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IL RIGORE NON E’ UNA DIVINITA’, di Marlowe

Pubblicato il 15 novembre, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Se in 23 su 27 paesi l’Unione europea scende in piazza e sciopera contro le politiche di rigore imposte da Berlino alle autorità di Bruxelles e alla Bce di Francoforte, non si può più vedere soltanto la violenza organizzata, fine a se stessa, razzista, andata in scena a Roma e Torino. Questa va isolata e soprattutto punita da una fermissima risposta dello Stato. Ma non deve far chiudere gli occhi rispetto alla faglia che si sta aprendo nel profondo nella società del nostro continente, una frattura che è sintetizzata da due dati. Il primo: nel terzo trimestre 2012 il Pil della Grecia è sceso di un altro 7,2 per cento. Atene è al quinto anno di recessione, con una perdita complessiva del 22 per cento. Un quarto della ricchezza e dei redditi delle famiglie: neppure una guerra si lascia dietro simili macerie economiche. Il secondo dato: la Germania ha collocato 3,5 miliardi di titoli di Stato a sei mesi strappando di nuovo un rendimento negativo; per l’esattezza il meno 0,011 per cento (l’asta precedente si era chiusa a meno 0,022). Questo significa che i mercati accettano di ottenere indietro meno soldi di quanti versano al Tesoro tedesco. Tra questi due estremi c’è esattamente ciò che sta accadendo all’Europa. Dove il Sud, Italia e forse Francia comprese, rischiano di distaccarsi dalla Germania, dalla Danimarca, dall’Olanda, dal Nord ricco, per scivolare in una deriva economica e soprattutto sociale senza precedenti dal 1945. Il problema non è più dei debiti pubblici e dell’austerity di bilancio. Su questo fronte il governo di Mario Monti ha fatto il suo lavoro, riducendo il deficit quasi a zero come in nessun altro paese europeo. Eppure 48 ore fa due ministri – Corrado Passera e Fabrizio Barca – hanno dovuto scappare in elicottero da una miniera di Carbonia, come gli americani in fuga da Saigon nel ‘75. E stiamo parlando della Sardegna, un’area d’Italia che non conosce l’estremismo. Un altro ministro, Elsa Fornero, non riesce più a comparire in pubblico: né a Napoli, né a Torino, la sua città. Anche qui andiamo a vedere le cifre. Tra martedì e ieri il Tesoro ha collocato Bot a 12 mesi e Btp a tre anni a tassi corrispondenti a quelli del 2010. Eppure lo spread con la Germania resta oltre i 350 punti, il doppio rispetto a giugno di un anno fa. Dov’è la razionalità in tutto ciò? Siamo sicuri che i mercati non sbaglino mai? Il governo Monti, del quale si tracciano in questi giorni molti bilanci, ha aumentato di due punti la pressione fiscale: 30 miliardi rastrellati dai portafogli di cittadini e imprese. Gli investimenti sono fermi e lo Stato non assume più. Ma il debito pubblico, che a settembre 2011 era di 1.890 miliardi, ha toccato quota duemila: è dunque aumentato di oltre cento miliardi. E stiamo parlando di cifre assolute: se raffrontiamo il debito al Pil, in discesa del 2,3 per cento, la situazione è ancora più drammatica. Di nuovo: qual è la logica? In attesa di capirlo i disoccupati passano in 12 mesi da 2,3 milioni a 2,75. Quasi mezzo milione in più senza lavoro. Premier e tecnici hanno applicato in maniera finora ragionevole i diktat provenienti da Berlino, Francoforte e Bruxelles. Ma il problema è un altro: siamo davvero certi che il totem innalzato dalla Germania e che tutti siamo obbligati a idolatrare non sia una falsa divinità? Se guardiamo al debito, la storia attuale del mondo ci dice che il Giappone ha il 280 per cento di debito pubblico sul Pil, eppure non rischia il default economico e sociale. La Spagna due anni fa aveva i conti in ordine e un debito pari a circa la metà della Germania: eppure sarà la prossima vittima. Tra questi due esempi ci sono gli Usa: nei giorni del crac Lehman Brothers, aveva un debito federale del 75 per cento. Ora ha superato il cento. Ma il Pil e i consumi sono tornati a salire; lo spettro del 1929 non si è materializzato. Soprattutto la società americana, nel 2008 sull’orlo di una crisi di nervi, è tornata alle sue normali abitudini e si è perfino riappassionata alla politica. Hollywood continua a sfornare grandi film; la Chrysler di Marchionne è risorta; e così per la verità anche i vari Gordon Gekko di Wall Street. Il caso del giorno, laggiù, non è la tenuta sociale ma le corna che (ufficialmente) hanno fatto perdere il posto al capo della Cia David Petraeus, e l’eterna guerra tra Langley e l’Fbi. As usual. Il mondo dunque gira, nel bene e nel male. È l’Europa che sta andando al contrario, ed in mezzo al frullatore ci siamo noi. La Merkel ha pensato bene di scegliere il Portogallo per ripetere ossessivamente che «ciò che è necessario va fatto». Tre anni di cure tedesche hanno già inflitto ai portoghesi una disoccupazione del 18 per cento. Dopo la prima guerra mondiale i rancori e le diseguaglianze sociali produssero un secondo conflitto globale, la follia di Hitler, le bombe atomiche americane e lo stalinismo. La seconda guerra mondiale ha generato quarant’anni di Guerra Fredda. Temiamo che i conti veri di questa crisi li tireremo tra decenni: nel frattempo spopolano comunisti e neonazisti. Un bel risultato. Marlowe, Il Tempo, 15 novembrfe 2012

…………….Già, davvero un bel risultato questo, conseguito dalla cancelliera di ferro, la signora Merkel, in combutta con le banche e i suoi sodali disseminati in tutta Europa e che in Italia ha avuto quale testa di ponte il professore prestato alla politica che ha adottato alla società italiana,  che è fatta di persone, di umanità, di storie, la stessa tencica che si applica alle macchine. E il risultato è da una parte la rivolta che germoglia ovunque e dall’altra il rifuto netto dei partiti che contano  a continuare su questa strada. PDL e PD, ciascuno con le sue ragioni, si sono dichiarati contraria d una riedizione di un govenro di tecnici che si sono mostrati o inetti o pasticcioni, e per il futuro chiedono di restituire il bastone di cxomando alla politica, senza percò che questa si sia emendata dei tanti peccati che ha sulla coscienza. A Monti e compagni resta il sostegno di chi pensa di poter usarli per le loro personali rivincite, da Casini, eterno ragazzo a Fini, che rifiutato da tutti, disperatamente tenta di legare la sua sopravvivenza a quella di Monti. Come andrà a finire no sappiamo, di certo non c’è da essere allegri e fiduciosi nel prosismo futuro. Sia noi che le generazioni più giovani. g.

E’ GUERRA IN TUTTA L’UNIONE EUROPEA…E MONTI SFILA IN PARATA

Pubblicato il 14 novembre, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Scontri tra studenti e polizia. A Torino bastonato un agente: è grave

Studenti in piazza contro i tagli del governo. A Milano vetrine delle banche rotte. A Torino gli autonomi accerchiano un poliziotto e lo prendono a bastonate. Poi occupano la sede della Provincia e issano la bandiera No Tav

Doveva essere una giornata di “normali” proteste contro il governo, con manifestazioni in tutta Italia organizzate da studenti, docenti, in contemporanea con lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Alla fine, però, a prevalere nelle cronache non sono tanto le motivazioni alla base delle agitazioni quanto le violenze e gli scontri scatenati dalle frange più estreme degli studenti, uniti a gruppi di anarchici e centri sociali.

