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ITALIANI, POPOLO DI EUROSCETTICI

Pubblicato il 21 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Il 59% ha poca o pochissima fiducia nell’Unione Europea. Dal 2010 è scesa di 17 punti percentuali. Negli ultimi 7 anni dal 64 al 38%. I più severi gli elettori del Pdl e del M5S

Non sarà un divorzio conclamato e insanabile ma certo assomiglia molto a una separazione. C’era una volta un popolo di europeisti convinti, una nazione di innamorati della bandiera con le dodici stelle dorate in campo blu, pronta a commuoversi all’ascolto dell’Inno alla Gioia e dell’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven.

Un sentimento guidato dall’incoscienza, legato forse non tanto a saldi principi ideali e culturali ma probabilmente alla speranza che le istituzioni comunitarie sapessero fare meglio dei nostri governi e l’euro si rivelasse un salvagente per l’economia.

Oggi quel quadro si è ribaltato e il credito offerto dagli italiani verso le istituzioni comunitarie si è ristretto quanto quello messo a disposizione dalle banche alle nostre imprese. I numeri sono eloquenti. Il 59% degli italiani ha poca o pochissima fiducia nell’Unione Europea. Dal 2010 la fiducia nell’Ue è scesa di ben 17 punti percentuali. Negli ultimi 7 anni, addirittura, è scesa dal 64 al 38%: in pratica un dimezzamento. E’ questo il verdetto emesso dall’indagine Ispo, «Italia e Ue, un rapporto che cambia» presentato oggi presso la rappresentanza italiana della Commissione europea dal professor Renato Mannheimer, presidente dell’istituo, dal vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani e da Lucio Battistotti, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.

Il rapporto scandagli anche gli umori diffusi nei partiti politici. E rivela anche che la massima sfiducia verso Bruxelles alberga tra gli elettori del Pdl e del M5S. I più euroentusiasti sono, invece, nell’ordine i sostenitori dell’Udc, di Sel, dell’Idv e del Pd. Interessante anche la classifica della fiducia degli italiani verso le istituzioni. Al primo posto, nonostante le recenti campagne di stampa negative, resistono saldamente polizia e carabinieri. Al secondo posto si attesta il presidente della Repubblica. Al terzo posto la Chiesa. Queste sono le uniche istituzioni che raccolgono consensi superiori al 50%. A seguire: la magistratura; l’Unione Europea; i sindacati; il governo e il parlamento, uniti nella sfiducia. Ultimi e staccati i partiti politici.

La mappatura della fiducia degli italiani nei confronti dell’Unione Europea è ai livelli più alti nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, tra i cittadini del Nord-Ovest, tra chi ha un titolo di studio elevato e tra gli impiegati e gli insegnanti. Molto bassa, invece, nella fascia di età sopra i 55 anni, nel Sud e nelle isole e tra i pensionati. Per quanto riguarda il sentimento di appartenenza, quattro italiani su dice dichiarano di sentirsi molto cittadini europei. Una quota inferiore a quella del senso di appartenenza verso l’Italia (5,6 su dieci) e verso le istituzioni locali (Comune, Provincia, regione). Nell’immaginario diffuso, gli italiani associano l’Unione Europea da un lato all’euro, e dall’altro alla possibilità di spostarsi liberamente per lavoro, studio e svago. Ma tra le risposte c’è anche chi lega l’idea europea alla democrazia e alla possibilità di avere un ruolo più importante nel mondo. Dall’Ue gli italiani si aspettano soprattutto interventi riguardanti l’occupazione e la protezione economica. Infine sei cittadini su dieci ritengono che l’euro abbia portato più svantaggi che vantaggi ma non vorrebbero comunque tornare indietro perché temono un disastro per la nostra economia. Gli italiani, insomma, da popolo di euroentusiasti si sono trasformati in un popolo di europrigionieri. Il Giornale, 21 novembre 2012

…………………..Così accade per i grandi amori seguiti da grandi delusioni. Si finisce con odiarli tanto quanto li si ha amati.g

COME SI FA A VIVERE CON QUESTE PENSIONI?

Pubblicato il 20 novembre, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Inps, più della metà dei pensionati prende sotto i mille euro

Secondo il bilancio sociale Inps, sono 7,2 milioni le persone che prendono sotto i mille euro. Il 17% dei pensionati può contare su un reddito sotto i 500 euro

Oltre metà dei pensionati ha una pensione sotto i 1000 euro al mese. Il dato emerge dal bilancio sociale Inps e riguarda 7,2 milioni di persone.

Il 17% dei pensionati può contare su un reddito sotto 500 euro, il 35% tra 500 e 1000 euro. Il 24% ha assegni tra 1000 e 1500 euro, il 2,9% oltre i 3000. Le pensioni sotto 1000 euro sono il 77%.

Nel 2011 la spesa per le pensioni (inclusi gli assegni di accompagnamento per gli invalidi civili) è ammontata a 194,4 miliardi, in aumento dell’1,7% rispetto al 2010. La spesa previdenziale è aumentata del 2,5% a 169,8 miliardi mentre per le sole pensioni di vecchiaia e anzianità la spasa è stata pari a 131,543 miliardi (+3,6%).

Se invece del reddito complessivo si guarda alla singola pensione  l’importo medio è di 780 euro con grandi differenze tra quelle previdenziali (870 euro) e quelle assistenziali (406 euro).

“In totale quasi 4 milioni di lavoratori hanno percepito un ammortizzatore nel 2011″, segnala l’Inps spiegando che “se la cassa integrazione ha coinvolto in tutto più di 1,4 milioni di lavoratori, la mobilità ne ha interessati oltre 236mila, la disoccupazione nel suo complesso (agricola, non agricola e a requisiti ridotti) più di 2 milioni”.

“Se si tiene conto che i lavoratori dipendenti iscritti all’Inps nel 2011 sono stati quasi 13 milioni «ne deriva – si legge nel bilancio – che quasi un terzo dei lavoratori sono stati interessati nello stesso anno da qualche forma di ammortizzatore sociale”.

