Archivio per la categoria ‘Politica’

PER VENDOLA I PM DI BARI CHIEDONO 20 MESI DI CARCERE INSIEME ALLA SUA EX PUPILLA LEA COSENTINO

Pubblicato il 25 ottobre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Vendola avrebbe istigato l’allora direttore della Asl Bari, a riaprire i termini per la presentazione delle domande per accedere al concorso e far vincere il professor Paolo Sardelli. La richiesta dei pm: venti mesi di carcere

La sinistra moralizzatrice “scivola” ancora. La procura di Bari ha chiesto la condanna a un anno e 8 mesi per il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.

Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola

Il leader del Sel è accusato di concorso in abuso d’ufficio con riferimento al concorso da primario di chirurgia toracica all’ospedale San Paolo, vinto dal professor Paolo Sardelli.

Uno scandalo dietro l’altro, un avviso di garanzia dopo l’altro: le amministrazioni di centrosinistra vengono continuamente “pizzicate” dalla giustizia italiana, ma non si sa come mai non fioccano le dimissioni né qualcuno si azzarda nemmeno a chiederle.

L’avviso di garanzia a Zoia Veronesi, storica segretaria del leader piddì Pier Luigi accusata di truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna; le dimissioni della vicepresidente della Regione Liguria Marylin Fusco (Idv), accusata di abuso d’ufficio dell’inchiesta sulla realizzazione del porto di Ospedaletti; il rinvio a giudizio per l’ex braccio destro di Bersani, Filippo Penati, accusato di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti; i guai per Melchiorre Fidelbo, marito del presidente dei senatori democratici Anna Finocchiaro. E oggi Vendola per cui è stata chiesta la stessa condanna a 20 mesi di reclusione di carcere per l’allora direttore generale della Asl di Bari, Lea Cosentino, coimputata con le stesse accuse. L’udienza si svolge a porte chiuse davanti al gup Susanna De Felice. Il giudice scioglierà in chiusura d’udienza la riserva sull’ammissione degli ulteriori atti depositati dall’accusa. Adesso la parola alla parte civile e poi ai difensori per le arringhe.

Gli inquirenti della procura di Bari contestano al governatore pugliese di aver istigato l’allora direttore della Asl Bari a riaprire i termini per la presentazione delle domande per accedere al concorso. “Quel concorso deve vincerlo Sardelli”, avrebbe detto Cosentino agli inquirenti che la interrogavano riferendo le parole pronunciate da Vendola in occasione della selezione alla quale il medico “raccomandato” non aveva partecipato perché in lizza per un altro posto da primario presso l’ospedale “Di Venere” del capoluogo pugliese. Venuta meno la possibilità di assumere un incarico direttivo al “Di Venere”, il presidente della Regione Puglia si sarebbe attivato per assicurare a Sardelli l’assunzione quinquennale al San Paolo. Il Giornale 25 ottobre 2012

.……………Immaginiamo la faccia a metà tra il sorpreso e l’allucinato di Vendola, l’imaginifico (da non condondere conl’unico vero Imaginifico italiano che fu Gabriele D’Annunzio…) politico che nei comizi usa la poesia e nei fatti, secondo i pm, avfebbe usato la mano di ferro per favorire un concorrente in luogo di un altro. Poichè come è noto non è tanto la pena quanto il processo a scalfire l’anino dell’imputato,  è comunque un fatto che Vendola, sempre pronto a scagliarsi a testa bassa contro chiunque incappi nella giustizia senza attendere processi e sentenze, sia oggi nelle condizioni per capire quanto sia terribile la gogna prima che siano accertati  i fatti. Non sappiamo se è colpevole o innocente, sappiamo e speriamo che dopo oggi Vendola cambi il suo modo di porsi di fronte ai problemi della giustizia. g.

IL PRESIDENTE BERLUSCONI RINUNCIA A CANDIDARSI PREMIER E INDICE LE PRIMARIE NEL PDL

Pubblicato il 24 ottobre, 2012 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi ha ufficialmetne annunciato oggi che rinuncia a candidarsi quasle premier per le elezioni politiche del 2013 e ha indetto per il 16 dicembre le primarie per scegliere il candidato premier del centrodestra.

Ecco il testo della lettera con cui il presidente Berlsuconi ha comunicato la sua devisione agli elettori del centrodestra.

Carissimo,

per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza: ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora. Non ripresenterò la mia candidatura a Premier ma rimango a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol. Ho ancora buoni muscoli e un pò di testa, ma quel che mi spetta è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività

Con elezioni primarie aperte nel Popolo della Libertà sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni. Il movimento fisserà la data in tempi ravvicinati (io suggerisco quella del 16 dicembre), saranno gli italiani che credono nell’individuo e nei suoi diritti naturali, nella libertà politica e civile di fronte allo Stato, ad aprire democraticamente una pagina nuova di una storia nuova, quella che abbiamo fatto insieme, uomini e donne, dal gennaio del 1994 ad oggi.

Lo faranno con un’investitura dal basso nella quale ciascuno potrà riconoscere non solo i suoi sogni, come in passato, e le sue emozioni, ma anche e soprattutto le proprie scelte razionali, la rappresentanza di idee e interessi politici e sociali decisivi per riformare e cambiare un paese in crisi, ma straordinario per intelligenza e sensibilità alla storia, che ce la può fare, che può tornare a vincere la sua battaglia europea e occidentale contro le ambizioni smodate degli altri e contro i propri vizi. Siamo stati chiamati spregiativamente populisti e antipolitici della prima ora.

Siamo stati in effetti sostenitori di un’idea di alternanza alla guida dello Stato sostenuta dal voto popolare conquistato con la persuasione che crea consenso. Abbiamo costruito un’Italia in cui non si regna per virtù lobbistica e mediatica o per aver vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione. Questa riforma ’populista’ è la più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del Paese, ci ha fatto uscire da uno stato di sudditanza alla politica dei partiti e delle nomenclature immutabili e ha creato le premesse per una nuova fiducia nella Repubblica.

Sono personalmente fiero e cosciente dei limiti della mia opera e dell’opera collettiva che abbiamo intrapreso, per avere realizzato la riforma delle riforme rendendo viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini. Questo non poteva che avere un prezzo, la deriva verso ideologismi e sentimenti di avversione personale, verso denigrazioni e delegittimazioni faziose che non hanno fatto il bene dell’Italia. Ma da questa sindrome infine rivelatasi paralizzante siamo infine usciti con la scelta responsabile, fatta giusto un anno fa con molta sofferenza ma con altrettanta consapevolezza, di affidare la guida provvisoria del paese, in attesa delle elezioni politiche, al senatore e tecnico Mario Monti, espressione di un Paese che non ha mai voluto partecipare alla caccia alle streghe.

Il presidente del Consiglio e i suoi collaboratori hanno fatto quel che hanno potuto, cioè molto, nella situazione istituzionale, parlamentare e politica interna, e nelle condizioni europee e mondiali in cui la nostra economia e la nostra società hanno dovuto affrontare la grande crisi finanziaria da debito. Sono stati commessi errori, alcuni riparabili a partire dalle correzioni alla legge di stabilità e ad alcune misure fiscali sbagliate, ma la direzione riformatrice e liberale e’ stata sostanzialmente chiara. E con il procedere dei fatti l’Italia si e’ messa all’opera per arginare con senso di responsabilità e coraggio le velleità neocoloniali che alcuni circoli europei coltivano a proposito di una ristrutturazione dei poteri nazionali nell’Unione Europea. Il nostro futuro è in una Unione più solida e interdipendente, in un libero mercato e in un libero commercio illuminato da regole comuni che vanno al di là dei confini nazionali, in una riaffermazione di sovranità che è tutt’uno con la sua ordinata condivisione secondo regole di parità e di equità fra nazioni e popoli. Tutto questo non può essere disperso.

La continuità con lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa è in pericolo serio. Una coalizione di sinistra che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento. Sta al Popolo della Libertà, al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che riproduca il miracolo del 1994, dare una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva. Silvio Berlusconi.


.…………..QUESTI I PRIMI COMMENTI ALLA DECISIONE DI BERLUSCONI ALL’INTERNO DEL PDL NEL QUALE SI REGISTRANO ANCHE LE PRIME CANDIDATURE ALLE PRIMARIE:ALFANO E DANIELA SANTANCHE’

La notizia del passo indietro di Silvio Berlusconi fa subito il giro di tutto il mondo politico e le reazioni sono immediate.

“La dichiarazione di Berlusconi è il gesto di generosità e di apertura al futuro che tutti ci aspettavamo. Silvio Berlusconi si conferma un grande leader che ha il merito storico di aver fondato il centrodestra”, ha commentato il sindaco di Roma Gianni Alemanno.

“Chi si aspettava un arroccamento di Berlusconi o un atto di egoismo politico è servito. Berlusconi dimostra con generosità di voler ridare al popolo di centrodestra la prospettiva già indicata con la scelta di Alfano a segretario. La fase di incertezza viene cosi superata e si apre un ampio e profondo orizzonte alla nostra area politica”, ha dichiarato Ignazio La Russa.