La solita miscela esplosiva che non perde occasione per scatenare il caos nel Paese. A Torino un gruppo di autonomi ha prima accerchiato e poi preso a bastonato un agente della polizia. Poliziotti feriti anche a Roma e Milano. In diverse città vetrine spaccate e muri imbrattati.

Torino, poliziotto accerchiato e bastonato

Un poliziotto è stato gravemente ferito dagli autonomi davanti alla sede della Provincia di corso Inghilterra a Torino. È stato accerchiato da una ventina di giovani, armati di bastoni e mazze da baseball, che lo hanno colpito alla testa spaccandogli il casco e un braccio. Il poliziotto è stato portato all’ospedale Mauriziano. Un gruppo di oltre cento persone mascherate e armate di bastoni e fumogeni ha fatto irruzione al piano nobile di Palazzo Cisterna, sede della Provincia di Torino, issando la bandiera No Tav al posto di quella europea .Hanno divelto un cancello e hanno portato via sedie e mobili, accatastandoli in strada.

Bombe carta a Padova

Due poliziotti sono rimasti feriti nel corso degli scontri a Padova, uno in modo più serio. Il primo agente ha una gamba lacerata da una bomba-carta che ha oltrepassato la tuta di servizio, l’altro ha avuto un mancamento in seguito allo scoppio di un’analogo ordigno rudimentale.

Milano, vetrine rotte in centro

Scritte e vetrine in frantumi durante il corteo degli studenti. Un gruppo di manifestanti ha danneggiato tre vetrate del Punto Enel di via Broletto e quelle della filiale Unicredit nella stessa via. Scritte anche sulla filiale Cariparma e il portone della sede Consob. Prese di mira anche le sedi di Unicredit e Intesa Sanpaolo di piazza Cordusio. Alcuni studenti sfilano a volto coperto. Lancio di petardi contro Palazzo Gonzaga, sede distaccata dell’Università Cattolica di Milano. I ragazzi protestano, si legge su uno striscione affisso sul cancello dell’edificio storico, per il “50 per cento scuole pubbliche inagibili, mentre le private non pagano l’Imu”.
Dopo essere stati respinti da due cariche della polizia all’angolo tra corso Magenta e via deTogni, una parte del corteo milanese si è allontanata in via Carducci. La polizia in tenuta antisommossa ha presidiato l’incrocio per impedire alla manifestazione di arrivare alla sede milanese del parlamento europeo a Palazzo delle Stelline. Mezzi blindati bloccano la strada. Ad avvicinarsi alla polizia, indossando caschi e con scudi di polistirolo che riportavano i titoli dei classici della letteratura,  una quarantina di studenti, che in un primo momento hanno rotto il cordone della polizia e poi sono stati respinti. I manifestanti hanno lanciato fumogeni e sampietrini tentando una seconda carica che è stata ugualmente respinta.

.…..Questa la cronaca della guerriglia che ha interessato molte città italiane, poste sotto assedio dai manifestanti. Ma non è andata meglio in tutta Europa. In Spagna, in Portrogallo, in Gracia in Polonia,  ovunque le politiche restrittive, ai limiti della persecuzione, imposte dalla Germania posthitleriana in persona dell’ex ragazza dell’Est, Angela Merkel, con la complicità dei rappresentanti delle Banche ingternazionali, in primo luogo dell’uomo qualunque per eccellenza, cioè il sig. Monti Mario, la gente, i cittadini, i lavoratori, le donne, gli studenti, i pensionati, sono scesi i piazza, arrabbiati sino alla incazzatura,  affamati, disperati, per le restrizioni sempre più vergognose dell’Unione Europea, pronti a no lasciare le piazze sino a quando non si porrà fine a questa politica che impoverisce i popoli e arricchisce i banchieri, specie quelli tedeschi. Si fa strada l’idea di un megasciopero generale in tutti i paesi dell’Unione Europea, per dare risposta forte, secca, tengibile ai governanti, che tradendo lo spirito di solidfarietà che dovrebbe essere alla base della stessa ragione d’essere dell’Unione Europea, tralasciano i motivi della politica per far emergere solo le ragioni economiche che da sole non possono cementare nessuna unità. Una forte unione di base non solo può servire a fermare le politiche scelelrate dei bancheiri e dei loro fidi, ma può servgire a realizzare quella vera unione europea vagheggiata dagli apostoli dell’Europa dei popoli e delle Nazioni, da Mazzini a DeGasperi.g.

P.S.Mentre le città italiane e quelle europee si infiammano, il premier itlaiani Monti se ne va in Algeria a celebrare la “primavera araba” che è stata l’ultima sconfitta politica ed economica  dell’Europa del trio Merkel-Sarkozy-Cameron con l’appoggio esterno del tremabondo riconfermatio presidente americano che per salvare le banche americane non ci ha pensato u attimo ad affondare la nave europea della quale non gliene frega nulla.

UN ANNO DI GOVERNO MONTI: TGRA GAFFE, DIETROFRONT E STRAFALCIONI

Pubblicato il 13 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

Un anno di tecnici, un anno di gaffe. Tutto ci si poteva aspettare meno che i sobri e attenti professori, abituati alle cattedre e alla precisione chirurgica nel dispensare lezioni, fossero capaci di inanellare una serie così folta di svarioni, gaffe, strafalcioni, dietrofront e vere e proprie castronerie.

Per carità, tiene benevolmente conto del fatto che passare dalle cattedre bocconiane al timone di un Paese è impresa complicata.

Epperò, nel riassunto dei primi 365 giorni dell’esecutivo Monti non si possono non evidenziare le uscite che hanno scatenato polemiche e fatto infuriare, ridere o impaurire i cittadini.

E allora, meglio fare subito una sorta di compendio, ché la lista è lunga e la materia non è poi così divertente. Di sicuro non si saranno divertiti i cittadini meno abbienti al sentire che nella riforma del lavoro era stata cancellata l’esenzione per i ticket per gli esami diagnostici e per altre prestazioni specialistiche in favore dei disoccupati. Per fortuna il polverone mediatico che si sollevò, portò la Fornero ad ammettere che trattavasi di “refuso”.

Così come chissà quanti lavoratori andarono su tutte le furie al vedere sgorgare le lacrime dagli occhi dello stesso ministro al sol pronunciare la parola sacrifici in merito alla riforma delle pensioni. Ci sono state poi le falle contenute nella riforma del lavoro con tanto di ammissione della Fornero: “C’è il rischio di incentivare il lavoro nero”. E che sarà mai, se poi il lavoro nero e il precariato regnano perfino all’Isfol, ente di ricerca controllato dallo stesso ministero del lavoro?

Il balletto sull’Imu alla Chiesa è ancora argomento attuale, almeno fino a quando non ci sarà certezza sul provvedimento. E che dire dello svarione linguistico che prese alla sprovvista il ministero dell’Istruzione? “Dalla pecora al pecorino, tracciabilità e rintracciabilità di filiera nel settore lattiero caseario toscano”. Recitava così un bando per un assegno di ricerca dell’Università di Firenze pubblicato sul sito del Miur. Che tradotto in inglese diventava: “From sheep to Doggy Style, traceability of milk chain in Tuscany”. Solo che “Doggy style” non c’entrava nulla con uno dei formaggi più diffusi in Italia, ma era un modo di chiamare una posizione sessuale.

Nel calderone delle gaffe va rammentata quella del viceministro al Welfare, Michel Martone, che bollò come “sfigato” chi non concludesse il ciclo di studi universitari entro i 28 anni. Peccato però che i suoi trascorsi professionali e personali abbiano fatto emergere aspetti da privilegiato rispetto a uno studente medio.

Non dimentichiamo poi la bagarre sul posto fisso, definito “monotono” dal premier Monti. Bagarre continuata con le frasi della Fornero: “Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare, questo vorrebbe dire fare promesse facili, dare illusioni”.