Infine, per quanto riguarda il lavoro in nero, nel 2011 l’inps ha condotto 73.722 ispezioni che hanno permesso di individuare 45.036 lavoratori completamente in nero e di accertare più di 981 milioni di euro di omissioni contributive e sanzioni.  Il Giornale, 20 novembre 2012

…………….Ce lo dica Monti come si fa a vivere con pensioni di questo importo. Invece di concionare un giorno si e l’altro pure sul come è bello, bravo, intelligente, il suo governo, ci spieghi come fanno a vivere i pensionati sui quali pesano le tasse indirette come su tutti gli altri, specie i rincari annunciati delle tariffe elettriche e del gas, proprio mentre arriva il generale inverno che se sconfisse Napoleone con i pensionati può far di peggio sui pensionati per i quali l’inverno è il nemico peggiore e dai cui rigori ci si difende cioprendosi e riscaldandosi. Ma colme fanno a coprirsi e a riscaldarsi i pensionati co n le pensioni al minmo con cui devono far fronte alle esigenze mininme gioornaliere e a pagare le tasse ad uno Stato sempre più esoso che non ci pensa minimamente a ridurre le spese  ad incominciare da queklle della politica che, noniostante le chiacchiere da cxrtile del premier Monti, sono rimaste oggi quelle che rano un anno fa.  Intanto si avvicina a grandi passi l’election day: i partiti che aspirano ad ottenre il voto degli italiani oper governarli devono dimostrare con i fatti che la vollontà di cambiare non è semplice  enuciazione ma reale obiettivo di governo. Dati i precedenti è difficile che riescano ad essere credibili, ma che almeno ci provino. g

MA DOVE ANDATE? di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 19 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

Con quella sua aria leggera e gentile, è finalmente disceso in campo LCdM. Ma non ci sono più retoriche capaci di tenere botta. Guardavo nel mio computer Montezemolo che parlava a Roma per una lista Monti e mi dicevo: carino, sì, ma dove stanno le idee sul paese? Non basta dire: siamo per bene, vogliamo ricostruire, Monti ci ha ridato prestigio in Europa, dobbiamo fare squadra e fare sistema, e poi mandare un pensierino alla Ferrari impegnata nel Gran Premio.

Berlusconi fece faville nel 1994 perché voleva abbassare la cresta dello stato, così diceva almeno, e così sperava di riuscire a fare, e intendeva promuovere un’idea di società fondata sul premio al merito e al lavoro e all’intrapresa individuale, meno tasse per tutti, un milione di posti di lavoro, e la parola libertà, dopo decenni di coesione consociazione e concertazione, issata sul pennone più alto. Direte: fatto poco. Va bene.

Ma la retorica fu vincente, influenzò l’intero agire politico, aveva radici internazionali rivoluzionarie (Reagan, Thatcher), rinnovò forme e contenuti, arrivò come messaggio e riplasmò il sistema a partire dal basso, dal consenso popolare.

I montezemoliani più Riccardi e il sindacalista Bonanni molto felice di essere in società con Bombassei e i gentlemen, a parte che le due figure di punta sono così strane a vedersi insieme (il cavallino rampante e la mensa dei poveri a Natale!), davano idea di una platea di bravi borghesi, molte scarpe nere e belle lucide, di faticoni dell’Italia “che rema”, tuttora privi di una qualche consistente proposta esprimibile in discorso politico.

Monti fu un anno fa la nemesi di Berlusconi, ma non perché sia stato minimamente vendicativo, per un’altra ragione: il montismo raccoglie anche un’eredità del berlusconismo ma è il suo esatto opposto, si legittima dall’alto e dal punto di vista sovranazionale dei poteri di mercato, monetari, finanziari, bancari.

Alla gente Monti è andato bene per questo, perché non era figlio del consenso ma della necessità sovraordinata ai tumulti dell’epoca. Legittimarlo ora con una retorica politica popolare, che metta radici nell’Italia elettorale, nei suoi bisogni, nelle sue paure, nel suo stato d’animo, questo è un altro paio di maniche, questo fu quello che accadde con Berlusconi nel 1994.

Certe storie però sono irripetibili. Non è che ogni vent’anni si fa una discesa in campo e si costruisce una maggioranza popolare. Montezemolo e Riccardi possono forse strutturare una lobby centrista intelligente, con l’aiuto di professoroni e imprenditori, e possono riuscire a dare un senso a un programma legato alla continuità con il governo di Monti (vedo che Angelo Panebianco ne dubita, e capisco la sua perplessità).

Se risultassero federatori fortunati di forze moderate, rinvigorirebbero una rendita di posizione politica e magari, con una legge elettorale che li aiuti e un Monti un po’ meno sulle sue e una dinamica elettorale non proprio pessima, potrebbero combinare qualcosa, ma non devono farsi illusioni: con la consumazione delle retoriche politiche del Novecento, e di quelle che volevano succedere ai vari naufragi, emozionare, scaldare, risvegliare il can che dorme dell’opinione popolare non è affare semplice.

Briatore fa il gradasso da Santoro, Berlusconi si spende a Milanello con le sue 72 flessioni al giorno, Vendola recita stornelli e Bersani si affida a Giovanni XXIII, questo offre il mercato della parola e dell’illusione politica e, a parte Renzi che ha quanto meno il vantaggio dell’età e del desiderio di farsi provare, il panorama è un tantino surreale.

Una volta un’assemblea di borghesi decisi a tutto poteva incutere timore reverenziale, ma oggi, epoca delle fondazioni, dei think tank, delle lunghe rincorse tattiche, dei teleprompter che rendono tutto così perfettamente lindo e artificiale, per scuotere l’Italia non si sa più che cosa sia necessario. La fantasia è esaurita, la verità introvabile. Giuliano Ferrara per “il Foglio”, 19 novembre 2012

..….Purtroppo ha ragione Ferrara. Non è tempo di fantasia, che pure manca; occorre una  soluzione dei nostri problemi che non può poggiare su belle parole che non cagtturano più nessuno.g.