“Il passo indietro Berlusconi lo ha fatto una mese fa. Io chiedo le primarie da tempo e sono contento che il passo avanti in tal senso lo abbia fatto Berlusconi”, ha dichiarato Guido Crosetto, spirito critico del Pdl. Sulla stesa lunghezza d’onda anche Maurizio Gasparri“Quella di celebrare le primarie il 16 dicembre è una decisione generosa, aperta al futuro”.

Un gesto importante e storico che scuote tutti partiti, non solo il Pdl: “La decisione che il Presidente Berlusconi ha annunciato oggi ha un valore politico e umano pari a quello che ebbe nel 1994 l’annuncio della sua discesa in campo – ha commentato Sandro Bondi -. Le conseguenze di tale gesto saranno importanti e destinate probabilmente ad influenzare anche le dinamiche di rinnovamento che si manifestano nel campo della sinistra”.

“Il passo indietro di Berlusconi è un atto di generosità che apprezzo e che apre nuove prospettive per il futuro”, ha scritto su Twitter il segretario della Lega Roberto Maroni.

“Una decisione storica”, dichiara Gianfranco Rotondi.  “Questa è una vittoria per il popolo della libertà – dice Giorgia Meloni – che ha bisogno di rimettere le scelte nelle mani degli italiani. Un bisogno che Berlusconi ha capito prima degli altri. Ripartire con lo spirito del 1994 significa questo”.

Per parte nostra pur con molto scetticismo attenderemo per vedere cosa accadrà e soprattuto come vorranno operare i tanti “orfani” di Berlusconi e se tutti invece di pensare a se stessi e alla propria “continuita’” sapranno compiere scelte coraggiose indirizzate a restituire dignità e prestigio e ruolo  al centrodestra  italiano. g.

.

INFAMIE E FALSITA’ di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 24 ottobre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

C’è qualcosa che fa peggio dell’ipotesi di finire in carcere. È prendere atto di quanto violenta, falsa e arrogante possa essere la giustizia se affidata a mani indegne.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

È successo ieri, leggendo le motivazioni della sentenza, firmata da tale Aldo Grassi e tale Antonio Bevere (consigliere estensore), con cui la Cassazione mi condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo neppure scritto da me.

Si legge che io avrei una «spiccata capacità a delinquere», mi paragona a un delinquente abituale. È una vera infamia, che non permetto neppure a un presidente di Cassazione, basata su odio ideologico e su una serie di menzogne.Mi prendo tutta la responsabilità di quello che dico e sollevo il mio editore dal risponderne in tribunale. Ve lo dico io, in faccia, signori Grassi e Bevere: avete abusato del vostro potere, la vostra sentenza è un’infamia per me e per i miei parenti. Non si gioca con la vita delle persone come se fossero cose nella vostra disponibilità senza pagare dazio. Le motivazioni della vostra sentenza sono delinquenziali, non il mio lavoro. Sono parole basate su falsi, montate per costruire teoremi che esistono solo nella vostra testa. E ve lo spiego. È falso che io abbia scritto alcunché. È falso che io abbia deliberatamente pubblicato notizie sapendole false. È falso che io mi sia rifiutato di pubblicare una smentita, nessuno me l’ha mai chiesta né inviata. È falso che sul mio giornale dell’epoca, Libero, sia stata pubblicata una campagna contro un giudice (un articolo di cronaca ripreso da La Stampa e un commento non possono in alcun modo costituire una campagna). È falso che non fosse possibile identificare chi si celava dietro lo pseudonimo Dreyfus: bastava chiederlo, non a me che come direttore sono tenuto al segreto deontologico, ma a chiunque e avreste accertato che si trattava di Renato Farina (lui stesso lo ha scritto in un suo libro). È falso che io abbia un numero di condanne per omesso controllo (7 pecuniarie in 35 anni di mestiere) superiore alla media dei giornalisti e direttori di quotidiani italiani.Delinquente, quindi, lo dite a qualcun altro. Non vi stimo, non vi rispetto, non per la condanna, ma per quelle vostre parole indegne. Vergognatevi di quello che avete fatto. E forse non sono l’unico a pensarla così. Ci sarà un motivo se il Parlamento sta lavorando per cancellare la vostra infamia e se un vostro collega, il procuratore di Milano Bruti Liberati, si rifiuta di applicare la vostra sentenza del cavolo nonostante io mi sia consegnato alle patrie galere, in sfregio a voi, rinunciando a qualsiasi pena alternativa. E adesso fate pure quello che credete, rispetto a me e alla mia storia siete un nulla. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 24 ottobre 2012

……………..Sallusti ha tutta la nostra solidarietà. La solidarietà di uomini liberi che non hanno mai esitato a dirla e a dirle quando ce n’era bisogno. E in questo caso Sallusti ha tutto il diritto di esprimere la sua opinione. Ieri la Cassazion ha pubblicato la sentenza che lo condanna, infamia fra le infamie in uno stato che si dice democratico e liberale, a 14 mesi di carcere non per aver scritto ma per “aver omesso” il controllo su un articolo non suo, come è a tutti noto perchè, oltre tutto, l’autore dello scritto lo ha pubblicamete ammesso nell’Aula più alta della democrazia in tutti i paesi del mondo, anche quelli sostanzialmente autoritari, cioè l’Aula del Parlamento. Ma era l’unico modo per mandare in galera un giornalista scomodo, aggressivo (ci ha detto stamani uno sciocco petulante, come se essere aggressivo è un reato), controcorrente. Ma che ha sempre onorato la professione giornalistica dedicandovisi con anima e passione. Ma per farlo andare in galera, ad uno che è ncensurato, e come tale meritevole delle attenutanti generiche che comportano il “beneficio” della libertà,  i giudici della Cassazione hanno affibbiato una presunta pericolosità sociale e di ciò hanno fatto il canovaccio della sentenza depositata ieri e nella quuale si leggono giudizi che sono incredibili se riferiti ad un uomo incensurato definito “tendenzialmente portato a delinquere”. Ma davvero un incensurato sul quale come ricorda Sallusti pendono 7  pene pecuniarie può essere definito tale? E’ come se a un automobilista che accumula sette contravvenzioni al codice della strada, magari per divieto di sosta, gli si attribuisce una tendenziale volontà a trasformarsi in uno dei tanti assassini di persone innocenti. Contro questa sentenza reagisce, d’impeto, e come sempre con coraggio giacchè Sallusti non conosce codardia che si annidano invece altrove, il direttore del Giornale, griando tutta la sua rabbia e la sua denuncia nei confronti di questa sentenza con un editoriale annnciato già ieri e che oggi è pubblicato dal suo giornale, ma che non ha l’oonere della centralità, essendo  stata questa riservata  all’ennesima truffa e all’ennesimo scandalo che ormai sono divenuti la piaga del nostro Paese. Ma non è a questo ennesimo scandalo  che dedica la sua attenzione il primo presidente della Cassazione che si chiama Lupo (di nome e di fatto?) il quale invece preferisce criticare aspramente Sallusti che, lui dice, non fa onore al giornalismo per il forte editoriale di oggi.  Perchè forse fa onore alla magistratura la sentenza dell’Aquila che condanna gli scienziati per non essere  stati maghi e che sta facendo ridere tutto il mondo che a sua volta deride  la Magistratura italiana che pretende che nella Commisisone Grandi rischi non siedano scienziati ma ciarlatani? g.

ECCCO UN GIOVANE CHE NON FA LO SCHIZZINOSO, E’ IL FIGLIO DELLA MINISTRA CANCELLIERI CVHE INCASSA 3 MILIONI DI BUONUSCITA PER 14 MESI DI LAVOROE TROVA SUBITO UN ALTRO LAVORO…ALLA TELECOM!

Pubblicato il 23 ottobre, 2012 in Economia, Gossip, Politica | No Comments »

Giorgio Meletti per il “Fatto quotidiano

Il manager Piergiorgio Peluso, figlio del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, ha incassato 3,6 milioni di euro di buonuscita dal gruppo assicurativo Fonsai, dopo esserne stato direttore generale per 14 mesi. Nella generosa distribuzione di prebende che le società italiane sono abituate a perpetuare – a dispetto della crisi – ai loro top manager, la vicenda di Peluso ha tutti i requisiti per battere ogni record.

Piergiorgio Peluso di  UnicreditPiergiorgio Peluso di UnicreditStando ai dettagli pubblicati ieri dal sito Repubblica.it, confermati da fonti Fonsai all’Ansa, Peluso è riuscito infatti a farsi pagare una liquidazione pari a tre annualità di stipendio – normalmente assegnata ai manager mandati via – a fronte di dimissioni volontarie. Assumendo l’incarico di direttore generale, nel maggio 2011, Peluso aveva ottenuto una clausola contrattuale con la quale gli veniva riconosciuta la sontuosa buonuscita anche in caso di dimissioni volontarie se fosse intervenuto un passaggio di mano del controllo della Fonsai.

anna maria Cancellierianna maria Cancellieri Il gruppo assicurativo, storicamente in mano alla famiglia Ligresti, è passato sotto il controllo della Unipol nel corso dell’estate. A luglio Peluso ha fatto scattare la clausola e se n’è andato. non è stato disoccupato a lungo. Subito dopo è stato assunto da Telecom Italia come direttore finanziario.