Dichiarazioni che scatenarono la rivolta degli utenti in rete,i quali si scagliarono contro la figlia del ministro del Welfare, Silvia Deaglio, professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino, dove hanno insegnato sia mamma che papà.

E poi c’è il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri che si ha bacchettato i mammoni e “gli italiani fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà” scordandosi però della nomina del figlio Girogio Peluso, già precoce direttore di Unicredit, a direttore generale di Fondiaria Sai, con tanto di bel posto fisso da 500 mila euro l’anno.

E come non citare poi il povero sottosegretario Franco Polillo, smentito dal suo stesso governo sul capitolo degli esodati. O ancora il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini avventuratosi in un invito al ritorno del nucleare, a poca distanza temporale dal referendum popolare che aveva sancito il contrario.

La Fornero resta però quella che, insieme con Monti, ha collezionato più gaffe. Tra le ultime c’è il tentativo di allontanare i giornalisti da un convegno, tentativo andato a vuoto e a cui è seguita la fatidica affermazione: “Saranno gli errori a fare titolo sui giornali”. E infine c’è la frase sui giovani troppo choosy -schizzinosi – poiché cercano a tutti i costi un lavoro dignitoso, e dunque non precario. Frase che le è costata persino un esposto dal padre di Norman Zarcone, il dottorando in filosofia del Linguaggio che si tolse la vita a Palermo come segno di protesta contro le baronie universitarie e contro la precarietà.

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Ma la standing ovation va tributata a Mario Monti. Oltre alla “monotonia” del posto fisso, al prof va riconosciuto il merito di aver fatto infuriare persino i tedeschi rilasciando un’intervista al settimanale Der Spiegel nella quale dichiarava che i governi dovrebbero mantenere “un proprio spazio di manovra” indipendente rispetto alle decisioni dei Parlamenti. I teutonici si infuriarono e Monti fu costretto alla rettifica trincerandosi dietro un “sono stato frainteso”.

Episodio simile a quello avvenuto però su giornale diverso e in un paese diverso. “Se il precedente governo (quello Berlusconi, ndr) fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200 o qualcosa di simile”. Frase rilasciata al Wall Street Journal e che mandò in bestia il Pdl. Anche in quell’occasione Monti si affrettò a smentire malamente.

Così come quando nel corso di una conferenza stampa congiunta col presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso, parlando delle soluzioni alla crisi economica, disse: “Essendoci un consenso più ampio” tra le forze politiche italiane “e una maggiore volontà di cooperazione credo che potremo andare più a fondo. Una frase che poteva essere mal interpretata e che prontamente infatti Monti provvide a spiegare meglio.

Quello che non riuscì a spiegare, probabilmente perché non c’era modo di farlo, era il perché non avesse cantato a Kiev l’inno di Mameli. In quell’occasione lui rimase immobile con la bocca chiusa limitandosi a battere placidamente le mani. Una figura peggiore la collezionò nella comunità di Sant’Egidio. A una donna che lo fermò dicendogli: “Il giorno più bello dopo che mi hanno sfrattato è stato veni­re qui in comunità”, la risposta del premier fu folgorante: “Se non l’avesse­ro mandata via di casa non sta­va così bene come qui a San­t’Egidio”.

Per non parlare poi della bufala pubblicata sul sito di Palazzo Chigi in merito a una presunta citazione di Monti da parte di Obama nel discorso al meeting per la sicurezza nucleare di Seul. Citazione che naturalmente non c’è mai stata. E per rimanere sul sito del governo, come non ricordare la campagna di aiuto lanciato dall’esecutivo sulla spending review. O ancora l’episodio mai chiarito del volo di Stato per andare al compleanno di un amico. Tra le altre gaffe, va menzionata anche la breve apparizione al governo del sottosegretario Carlo Malinconico, dimessosi a causa delle vacanze pagate a sua insaputa.

E se ci spostiamo poi sui dietrofront, il governo Monti meriterebbe l’Oscar alla carriera. La tassa sulle borse studio dei medici? Ritirata. Quella su alcolici e birra? Ritrattata. Articolo 18 per i licenziamenti illegittimi per motivi economici? Tolti e poi ripristinati. Aumento dell’aliquota delle accise di benzina fino a 5 centesimi? Abolita. Tassa di 2 centesimi sugli sms? Abortita. Gratuità dei conti correnti per i pensionati che percepiscono fino a 1.500 euro al mese? Procrastinata. Liberalizzazioni di taxi e farmacie? Emendate. Operazione Cieli bui? Bocciata dai partiti. Patrimoniale? Annunciata e poi ritirata. Alla faccia della tanta sbandierata competenza del governo dei prof. Il Giornale, 13 novembre 2012

………………..Ogni commento ci pare superfluo!

I LAUDATORES DEL GOVERNO TECNICO SI FACCIANO UN PICOLO ESAME DI COSCIENZA

Pubblicato il 11 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

Come le grida manzoniane. Ogni provvedimento del governo tecnico viene annunciato con gli stessi metodi degli antichi bandi pubblici e gridato per le strade dai banditori, che a volte sono i membri dell’esecutivo, a volte le testate giornalistiche amiche, spesso tutt’e due. E sono giorni che sentiamo parlare delle “rivoluzionarie” riforme attuate da Monti, della necessità di attuare la sua fantomatica agenda e dell’Italia che sarebbe stata «salvata» dai tecnici. Basterebbe qualche piccola riflessione per dimostrare il contrario, ricordare ad esempio che le riforme erano “rivoluzionarie” negli intenti e che invece, nella messa a punto, sono state raffazzonate e annacquate, a partire dal lavoro per finire con le pensioni, zeppe di errori madornali e di problemi giganteschi come il nodo degli esodati. Basterebbe anche ricordare che sul piano economico – proprio quello considerato più congeniale ai professori bocconiani del governo – ci sono stati provvedimenti che hanno incentivato la recessione invece di fare crescita. Lo dimostrano i fatti. Le ultime cifre ufficiali le ha date la Confcommercio: altro che agenda per lo sviluppo e luce in fondo al tunnel, ci troviamo in una galleria che rischia di essere senza uscita, in rapido peggioramento. Giovanni Galimberti, presidente dei giovani di Confcommercio, parla di «consumi che hanno fatto un passo indietro di 15 anni», una morìa di imprese che va avanti al ritmo di una al minuto e che, negli ultimi 18 mesi, ha portato 635mila aziende a chiudere i battenti. Colpa anche di un fisco esoso e sperequato. «È difficile mantenere un’impresa – ha spiegato Galimberti – quando l’imposizione vera ha ormai raggiunto il 55 per cento e quando ci sono imposte che le imprese debbono pagare anche quando sono in perdita, come l’Imu, che è una patrimoniale sui beni strumentali, e l’Irap che è la tassa sulla crescita». Siamo tornati indietro rispetto al lavoro fatto da Berlusconi, che invece aveva abolito l’Ici e messo sotto osservazione l’Irap per studiarne il contenimento. Chi festeggiò la caduta del governo di centrodestra dovrebbe fare un piccolo esame di coscienza. Come minimo. Francesco Signoretta, Il Secolo d’Italia, 11 novembre 2012