CON IL NUOVO REDDITOMETRO PIU’ TASSE FINO A 9MILA EURO

Pubblicato il 19 novembre, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Il nuovo redditometro entrerà in vigore il primo gennaio 2013. La settimana prossima, martedì per l’esattezza, sul sito dell’Agenzia delle entrate sarà disponibile il programma con cui  ciascun contribuente potrà verificare se le tasse che paga e il reddito dichiarato sono «congrui». Vale a dire se sono in linea con il tenore di vita che ha. In attesa di fare la verifica c’è però una certezza: col nuovo «redditest» pagheremo più tasse. Come del resto ci hanno abituato da un anno a questa parte i Professori al governo. A fare il calcolo è stato l’ufficio studi della Cgia di Mestre che ha stimato gli effetti sulle tasche dei contribuenti dei nuovi meccanismi di calcolo presuntivo dei redditi. Identici per tutti, si tratti di lavoratori autonomi, dipendenti o pensionati.

Ebbene, le conseguenze rischiano di essere molto pesanti: con un maggior reddito stimato dal fisco pari a 10.000 euro, se il contribuente raggiunge un accordo con l’Agenzia delle entrate che gli sconta il reddito imponibile del 5%, tra maggiori imposte e sanzioni ridotte dovrà versare tra i 4.250  e i 5.640 euro. Se al contrario non accetta la proposta degli «sceriffi» di Befera e fa ricorso alla Commissione tributaria rischia una sanzione quasi doppia. Nel malaugurato caso in cui, alla fine dei due gradi di giudizio previsti per il contenzioso tributario dovesse perdere, sarà costretto a versare all’Erario e  se alla fine dei due gradi di giudizio dovesse malauguratamente perdere , il contribuente sarà chiamato a versare all’Erario tra i 6.815 e gli 8.906 euro.  Dunque sui 10.000 euro di «maggior reddito» presuntivamente accertato dall’Amministrazione finanziaria il contribuente potrebbe essere costretto a pagarne quasi 9.000 fra imposte e multe.

Le simulazioni, sottolinea l’ufficio studi del’associazione artigiani mestrini, sono state fatte su tre fasce di reddito lordo annuo: 20.000, 40.000 e 80.000 euro. Al di sotto dell’ultima soglia, fanno presente dalla Cgia, si trova il 98%  dei contribuenti italiani. Quindi non è per nulla un caso di scuola.

La nuova versione del redditometro ha affinato un meccanismo in base al quale l’Agenzia delle entrate ha la possibilità di ricostruire a tavolino i redditi degli italiani, autonomi o dipendenti che siano, sulla base delle spese che ciascuno di noi ha effettuato. Nel caso in cui il reddito presunto, ricalcolato cioé dagli sceriffi del Fisco anche in base a  serie di indici fissati a priori,  superi di almeno il 20%  quello dichiarato,  il contribuente verrà convocato e dovrà giustificare lo scostamento fra le spese effettuate e il reddito dichiarato. Con una precisazione: non tutte le spiegazioni saranno ritenute ammissibili dall’amministrazione finanziaria.  «La normativa – spiega  il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi  – limita la possibilità di dimostrare che le spese realizzate dal contribuente siano avvenute con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta». Per capire quali siano le spiegazioni accette e quali no non resta che aspettare qualche giorno. A poco vale ricordare che lo «Spesometro» ha carattere presuntivo. «Al contribuente – puntualizza Bortolussi – dovrebbe essere consentito di discutere anche su come sono state conteggiate le maggiori richieste avanzate dal fisco». LIBERO, 19 novembre 2012

.….Ecco cosa ci aspetta, uno Stato di polizia fiscale che ci costringerà a pagare anche quando abbiamo ragione per timore di pagare il doppio, proprio come avviene per le multe stradali: se ricorri al Prefetto contro u na mula e il Prefetto ti dà tgorto sulla scortta dello stesso ente che ti ha multato, paghi il doppio. Un modo piratesco per sconsigleire di ricorrere contro lo stato esoso e spesso “malavitoso”. E’ lo Stato che piace al signor Monti che se ne è andato a predicare sulle poche virtù  civiche degli italiani negli stati arabi dove come è noto la libertà pesonale, la democrazia, il rispetto delle persone è al massimo grado e dove comanda chi viene eletto dai cittadini ….sic, doppio, e triplo sic. g.


PAGHIAMO NOI L’AVVOCATO AI POLIZIOTTI INDAGATI (PER AVER FATTO IL LORO DOVERE)

Pubblicato il 18 novembre, 2012 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »

Un altro poliziotto è stato indagato dal­la magistratura per i tafferugli av­venuti durante i cortei di protesta a Roma.

Non è il primo e, temiamo, non sarà l’ulti­mo vista l’aria che tira.

Un’ aria fetida, alimentata oltre che dai soliti noti anche da opinionisti e giornali che tra­sudano odio verso le forze dell’ordine e simpatie giusti­ficazioniste nei confronti di giovani teppisti che scorraz­zano a volto coperto e armati di spranghe. I dati ci dicono che nel 2011 oltre 400mila tra poliziotti e carabinieri hanno rischiato la vita per di­fendere la nostra incolumità e le nostre città durante ma­nifestazioni di piazza. E che 470 di loro sono rimasti feriti in modo grave.

Lo Stato è molto generoso con i suoi dipendenti. Gli sta­tali, anche se fannulloni e in­capaci, restano tranquilla­mente al loro posto. I magi­strati quando sbagliano non rispondono in prima perso­na dei danni provocati. Non parliamo dei politici, mante­nuti come sappiamo da veri pascià. Solo poliziotti e cara­binieri sono di fatto abban­donati a loro stessi e inchio­dati a responsabilità perso­nali. Se indagati, devono an­ticipare le spese dell’avvoca­to e sperare di essere assolti per rivedere i soldi spesi chis­sà quando perché il fondo per l’assistenza legale esiste solo sulla carta. Se condan­nati, arrivederci e grazie, ze­ro rimborsi. Per gente che guadagna poco più di mille euro al mese può voler dire la rovina. Non parliamo poi delle spese mediche per esa­mi o cure specialistiche in ca­so di lesioni. Vi pare giusto tutto questo? A noi no, per cui abbiamo deciso di aprire una sottoscrizione del Gior­nal­e per pagare le spese lega­li e mediche degli uomini del­le forze dell’ordine mandati al macello nelle manifesta­zioni di piazza e poi lasciati soli da uno Stato ingiusto e ci­nico, debole con i forte e for­te con i deboli. Apriamo la sottoscrizione noi due, con mille euro a testa. Siamo sicu­ri che in tanti aderiranno an­che in tempo di crisi, ognu­no per le sue possibilità. Glie­lo dobbiamo a questi ragazzi in divisa. E se a qualcuno di loro è scappato uno sberlo­ne di troppo non ha fatto che bene. Martedì vi daremo le coordinate bancarie per di­mostrare nei fatti da che par­te stiamo tutti noi. Un grazie anticipato e buona domeni­ca. Vittorio FELTRI e Alessandro SALLUSTI, Il Giornale 18 novembre 2012