Prima di andare a Fonsai, Peluso era a Unicredit, responsabile dei rapporti con le grandi aziende. In quella veste si era occupato di far sottoscrivere alla banca di piazza Cordusio un aumento di capitale della Fonsai, di cui Unicredit è azionista con il 7 per cento del capitale. Un investimento di 170 milioni di euro per la sottoscrizione di titoli che oggi valgono 20 milioni.

Fonsai versava infatti in pessime acque da anni. E curiosamente sono oggi gli stessi Ligresti, che lo assunsero, ad accusare Peluso di aver giocato sporco: secondo le loro accuse è stato lui a evidenziare, poco dopo l’insediamento, una situazione talmente critica da richiedere un nuovo pesante aumento di capitale.

I Ligresti, che non erano in grado di ricapitalizzare la compagnia di assicurazioni, accusano in sostanza Peluso di aver forzato la situazione per rendere inevitabile un passaggio di mano della compagnia. I fatti sono noti. Essendo la Fonsai pesantemente indebitata con il sistema bancario, in particolare con Mediobanca, proprio negli uffici che furono di Enrico Cuccia è maturato il progetto di far salvare la compagnia dall’Unipol. il piano, nato attorno a Capodanno, è adesso in dirittura d’arrivo.Stando alle accuse dei Ligresti, Peluso si sarebbe dimostrato molto furbo, o quantomeno lungimirante. L’interpretazione più favorevole al manager è invece che egli si sia dimostrato un sentimentale. il contratto firmato da Peluso come direttore generale Fonsai dimostra che il figlio del ministro dell’Interno tutto voleva fuorchè lavorare per azionisti diversi dal costruttore di Paternò. Solo questo desiderio può spiegare la determinazione con cui ha strappato la clausola secondo la quale, in caso di cambio dell’azionista di controllo, egli non avrebbe potuto sopportare il trauma, e si riservava quindi di andarsene sdegnato con tanto di risarcimento milionario.

...Ditelo all’altra ministra di Monti, la Fornero, che un giovane c’è che nion fa lo schizzinoso, il rampollo della Ministra Cancellieri che da giovane prestava la voce a Tina Pica….

HANNO PERSO TUTIT LA BUSSOLA, di Mario Sechi

Pubblicato il 23 ottobre, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Quando la magistratura ha levato il coperchio al pentolone in ebollizione dei soldi dati ai partiti della Regione Lazio, il commento è stato il seguente: «Siamo di fronte a una gestione caotica». Noi di mestiere facciamo i cronisti, ma dalle carte in nostro possesso emerge un quadro che conferma quello degli investigatori e, dal punto di vista politico, è incredibile. Non solo la Regione si era trasformata in un bancomat a disposizione dei partitanti, ma le pezze d’appoggio per farsi rimborsare o si sono perse o spesso non sono credibili. Il problema non riguarda solo le imprese di Francone Fiorito, noto «Batman», il quale resta in carcere con una serie di motivazioni pesantissime. Siamo davanti a una rappresentazione che passa dal tragico al comico a seconda del momento e del soggetto. E il problema non è affatto quello penale, ma il disastroso quadro politico che emerge da un pasticcio legislativo e amministrativo senza precedenti. Il finanziamento deviato si è ottenuto attraverso la legalizzazione di una pratica che qualsiasi controllo contabile serio avrebbe bocciato. Basta dare un’occhiata alle fatture esibite dai consiglieri e ai moduli presentati per il rimborso delle spese per capire che siamo lontani anni luce dal concetto di trasparenza. Mi meraviglio di come i funzionari della Regione Lazio abbiano potuto liquidare somme per centinaia di migliaia di euro senza avere un brivido sulla schiena. Lo slogan di questa storia è il seguente: «tutto è permesso». Perché sotto la voce «attività politica» può essere ricompresa ogni cosa. Non ho ancora trovato la ricevuta di un coiffeur tra le carte in mio possesso, ma se mi impegno trovo anche quella. Quando mi sono imbattuto insieme ai miei colleghi nella fattura di una gioielleria dove il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi aveva comprato 80 fermacarte per la modica cifra di 2.500 euro a carico dei contribuenti, mi sono messo a ridere. È attività sul territorio? E da quando in qua i cadeaux sono politica? La cifra è piccola ma l’episodio è di enorme significato. Sono certo che Di Giorgi ha considerato normale fare così perché in quel Palazzo così si usa fare, ma normale non è. D’altronde questo Paese sembra aver perso la bussola: degli scienziati sono stati condannati per non aver previsto il terremoto a l’Aquila. Non avevano la sfera di cristallo. E la notizia fa il giro del mondo perché è semplicemente surreale pretendere di mettere in una sentenza ciò che è sconosciuto anche alla più raffinata delle analisi scientifiche. La scienza finisce in tribunale per non aver previsto l’imprevedibile. La politica continua a farla franca per aver provocato l’imprevedibile: il collasso del Paese. Mario Sechi, Il Tempo, 23 ottobre 2012

.…….Mica solo la bussola….e il buon senso dove lo metti? E ogni giorno ci sta una nuova….Ieri la barzelletta dei componenti della Commissione Grandi Rischi condannati a 6 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per non aver previsto il terremoto dell’Aquila. Ci racconta il cronista che il PM in attesa della sentenza era nervoso….è ovvio, aveva chiesto 4 anni di carcere e forse (forse?!)  pensaca di averla fatta grossa e invece si sarà subito rinfrancato dopo la sentenza perchè il Giudice ci ha pensato lui a mettere una toppa affibbiando non 4 ma sei anni, due in più giusto per metterci la faccia, a scienziati che non essendo maghi non hanno previsto il terremoto. Pare che Obama e Romney, prima e dopo il loro ultimo dibattito, se la son fatta sotto dalle risate, pensando come quel tale che noi si abbiamo i nostri guai ma gli italiani…ah gli italiani ne hanno ben più grossi, anzi ne hanno uno solo …i giudici che orami si consideano un gradino, ma che dico uno, almeno una quindicina di gradini più su di Dio, tanto da pretendere di stabilire cosa uno scieinziato deve sapere e prevedere…buon Dio, diglielo tu a questi giudici che se gli scienziati fossero stati in grado di prevedere il terremoto di certo avrebbero predetto il sei all’enalotto di quella settimana e ci avrebbero fatto un bel pò di soldini per non aver più bisogno di fare i funzionari di Stato. Certo, che ci sono funzionari di Stato, non solo di Stato, anche quelli di Regioni, Provincie e Comuni che sono ladri certificati  è certametne vero, e anche gli scienziati possono essere dei ladri, come anche tanti giudici più volte sono stati presi con le mani nella marmelalta, ma che gli scienziati li possa condannare per non aver previsto un terromoto francamente fa cadere le braccia. A tutti. Meno che a Bersani, aspirante premieril quale ha candidamente dichairato: le sentenze non si commentano….Ci sa tanto che ha ragione Renzi a spernacchiarlo. g.

ECCO LE RIVELAZIONI SUI FONDI DEL LAZIO: LA GIUNTA SAPEVA. E FINANZIAVA

Pubblicato il 22 ottobre, 2012 in Politica | No Comments »