.……………..E mentre i fallimenti del governo dei professori sono orami dati acquisiti non certo alla storia ma di sicuro alla cronaca del nostro povero Paese, il capo dei tecnici, il professore per eccellenza, cioè Monti si dimsrra per quello che è, cioè un concentrato di egocentrismo asll’ennesima potenza, e si dà alla laudazione di se stesso, domentico che, come dice il poeta, chi si loda si imbroda. Ma oramai il nostro, dimentico di essere stato egli stesso il prodotto della partitocazia italiana, designastgo una volta da Berlusconi e la volta successiv da Prodi in seno alla Commisisone Europea, ruolo  donde nessuna nuova, nè bella nè brutta,  è mai giunta all’Italia,  non solo non cessa di autoincensarsi (ho più consenso dei partiti che mi sostengono, la gente per la strada mi dice:vai avanti -non ha mai incontrato chi scrive queste note….-, faccio le battute perchè nel mondo anglosassone la ironia è di casa – siamo ai limiti della coglioneria! – ,  sto insegnando agli italiani quello che gli altri non hanno insegnato…e via con queste gradassate da bulletto di Trastevere) ma annuncia che dopo le elezioni se i partiti lo chiamano lui è pronto a continuare. Meno male che a volerlo sono solo due dinosauri della politica italiana, i peggiori volgabbana della storia recente del nostro Paese, cioè Fini e Casini, nonostante i quali è ben difficoile che Monti posa rimanere lì dove la dabbennaggine dei partiti, la ritirata spagnola di Berlusconi,  la svolta autoritaria di Napolitano, lo hanno issato. Da Bersani ad Alfano, passando per la galassia di tuti i partiti, meno appunto l’UDC  e la molecola finiana, tutti sono d’accordo su una sola cosa: l’esperienza di Monti non s’ha da ripetere. Da ultimo, anche per sbattere la porta in faccia a Fini, lo ha ripetuto poco fa su RAI 3 il segretario pdiellino Alfano per il quale l’ipotesi di un altro govenro di pasticcioni, ex seconde e terze file non della politica ma del sottobosco dei laudatores prodomo propria, non esiste per nulla. Concordando di fatto con Bersani: se nessuno vince, si torna alle urne. Cioè, si torna alla democrazia dopo la tragicomica parentesi dei professori che hanno confermato il proverbio per cui “chi sa fa, e chi non sa insegna” (ovviamentte, escluso gli insegnanti, quelli veri, a cui sono affidati i nostri figli). g.

PERCHE’ AL PAESE SERVE UNO SHOCK, di Mario Sechi

Pubblicato il 10 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

Intorno alla legge elettorale c’è una danza macabra. I partiti non hanno alcuna intenzione di disegnarne una che risponda agli interessi del Paese, una riforma che duri nel tempo e restituisca lo scettro al popolo. Non a caso si stanno scannando sul premio e il premietto e non invece sulla filosofia di fondo di uno strumento fondamentale per l’esercizio della democrazia. In questo caos sguazza Beppe Grillo e fa quello che gli riesce meglio: il Cecco Angiolieri che scriveva «se fossi foco arderei lo mondo». Il problema è che il comico ha intenzione di appiccarlo per davvero, l’incendio. E a questo punto, visto l’immobilismo e l’incapacità del Parlamento, c’è solo da augurarsi che lo shock elettorale arrivi presto e serva a svegliare tutti dal sonno della ragione in cui sono precipitati. Qualsiasi riforma non impedirà al Movimento 5Stelle di sbarcare in Parlamento, questo è ormai assodato e gli esercizi da Azzeccagarbugli sui quali si stanno esibendo i partiti stanno solo confermando che la situazione è grave ma non seria. Grillo fa ridere quando urla al golpe come un invasato, i leader di partito fanno piangere quando rivelano la loro inadeguatezza di fronte a un mondo che corre alla velocità della luce mentre noi viaggiamo come una diligenza trainata da cavalli malnutriti. Nonostante tutto, sono paradossalmente ottimista. Il sistema politico si sta avvitando, la recessione farà crescere ancora la disoccupazione e tutto questo servirà a dare all’Italia lo scossone che serve per farla ripartire. Abbiamo bisogno di cadere in basso per rialzarci. È già successo nella nostra storia e accadrà ancora. Se la crisi del sistema resta questa, gli italiani saranno portati ad arrangiarsi, a vivere di stratagemmi, di baratto. In provincia questo fenomeno è già in corso. In Sardegna è stata costituita un’azienda online, la Sardex, che con lo scambio di beni e servizi tra le imprese iscritte realizza quel che si ferma quando non c’è più liquidità: il commercio. La crisi istituzionale combinata con quella economica porterà rapidamente al cortocircuito di cui il Paese ha bisogno per ripartire. La prossima legge elettorale sarà un «papocchio» di pannelliana memoria perché l’interesse dei partiti è quello di autotutelarsi, proteggersi. È la conferma che sono ciechi: il re è nudo. Mario Sechi, Il Tempo, 10 novembre 2012

.……………………L’ottimismo di Sechi ci spaventa perchè la certezza che egli pone nella ipotesi che dopo aver toccato il fondo il Paese possa rialzarsi è solo utopica e molto retorica. Purtroppo non è tempo di retorica, è tempo di realismo. E di realistico c’è solo che i partiti, tutti, non hanno alcuna intenzione di alzare bandiera bianca, anzi è vero il contrario.  Proprio la legge elettorale è la prova:  nessuno ha intenzione di cambiarla nè mai l’hanno avuta perchè il porcellum tanto  vituperato fa comodo a tutti, a chi vince o spera di farlo, e a chi perde che proprio per questo preferisce mandare in Parlamento i fidati, anzi i “bravi” di manzoniana memoria, che faranno la guardia non a tutela dei cittaidni ma a turela della propra parte intendendo per questa quella quota di casta che resta fuori dalla porta del potere, pronta a mendicarne un pò e un pò a prendersela in cambio di morbidezza come la lana lavata con perlana.  Ci vorrebbe altro che la retorica e il ritorno al futuro con la memoria del passato, ci vorrebbe una “primavera” italiana, anzi europea. Ma non ci sono nè sergenti nè caporali che possano capeggiarla. Perciò, con buona pace degli ottimisti alla Sechi, prepariamoci al peggio che, per dirla con Maurizio Cosrtanzo, è dietro l’angolo. g.




ALFANO-BERLUSCONI: UNO A ZERO, di Mario Sechi

Pubblicato il 9 novembre, 2012 in Politica | No Comments »

Le cose sono più forti degli uomini. Me lo disse un banchiere, mentre parlavamo di politica. Spuntò dalle sue labbra come lama che calava inesorabile. Sul suo volto si dipinse un sorriso consapevole, non gratuito, intriso di esperienza e conoscenza del potere. E le cose sono più forti della volontà di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Le primarie sono l’unico strumento a disposizione dei partiti che escono dal ventennio berlusconiano e antiberlusconiano per provare a rigenerarsi. Non è detto che ci riescano, ma la strada è obbligata. Abbiamo assistito 72 ore fa alle elezioni americane: sono già lontanissime ma tanti italiani – e molti lettori de Il Tempo – hanno provato un sano sentimento di invidia per l’America, la sua meravigliosa Costituzione e la capacità di democratici e repubblicani di scegliersi un leader attraverso le primarie, votare e stringersi la mano subito dopo la dura battaglia elettorale. Il Pdl ieri ha mosso un vero passo in avanti dal partito carismatico di Berlusconi al partito democratico di Alfano. Il vertice di ieri ha decretato – per la prima volta – la messa in minoranza del suo fondatore. E la sua accettazione del verdetto politico. Il Cavaliere ha provato a contrastare la decisione, ha mostrato il suo scetticismo verso le primarie, ha mandato avanti la sua «guardia repubblicana» per sbarrare la strada al segretario, ma alla fine ha ceduto. La classe dirigente riunita intorno al segretario – che oggi rappresenta la maggioranza del partito – ha opposto il suo no netto alla retromarcia e al ritorno all’antico rito della nomina. Il Cavaliere ha freddamente incassato il risultato della riunione: Alfano batte Berlusconi uno a zero. È solo il primo tempo di una partita lunga tra il fondatore e il segretario del partito, ma la spaccatura si è consumata e politicamente è una svolta. Da oggi niente è più come prima e Berlusconi ha due opzioni sul tavolo: 1. Si fa garante, padre nobile e ispiratore delle primarie e chiude la sua storia da costruttore; 2. Lavora a un progetto alternativo, consuma il divorzio da quelli che sono stati i suoi colonnelli e chiude la sua storia da distruttore. Nel primo caso, la transizione avviene sotto la sua ala; nel secondo caso è una rottura traumatica in cui lui guadagna una lista personale, ma perde un gruppo di giovani riunito intorno ad Alfano che in ogni caso continuerà a fare politica anche dopo di lui. Il tema è di disarmante semplicità per tutti: con lui o contro di lui, con loro o contro di loro. Le primarie del Pdl non saranno da Oscar, ma faranno lo stesso un gran bene al centrodestra. Con o senza Berlusconi. Siamo vicini a uno shock politico-economico e le elezioni del 2013 lo renderanno visibile. E la vera sfida comincia un minuto dopo. Mario Sechi, Il Tempo, 9 novembre 2012