…………….Domani – 19 novembre -  ricorre l’anniversario – il 43° -  della morte  a Milano di Antonio Annarrumma, il poliziotto poco più che ventenne, assassinato durante lo sciopero generale che si celebrò appunto quel giorno,il 19 novembre 1969.  Più che uno sciopero fu la prova generale di ciò che sarebbe ancora venuto, gli anni di piombo, le brigare rosse, le vendette, i poliziotti, i magistrati, i politici, assassinati da giovani educati alla violenza da cattivi maestri che non pagarono per quel di sbagliato  che avevano insegnato. La proesta è legittima purchè non  sfoci nella violenza e nella devastazione o anche nell’assalto alle forze di polizia che difendono lo Stato che siamo noi. Nè è  tollerabile che ad avere la peggio devono essere i servitori dello Stato, che merita sempre di essere difeso al di là di chi lo rappresenti perchè, lo abiamno detto lo Stato siamo noi. Per questo aderiamo all’inziativa di Feltri e di Sallusti e invitiamo i nostri amici a fare altrettanto. Lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra cultura legalista, ai nostri Valori e ai nostri principi che tradiremmo se non fossimo come sempre dalla parte delle forze dell’ordine. g.

L’ANNIVERSARIO NERO DEL GOVERNO TECNICO. ECCO COME MONTI CI HA AFFOSSATO, di Renato Brunetta

Pubblicato il 18 novembre, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

È passato un anno. E per favore, lasciamo perdere le strumentalizzazioni e i luoghi comuni. Lasciamo perdere la retorica e facciamo solo i conti, con onestà intellettuale e politica.

Facciamo il bilancio di un’esperienza di governo eccezionale e di una politica economica, anch’essa eccezionale, che non abbiamo voluto noi, ma ci è stata imposta dalla Germania.

Tiriamo le somme di un riformismo forzato, massimalista e conservatore al tempo stesso, ma che ha finito per produrre più danni che benefici.
È giunto il tempo di giudicare il governo, i suoi ministri, per troppe volte apparsi più burocrati che autorevoli tecnici illuminati. Oppure personaggi in cerca di un futuro politico, che saltano da un convegno all’altro, da una dichiarazione all’altra, piuttosto che disinteressati servitori dello Stato.

Un nome per tutti: Corrado Passera, un misto di velleità, impotenza, luoghi comuni e presunzione. Con gli altri membri dell’esecutivo ostaggi, più o meno consapevolmente, dei loro ministeri, degli interessi costituiti, del gattopardismo romano. Viziati dai troppi decreti legge, dalle troppe fiduce, poste e ottenute, dal non dover rendere conto a nessuno. Garantiti solo dalla Sua persona.

Una politica economica che senza tante analisi ha sposato acriticamente un percorso di austerità che ha prodotto la recessione. Sbagliando pure i conti. Una recessione peggiore del previsto, che ha finito per far mancare gli obiettivi per cui il rigore era stato voluto. Ma questi tecnici, di Angela Merkel e di casa nostra, non studiano? Non leggono i rapporti internazionali? Non capiscono che il mondo è cambiato, e che quindi devono cambiare anche le ricette di politica economica?

Non un indicatore socio-economico, in quest’anno, ha mostrato segno positivo. Vorrà pur dire qualcosa? L’Eurozona è in recessione (-0,1%): ci può spiegare perché? Non sarebbe il caso di mettere un punto fermo, cominciare a ridiscutere quello che è stato fatto nell’Ue in questi 4 anni di crisi? Non sarebbe il caso di chiedere all’Europa se le politiche sangue, sudore e lacrime e i compiti a casa siano state e siano quelle giuste? Non è bello, non è onesto veder andare in crisi tutti i paesi tranne uno: la Germania, che migliora i conti, anche contro le sue stesse previsioni, sulla pelle di tutti gli altri. Adesso anche della Francia.

Il Suo riformismo fondamentalista e conservatore ha portato all’introduzione dell’Imu, con relativa contrazione del valore del patrimonio immobiliare degli italiani. Ha portato all’aumento della tassazione sulla proprietà, già ai massimi livelli nelle classifiche Ocse; alla riduzione della produzione nel settore delle costruzioni, fondamentale in economia; al crollo delle compravendite di immobili.

Insomma, è stato impoverito quell’oltre 80% di italiani che abitano nella loro casa. Non è giusto, professor Monti. Non è giusto.

La sua riforma delle pensioni ha creato il guaio tossico degli «esodati». Tossico perché mette insieme ingiustizie e opportunismi, producendo più costi che benefici. Forse era meglio non far nulla. Come era meglio non far nulla sul mercato del lavoro, la cui riforma sta facendo schizzare ai livelli più alti in Europa la disoccupazione giovanile, a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine. Avevamo bisogno di più flessibilità nell’assumere, abbiamo prodotto solo un blocco. E la mitica spending review alla fine non si è concretizzata che in banali tagli lineari.

È stato un anno di consenso mediatico, ma di amarezza, impotenza e sconcerto nella gente. E di tanta retorica. La retorica per cui il governo di prima aveva portato l’Italia sull’orlo del baratro. La retorica del non riuscire a pagare gli stipendi pubblici del 2011 a causa dello spread, il grande imbroglio su cui non è stata fatta nessuna chiarezza.

