani: rischia di avere una amara sorpresa. Cioè rischia di sapere che gli italiani lo odiano ed hanno ragione. g.

DA CH E PARTE STARE PER EVITARE IL PEGGIO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 8 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

Caro direttore, ho supportato il presidente Berlusconi con il mio voto nel corso degli ultimi vent’anni.Oggi ap­prendo dai giornali che vuole candidarsi nuovamente.

L’ex premier Silvio Berlusconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano

Credo che si tratterà di una tremenda «débâcle».Quali motivazioni dovrebbero giustificare il voto per lui? La paura della sinistra? È tempo di fatti e non di contrapposizioni ideologiche.

Come impiegato pubblico, non mi aumentano lo stipendio da due anni e per i prossimi aumenti dovrò aspettare altri due anni. Ma di che stiamo parlando?
Mi spiace, Giorgio Festa

Caro lettore, rispetto il suo stato d’animo e rispetterò le sue decisioni al momento del voto. A scanso di equivoci, non ho mai fatto e certo non faccio ora mistero della mia personale vicinanza al presidente Berlusconi. Il che, agli occhi di sciocchi e meschini, è letto come mancanza di libertà e capacità di giudizio. Potrei ribaltare il discorso: non è libero chi, facendosi scudo di una presunta indipendenza, semina odio e veleno per fini diversi da quelli dichiarati.

Bene, se lei ha votato prima Forza Italia e poi Pdl, abbiamo certamente un punto in comune: crediamo nelle libertà, pensiamo che lo Stato sia un male necessario da contenere entro steccati precisi e limitati. Berlusconi questo ce lo aveva promesso e per questo lo abbiamo appoggiato. È vero che non è riuscito a farlo in misura apprezzabile, ma è altrettanto vero che non ha mai fatto il contrario. Almeno in questo, ammetta, non siamo stati traditi.

Ora lei dice: avanti un altro. Già, ma chi, con chi è a fare che cosa? Per un anno, l’ultimo, si è cercato di dare una risposta a queste tre domande. La conclusione è che la casa dei liberali non è ancora pronta a cambiare padrone perché alto è il rischio che, approfittando del momento di difficoltà, qualche furbastro la comperi per poi abbatterla. O che finisca affittata e condivisa con inquilini venuti da fuori e senza scrupoli. A quel punto che cosa ne sarebbe dei miei e suoi ideali? Chi proverà a difenderci da uno Stato ladrone, da un fisco famelico, da sindacati fermi a due secoli fa eccetera eccetera? Lei pensa davvero che quella melassa di centristi vecchi e nuovi a caccia di posti e gloria possa essere una alternativa?

Non diamo a Berlusconi anche colpe non sue. Per quello che ne so, era più che disposto a farsi da parte. Se nessuno, a parte Renzi, in questi mesi si è fatto avanti in modo convincente, vuol dire che al momento non c’è alternativa. E allora che facciamo? Non so lei. Io continuerò a battermi contro gli illiberali, i tecnici tassatori, i magistrati che fanno politica. Con qualunque mezzo. Anche con Berlusconi. Ci pensi e mi faccia sapere. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 8 dicembre 2012

.……………..Rifletteranno milioni di elettori italiani sulle perplessità del lettore del Giornale e sulle ragioni esposte da Sallusti. Da quel che decideranno i milioni di elettori che si sentono in libera uscita dal PDL,  dipenderà l’esito delle elezioni politiche ormai quasi certamente fissate per il 10 marzo prossimo. Berlusconi ha dichiarato che ritorna per vincere, per farlo deve riconquistare prima ancora che il cervello, il cuore degli elettori che come il signor X si sono sentiti traditi e delusi dal centrodestra, dal PDL e dallo stesso Berlusconi. Ha tre mesi di tempo per farlo. g.



BERLUSCONI LASCIA IL CERINO ACCESO AL PD: IL PDL NON VOTA PIU’ IL GOVERNO.