.…………….Peccato che Sechi, normalmente lucido analista della politica, non abbia considerato che ci sono anche le vittorie di Pirro. Eppure oggi ricorre l’anniversario della caduta del Muro di Berlino che segnò la sconfitta dell’impero del male che pure per più di sette decenni aveva governato metà del mondo e sembrava dover allungare la sua ombra su gran parte dell’altrà metà. Invece una piccola breccia bastò a far crollare il gigante d’argilla quale era sempre stato il comunismo internazionale. Senza voler  paragonare la caduta del Muro alle misere vicende della politica italiana,  ci pare che quella di Alfano è nella sostanza una vittoria di Pirro. Basterà attendere pochi giorni per averne conferma, basterà attendere che si celebrino le “primarie” che di certo  innalzeranno Alfano sul trono del prescelto ma nello stesso tempo certificheranno lo stato comatoso del centrodestra italiano. Sechi sostiene che dalle ceneri si può risorgere…è vero,  ma ciò è miracolistico e non appartiene alle storie degli uomini, specie quelli del PDL che non hanno mai fatto sforzi per “farsi”, avendo potuto sempre contare sulle capacità del Cavaliere, politiche, finanziarie, e, perchè no, barzellettistiche, su cui molti, forse tutti, hanno costruito le proprie fortune politiche. Senza dimenticare  di Berlusconi sia il carisma, che non si compra alla Mongolfiera, sia la intuitività coniugata all’uso della informatica applicata alla politica (leggi: sondaggi). Sui quali, non dimentichiamolo, si è fondata la recente campagna elettorale americana  che intanto, in quanto alle primarie, ha una tradizione bisecolare forgiata sugli usi e sui costumi di un popolo che sulla solidarietà ha costruito una Nazione pur nelle ampie diversità che la contraddistingono, e che conosce, diamone atto, il vezzo del rispetto almeno in supoerficie del rispetto per gli avversari, specie se sconfitti. Vezzo che non appartiene agli italiani, come ha avuto modo di confermare  il vicesegretario del PD, tale Enrico Letta, che l’altra sera, da Vespa, dovendo commentare i risultati elettorali americani non ha perso l’occasione per una ultima petulante contestazione a Berlusocni del quale ha ricordato che nel 2006 (nel 2006! un secolo fa in politica) non “riconobbe” la vittoria di Prodi.Miserie umane! Voler a tutti costi immaginare che basta indire le “primarie” perchè gli italiani, anzi i moderati italiani, riscoprino improvvisamente l’amore non per la politica  ma per il soggetto politico che ambiva a rappresentarli e che  sta chiudendo  la sua storia recente sostenendo il peggior governo di tecnocrati che mai si sarebbe immaginato che assumesse il timone del  nostro Paese è prova di forte miopia, e di viista corta. Non siamo noi che abbiamo in tasca la ricetta gista ma questa di Alfano condivisa da Sechi e forse solo da Sechi non ci sembra quella più appropriata. Prova ne è l’immediato e puerile tentativo di Fini, ormai all’ultima tappa del suo viaggio nel niente, di tentare di salire sul calesse di Alfano ponendo, lui che non  conta più nemmeno il due di coppe quando la briscola è a bastoni,  addirittutra le condizioni: una non detta, la cacciata dell’odiato Berlusconi, l’altra palese ma ancor più oltraggiosa per gli elettori di centrodestra: sostenere, ora e sempre, Monti. Se Alfano si incamminasse su questa strada non ci sarebbe  neppure bisogno di attendere l’annunciato flop delle primarie per decretare non solo la sua fine ma anche quella del centrodestra italiano per il quale si aprirebbe una lunga, lunghissima traversata del deserto, senza neppure le borracce dell’acqua. g.

IN ITALIA C’E’ LA FABBRICA (FALSA) DEI CONVEGNI: DAI FUMETTI AL SANNIO IN CRISI

Pubblicato il 4 novembre, 2012 in Il territorio, Notizie locali, Politica | No Comments »

Datemi un convegno e mi si­stemerò. Patologia ad al­ta diffusione tra i politici, la «convegnite» ha in questi anni contagiato, trasversalmente, auto­revoli e anche meno autorevoli esponenti di tutti gli schieramenti.