Carte alla mano, si può trarre subito una conclusione sulla gestione dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi politici del Consiglio regionale del Lazio. La Giunta regionale e, di conseguenza, la governatrice dimissionaria Renata Polverini, non poteva non conoscere l’aumento dei finanziamenti e la loro entità. Le comunicazioni dell’ex segretario generale della Pisana Nazzareno Cecinelli alla Direzione generale Bilancio e ragioneria della Regione che fa capo all’assessore Stefano Cetica – braccio destro della Polverini – che pubblichiamo in queste pagine lo dimostrano. La governatrice ha sempre sostenuto di non essere a conoscenza del fatto che i gruppi avessero a disposizione «tutti quei soldi». Una posizione alla quale l’opposizione ha sempre ribattuto contestando alla Polverini di essere lei stessa consigliere regionale. Ma anche il centrosinistra sapeva. E approvava. Com’è stato possibile che quei fondi siano aumentati in due anni e mezzo di 14 volte, passando da uno a 13,9 milioni di euro? Tutto nasce nell’estate del 2010, quando l’assessore Cetica porta in aula il subemendamento all’assestamento di bilancio. Il comma 27 prevede la modifica dell’articolo 3 bis della legge 6 del 1973 che disciplina il funzionamento dei gruppi. Il nuovo testo permette di utilizzare i soldi pubblici per «spese di aggiornamento studio e documentazione» compresa l’acquisizione di «collaborazioni» (e non più solo di «consulenze qualificate e collaborazioni professionali di esperti», come recitava il testo precedente). È un passaggio importante, perché conferma quanto dichiarato ieri nell’intervista esclusiva rilasciata a Il Tempo dal presidente del Consiglio regionale Mario Abbruzzese. Una volta impedita la modifica del regolamento sul personale (che imponeva un tetto di 12 collaboratori di segreteria seppur in presenza di gruppi con più di 12 consiglieri), i partiti hanno trovato un altro modo per risolvere il problema: cambiare la legge sul funzionamento dei gruppi, consentendo l’utilizzo dei fondi per i collaboratori. Una soluzione proposta dall’assessore al Bilancio Cetica e votata in Consiglio. Una volta approvata tale modifica, è stato necessario aumentare i fondi destinati ai gruppi per poter rendere applicabile il nuovo testo della legge. Del resto, il comma 2 dello stesso articolo 3 bis della 6/1973 prevede che «il contributo è quantificato annualmente e assegnato ai gruppi consiliari, nell’ambito degli stanziamenti iscritti in bilancio, con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza». E anche qui tutto combacia con la ricostruzione fatta da Abbruzzese, che ha parlato di un accordo raggiunto in commissione Bilancio tra i partiti e poi ratificato all’unanimità dall’UdP, dove sono presenti Pdl, Udc, Pd, Lista Polverini, IdV. Tutte le delibere sono state tempestivamente comunicate alla Giunta. L’esecutivo Polverini sapeva e finanziava i gruppi, l’Ufficio di Presidenza dava attuazione agli accordi e i consiglieri incassavano. Era il 26 gennaio 2010, la Polverini doveva ancora insediarsi. La deliberazione 6 del 2010 dell’UdP presieduto da Bruno Astorre (Pd) assegnava ai gruppi un milione per il 2010. Ma la delibera 90 del 14 settembre 2010 – dopo l’elezione della Polverini e l’approvazione della manovra d’Aula – delibera di «quantificare la somma di 4,4 milioni da destinare ai gruppi consiliari nell’anno 2010», di far gravare la somma sul capitolo R11502 (il numero 5 del Consiglio) e di autorizzare il segretario generale del Consiglio a ripartire i fondi tra i gruppi. Altri 4,4 milioni, per un totale di 5,4. Il segretario generale Cecinelli però fa anche un’altra cosa. Informa la Direzione bilancio, ragioneria, finanza e tributi della Regione, che fa capo all’assessorato. Dal capitolo R11504 (spese di cancelleria, posta e servizi telefonici) vengono tolti 11,5 milioni e così riassegnati: 4,4 al funzionamento dei gruppi (capitolo R11502), 750mila alle spese di rappresentanza del presidente del Consiglio e dell’UdP (R11501) e 6,3 milioni al capitolo R11503 (consulenze). Due considerazioni. La Giunta sapeva. E i soldi non sono stati tolti agli assessorati, né alla sanità, né al welfare. Quei soldi – come sostenuto da Abbruzzese – sono stati recuperati dal bilancio del Consiglio, dalle spese di cancelleria. Una manovra che verrà effettuata altre volte nel 2011 con le delibere 14 del 10 febbraio, 33 del 5 aprile, 72 del 19 luglio e 86 dell’8 novembre. La prima conferma gli importi delle delibere 6 e 90 del 2010. La seconda toglie 3,1 milioni alle consulenze (capitolo R11503) e ne assegna 3 ai gruppi (R11502). La delibera 72 del 2011 rileva – come la precedente – la necessità fatta presente dal responsabile della Funzione strumentale trattamento dei consiglieri, Maurizio Stracuzzi, «di aumentare lo stanziamento del capitolo R11502 (quello per il funzionamento dei gruppi ndr) di 3 milioni in quanto i fondi disponibili ad oggi (luglio 2011 ndr) non sono sufficienti per la liquidazione a favore dei gruppi di risorse economiche dovute in applicazione della legge regionale 6/1973». Così vengono tolti altri 9,5 milioni alle spese di cancelleria e assegnati 3 milioni ai gruppi e 3,5 milioni per il compenso dei consulenti (capitolo R11503). La delibera 86 dell’8 novembre 2011, infine assegna altri 2,5 milioni ai gruppi «per stanziamento da legge di bilancio di previsione non sufficiente». La manovra è la stessa: vengono tolti 3,5 milioni dalle spese postali, telefoniche e di cancelleria (capitolo R11504) e assegnati i soldi ai consiglieri, alle spese di rappresentanza del presidente (500mila euro sul capitolo R11501) e 500mila euro per i lavori di ristrutturazione e messa a norma degli immobili. A quanto ammontano dunque gli aumenti stanziati per le spese variabili di funzionamento e l’attività politica dei gruppi consiliari? Esattamente agli 8,5 milioni di euro (con tre diverse delibere rispettivamente da 3, 3 e 2,5 milioni) citati da Abbruzzese nell’intervista, cui vanno aggiunti 5,4 milioni di contributi fissi. Anche in questo caso la giunta era costantemente informata. Tutte le variazioni di bilancio sono state comunicate da Cecinelli a Marco Marafini – direttore della Direzione generale Bilancio e ragioneria, dirigente molto quotato in via Cristoforo Colombo e dato in costante ascesa – e Roberto Di Cicco, dirigente Area Ragioneria ed Entrate. Il 23 novembre 2011 Cecinelli invia alla giunta le tre delibere relative alle variazioni al bilancio di previsione 2011, rimanendo «in attesa di un pronto positivo riscontro». Nessuno ha mai obiettato nulla. Almeno fino al deflagrare del caso Fiorito e alla successiva inchiesta aperta dalla magistratura. Il Tempo, 22 ottbre 2012

IL COSTRUTTORE PISCITELLI RIVELA A REPUBBLICA UNA STORIA DI TANGENTI E DI AFFARI CHE COINVOLGE LA CASTA, TUTTA!

Pubblicato il 21 ottobre, 2012 in Economia, Giustizia, Politica | Commenti disabilitati

Parla Francesco Piscicelli: “Balducci imponeva tutto, se parla lui viene giù tutta la seconda Repubblica e pure mezzo Vaticano. 

Dall’ex rudere recuperato, i fari interrati che segnano il percorso fra gli ulivi, la piscina di fronte alla camera da letto, si vede l’Isola di Giannutri. A nord la Costa Concordia spanciata di fronte al porto del Giglio. Sul terrapieno in ghiaia, seicento metri sopra il mare, ci sono i resti dell’elicottero con cui Francesco Maria De Vito Piscicelli, il padrone del rudere riattato a resort, portava l’anziana madre a pranzo sulla spiaggia di Ansedonia. Gliel’hanno bruciato 1 alle otto di sera del primo ottobre. L’attentato dopo cinque minacce. Il 29 febbraio scorso l’avevano aggredito in due, scesi dallo scooter mentre Piscicelli camminava telefonando ai Parioli, a Roma. Poi gli hanno spedito in villa all’Argentario tre proiettili, avvolti in un giornale. E l’hanno bloccato mentre saliva in auto lungo la mulattiera sterrata che porta al resort sul Promontorio: “Perché continui a parlare, perché vuoi mettere in crisi il sistema che ti ha sfamato?”, gli hanno sibilato scoprendo sotto il maglione le beretta parabellum. “Fermati o facciamo fuori te e la tua famiglia”. Le sue denunce sono tutte alla caserma dei carabinieri di Orbetello.

Francesco Maria De Vito Piscicelli, due mesi di carcere, undici giorni ai domiciliari, è l’imprenditore edile consegnato all’opinione pubblica, “per sempre”, dall’intercettazione telefonica in cui ride con il cognato del terremoto dell’Aquila, discorrendo con lui dei nuovi lavori che porterà la futura ricostruzione. Francesco Piscicelli, 50 anni, napoletano alto borghese, vicino ad Alleanza nazionale, è stato uno dei quindici costruttori scelti dalla cricca della Ferratella per lavorare al soldo della Protezione civile di Bertolaso. È diventato un collaboratore di giustizia. In otto interrogatori, assistito dall’avvocato Giampietro Anello, ha consegnato alla Procura di Roma il racconto della corruzione pubblica italiana dal 2000 al 2010. Giovedì scorso, ha accettato di parlare con “Repubblica”.

AUDIO Le telefonate Piscicelli-Anemone 4

“Il sistema Protezione civile, la deroga assoluta per ogni appalto pubblico, inizia con il Giubileo del Duemila, l’incontro fra il sindaco di Roma Francesco Rutelli, il provveditore alle Opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci e il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Nelle intenzioni pubbliche si doveva creare una macchina che riuscisse a costruire opere in un paese in cui la burocrazia e i veti bloccano tutto, ma nel corso delle stagioni le missioni diventano un sistema di arricchimento personale. Famelico, sfruttato a sinistra e a destra. L’ho visto con i miei occhi, l’ho vissuto dall’interno: una montagna di denaro pubblico per dieci stagioni è stata messa a bilancio per realizzare auditorium, stadi, caserme, svincoli e  e in percentuale è stata trasferita a parlamentari, ministri, sottosegretari, magistrati contabili, funzionari della Protezione civile, alti dirigenti delle Opere pubbliche. Nessuna istituzione, nessun partito, tutto ad personam”.

