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MAI ANDATO VIA

Pubblicato il 20 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

La scena politica è tale che nessun attore ha più alcuna sicurezza di sé, nessuna sicurezza nei rapporti con gli altri attori, nessuna sicurezza sullo scenario complessivo del paese. Ogni giorno la scena cambia, la situazione si presenta diversa, in un sostanziale impazzimento mascherato dalla continuità, in apparenza normale, del discorso politico e della chiacchiera politica. Ma un paese sull’orlo dell’agosto italiano, in cui non sappiamo se faremo la fine della Spagna o no, non è un paese in cui la politica ha un decorso normale o prevedibile. Non riesco a immaginare ipotesi dotata di maggiore probabilità. La stessa discesa in campo di Berlusconi è tutt’altro che sicura. E, rispetto a quello che dovrebbe eventualmente fare, è fin troppo facile rispondere che dovrebbe fare quello che non ha fatto in vent’anni. Credo che lui, se torna in campo e ha successo, starà tra il 15 e il 20 per cento, altrimenti attorno al 10 per cento.

Ritengo più probabile la seconda ipotesi: non può parlare di scendere in campo, dal campo non si è mai mosso. La discesa in campo si fa una volta, nessuno può credere alla capacità innovativa di una scena berlusconiana. Perché o si porterà appresso gli stessi protagonisti di prima, del suo non governo, oppure saranno nuovi del tutto improvvisati e improbabili. I soliti orribili imprenditori, i soliti orribili avvocati, i soliti orribili signori che hanno lavorato per la Fininvest… Rischio di ripetermi ma devo dirlo: è il solito partito di plastica, e se mi ripeto è perché è Berlusconi a ripetersi, dimostrando un’incapacità assoluta di allevare una classe dirigente credibile. Non c’è stato nessun dibattito, ed è davvero incredibile, nemmeno per capire perché abbiano fatto la fine miserabile che hanno fatto nel novembre del 2011. Un partito con la maggioranza parlamentare, che sta al governo, assiste alle dimissioni del leader che dice “non ce la faccio”, e questo non crea nessuna discussione interna, nessuna riflessione sugli errori fatti? Oggi, il potere di coalizione di Berlusconi è zero, ma nessuno nel Pdl sembra porsi il problema, e tutti sembrano contenti per il ritorno del capo. Perché? Ma perché il loro problema è solo essere rieletti, e il ritorno di Berlusconi a questo deve servire, è l’unica cosa che possa assicurare l’abbonamento al posto in Parlamento. di Ernesto Galli della Loggia, Il Foglio, 20 luglio 2012

.……….Tutto vero, purtroppo. La classe dirigente del PDL si è rivelata non solo inadeguata, ma effimera, e inconcludente. Nè mai ha pensato di trasformarsi. Una volta, un alto papavero di Forza Italia a chi decantava le capacità di un modesto dirigente periferico rispose, algido e arrogante: si, va bene, ma tanto i voti li prende Berlusconi. E sulla scia di questa sicura cassaforte, mai nessuno dei tanti signor nessuno trasformati da tangentopoli in leader a 24 carati si è preoccupato di pensare al dopo, cioè al dopoBerlusconi. E così ora si ritrovano in braghe di tela, costretti a far finta di credere che la nuova “discesa in campo” (ma non si ridiscende lì da dove non si mai risaliti, chicca Galli della Loggia)di Berlusconi sia salvifica e riesca a salvare prima in Parlamento e poi un pò ovunque una classe dirigente per molti aspetti (salvo qualche sporadica eccezione) spregevole  che pensa solo al proprio c..o e assai poco, anzi per niente, a quello degli italiani. E’ vero che questo riguarda tutta intera la classe dirigente italiana, senza nessuna eccezione, ma questo non ci consola. Anzi ci fa ancor più incazzare. A proposito, dove sono gli incazzatos italiani? Al mare, a mostrar le chiappe chiare, come cantava una orecchiabile canzone di successo un pò di anni fa, quando nessuno avrebbe immaginato che al governo sarebbero arrivati  tecnici incompetenti capeggiati da una specie di boy scout alla rovescia, un vecchio rottame trasformato per decreto legge, anzi per decreto napolitano in abile statista. Ma non ci faccia ridere, direbbe il grande Totò indirizzando una sonora pernacchia all’indirizzo di chi si dice soddisfatto dello spread a 470….indovinate chi è? g. Sbagliavamo: lo spread si è chiuso a 500, con la borsa di Milano che ha perso 4 punti. E l’abile statista, algido quanto incapace, quest’oggi si è deddicato ad inutili alchimie, le ennesime per riuscire a far finta di ridurre le Provincie che invece vanno cancellate onsieme alle Regioni. g.