Il ministro del Welfare, Elsa Fornero

E così, dopo l’allarme lanciato da Monti in febbraio che ha invitato «gli amministratori pubblici ad astenersi dall’effettuare spese di rappresentanza evitando di orga­nizzare convegni o altri eventi non strettamente indispensabili» e do­po che un altro pentolone di scandalo, quel­lo ancor più «raffinato» dei convegni inesi­stenti, scoper­chiatoconleno­te spese dall’ex capogruppo Idv in Emilia-Romagna, Pao­lo Nanni sono state passate al setaccio, ciò che ri­bolle nel cuore degli italiani per be­ne, oltre alla comprensibile rabbia per essere stati presi per i fondelli un’ennesima volta, è la constata­zione della sfrontata faccia tosta che molti rappresentanti eletti dal popolo, dai semplici consiglieri co­munali, a parlamentari hanno di­mostrato fino ad oggi nel promuo­vere, varare, organizzare per parla­re (e in qualche caso non parlare addirittura) delle tematiche più di­sparate e disperate.
Secondo quanto ammesso da Nanni buona parte dei convegni da lui organizzati tra il 2005 e il 2010, e pagati coi soldi del gruppo, erano inventati di sana pianta. Cioè non si sono mai svolti e le lo­candine venivano realizzate a po­steriori da lui medesimo. La con­fessione è arrivata, l’altro giorno dopo un interrogatorio di sette ore, di fronte al pm Antonella Scan­dellari. I convegni inventati ad hoc servivano, avrebbe spiegato Nan­ni agli inquirenti, per giustificare le spese delle cene a cui partecipava­no, di solito, numerosi commensa­li, oppure per«mascherare»le spe­se sostenute per partecipazioni te­levisive.
Fra i più simpatici convegni- fan­tasma quello del settembre 2005 dal tema «La mobilità nella nostra regione». Idem per il convegno «Problemi della casa», che risale al 2006. E ancora nel 2006, Nanni ha ammesso di aver realizzato a tavoli­no la locandina del convegno «La logistica dei servizi sociali in Emi­lia- Romagna», mai tenutosi. Così nella classifica dei «contributi» sti­lata recentemente dal Sole 24 Ore in testa c’è la solita Regione Sicilia, che ai gruppi consegna ben 13,7 milioni di euro l’anno,poi la Lom­bardia che eroga ben 12,2 milioni di euro, quindi il Veneto, che è a quota 9,1 milioni. Il Piemonte, con 7,3 milioni.Poi l’Emilia (6 milioni), la Liguria (5,7), la Sardegna (5,1), la Calabria (4,6), la Campania (4,5 milioni). E via proseguendo, fino alla Basilicata e alle Marche, che hanno speso rispettivamente 575 e 531mila euro. Come evidenziato da più parti, una cifra non lontana dal cinque per cento di queste elar­gizioni è stata destinata dai partiti a convegni e festival.
Leciti e interessanti oppure inu­tili e costosi, resta il fatto che, da sempre,l’Italia soffre di«convegni­te ». Un esempio recente e illumi­nante? La quattro giorni, ad alta densità di chiacchiere, promossa dal 4 al 7 settembre dalle varie auto­rità politiche e istituzionali di San­t’Agata dei Goti ( Benevento): mar­tedì 4 alle 19 «Il Sannio e la Campa­nia, tra aree di crisi e modelli di svi­luppo » con Renato Lombardi, con­sigliere provinciale di Benevento. Gennaro Salvatore, capogruppo «Caldoro Presidente» Consiglio Regionale della Campania. Quin­di mercoledì 5 «Prima, Seconda e terza Repubbli­ca: alla ricerca delle nuove classi dirigen­ti! » con Gianpie­ro Zinzi, com­missario regio­nale Udc Cam­pania, Marco Pugliese, coor­dinatore regio­nale Forza del Sud Campania, Arturo Scotto, se­gretario regionale Sel Campania Gianmario Mariniello, coordina­tore nazionale Generazione Futu­ro, Guglielmo Vaccaro, commis­sione Finanze della Camera.
A seguire la «ciliegina» di giove­dì 6: «La politica che non appassio­na: perché i cittadini hanno smarri­to la fiducia nei partiti politici?». Già perché non appassiona? Ci chiediamo sommessamente. Ma sicuramente una risposta più auto­re­vole l’hanno data Pasquale Som­mese, assessore regionale Campa­nia, Antonio Bassolino, presiden­te fondazione Sudd, Cosimo Sibi­lia, presidente della Provincia di Avellino. E per concludere venerdì 7 un altro convegno su «L’albero del mondo. Weimar ottobre 1942» con Carmine Valentino sindaco di Sant’Agata de’ Goti. Pasquale Vie­spoli, presidente gruppo coesione nazionale Senato, Clemente Ma­stella, segretario nazionale Popola­ri Udeur, Mario Pepe, commissio­ne Questioni Regionali della Ca­mera, Nunzia De Girolamo com­missione Giustizia della Camera.
Atavica patologia la «convegni­te » (è rimasta nella storia la memo­rabile conferenza su «L’ area del Sa­lento come ponte fra l’Italia, i Bal­cani e il Mediterraneo», tenuta a New York rigorosamente in lingua italiana e davanti a un pubblico di pugliesi fatti arrivare dalla Puglia) ha portato,in tempi più recenti sot­to l’attenzione della Corte dei Con­ti le spesucce di Matteo Renzi, quando era al timone della Provin­cia di Firenze. Spese di rappresen­tanza per 2 milioni di euro (ma se­condo il dipendente di Palazzo Vecchio, Alessandro Maiorano sa­rebbero ben 20 milioni) nel perio­do dal 2004 al 2009. Qualche chic­ca? Per la gara-convegno intitolata «Cento picnic, prima festa nazio­nale a premi dei picnic » del 6 luglio 2008 furono spesi 40mila euro. Per festeggiare il trentesimo comple­anno della Pimpa nel 2005 ben 100mila euro. E una città che ha di­ch­iarato fallimento come Alessan­dria? Non sarà solo colpa dei con­vegni ma è curioso che ogni anno, dal 2007 in poi, solo l’Assessorato alle Pari Opportunità abbia orga­nizzato un convegno internaziona­le contro «La violenza sulle don­ne ». Mentre a Padova il convegno «Il lavoro prima di tutto» è costato 12mila euro. Magari li avessero di­stribuiti fra i disoccupati qualcuno sarebbe stato più felice. E meno male che da Milano e da Catania so­no appena transitati i due conve­gni internazionali dal titolo inco­raggiante: «Spegni lo spreco…».  Il  Giornale, 4 novembre 2012

…………..E poi ci si meraviglia che le tasse rincarano….non c’è Comune in Italia che non abbia aumentato  le tariffe IMU, sia quelle della prima casa,  sia le altre. A Toritto, per  esempio,l’IMU sulla prima casa è stata aumentata di un punto percentuale che vale, mediamente, cento euro a famiglia, di un punto è stato aumentato anche l’IMU sulle seconde case, che vale più o meno altrettanto. Naturalmente servono, dicono,  per coprere i buchi, ovvio, ma spesso i buchi sono quelli che provengono da spese inutili e spesso destinate a favorire i “clienti”.  Per esempio a Toritto è stato appena assunto a contratto un altro ingegnere, il terzo!, per 24 ore settimanali e destinato ad occuparsi dei Lavori Pubblici, settore tanto oberato di lavoro (chi li ha visti?) da non potere essere seguiti come sinora è accaduto dall’attuale responsabile. Costo dell’operazione una quarantina di migliaia   di euro all’anno. Invece di aumentare l’IMU sulla prima casa che tutti dicono essere una tassa ignobile,  si poteva incominciare col risparmiare quesi soldi. Magari invece di assumere un altro ingegnere che pare sia anche pensionato, si poteva   “riesumare”  l’ingegnere civile , assunto  una decina di anni fa, rigorosamente senza concorso, inquadrato in categoria D3,   come quello ora assunto a contratto, e che da qualche anno sverna in Comune impegnato in attività marginali, sebbene firmatario di istruttorie di pratiche anche di lavori pubblici. Perchè no?  Misteri entro i quali si avvolgono gli sprechi  che caricano sui cittadini  costi che si potrebbero evitare. A proposito,  c’è in Comune qualcuno che segnali tutto ciò alla Corte dei Conti e magari alla Procura della Repubblica? g.

RITRATTO DI PINO RAUTI E DELLA DESTRA DIVERSA, di Gennaro MALGIERI

Pubblicato il 3 novembre, 2012 in Politica, Storia | No Comments »

Gennaro Malgieri, giornalista, intellettuale, deputato, già direttore de Il Secolo d’Italia, scrive oggi, sul Tempo, un ritratto a tutto tondo di Pino Rauti. Lo pubblichiamo perchè non è soltanto una commemorazione commossa, un omaggio reverente ad una figura straordinaria della Destra italiana, ma perchè nel ritratto che Malgieri delinea della storia personale, politica , morale di Rauti  si possono riconoscere tutti coloro, specie quelli ormai canuti, che negli anni 60 e 70 furono, vollero essere, protagonisti di tante battaglie per una Italia diversa e migliore. Come la sognava e la voleva Pino Rauti.