Lei è accusato di corruzione, Piscicelli. Insieme ai costruttori fiorentini della Btp per l’appalto della scuola dei marescialli e dei brigadieri a Firenze.
“Io ho pagato solo per lavorare, se non lo facevo chiudevo l’azienda che avevo ereditato da mio padre e che sempre ha lavorato con lo Stato. A Firenze ho fatto da intermediario tra il gruppo presieduto da Riccardo Fusi e l’ingegner Angelo Balducci, il grande capo del mattone pubblico italiano. Quelli della Btp, provinciali, rozzi, non riuscivano ad arrivare a Balducci perché il direttore dell’edilizia di Stato, Celestino Lops, li ostacolava, favoriva la Astaldi. Con una telefonata organizzai l’incontro, rimasero stupefatti. Sono stato io a presentare Denis Verdini, coordinatore del Pdl, a Balducci. Fusi trattava Verdini come fosse il suo straccio e usava la banca di Verdini come il suo bancomat”.

Lei ha pagato Balducci per far entrare nell’appalto Marescialli la Btp?
“Ho fatto da intermediario ottenendo da Fusi, in cambio, un prestito da 700 mila euro”.
Quando ha versato tangenti in proprio, Piscicelli? Denaro suo per opere sue.
“Lavoro con Balducci dal 2004. Nei primi cinque anni ho partecipato a trecento bandi pubblici per ottenere due lavori: la scuola di polizia di Nettuno e la caserma della guardia di finanza di Oristano. Per i Mondiali di nuoto di Roma, quelli del 2009, ho partecipato alle cinque gare pubbliche, ho speso 700 mila euro in progettazione e ho vinto Valco San Paolo: avevo preparato un progetto unico in Europa, con luci a soffitto lunghe sessanta metri, e firmato un ribasso del 16,5 per cento. I cinque appalti erano tutti assegnati prima dell’apertura delle buste. Nelle gare bandite dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici, e in particolare quelle della Protezione civile, non c’era notaio, non c’erano vincoli. Tutto nella discrezione del presidente Balducci: poteva assegnare ottanta punti al progetto che voleva spingere. Mi obbligò a chiedere un disegno anche al professor Giampaolo Imbrighi, suo caro amico. Mi costò 50 mila euro. Voleva che partecipassi per forza alla gara per lo stadio del tennis: un finto concorrente della Cosport di Murino e Anemone, destinati alla vittoria. Sulla carta erano gare europee, ma tutti gli appalti erano pilotati da Balducci, il Consiglio superiore ratificava silenzioso”.

Lei chi pagò e quanto?
“Per le piscine di San Paolo, 14 milioni di base d’asta, ho versato tre tangenti. Me ne avevano chieste quattro. Il collettore di denaro per conto della squadra di Balducci, l’ingegner Enrico Bentivoglio, dopo la mia vittoria volle 50 mila euro, il 3 per cento. “Sai, c’è bisogno di accontentare molte persone”. Ventimila furono per la funzionaria Maria Pia Forleo, “ci eravamo sbagliati, serve di più″. Mi spiegavano tutto, si fidavano di me. Poi subentrò Claudio Rinaldi, nuovo commissario ai Mondiali. E  senza ritegno pretese 100 mila euro. Glie li portai all’Hotel de Russie, in via del Babuino. All’interno di un sacchetto di una boutique romana. Mi feci accompagnare dal ragioniere, ha visto tutto. Rinaldi mi disse: “Questo è un acconto, al collaudo mi devi dà dù piotte e mezzo”.
Duecentocinquanta, queste non le ho pagate”.

Lei ha ottenuto l’appalto per una struttura, Valco San Paolo, bandita per 14 milioni, costata 34 e dopo trentanove mesi chiusa e con un pilone fratturato.
“Mi sono disinteressato del destino della piscina. Io ho visto solo nove milioni, altri otto e mezzo me li hanno truffati quelli della Ferratella, i ragazzi di Balducci. Il pilone è solo un assestamento, ma tutta l’opera è stata una corsa folla. Abbiamo dovuto rifare i progetti dell’architetto Renato Papagni, un amico del presidente della Federazione nuoto Paolo Barelli. Carta straccia, un copia e incolla fatto male, le ipotesi di rimozione terra redatte senza criterio. Per dieci mesi abbiamo lavorato 24 ore al giorno e ho dovuto chiedere l’intervento della segretaria particolare di Alemanno per farmi pagare il milione e mezzo di stato di avanzamento lavori. Il Comune di Roma è un casino pazzesco, venirne fuori è stato un miracolo. Durante i lavori, poi, mi si è messo contro il presidente Barelli, il senatore del Pdl. Era furioso perché avrebbe voluto far lavorare aziende vicine in almeno due lotti, Balducci non gli diede nulla. Per ritorsione, ci bocciò il tetto in acciaio e ce lo impose in cemento armato. Diceva che con i vapori caldi delle piscine l’acciaio si sarebbe corroso. Abbiamo dovuto stravolgere il progetto, rifare i calcoli, sovradimensionare i pilastri, comprare altro ferro per armarli. Costi e ritardi. E poi Barelli ci obbligò a lavorare con le aziende specializzate che indicava, costavano il 30 per cento in più. Se non ubbidivamo, minacciava il blocco dei lavori. Mandava avanti il suo ragioniere, Maurizio Colaiacomo. Gli impianti di filtraggio, per dire, li ha fatti tutti la Culligan, a prezzi fuori mercato”.

Al Comune di Roma solo confusione?
“Della Giovampaola mi chiese di portare l’imprenditore fiorentino Valerio Carducci dal sindaco Alemanno. L’appalto per il nuovo palazzo Istat. Non se n’è fatto nulla”.

Angelo Balducci imponeva i suoi uomini?
“Lui imponeva tutto, era il dominus. Non avido, ma corrotto mentalmente, un affascinante gesuita innamorato del potere. In cinque mesi di carcere sono andati a trovarlo settanta parlamentari, una processione. Se parla viene giù tutta la Prima Repubblica e pure mezzo Vaticano. Balducci voleva accontentare tutti, e soprattutto la classe politica. A me ha imposto la ditta che doveva fare gli scavi archeologici, quella per lo sminamento. E pure tre tecnici tra cui lo strutturista Fabio Frasca, figlio di una dirigente del ministero delle Infrastrutture. Frasca ha sbagliato i calcoli per Valco San Paolo, ha preso una normativa vecchia”.

Il rapporto tra Balducci e Anemone?
“Diego Anemone non esiste. È un ex falegname inventato dal capo. Quando scoprite un’impresa di Diego Anemone in un appalto pubblico, vuol dire che sta lavorando direttamente Angelo Balducci. Faceva cassa così, mettendo Anemone dovunque. E affidandogli la gestione del denaro da destinare ai politici”.

Che significa, Piscicelli?
“A Natale, Pasqua e Ferragosto la classe politica italiana batte cassa. Un assedio,  spegnevo il telefonino. Ascolti. Mi chiama Anemone, mi dice che devo versare 150 mila euro, siamo alla vigilia delle feste natalizie. Balducci conferma: “Sì, devi farlo, servono ai parlamentari”. Anemone insiste perché vada da lui, ha l’ufficio in una traversa di via Nomentana. Stanze di pessimo gusto. Spinge una porta scorrevole e  alla vista si rivela un tavolo lungo due metri e quaranta, largo uno. Sopra, un covone di banconote. Quasi tutti tagli da cinquecento. Milioni di euro, mai visto nulla di simile. Con i miei 150 mila nella giacca mi sono sentito un morto di fame, me ne sono tenuti cinquemila. Anemone ha comprato la casa al Colosseo dell’ex ministro Claudio Scajola con un po’ del denaro prelevato da quel tavolo”.

Continua a girarci intorno: parla di tangenti e di politici. Che cosa ha detto ai magistrati?
“Tutto quello che so, che ho visto, che posso certificare. Ho fatto il nome di otto politici di primo piano che hanno preso soldi e servizi dal sistema Balducci”.

E chi sono?
“Non vorrei violare il segreto istruttorio”.