Non è stato spiegato agli italiani perché tutto sia cominciato a giugno 2011 dalla vendita, da parte di Deutsche Bank, di 8 miliardi di nostri titoli di Stato. Vendita seguita da tutti gli altri operatori, meno di una ventina di banche, che fanno il bello e il cattivo tempo. Altro che mercati. Perché quell’ordine? Cosa era cambiato nella nostra economia, nella nostra politica economica, che giustificasse quella decisione da parte della principale banca tedesca? Un anno di retorica. La retorica del «Salva Italia», il Suo primo decreto, che non ha salvato proprio un bel niente. La retorica della credibilità ritrovata, dello stile di governo, del rigore, dell’agenda Monti. Un’insopportabile bolla mediatica.

E che dire del «Cresci Italia», del «Semplifica Italia», dell’«Italia Digitale» e degli altri stucchevoli slogan che appaiono come vere e proprie prese in giro? Altro che credibilità. Altro che coesione. Altro che responsabilità. Altro che legalità. Altro che visione.

Un anno di pacche sulle spalle e apparente apprezzamento in campo internazionale, salvo poi vederci isolati in India, come a Bruxelles, o additati al pubblico ludibrio a Washington. Italia sempre più sola, soprattutto in Europa. Unico contribuente netto (cioè paghiamo all’Ue più di quanto riceviamo), che non sa con chi stare. A parole (quasi da sindrome di Stoccolma) con Angela Merkel e i rigoristi, ma con tanta voglia del contrario. E il risultato di rimanere soli.

Il governo era nato con 4 fondamentali obiettivi: aumentare la credibilità dell’economia italiana sui mercati; promuovere l’azione dell’Italia in Europa, per una politica economica a carattere comunitario; ridurre il debito pubblico, con misure di carattere strutturale; lanciare una strategia di sviluppo e di crescita per il Paese. Obiettivi riassunti nel Suo discorso sulla fiducia, le cui parole d’ordine sono state: rigore, sviluppo e equità.

A un anno dall’esordio, i fatti mostrano che ha fallito su tutti i fronti. La credibilità non è aumentata, perché i rendimenti dei titoli di Stato decennali sfiorano ancora il 5%, gli spread sono in altalena, e in ogni caso continuano a dipendere dall’azione della Bce. Si ricorda, presidente Monti, il 24 luglio 2012, quando il Suo maledetto spread, il nostro maledetto spread, è schizzato a 534, praticamente allo stesso livello che il 9 novembre 2011 ha fatto cadere Berlusconi? E si ricorda le ragioni? Le voci dell’uscita della Grecia dall’euro. Non un giudizio sulla Sua politica. Non sarebbe il caso di riconoscere che i nostri fondamentali c’entrano poco o nulla?

Il ruolo dell’Italia in Europa è rimasto marginale e l’egemonia della Germania è aumentata. Il debito pubblico continua a crescere, sia in valori assoluti (+72 miliardi), sia in rapporto al Pil (+4,4%). Non è stata lanciata nessuna strategia di sviluppo, tanto che il prodotto interno lordo si è inabissato, la produzione industriale precipita, i consumi sono in picchiata e l’inflazione continua a salire, come la disoccupazione. In un anno nulla è cambiato in meglio, ma è tutto peggiorato.

L’unica cosa buona del governo Monti l’ha fatta la maggioranza, riscrivendo la legge di stabilità per il 2013, cosa mai vista nella storia repubblicana, rendendo intelligente un provvedimento banale, inutilmente cattivo con i deboli (dai malati di Sla alle vittime di guerra) e demagogico. Quello spruzzo di diminuzione dell’Irpef, che aveva proposto nel Suo disegno di legge, professor Monti, e che abbiamo rispedito al mittente, era degno di miglior causa. Un inutile e costoso specchietto per le allodole. La tanto bistrattata maggioranza dei partiti ha sostituito il governo dei tecnici, coniugando rigore, equità e sviluppo. Proprio quello che Lei, presidente, e i Suoi ministri non siete riusciti a fare in un anno di governo. Un anno che può a buon titolo considerarsi un annus horribilis. Renato Brunetta, Il Giornale 18 novembre 2012

.………………In economia, come sottolinea Brunetta,  le parole devono lasciare il posto ai numeri. E i numeri dimostrano chiaramente il fallimento del compito affidato a Monti, frettolosamente indicato e poi mdefinito, come il demiurgo capace di fare miracoli. I miracoli li fanno i Santi, a Monti era affidato, da fante,  il compito di ridurre drasticamente la spesa pubblica, follemente aumentata nel corso degli anni, complice della politica,  anche tanta alta burocrazia, nella quale lo stesso Monti può arruolarsi insieme al 99% dei suoi ministri e sottosegretari, chiamati in prima fila dopo aver tranquillamente usato nelle seconde, terze e quarte file, i vantaggi assicurati dalla politica a chi le teneva bordone. Appunto i burocrati. In questo campo, cioè nella riduzione della spesa pubblica, il compito a casa di Monti è risultato meritevole di zero. Dove invece può appuntgarsi un bel dieci sulla giacca è la pressione fiscale, aumentata in un anno, del 2,5%, portandosi a quota 44%, Cioè Monti ha usato, follemente, lo strumento della pressione fiscale per “rimettere ordine nei conti pubblici” senza rendersi conto che alzare le tasse per pagare i debiti, senza bloccare la fonte stessa dei debiti, è come il cane che si morde la coda. Infatti, non solo  il debito pubblico in uno anno è aumentato di 100 milioni, portandosi a 2000 miliardi, ma sono drasticamente diminuiti i consumi e cioà ha determinato il blocco della crescita, anzi la stagnazione della crescita, , visto che di crescita è un bel pò che in Italia non si può parlare. E allora quale è la ragione per cui benchè Monti abbia così clamoraosamente  fallito debba   essere riproposto come vogliono fare alcuni vecchissimi “giovani” della politica italiana come Casini che “indignato” grida alla luna che in 20 anni la politica italiana ha fallito (senza precisare dove egli fosse in questi 20 anni, cinque dei quali passati sullo scranno di presidente della Camera dei Deputati in virtù della sua appartenenza alla maggioranza parlamentare e governativa che ha governato il Paese dal 2001 al 2006)  e qualche giovane “vecchio” come Cordero di Montezemolo che dopo aver arraffato tanto di quel debito pubblico come manager di aziende private supportate dallo Stato si prova, all’età in cui di solito si andava in pensione prima della cura Fornero, a dettare le regole che lui per primo, nel recente passato,  mai ha rispettato per far ripartire il Paese. Insomma non è Monti la ricetta per il futuro con quella sua aria dottorale che dall’alto di una arrogante pretesa di modificare geneticamente un intero popolo ha cessato ben presto di essere faro per divenire rappresentazione  di una Italia tragicamente malinconica. E la malinconia non è il miglior viatico per l’avvenire perchè si coniuga  alla nostalgia. E l’Italia non ha bisogno  di nostalgia. Ma di speranza!