Pino Rauti è stato il simbolo vivente della complessità della destra italiana. La scarsa dimestichezza del giornalismo politico del nostro Paese ad affrontare i personaggi «cruciali» della vita pubblica, soprattutto quando sono difficili da incasellare nelle gabbie ideologiche, lascia spazio all’incomprensione o, peggio, alla rimozione. È accaduto a Rauti, intellettuale di natura gramsciana (tanto per sfuggire alle definizioni scontate), che con la sua ostinata capacità di attirarsi i fulmini demolitori dell’establishment politico e mediatico, ha testimoniato il primato della cultura in politica a spese del piccolo cabotaggio elettoralistico e partitocratico. In questo senso egli ha riassunto la sua militanza per oltre sessant’anni finendo per rappresentare quella certa idea della destra che confonde gli osservatori non meno che la maggior parte di coloro che nella destra stessa pure si riconoscono o si sono riconosciuti. La sua fiera «diversità» Rauti l’ha dispiegata tutta nel perimetro dell’irregolarità, il ché gli ha procurato notevoli fraintendimenti che tuttavia non lo hanno mai fatto deflettere dalla convinzione maturata fin da giovanissimo: la necessità, cioè, di coniugare i valori tradizionali con la «questione sociale» in una sintesi che oggi potremmo arditamente definire «metapolitica» che immaginava a fondamento di una Repubblica pacificata e modellata secondo i criteri della partecipazione e del decisionismo. Si fa presto a liquidare Rauti come un «incendiario d’anime», per usare la forte e suggestiva espressione che la Pravda – niente di meno – coniò per lui nel 1979 quando perfino in Unione Sovietica ci si accorse che dalle idee rautiane, ben articolate nell’ambito di giovani politici che erano anche intellettuali, e veicolate da un giornale che egli aveva appena fondato, Linea, poteva venir fuori una destra non convenzionale, ma alternativa a quella stereotipata dei perbenismi in voga e un po’ parruccona, funzionale ai ceti borghesi e rassicurante lo stesso sistema dei partiti. Una destra «rivoluzionaria», insomma, gravida di idee e capace di una suprema apostasia: la negazione delle virtù plebee in nome di una paradossale aristocraticità sociale, più vicina alla concezione di un George Sorel e del sindacalismo che ne discendeva che ad una destra tutta «legge e ordine» il cui conservatorismo si esauriva nel perimetro quieto dell’opposizione parlamentare. Rauti ha tentato, in parte riuscendoci, con le sue iniziative politiche e culturali, con le sue riviste, i suoi libri (comunque la si pensi resteranno fondamentali «Le idee che mossero il mondo» e la «Storia del fascismo» in cinque volumi scritta insieme con Rutilio Sermonti), i suoi centri di studio e di riflessione che raccolsero la gioventù più reattiva e anticonformista della destra dalla fine degli anni Sessanta in poi. La complessità di una destra che si richiamava non al fascismo in quanto tale, ma al più vasto mondo intellettuale tradizional-conservatore, le cui ascendenze evoliane innanzitutto erano innegabili, è testimoniata proprio dall’azione formatrice di Rauti per il quale le nuove scienze e l’ambientalismo, il radicalismo istituzionale ed il popolarismo localistico, le tematiche giovanili – dalla musica alternativa all’arte d’avanguardia, dalle problematiche femminili alla rilettura dei fenomeni aggregativi da cui discesero i famosi Campi Hobbit, dalla narrativa fantastica alla fumettistica che era appannaggio soltanto della sinistra, tanto per citare alcune espressioni che contribuirono a svecchiare la destra italiana – e la rivisitazione del solidarismo in una chiave che prevedeva il superamento della lotta di classe e la messa in discussione del capitalismo finanziario, fornirono al mondo che si ritrovava nel Movimento Sociale Italiano un vero e proprio arsenale di idee per combattere, come si diceva allora, la «buona battaglia». Rauti è stato il motore di tutto questo fermento di innovazioni che neppure la più dura, accanita, mostruosa persecuzione politica e giudiziaria a cui è stato sottoposto per circa quarant’anni, ha frenato. E di questa pagina della storia personale di Rauti che s’intreccia con quelle più controverse e problematiche della storia repubblicana, un giorno si dovrà dare conto, partendo dall’assunto che le idee non si processano e non si possono costruire mostri funzionali ad una strategia elaborata in chissà quali santuari che avrebbe dovuto destabilizzare il sistema allo scopo di stabilizzare assetti di potere che si facevano la guerra con gli strumenti che purtroppo abbiamo conosciuto. Legioni di inquisitori e di pistaroli hanno provato a distruggere la credibilità di Rauti, la sua onorabilità, il suo stesso mondo politico, ma non ci sono riusciti. Gli innumerevoli processi che ha affrontato non soltanto non lo hanno piegato, ma lo hanno reso più forte: è sempre stato assolto, uscendo indenne dalle numerose inchieste che, come testimoniarono i suoi colleghi del Tempo, fin dal 1972, nulla avevano a che fare con un giornalista che amava l’impegno politico e lo interpretava come un assoluto dovere civile anche quando le «pericolose» o «rischiose» idee che professava potevano costargli caro. Nonostante tutto le innumerevoli volte che è stato eletto deputato, parlamentare europeo e rappresentante del nostro Paese nel Consiglio d’Europa, dimostrano che la fiducia che gli veniva accordata – condivisa peraltro da tutto il suo partito – era più forte dei pregiudizi. Rauti, comunque, è sempre stato un’anima inquieta. Fin da quando giovanissimo aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu poi imprigionato nei campi di concentramento nordafricani maturò la convinzione che il suo sarebbe stato il destino di un «agitatore». Tra i giovani aderenti al Msi della prima ora, mostrò immediatamente insofferenza anche verso un ritualismo neofascista nostalgico e privo di spessore spirituale, tanto da far parte del «commando» dei Far, occultamente diretto da Pino Romualdi, accusato di attentati sovversivi (per la cronaca, non un capello venne torto a nessuno) e mandato alla sbarra nel 1951 insieme con tanti altri rivoluzionari, il più illustre dei quali, si presentò al Palazzaccio in carrozzella, accompagnato e difeso gratuitamente dal più grande avvocato del Novecento, Francesco Carnelutti: era Julius Evola la cui «Autodifesa» resta tra i testi più significativi per comprendere la stagione dei vinti nella Repubblica democratica ed antifascista. In quelle circostanze, nel mentre la lotta politica si faceva più dura, Rauti maturò la convinzione che il parlamentarismo nel quale si stava confinando il Msi lo avrebbe condannato all’estinzione. Promosse il Centro Studi Ordine Nuovo, che, contrariamente ad una vulgata menzognera, nulla aveva di «sovversivo»; condusse parallelamente la polemica politica e indirizzò verso la formazione culturale numerosi giovani. Poi la riconciliazione con il Msi di Almirante e l’ambiziosa battaglia per «sfondare a sinistra» convinto che soltanto la destra nazionale e sociale poteva dare al Paese una conformazione nuova. Ne divenne segretario nel 1990, ma anche per giochi di potere interni la sua esperienza al vertice del partito durò poco. Molto ci sarebbe da dire di quella confusa stagione che, comunque, resta la più fervida dopo il tempo almirantiano segnato dalla Grande Destra. Rauti se n’è andato dopo i suoi amici con cui ha vissuto il sogno della rivoluzione impossibile: Giano Accame, Enzo Erra, Fausto Gianfranceschi. Tutti protagonisti di una destra incompresa dalle riserve ancora ricche per chi volesse penetrarla ad là delle coltri nebbiose che impediscono una seria visione politica. Lo raccomandava Rauti soprattutto ai suoi giovani amici: non disperdere il raccolto di una storia poiché senza radici non vi può essere avvenire. È ciò che di più prezioso rimane di lui in chi lo ha ammirato, gli ha voluto bene e perfino in chi lo ha contestato. Comunque la si pensi, al suo cospetto, oggi si deve ammettere che Rauti è stato un uomo della destra complessa, appunto, non convenzionale, impastata di certezze e di contraddizioni e perciò viva, che, non merita di essere liquidata come il frutto di una marginale ideologia. Gennaro Malgieri, Il Tempo, 3 novembre 2012

MONTI RIMPIANGE AMATO E PRODI: ANDIAMO BENE, ANZI DI MALE IN PEGGIO

Pubblicato il 2 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Ma quanto piacciono le tasse alla sinistra? Tantissimo. E ai tecnici? Ancora di più. Così tanto da non bastare mai. Così tanto da spingere il premier Mario Monti a rimpiangere i governi guidati da Giuliano Amato prima, e Romano Prodi poi.