Fino a prova contraria il corruttore è lei.
“Otto dicembre 2007, l’Immacolata, le racconto. Sono con mia moglie e mia figlia al ristorante Nino di via Borgognona: arriva una telefonata, è Mauro Della Giovampaola, funzionario della Protezione civile. “Devi venire alla Ferratella, immediatamente”. Era sbrigativo Della Giovampaola, lasciai la mia famiglia sul flan di spinaci. Gli uffici erano chiusi, ma lui aveva le chiavi. Mi disse categorico: “Devi dirmi che ribasso hai fatto per l’Auditorium di Firenze”. Chiesi perché. “Così vuole il capo”. Se lo diceva Balducci si ubbidiva. Chiamai i miei soci fiorentini, Fusi e Di Nardo, li obbligai a rivelarmelo. Telefonai a Mauro, comunicai il ribasso e gli chiesi perché era necessario. Mi disse: “L’appalto dell’Auditorium deve andare al costruttore Cerasi, lo vuole Veltroni”.
Emiliano Cerasi con la Sac e Bruno Ciolfi con l’Igt presero l’Auditorium. Il 17 febbraio 2010, chiamato in causa da un’intercettazione tra l’architetto Casamonti e il costruttore Di Nardo, Walter Veltroni assicurò: “Come ha già detto il sindaco Domenici, non ho mai esercitato alcun tipo di pressione né su di lui né su altri per qualsivoglia gara”.

Piscicelli, lei partecipò al bando per la realizzazione dell’Auditorium di Isernia, costi lievitati da 5 a 55 milioni, segnalato in rosso dall’Authority dei contratti pubblici.
“A Isernia avevo vinto. Ricordo il giorno in cui, nel teatro di via della Ferratella, si stavano aprendo le buste. Trentun dicembre 2007, le gare truccate si indicono l’ultimo dell’anno, quando gli altri non ci sono. Chiama al telefono il funzionario Bentivoglio. Salgo al piano, mi dice: “Hai fatto un progetto bellissimo, l’appalto è tuo”. Torno in teatro, l’atmosfera è già cambiata. Commissari che si chiamano da parte. Il presidente del concorso dichiara il vincitore: è un’associazione temporanea di imprese guidata dalla molisana Rocco Lupo. Sono secondo. Cerco Bentivoglio, è pallido, ha paura. Riesce a dirmi: “Bertolaso ha chiamato Balducci, Di Pietro ha imposto Lupo, mi dispiace”".

Già chiamato in causa sull’Auditorium di Isernia, Di Pietro il 4 giugno 2010 rispose: “Non sono stato sponsor dell’opera, non so neppure se poi l’abbiano davvero costruita”.

Chi è Guido Bertolaso, un capro espiatorio?
“E’ un megalomane con il complesso di far del bene. Per le responsabilità che ha avuto, la fama che si è creato, non avrebbe mai dovuto vendersi per 50 mila euro. Quella era la sua tariffa: 50 mila euro, per volta. Suo cognato, Francesco Piermarini, con i soldi pubblici destinati al G8 si comprò una barca, “Il lumacone”, per la pesca d’altura con  l’abbattitore per il pesce crudo”.

A Carlo Malinconico ha pagato le vacanze all’Hotel Pellicano di Porto Ercole.
“E’ un uomo di Balducci. Da sottosegretario della presidenza del Consiglio del governo Prodi ha firmato qualsiasi progetto il capo gli portasse, qualsiasi missione, qualsiasi deroga. A occhi chiusi. Balducci nel 2006 mi chiese di occuparmi di lui: “Ci serve come il pane, dobbiamo curarlo in tutto e per tutto”, mi disse durante un aperitivo in piazza San Silvestro. Malinconico voleva uno dei rustici che stavo ristrutturando qui all’Argentario, gli piaceva la vecchia Villa Feltrinelli. Lo accompagnai due volte, ma in cuor mio sapevo che non gli avrei mai regalato un immobile da un milione e due. Per fortuna aveva fretta, l’estate stava arrivando e allora Balducci mi chiese di ospitarlo a spese mie al Pellicano. Malinconico e la sua compagna dal 2006 al 2007ci hanno fatto sei vacanze. Milleottocento a notte, colazione esclusa. Ho pagato fino a quando il figlio del magistrato Toro non ci rivelò che la procura di Firenze stava indagando sulla cricca. “Chiudi il conto, chiudi il conto”. Raggiunsi il Pellicano, saldai 25.600 euro e dissi a Roberto Sciò, il titolare: “D’ora in avanti Malinconico si paga il soggiorno”. Quando la direzione dell’albergo glie lo comunicò, il sottosegretario andò su tutte le furie. Preparò la valigia il pomeriggio stesso e lasciò l’Argentario millantando una nuova nomina. Gli ho chiesto indietro il denaro, mi ha fatto rispondere dagli avvocati: “Piuttosto li do in beneficenza”. Facile fare beneficenza con i soldi miei. Il governo Monti continua a dare incarichi a Malinconico, l’ultimo è arrivato dal ministro Passera”.

Lei ha denunciato anche il magistrato della Corte dei Conti Antonello Colosimo, già capo di gabinetto del ministro dell’Agricoltura Catania.
“Credevo fosse un amico, mi ha taglieggiato dal 2004 al 2008. Ha sempre preteso una tangente, a volte anche del 15%, su tutti i lavori pubblici che facevo e questo perché è stato lui a presentarmi Angelo Balducci. Per anni gli ho pagato auto, autista, l’affitto dell’ufficio in via Margutta. Quando ho smesso mi ha scatenato contro la  finanza. Nel 1992 la politica chiedeva agli imprenditori soldi, ma dava benefici. Oggi la politica, e alcuni funzionari potenti, ti chiedono soldi per non farti male. Alla Ferratella c’è un’impiegata che solo per mandare tre righe di giustificazioni della spesa in Banca d’Italia chiede a ogni imprenditore una tangente di 1.000 euro. Tre righe digitate al computer, mille euro”.

Quanti imprenditori hanno lavorato con la banda Balducci.
“Eravamo in quindici, affidabili. Oggi tra gli emergenti c’è il romano Paolo Marziali, quello che ha realizzato il polo natatorio di Ostia”.

Che resta della banda Balducci?
“Lui lavora ancora, governa ancora. Non credo si salverà dai tre processi che ha in corso, ma fin qui non ha aperto bocca. È tornato a vivere a Roma, in via Appia Pignatelli, e i suoi uomini, Rinaldi, Bentivoglio, Zini, la Forleo, sono ancora al loro posto. Ai magistrati ho raccontato di nuovi funzionari corrotti fin qui non sfiorati”.

E degli otto politici di primo piano, che ha detto?
“Che prendevano soldi, tanti soldi. Non credo, quando tutto diventerà pubblico, e accadrà presto, potranno continuare a far politica. Io ho pagato un milione di tangenti e adesso sono con il culo per terra”.

Venerdì sera l’avvocato Giampiero Anello ha confermato che tutto ciò che l’imprenditore Piscicelli, suo assistito, ha detto in questa intervista è già stato riferito ai magistrati della Procura di Roma. Repubblica, (20 ottobre 2012)

LA STANGATA DI FINE ANNO: RISCHIO DI AUMENTO DELL’IMU

Pubblicato il 21 ottobre, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Un conto sono le parole del premier Mario Monti, che continua a ostentare ottimismo, un conto sono i conti che affligono gli italiani.

Il premier Mario Monti

Un conto sono le linee programmattiche del governo, che continua a sperare nella ripresa, un conto sono i fattivi rincari che, settimana dopo settimana, si abbattono come una tagliola sugli stipendi dei contribuenti. Tra tasse sempre più soffocanti, contrazione dei consumi e redditi esigui si preannuncia un Natale davvero magro. Anche perché gli italiani si troveranno a dover pagare la stangata di fine anno. L’ennesimo sacrificio chiesto dal governo dei tecnici per una ripresa che stenta ancora ad arrivare.

Dati alla mano, non ci sono soltanto gli ulteriori aumenti di Imu e Iva e le nuove regole su deduzioni e detrazioni a impensierire gli italiani. Alle nuove uscite che, fino a qualche mese fa, non erano ancora state inserite nei bilanci famigliari, bisogna infatti aggiungere i rincari sulle tariffe e l’avanzata all’insù della pressione fiscale che hanno, di fatto, abbattuto la propensione al risparmio (ora ai minimi dal 1999). Il risultato? Il potere di acquisto è crollato a -4,1% (altro dato negativo), mentre l’inflazione avanza e i salari restano, tanto per cambiare, al palo. Insomma, una situazione a tinte fosche a cui va ad aggiungersi lo spettro di un ennesimo rincaro sull’Imu. Secondo il Sole 24 Ore (leggi l’articolo), infatti, gli enti locali starebbero valutando un ritocco all’insù delle aliquote. Per farlo hanno tempo fino al 31 ottobre. A causarlo la decisione del ministero dell’Economia di modificare ex post il gettito dell’Ici assegnato a ogni Comune nel 2010. “Il taglio inaspettato – spiega il Sole – arriva a quindici giorni dal termine (già pluri-prorogato) per chiudere i preventivi 2012 e costringe i sindaci a rifare un’altra volta i conti e trovare risorse per raggiungere il pareggio di bilancio”. Uno “scherzetto” che tocca circa 1.200 Comuni.