CIAO MONTI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 17 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

È finita. Il governo dei tecnici chiu­derà bottega con un paio di mesi di anticipo sulla tabella di mar­cia. Ieri infatti il presidente Napo­litano ha dato il via libera a votare il dieci marzo, Regionali e Politiche insieme. Il che significa che le Camere saranno sciol­te al rientro delle vacanze di Natale. Da qui ad allora c’è giusto il tempo di approvare la legge di stabilità e null’altro. L’anomalia di un governo non eletto e che dopo un anno fallimentare si ritrova in­cap­ace di affrontare e gestire le tensioni so­ciali figlie della crisi e della sua politica re­cessiva è quindi giunta al capolinea. Ades­so tocca ai partiti per i quali suona quindi la campanella di fine ricreazione. Basta inuti­li dibattiti, dispetti, polemiche sterili, tatti­cismi. Da oggi si fa sul serio. Tra sette gior­ni, con le primarie, sapremo se la sinistra si affiderà a Bersani o a Renzi e da lì discende­rà tutto il resto. Solo a quel punto Berlusco­ni scioglierà la riserva, Monti deciderà se cedere alle sirene di chi lo vorrebbe in cam­po con una sua lista, Casini con chi stare.

Mi spiace per Alfano, ma a questo punto, e con tempi così stretti, le primarie del Pdl appaiono come un’inutile prova di forza tra colonnelli oltre che spreco di denaro. In­sistere nel volerle rischia di diventare un ul­teriore momento di lacerazione in un Pdl già provato. Diamo il risultato per sconta­to: vince Alfano, a lui adesso dirci cosa vuo­le fare e con chi, poi ognuno tirerà le sue conclusioni.

La situazione, quindi, si sta mettendo co­me aveva immaginato Berlusconi, che evi­dentemente tanto morto non è. Non so, ma l’impressione è che il tira e molla del­l’ex premier negli ultimi mesi fosse tattica più che indecisione. Un comperare tempo per arrivare con meno danni possibile sul­la linea di partenza con il vantaggio di non scoprire le carte prima degli avversari. Adesso ci siamo, sette giorni e poi sapremo se è stato un bluff o no. I sette giorni che mancano a conoscere il destino di Renzi, l’uomo che piace al centrodestra e che po­trebbe finire a guidare la sinistra. Oppure no, fare altro. Già, ma che cosa? Manca po­co. Berlusconi e Monti stanno aspettando di capire. Per decidere. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 17 novembre 2012

.……………..No ciao, ma addio. Nonostante le manfrinate di Casini che si sbraccia a sostenre il Monti bis e nonostante l’ultimo arrivato,  Luca Cordero di Montezemolo, che finalmente ha scioo le riserve ed ha annunciato che il suo movimento scende in pista per sostenere Monti, cioè il premier dei salassi e delle tasse, senza peraltro che lui Montezemolo si sporchi le mani a farlo in prima persona, nonostante ciò  Monti, come dice Sallusti, è alla frutta e se vuole ancheal dolce e al caffè Ma subito dopo le elezioni questo Paese che ha regole democratiche e vive nell’ambito di queste regole,  deve tornare alla normalità. Cioè ad Parlamento che sia nelle pienezza delle sue funzioni e dei suoi poteri, ad un governo che sia espresioine del Parlamento, l’uno e l’altro, espresisone della volontà degli elettori. Per cui,  Monti, by, by. g.

IL CARCERE PER SALLUSTI: PRIMA MARONI, E POI RUTELLI, TENTANO DI SALVARE LA FACCIA. MA SALLUSTI LI SMASCHERA.

Pubblicato il 16 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

È stato un errore, ha detto Roberto Maroni ieri al Giornale. La reintroduzione del carcere come pena per il reato di diffamazione votata l’altro giorno dal Senato (che la riforma in discussione stava eliminando) sta provocando fiumi di lacrime di coccodrillo.