Pubblicato il 8 dicembre, 2012 in Politica | No Comments »

«Oggi inizia la campagna elettorale ». È un Silvio Berlusconi decisamente di buon umore quello che riunisce a Palazzo Grazioli i vertici di via dell’Umiltà.Una incontro sereno come non accadeva da tempo, aperto da Angelino Alfano a relazionare l’ex premier sul faccia a faccia mattutino con Giorgio Napolitano e chiuso con la promessa di rivedersi a inizio settimana per entrare nei dettagli organizzativi della campagna elettorale.

Domenica, invece, riunione dei big lombardi ad Arcore per fare il punto sulle regionalidella Lombardia e sull’accordo con la Lega ormai blindato.

Una giornata positiva. Con Berlusconi che porta a casa ben due punti. Il primo: nel Lazio si voterà il 3 e 4 febbraio come deciso dal Tar, ma il 10 e 11 marzo dovrebbe esserci l’ election day con il voto per le politiche e quello per Lombardia e Molise. Ed era questo quel che davvero interessava al Cavaliere. Perché una sconfitta nel Lazio potrà sembra essere attribuita ai danni fatti dai vari Fiorito e comunque coinvolgerà in primabattuta gli ex An visto che loro è la roccaforte. Ma soprattutto perché l’accorpamento decisivo è quello con la Lom­bardia, in modo da consentire un accordo complessivo con il Carroccio dando il via libera alla candidatura di Roberto Maroni al Pirellone e giocando sul nazionale con lo schema del 2008 ( più altre liste satelliti). E questo è il primo punto, dicevamo. Anche se a margine della lunga riunione di ieri – presenti Berlusconi, Alfano, Verdini, Cicchitto, Gasparri, Fitto,Lupi,Bonaiuti e Letta – c’è chiobietta che si dovrebbe tornare a premere per un election day complessivo a febbraio.

Perché ritirando gli emendamenti alla legge di stabilità in calendario la prossima settimana si potrebbe chiudere la pratica entro il 20 dicembre. A quel punto via con lo scioglimento delle Camere e voto a febbraio. Insomma, non è escluso che dell’argomento si torni a parlare a inizio settimana, visto che questa seconda opzione avrebbe come conseguenza diretta quella di affossare decisamente qualunque ambizione del centro che già con il voto a marzo faticherà parecchio a organizzarsi.

Il secondo punto, invece, coinvolge direttamente il governo. Perché la presa di distanze è stata netta. Al punto che il Pdl è pronto ad astenersi anche sui prossimi provvedimenti. Napolitano avrebbe provato a mediare, ma la risposta rimbalzata da Palazzo Grazioli pare abbia lasciato poca scelta: il governo Berlusconi ha passato il testimone senza una crisi formale, ma se ci chiedete di sfiduciare Monti alle Camera perché credete che non ne saremo capaci accomodatevi pure, noi siamo pronti. Un punto su cui anche il capo dello Stato sembra abbia dovuto fare un passo indietro, perché un’eventuale sfiducia in aula a Mario Monti significherebbe in qualche modo «bruciarlo» sia nell’ottica di un bis a Palazzo Chigi che di uno sbarco al Quirinale.

Chi non l’ha presa per nulla bene è il Professore che pare non sia stato affatto morbido durante una telefonata con Letta. E pure il Pd è in fibrillazione. L’improvvisa sterzata del Pdl e il fatto di prendere definitivamente le distanze dall’esecutivo è evidentemente un problema. Perché in vista della campagna elettorale e con la seconda rata Imu all’incasso c’è il rischio che siano solo Pd e Udc a sostenere un Monti che negli ultimi mesi – a torto o a ragione – viene percepito come il responsabile di troppe nuove tasse.

Un Berlusconi, dunque, pronto al gran rientro. Ieri ha registrato un messaggio tv, oggi sarà a Milanello a caricare i rossoneri ed è già partito il risiko della campagna elettorale. I carri armati li sposta Verdini. Che punta su Lombardia, Veneto, Campania, Puglia e Sicilia. Con il premio regionale econ i numeri che i sondaggi attribuiscono a Grillo, vincendo in tre di queste regioni il Senato sarebbe di fatto ingovernabile anche se Bersani dovesse prevalere. Fonte: Il Giornale 8 dicembre 2012

……..Era ora!