Il problema è che gli italiani non dovranno affrontare soltanto il rincaro dell’imposta sulla casa. Si scorgono, infatti, segni “più″ su tutte le voci che riguardano le abitazioni. Dal primo di ottobre la luce è aumentata dell’1,4%, mentre il gas dell’1,1%. E ancora: a bilancio vanno poi messi i rifiuti, l’acqua e i trasporti urbani. Il costo della vita continua ad aumentare. Secondo il Codacons, dai primi di settembre è schizzato su di almeno mille euro. E l’aumento dell’Iva voluto dal governo Monti non farà che peggiorare la situazione: nel 2014 l’aliquota agevolata passerà dal 10 all’11%, quella ordinaria dal 21 al 22%. Il risultato? Il carrello della spesa costerà mediamente tra i 310 e i 380 euro in più.

Comke se non bastasse, la legge di stabilità da poco varata dal Consiglio dei ministri prevede nuove regole su deduzioni e detrazioni. Come spiega il Corriere della Sera (leggi l’articolo), “l’introduzione, per i redditi superiori ai 15mila euro, della franchigia di 250 euro e di uno sconto fiscale massimo di 570 euro per alcune detrazioni farà incassare allo Stato 1,9 miliardi solo per il 2013″. Soldini che, però, vengono erosi dai risparmi delle famiglie italiane. Anche perché il taglio di detrazioni e deduzioni andrà a colpire anche i redditi del 2012 e, quindi, quelle spese su cui si considerava un certo “risparmio” fiscale. Andrea Indini, Il Giornale, 21 ottobre 2012

REGIONE LAZIO: UN PORTAFOGLIO APERTO A TUTTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 ottobre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

La politica è uno straordinario banco di prova per il giornalismo. Abbiamo raccontato la vicenda dei soldi dati ai partiti della Regione Lazio con una verità che pareva a prova di bomba: è stato l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale a mettere nero su bianco l’aumento di quattordici volte dei contributi previsti fino a due anni fa per i gruppi politici. Vero, ma come spesso capita era solo un pezzo della storia. Una figura di questa vicenda veniva continuamente evocata, ma non aveva mai parlato: il presidente dell’assemblea, Mario Abbruzzese. Un tipo tosto, un acchiappavoti, uno che a Cassino e Frosinone raccoglie consensi, uno che fa «politica sul territorio». Abbruzzese rompe il silenzio. E lo fa con un’intervista che apre uno scenario diverso da quello finora descritto. L’aumento dell’obolo dorato non fu una decisione dei partiti presa all’insaputa della Giunta guidata da Renata Polverini, ma fu il frutto di un accordo politico in cui tutti – e sottolineo tutti – i partiti ebbero un ruolo. Nessuno escluso. Il luogo della decisione è la Commissione Bilancio, il braccio che apre la cassaforte è quello dell’assessore al Bilancio e lo strumento della ratifica è il Consiglio. Il cerchio si chiude, ci sono tutti. Enessuno può scagliare a questo punto la prima pietra. Né l’ex presidente Renata Polverini né l’opposizione nelle sue varie espressioni né quei partiti che non erano nell’ufficio di presidenza ma erano invece presenti dentro la commissione Bilancio guidata da Fiorito. In questa storia – come in tante altre – vale una vecchia regola del giornalismo: «Follow the money», segui i soldi. E quello che non mi tornava era appunto il portafoglio. Perché nella Regione Lazio il bilancio è unico. Non c’è un rendiconto del consiglio e uno separato della giunta. L’organo di governo decide, ma gli atti sono condivisi a livello partitico nelle commissioni e nell’assemblea. Dal racconto di Abbruzzese emerge un sistema che si finanziava in toto, senza esclusioni di sorta. E dal presidente del consiglio regionale mai un membro dell’assemblea si è presentato per chiedere lo stop della finanza allegra ai gruppi. Semmai il contrario: tutti chiedevano più soldi. Buona lettura. È solo l’antipasto, domani mettiamo in tavola il resto del menù. Mario Sechi, Il Tempo, 20 ottobre 2012

.……………Le vicende della Regione Lazio trovano nuive verità: tutti i gruppi consiliari erano d’accordo sulle assegnazioni milionarie che però passavanio attraverso provvedimenti varati dalla Giunta Regionale. Il tutto raccontato dal presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abruzzese nell’intervista rilasciata al Tempo che e che di seguito a questo commento potrete leggere. Emerge una verità diversa da quella raccontata sinora e sopratutto emerge una responsabilità della presidente Polverini che “non poteva non sapere”. Sechi nel suo editoriale dà appuntamento per domani per leggere l’inter0 menù rispetto all’antipasto rappresentato appunto dall’intervista di Abbruzzese. In attesa di leggere il resto ecco l’intervista ad  Abbruzzese.

Regione Lazio, parla Abbruzzese: “I soldi ai partiti? Ecco la verità“


«Non è che l’ufficio di presidenza s’è svegliato una mattina e ha deciso di regalare 8 milioni di euro ai gruppi politici. Ha solo ratificato un accordo siglato da tutti i partiti in commissione Bilancio». Mario Abbruzzese è un fiume in piena. Ha deciso di reagire, dopo aver incassato insulti e veleni. Il presidente del Consiglio regionale del Lazio sarà sentito dai magistrati la prossima settimana. È sereno. Difende i consiglieri regionali e non critica mai la governatrice Renata Polverini ma ci tiene a raccontare la «sua» verità.

Presidente Abbruzzese, perché l’ufficio di presidenza ha aumentato i soldi ai gruppi politici portandoli a 14 milioni di euro?

«Tutto nasce nel 2010. Il regolamento regionale prevedeva al massimo 12 collaboratori per ogni gruppo politico, cioè uno per ogni consigliere. Il problema è che Pd, Pdl e Lista Polverini avevano più eletti. Dunque questi gruppi chiedevano di cambiare le norme e di aumentare il personale, legittimamente. Non ho permesso di modificare il regolamento, così le forze politiche hanno trovato una strada alternativa: cambiare l’articolo 3 bis della legge 6 del 1973 che regolamenta il funzionamento dei gruppi. La nuova norma, che ha consentito di aumentare i collaboratori e dunque i soldi, è stata inserita nel maxiemendamento portato in Aula dalla Giunta e approvato con l’assestamento di bilancio nell’estate 2010».

Ma i soldi in più dove li avete presi?

«Erano fondi del Consiglio regionale, non soldi in più, né tantomeno sottratti a sanità e sociale, come qualcuno ha sostenuto. Sulle spese di funzionamento c’è soltanto un capitolo di bilancio, l’accordo in commissione tra Giunta e capigruppo prevedeva semplicemente di spostare alcune somme da un indirizzo a un altro».

Poi ci sono state le delibere dell’ufficio di presidenza.

«Non abbiamo fatto altro che ratificare un’intesa politica che conoscevano e condividevano tutti e 70 i consiglieri».

E poi la ratifica a chi l’avete mandata?

«Agli uffici dell’assessorato al Bilancio».

Quindi la Polverini non poteva non sapere.

«Questo lo dite voi».

D’accordo presidente, ma in queste settimane tanti hanno detto che il Consiglio regionale è pienamente autonomo rispetto alla Giunta, come il Parlamento rispetto al governo…

«Il Consiglio regionale ha l’autonomia finanziaria ma il bilancio della Regione è unico, tant’è vero che i fondi per la Pisana arrivano dalla Giunta. A differenza di quello che avviene alla Camera, al Senato e a Palazzo Chigi, dove ognuno approva il suo documento economico».

Ma non erano troppi i soldi assegnati ai gruppi? Sono passati dai 5,4 milioni previsti dalla legge a 14.

«La quota fissa resta di 5,4 milioni. È stata aumentata la quota variabile di 8,5 milioni. Con il senno di poi dico che è stata un’operazione sbagliata, soprattutto perché alcune persone hanno usato quei fondi non per attività politica. Ma voglio ribadire che la maggioranza dei consiglieri li ha spesi in modo corretto, promuovendo la nostra attività legislativa, che è stata intesa. In questi anni abbiamo approvato molte leggi come il Piano Casa e il Piano del turismo, il Piano Rifiuti, lo Small Business Act. Abbiamo sostenuto le piccole e medie imprese, i distretti industriali».

Si sente un capro espiatorio?

«No e difendo l’ufficio di presidenza che non può avere la responsabilità politica. Piuttosto spetta a tutti i consiglieri regionali. Ovviamente mi prendo la mia parte».

C’è stato qualcuno che ha mai protestato per la decisione di aumentare i fondi ai gruppi politici?

«No, qualcuno è venuto a protestare con me perché il suo capogruppo non gli dava i soldi».

Quanto le pesa il fatto che adesso i cittadini pensino che, più o meno, siete tutti ladri?

«Molto. Anche perché questo scandalo è scoppiato in un momento economico difficile. Tuttavia non si possono trattare tutti allo stesso modo. In Consiglio ci sono persone perbene».

Come ha spiegato alla sua famiglia quello che sta accadendo?

«Stiamo vivendo insieme questo momento drammatico. Ho spiegato che io non ho rubato niente e che non ho mai utilizzato quei fondi, anche se una parte di responsabilità politica me la prendo».

La prossima settimana lo spiegherà anche ai magistrati.