«Una provocazione sfuggita di mano», piagnucola il segretario leghista. Ieri sera, a Otto e mezzo su La7, è toccato a Francesco Rutelli tentare di salvarsi la coscienza rimettendo assieme i cocci di una situazione che sta per portare in carcere Alessandro Sallusti, direttore del Giornale.
«Forse abbiamo trovato il sistema per risolvere il caso-Sallusti», ha annunciato il leader dell’Api prima di andare in onda ricordando di essere «pubblicista da trent’anni» e di «avere giornalisti in famiglia» (la moglie Barbara Palombelli). La soluzione, studiata con l’avvocato Nicola Madia, sarebbe depenalizzare il reato di omesso controllo e la responsabilità del direttore per gli articoli firmati con pseudonimi o privi di firma.
Un capolavoro di ipocrisia smascherato in diretta da Sallusti. «Ringrazio per l’interessamento, ma questa ipotesi eviterebbe il carcere ai direttori, non ai giornalisti. E se Rutelli avesse letto le carte processuali, avrebbe scoperto che il giudice che mi ha condannato (senza fare indagini) mi ha attribuito la paternità dell’articolo. Per la Cassazione l’autore sono io. Sono stato condannato al carcere come delinquente abituale a motivo delle sei precedenti condanne per omesso controllo e le oltre 60 cause in corso, mentre Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, ha 130 querele pendenti e un numero maggiore di precedenti condanne».
Nel pomeriggio erano stati i leghisti a mettere la retromarcia. L’ex Guardasigilli Roberto Castelli si è appellato al capo dello Stato: «Dia la grazia a Sallusti». «Le idee non vanno in galera», ha aggiunto l’eurodeputato Matteo Salvini.
Dall’Europa, la musa del governo Monti invocata a modello per tutto fuorché i reati di opinione, arriva un altro avvertimento. Secondo l’onorevole Luca Volontè (Udc) sarebbero pronte sanzioni per l’Italia se non verrà cambiata la legge e non si eviterà il carcere al direttore del Giornale. «Io stesso chiederò l’apertura di un dossier sulla legge italiana in tema di diffamazione», dice Volontè, che è presidente del gruppo popolare all’assemblea del Consiglio d’Europa.
La prossima settimana il magistrato di sorveglianza di Milano deciderà sull’esecuzione della pena (14 mesi di arresto) cui Sallusti è stato condannato alla fine dello scorso settembre. «In Italia i problemi si risolvono un minuto prima o un minuto dopo che succede il patatrac», ha detto ieri Sallusti intervenendo a Un giorno da pecora su Radio2. «Monti scenda dal suo piedistallo ipocrita e faccia un decreto legge che dica che per i reati di opinione non si va in carcere, punto».
Il direttore del Giornale ha rivelato che qualcuno, forse dei servizi segreti, gli ha proposto di fuggire in Francia per evitare il carcere. «Gli ho detto che non trattavo nulla», è stata la risposta. Dura anche l’ex sottosegretario Pdl, Daniela Santanchè a La Zanzara su Radio 24. «Si deve aprire un caso perché è una tragedia umana». Il Giornale, 16 novembre 2012

….……………..Lo abbiamo detto da subito. Che Monti avrebbe dovuto fare un decreto legge – ne ha fatti centinaia questo dittatore sudamericano in età da ospizio – per cambiare solo la norma fascista che prevede il carcere per  i giornalisti condannati per diffamazione,salvo in corso di esame in Parlamento arricchire il decreto degli ulteriori aggiustamenti necessari a rendere la legislazione italiana  in questa materia degna di un sistema di libertà, oppure che Napolitano, motu proprio, firmi la grazia per Sallusti. Monti, con il supporto della ministro Severino, ricca avvocatessa del sistema, si è rifiutat,  invocando, ipocritamente,  la competenza del Parlamento che salva i ladri, i delinquenti e i corrotti, ma manda in galera coloro che denunciano le malefatte del potere. Ora resta Napolitano. Vedremo se  in lui prevarrà l’antica fede comunista che i giornalisti non solo li mandava  in galera, ma, talvolta, li uccideva,   o prevarranno le più recenti manfiestazioni di rispetto dei valori della democrazia che contengono anche il più rigoroso rispetto per quelli che esercitano il diritto di denunciare le malefatte del potere? Dobbiamo aspettare poco per vedere come andrà a finire. g.

LA CASTA AGGIRA LA LEGGE CONTRO I VITALIZI E AL LORO POSTO SPUNTA LA PENSIONE…DA SUBITO, ALLA FACCIA DEI LAVORATORI CHE DEVONO ASPETTARE 67 ANNI.

Pubblicato il 16 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Modificata la legge che prevede i 66 anni di età con 10 di mandato minimo: arriva la pensione contributiva

Una vera e propria beffa. È bastato un codicillo per mandare tutto a gambe all’aria e cancellare la promessa di far piazza pulita dei vitalizi regionali.

Eppure era stato lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti a vietare il vitalizio ai consiglieri che non ha ancora compiuto 66 anni e speso almeno dieci anni di mandato. Se fosse andata in porto, la riforma sarebbe stata una vera e propria mannaia per la Casta e una boccata d’ossigeno per l’erario pubblico. Tuttavia, il partito delle Regioni ha contrastato il decreto non appena il testo è arrivato in parlamento per la conversione in legge. E così, è bastato inserire una postilla per “salvare” le Regioni che hanno già abolito i vitalizi. Regioni che, a questo punto, potranno sostituire i vitalizi con le pensioni contributive, senza limiti di età e mandato. Insomma, tutto torna come prima.

Il giro di vite contro il super vitalizio – lo stesso che sarebbe toccato a Franco “Er Batman” Fiorito – era stato annunciato agli inizi di ottobre scorso. Sul tavolo di Palazzo Chigi il provvedimento: nessun ex consigliere regionale avrebbe più incassato la pensione senza aver fatto almeno dieci anni di mandato né prima di aver compiuto i 66 anni di età. Appena il decreto legge varato dall’esecutivo è approdato alle Camera, è scattata la resistenza della Casta. Come racconta Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, è bastato inserire alla fine della lettera “m” dell’articolo 2, quello che stabilisce i limiti minimi dei 66 anni di età e dei 10 anni di mandato, la frase “Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle Regioni che abbiano abolito i vitalizi”, per snaturare il senso del decreto dal momento che tutte le Regioni hanno già abolito i vitalizi. La furbizia di questa frasetta sta nel fatto che consentirà alle Regioni, che intendono sostituire i vitalizi con le pensioni contributive, di aggirare le regole più rigide del decreto consentendo, come spiega Rizzo sul Corsera, “la corresponsione dell’assegno contributivo magari già a sessant’anni, o forse ancora prima, e con soli cinque anni di mandato anziché dieci”. Non solo. Anche i consiglieri, il cui mandato è in scadenza proprio in queste settimane, potranno andare in pensione prima dei 66 anni di età e con neanche dieci di mandato dal momento che la frasetta inserita alla fine della lettera “m” dell’articolo 2 vanifica la norma che estende sulla carta il tetto anche agli attuali consiglieri che avrebbero già maturato il diritto al vecchio vitalizio e stanno per lasciare l’incarico. Un esempio su tutti? La Regione Lazio i cui consiglieri, grazie al vecchio sistema abolito ancora in vigore per gli attuali eletti, potranno andare in pensione a cinquant’anni. Il Giornale, 16 novembre 2012

…………………Che dire?! Siamo alla frutta, anzi, peggio, allo scuotrere della tovaglia. Gli stessi che in Senato naqscondendosi dietro il voto segreto hanno stabilito che i giornalisti devono andarfe in galera, riuscendo sinanche a provocare l’intervento sbalordito dell’Unione Europea, sono quelli che alla Camera hanno mandato gambe all’aria la fine di un privilegio assurdo, quelo di cui gode ano i consiglieri regionali che avevano diritto a percepire a fine mandato una pensione. Lo hanno ripristinato con un giochetto simile a quello delle tre carte, tipico dei magliari da periferia. g.