Gli ex presidenti del Coniglio Giuliano Amato e Romano Prodi

“La pozione è amara, ma è per il bene del Paese”, ha spiegato il presidente del Consiglio in una intervista al quotidiano francese Les Echos (leggi l’articolo).

La pressione fiscale, nel frattempo, ha raggiunto livelli astronomici, vertiginosi, inimmaginabili. La sinistra ci ha messo del suo, e anche pesantemente. E il premier la guarda con una certa ammirazione. “La medicina è certamente amara ma deve essere somministrata per il bene del Paese e delle generazioni future”, ha spiegato Monti al quotidiano economico francese ribadendo la necessità di continuare a lavorare sulle riforme strutturali. Misure ritenute “dolorose” dagli italiani, che tuttavia accordano al governo “una popolarità favorevole”, ha affermatoil Professore  sottolineando come “i popoli siano in realtà più maturi di quanto pensino i politici”. “In ogni caso – ha, quindi, aggiunto – gli italiani, considerati ingovernabili, esprimono una richiesta di buon governo, come hanno già fatto sotto i governi Amato e Prodi”. A Monti, però, bisognerebbe ricordare che proprio quei due governi hanno messo in ginocchio gli italiani andando a prelevare fior fior di quattrini direttamente dai portafogli dei contribuenti. Tanto per rinfrescare la memoria a Monti, nel primo mandato a Palazzo Chigi Giuliano Amato approvò una manovra da 30mila miliardi di lire. Era l’11 luglio 1992 e il governo approvava il prelievo, forzoso e retroattivo al 6 luglio, del 6 per mille dai conti correnti. Tutto qui? Manco per sogno. Nell’autunno dello stesso anno Amato varò un’altra manovra “lacrime e sangue” da 93mila miliardi di lire che andò a incrementare nuovamente le imposte.

Non andò certo meglio coi Prodi. Fu grazie a lui, infatti, che, per entrare nella moneta unica, gli italiani “accettarono” il cambio euro-lira a 1927,35 pagando circa 300 lire in più per ogni euro. D’altra parte, al governo Prodi, all’Economia c’era il professor Tommaso Padoa-Schioppa il cui motto era “Pagare le tasse è bello”. Il suo viceministro Vincenzo Visco fu l’inventore dell’Irap. Unica nel suo genere perché non si applica agli utili ma al fatturato lordo, il che vuol dire che un’azienda può anche essere in perdita e l’imprenditore sul lastrico, ma il Fisco gli chiederà comunque l’Irap. È stato conteggiato anche il numero complessivo di imposte o aumenti di imposte introdotte dal centrosinistra di governo: sessantasette. Un esempio? Fu reintrodotta la tassa di successione, con un semplice cambio di nome, “dichiarazione sul trasferimento a causa di morte”. Un altro? La tassa “di scopo”, un balzello introdotto nel 2006 che ha dato ai sindaci la possibilità di applicare sulle seconde case un’aliquota fiscale per cinque anni. Poi c’è stata, sempre nel frangente Prodi, l’aumento dell’addizionale sui diritti di imbarco in aeroporto, l’innalzamento a 75 della tariffa per il rilascio del passaporto, l’aumento al 20% dell’aliquota sul rendimento dei titoli, l’aumento del bollo per l’auto e per la moto, e soprattutto il prelievo statale del Tfr.

È proprio a questi governi che Monti guarda con estrema nostalgia. D’altra parte, un minuto dopo aver varcato il soglio di Palazzo Chigi, il Professore si è subito inventato una nuova tassa sulla tassa (Imu), dopo che Silvio Berlusconi era riuscito a cancellare la tanto odiata Ici. Il Giornale, 2 novembre 2012

……Questo Monti sta dimostrando  un  antico detto secondo il quale che per fare il capo bisogna prima fare il servo…e magari continuare a farlo. Infatti prima ha servito Berlusconi e poi Prodi per essere nominato Commissario europeo da Berlusconi  e riconfermato da Prodi. Ora dà una lisciata a Berlusconi e un’altra a Prodi per continuare a sedere a Palazzo Chigi nonostante i mugugni di 59 milioni di italiani e giusto per non farsi mancare nulla liscia sinanche Amato, il dottor sottile che sottilmente tradì Craxi per rimanere a galla lasciando affogare il suo mentore, mandato a morire in esilio in Tunisia.

E’ MORTO PINO RAUTI, FU COFONDATORE DEL MSI

Pubblicato il 2 novembre, 2012 in Cronaca, Politica | No Comments »

È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre.

L’ex europarlamentare si è spento alle 9:30 di questa mattina nella sua abitazione di Roma.

Giornalista, politico e uno dei fondatori del Msi (nel 1946), Rauti nacque a Cardinale nel 1926. Nei primi anni ‘50 contribuì a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria).

Dopo due attentati a Roma, al Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi Pino Rauti. Il processo si concluse il 20 novembre 1951 e Rauti venne assolto.

Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, diede vita al centro studi Ordine Nuovo che uscirà poi nel 1956.

Ricevette la guida del MSI nel 1990 al congresso di Rimini, coalizzandosi con la componente di Domenico Mennitti e battendo Fini per la segreteria, ma non riuscì ad arrestare l’emorragia di voti per la morte di Almirante. Dopo la sconfitta alle amministrative e alle regionali in Sicilia del 1991, il Comitato centrale del partito lo destituì e “restituì” la carica a Fini.

Europarlamentare dal 1994 fino al 1999, dopo la svolta di Fiuggi (che trasforma Msi in An) Rauti, da sempre animatore dell’ala “di sinistra” di quel partito, fonda il Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Rauti ha esercitato inoltre una notevole influenza sul movimento giovanile del partito, sfociato nei tre Campi Hobbit. Fonte ANSA, 2 novembre 2012

.……………Con Pino Rauti scompare l’ultimo protagonista di una stagione politica che caratterizzò nel bene e nel male la vita italiana del secondo dopoguerra, dal 1946 al 1992. Giovanissimo  combattente della RSI, dopo la guerra partecipò con Michelini, De Marsanich, Almirante e pochi altri alla fondazione del MSI, nel quale militò  sino alla fondazione di Ordine Nuovo in aperta contestazione con l’orientamento legalista del partito guidato da Arturo Michelini. Vi rientrò nel 1969, dopo la morte di Michelini e l’avvento alla segreteria di Almirante. Fra il 1956 e il 1969, Rauti, giornalista  di notevole qualità e preparazione, fu animatore di cenacoli intellettuali della destra politica, raccogliendo consensi e dissensi e divenendo bersaglio di violente polemiche della sinistra. Polemiche che gli provocarono anche la galera dopo l’attentato di Piazza Fontana per il quale fu inquisito  per esserne poi  totalmente prosciolto. A Fiuggi Rauti, coerente con le sue battaglie e le sue origini “fasciste”,   rifiutò di entrare nella creatura tatarelliana di Alleanza Nazionale e fondo un suo partito che si richiamava alle origini del MSI, con il quale continuò le sue battaglie politiche e idelogiche che mai si discostarono dalle origini. Lo abbiamo conosciuto in tempi ormai lontanti e ne fummo affascinati per la  fecondità della sua dialettica che era disarmante e coinvolgente. Ma come tutti gli intellettuali pagava lo scotto della retorica rispetto alla concretezza che caratterizzava allora, ancor più oggi, la battaglia politica. Sembrava, era un uomo fuori del tempo ma proprio per questo la sua personalità era straripante e di certo non consona al contesto di un partito che di lì a poco avrebbe tradito gli ideali e i valori per perseguire solo le poltrone. Ciò che maggiormente rifuggiva Pino Rauti. g.