«Sono pronto. Dimostrerò che tutte le cose fatte sono state frutto di un accordo politico raggiunto in commissione Bilancio, dove siedono i rappresentanti di tutti i gruppi politici».

Ha mai avuto la sensazione che alcuni consiglieri spendessero quei soldi in modo «allegro»?

«Nessuno poteva sapere come venivano spesi i fondi assegnati. Ogni capogruppo ha un conto corrente intestato a suo nome».

E il comitato di controllo contabile della Regione?

«Ha acquisito le autocertificazioni dei capigruppo».

Scusi Abbruzzese, ma è vero che lei ha 18 collaboratori e tutti della sua città, Cassino?

«Ho affidato la mia attività politica a collaboratori di cui mi fido».

Prima che arrivasse lei, quanti collaboratori aveva a disposizione il presidente del Consiglio regionale del Lazio?

«Diciotto, come me. Io ho eliminato la sede che il Consiglio aveva in affitto nel centro storico di Roma, ho levato l’indennità di missione all’estero per i consiglieri, ho ridotto del 30% le auto blu. Ho pure cancellato la rassegna stampa cartacea e vietato di costituire nuovi monogruppi».

D’accordo, ma lei è il presidente dell’assemblea, forse poteva fare di più…

«Ma il presidente non è altro che l’arbitro, i provvedimenti li approva l’Aula. È come se si desse a Fini o a Schifani la responsabilità della mancata riduzione dei parlamentari».

E le multe che ha preso con l’auto blu? Sarebbero una cinquantina…

«Penso che chi fa 350 chilometri al giorno in macchina, come me, possa prendere multe».

Ma è vero che ha due auto blu, una a Roma e un’altra a Cassino?

«No. Ne ho soltanto una, assegnata con un atto formale dell’ufficio, potete controllare».

Ci sono state persone, presunti amici, che adesso l’hanno «abbandonata»?

«No, in questo momento intorno a me ho trovato solidarierà e affetto. Tanti amici mi hanno sostenuto. Tutti conoscono il mio impegno per il territorio. Sono molto sereno perché credo di aver operato in piena trasparenza».

Adesso lei rischia di non essere ricandidato. Anzi è quasi sicuro…

«Le candidature spettano al partito, che credo farà una distinzione tra le responsabilità. Non si possono mischiare quelle politiche e quelle giudiziarie. Tutti i partiti devono riflettere e distinguere tra chi ha lavorato bene e chi male. Questo Consiglio non va rottamato, c’è tanta gente perbene».

Perché non si è dimesso?

«Perché credo di aver lavorato bene. Mi dispiace per l’immagine negativa della Regione Lazio, ma sono abituato a combattere».

Anche la Polverini non doveva dimettersi? In fin dei conti altri governatori nei guai non l’hanno fatto.

«La sua decisione va rispettata. Mi sembra che sia stata presa perché l’Udc ha fatto mancare l’appoggio. Se non c’è più un progetto politico meglio tornare alle urne».

Non si sente scaricato dalla Polverini?

«Io non sono abituato a scaricare sugli altri le mie responsabilità».

Ammetterà che l’autonomia delle Regioni esce distrutta dalle tante inchieste aperte dalla magistratura. Va cambiato di nuovo il Titolo V della Costituzione, con cui gli enti locali hanno avuto più poteri e meno controlli?

«Non va cambiato. Molte Regioni hanno dimostrato di usare bene l’autonomia ricevuta. Bisogna invece aumentare i controlli, anche da parte della Corte dei conti».

Intanto però nel Lazio sono stati azzerati i fondi ai gruppi politici. È un errore?

«Sì. Devono avere dei fondi per la loro attività politica. Se no si rischia che li trovino altrove».

Nella prossima legislatura verranno ripristinati?

«Il decreto varato dal governo li prevede nella misura della Regione più virtuosa».

Quando crede si debba votare?

«Il prima possibile, anche per dare un messaggio ai cittadini. La Polverini ha 135 giorni di tempo, il termine scade a metà febbraio. Non credo si voterà con la Lombardia: la Cancellieri è stata chiara».

Ma ci sono prima i tagli da fare…

«Bisogna votare evitando confusioni e ricorsi. Il decreto del governo è chiaro: si deve andare alle elezioni con 50 consiglieri, altrimenti perderemo i fondi statali. Abbiamo avuto sei mesi per applicare la legge 138/2011, dovevamo armonizzare lo Statuto alle indicazioni del governo. Abbiamo preferito ricorrere alla Corte costituzionale, che ha respinto le nostre istanze con motivazioni legittime. Così è intervenuto il governo. Ora dovremo adattare la legge elettorale ai nuovi numeri: dieci eletti nel listino e quaranta con le preferenze. Questo è l’unico atto indifferibile che un Consiglio sciolto può compiere».

C’E’ L’ORDINE DI CARCERAZIONE PER SALLUSTI:”VADO IN GALERA”. POLITICA CIALTRONA.

Pubblicato il 19 ottobre, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

Dopo il rimpallo tra le procure di Roma e di Milano, alla fine è stato spiccato e consegnato l’ordine di carcerazione nei confronti del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, condannato dalla Cassazione a 14 mesi di reclusione per diffamazione.

L’ordine è stato inoltrato dal gip agli ufficiali giudiziari ed è stato ricevuto dal diretto interessato. “La speranza che la politica fosse capace di trovare una soluzione sta naufragando per mancanza di volontà e di capacità“, ha dichiarato Sallusti.

Che poi ha aggiunto:“Io non chiedevo una legge ad personam, ma che venisse ripristinata una banale legge liberale che dicesse che per le opinioni nessuno può andare in carcere. Così non è, ma è peggio. Perché in questi giorni, discutendo in Parlamento di questa legge, c’è chi ha inserito un codicillo che permette ai presidenti delle Province di candidarsi alla Camera o al Senato e capite bene che di fronte ad atteggiamenti del genere non posso permettere che la politica più cialtrona si nasconda dietro a una legge di libertà e dietro al mio nome”.

Il direttore fa “un ultimo appello alla politica di interrompere questa sceneggiata che ha messo in piedi con la scusa di evitarmi dal carcere, cosa per altro da me non richiesta”. E si è detto pronto alla galera: “Ci sono tanti italiani in carcere, uno più o uno meno non credo che questo possa cambiare le sorti del Paese”.

………….I più cialtroni sono quelli che approfittando del testo concordato in Commissione Giustizia al Senato per approvare in sede deliberante l’abrogazione di una norma liberticida che risale al fascismo in virtù della quale la Cassazione,  non concedendo a Sallusti le attentuanti generiche che di solito vengono concesse a tutti gli incensurati, ha potuto emettere una condanna alla galera per il direttore del Giornale per il reato di diffamazione peraltro non commesso da Sallusti ma da altri, anzi da un altro che ha pubblicamente ammesso la colpa, hanno tentato di trasformare la proposta di legge in una specie di legge omnibus nella quale infilarci di tutto. In particolare un senatore del Pdl ha cercato di favorire i presidenti delle provincie con un emendamento che consentiva  la loro  candidatura alla Camera e al Senato. Questa operazione ha consentito a sei senatori della sinistra di impedire l’approvazione della legge in commissione e di ottenerne il trasferimento della discussione in aula, cosicchè di fatto mandando in galera Sallusti, che, quindi, sarà il primo giornalista, dopo il caso clamoroso di Giovannino Guareschi nel 1950, a finirci, tra l’altro per un reato neanche commesso e comunque per un reato di opinione come fossimo nella Unione societica ante 1989 o nei paesi del terzo mondo dove la democrazia e la libertà sono tuttora effimeri concetti senza  divenire diritti. Come che sia, ci domandiamo due cose. Primo: che fine ha fatto il PDL, il suo fondatore e presidente e il suo segretario, i suoi capicorrente, i suoi depoutati e senatori dei quali non leggiamo neppure un rigo di commento e , sopratutto, di intervento a favore di Sallusti e più vastamente a favore della libertà di stampa e di opinione, pilastri isostituibili nelle società liberali? Secondo: perchè il PDL non chiede, anzi non impone a Monti di fare un decreto legge che si limiti a eliminare la norma che sbatte in galera Sallusti, lasciando poi al Parlamento il compito, in sede di conversione in legge del decreto, di più precisa definizione della norma? Ci sarebbe un terzo: perchè non è stato immdiatamente espulso il senatore che con il suo codicillo ha dato il là o l’alibi all’affossa,mento della legge in Senato? Tutte domande che in verità si possono condensare in una sola:come può pretendere questo PDL che non è capace di difendere un suo baluardo intellettuale, uno dei pochi,  quale è stato sino ad oggi Alessandro Sallusti,  di recuperare i voti dei milioni di elettori che,  sentitisi traditi sia per le promesse mancate, sia per essere stati abbandonati nelle mani di un demagogo come Monti,  lo hanno abbandonato rifugiandosi per lo pù tra gli aspiranti astenuti dal voto o tra i prossimi elettori di Grillo? g.