LA VERA STORIA DEL PORCELLUM RACCONTATA DAL SUO INVENTORE

Pubblicato il 15 novembre, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

In quesa intervista di Mattia Feltri per la Stampa, Roberto Calderoli, big della Lega, racconta la storia del porcellum, la legge elettorale i vigore dal 2006, che tutti dicono di voler cambiare, ma che nessuno in verità vuole modificare perchè oiace a tutti i padroni dei partiti. Secondo Calderoli la legge fu partorita da Casini mentre Fini volle le liste bloccate. L’uno e l’altro si strappano le vesti contro questa legge ma ne hanno fatto uso e consumo, nominandosi amici e compari. Ecco l’intervista a Calderoli.

Senatore Calderoli, non le è bastato il Porcellum? Ancora ci si mette?

«A parte che Porcellum fu una definizione di Sartori. Io l’ho definita “porcata”. Ma adesso vi racconto come andò».

Siamo tutt’orecchi.

«Fu una legge figlia del ricatto di Casini che voleva il proporzionale stile Prima repubblica. E se non gliel’avessimo dato non avrebbe votato la riforma costituzionale: si trattava della devolution, della riduzione di oltre il 20% dei parlamentari. Cedemmo al ricatto. Peccato che poi la legge fu stravolta – perché era un’ottima legge – e proprio Casini ne rimase fregato».

Ottima legge?

«Vi spiego. Avevo messo una soglia per il premio di maggioranza al 40%. Sapete chi tolse la soglia? Berlusconi. Perché voleva il premio a tutti i costi».

E le liste bloccate?

«Non c’erano. Le volle Fini perché diceva che prendeva soprattutto voti al Sud e non si fidava delle preferenze».

Fini?! Quello che ora si straccia le vesti?

«Non aveva neanche tutti i torti. Ma fu proprio lui. Un’altra cosa: sapete perché non ci fu il premio di maggioranza su base nazionale al Senato? Perché il presidente Ciampi disse che il premio doveva essere su base regionale. Chiesi appuntamento al Quirinale per spiegare come superare il problema. E lui neanche mi ricevette perché non avevo la delega. Se Prodi non ebbe la maggioranza al Senato, e cadde nel 2008, lo deve soprattutto a Ciampi».

La sinistra in tutto questo non c’entra?

«Nel 2006, con Prodi premier, d’accordo con Napolitano proposi una legge di sei righe che cancellava il Porcellum e riportava al Mattarellum. Non ci fu verso, rimase per mesi in commissione. Poi ho fatto altre otto o nove proposte. Nessuna accolta. Ma ne racconto un’altra: pochi mesi fa, ai margini di un incontro pubblico, Prodi ha contestato a Bersani la mancata riforma del Porcellum».

E Bersani che ha detto?

«Che non l’ha potuto riformare perché Rifondazione comunista non era d’accordo. Ma che cosa c’entra? Avrebbe avuto i voti della Lega, e lo sapeva: Rifondazione non gli serviva».

Voleva evitare attriti.

«Ma se avevano attriti tutti i giorni? Sul lavoro, sulle missioni internazionali… La verità è un’altra, e cioè che, siccome sono trascorsi sette anni dall’approvazione del Porcellum, ed è ancora lì, ne deduco che di estimatori ne ha molti più di quanti si pensi».

Infatti anche stavolta…

«Infatti. Ma adesso vi spiego. Nel 2006 Prodi arrivò al 49%. Nel 2008 Berlusconi arrivò al 47%. Che poi col premio raggiungessero il 55% dei seggi era normale. Il Pd vuole arrivarci col 30%. Cioè vuole raddoppiare i parlamentari. Vuole governare senza voti. Il problema vero, oggi, non è il Porcellum: è che i partiti non li vota più nessuno!».

Quindi il Pd vuole tenerselo il Porcellum.

«Certo. Dice: alla Camera sono a posto. Al Senato i voti non li avrò mai, ma andrò a chiederli a Berlusconi. Del resto anche lui ha interesse che vinca Bersani. Contano di mettersi d’accordo. Piuttosto che Grillo o l’ingovernabilità… E a Monti hanno promesso il Quirinale».

Però i centristi…

«Questo schema non va bene a quelli che ambiscono a qualche presidenza. Diciamo che non va bene a Casini, che spera di fare una legge che imporrà un Monti bis. E così per lui si spalancano le porte del Quirinale. E non va bene anche a qualcun altro che adesso è in difficoltà e magari potrebbe strappare una presidenza della Camera o del Senato».

Fini?

«Può darsi».

Che scenario allucinante.

«Ma c’è un ma. Io ho la netta impressione che, se non ci sarà una nuova legge elettorale, Napolitano interverrà con un messaggio piuttosto energico per ricordare che è perlomeno scorretto non fissare una soglia oltre la quale si ha diritto al premio di maggioranza».

Ed è la discussione di questi giorni.

«Esatto. Allora io ho fatto un tentativo di mediazione. Martedì ho proposto un premio in percentuale sui voti raccolti che oggi ho perfezionato. È l’ultimo tentativo, poi non ci sono più i tempi».

E cioè?

«Cioè se tu prendi dal 25 al 30 per cento, ti do il 15% in più sui tuoi seggi, cioè sali al 33-35. Se prendi dal 30 al 35 ti do il 20% in più, cioè vai intorno al 40. Se prendi dal 35 al 40 ti do il 25% per cento in più, cioè ti avvicini al 50%. Se superi il 40, vai al 52. Attenzione, si può fare anche per le coalizioni».

Ci stanno?

«Mi sembravano meno rigidi del solito, ma non lo so».

E l’alternativa qual è?

«La Grecia».