NON BASTANO LE PROVINCIE, BISOGNA TAGLIARE LE REGIONI

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Lo ammettiamo: c’eravamo sbagliati. Avevamo peccato di ottimismo. Pensavamo che bastasse abolire le province (battaglia comunque giusta, che non abbandoneremo) per dare un po’ più di razionalità al nostro sistema pubblico, ridurre sprechi e privilegi, risparmiare qualche miliardo. Invece dovremmo mirare al bersaglio grosso: le regioni. Sparare sulla Sicilia è giusto ma in fondo fin troppo ovvio. Ha 5.2 miliardi di debito corrente, un bilancio solo apparentemente in pareggio, 90 consiglieri regionali tutti con il rango di deputati, e quindi i più pagati d’Italia (17 mila euro). Ha il record di baby pensionati e di indennità di pensionamento, nonostante i suoi abitanti continuino immancabilmente a svettare ai primi posti nelle classifiche di povertà «assoluta» e «relativa» come l’ultima dell’Istat. La regione, rigorosamente a statuto speciale, finanzia l’ippoterapia e i maestri di sci, e con l’attuale giunta di Raffaele Lombardo ha anche pagato tra il 2010 e il 2011 oltre 400 rinfreschi, il che ha contribuito agli ulteriori 1,9 miliardi d’indebitamento che in 24 mesi si è aggiunto ai 3,5 delle gestioni precedenti. «Un aumento minimo» dicono i due assessori (alla Sanità e all’Economia) protagonisti della «operazione verità» che ha portato alla brusca convocazione a palazzo Chigi di Lombardo e al suo probabile e imminente commissariamento. Sarà anche minimo, ma si tratta di un 50 per cento in più che, se avesse riguardato il debito italiano, ci avrebbe spediti automaticamente in default, con conseguente calata dal Brennero delle panzerdivisionen spedite da frau Angela Merkel. Ma, appunto, prendersela solo con la Sicilia e il suo presidente è fin troppo ovvio (anche se per la verità nessun capo di governo finora ci aveva provato, lasciando l’incombenza alla magistratura). Che dire delle altre regioni, speciali o ordinarie? Soltanto guardando alla sanità, l’indebitamento record è della Campania, seguita da Lazio, Puglia, Sicilia, e perfino il piccolo Molise rischia di esplodere quasi fosse un’area sub-tropicale a rischio di epidemie rare. Ma il Nord non sta messo molto meglio. I debiti sanitari gravano su Piemonte e Liguria; quanto alla Lombardia che a lungo ha costituito il benchmark, il modello virtuoso nazionale, vedremo che cosa racconterà davvero l’inchiesta su Formigoni e amici. Eppure di come si sia formato questo sistema distorto che non riesce ad amministrare circa 220 miliardi (le ricchezze a disposizione delle regioni) si sa ormai tutto. Gli snodi principali sono tre: l’istituzione delle regioni nel 1970; l’istituzione del servizio sanitario su base universale nel 1980, con il quale chiunque, anche i miliardari, hanno acquisito il diritto alle cure gratis, e il trasferimento alle regioni degli ospedali e dei poteri delle vecchie mutue; infine nel 2001 la riforma del titolo Quinto della Costituziona, varata in extremis dal moribondo governo dell’Ulivo, che concesse alle stesse regioni piena autonomia in fatto di sanità, oltre a una sfliza di poteri esclusivi e diritti di veto su materie come le infrastrutture, l’edilizia, l’ambiente. Tutti business sulla carta promettenti, che si sono spesso trasformati in gigantechi buchi neri. La riforma, infatti, ometteva di istituire oltre ai diritti i relativi doveri in fatto di controlli, bilanci in ordine, conformità con i budget nazionali e con le direttive europee. Senza contare i fondi comunitari, che nessuno, dalle Alpi a Punta Pesce Spada (Lempedusa) riesce a spendere. Nel marzo 2007 l’ex ministro socialista delle Finanze, Franco Reviglio, pubblicò sul sito lavoce.info uno studio sulle spese sanitarie regionali; un grido di allarme ben prima della grande crisi finanziaria che da lì a poco avrebbe travolto tutti, e che l’esperto di finanza pubblica della sinistra proponeva alla riflessione del secondo governo Prodi, quello dell’Unione. Reviglio rilevava che nel solo periodo 2001-2005, in seguito all’autonomia concessa dalla riforma costituzionale, si era formato un disavanzo medio di 4 miliardi, mentre la spesa sanitaria stava superando il 7 per cento del Pil. Tre regioni – Calabria, Lazio e Sicilia – sommavano allora il 68 per cento dell’indebitamento totale. Reviglio stimava inoltre che i crediti accesi dalle regioni con i fornitori, senza alcuna regola e controllo, avrebbero negli anni successivi aumentato la spesa del 30 per cento. Ma questo era ancora nulla. «Perché», osservava il dossier, «il vero problema sono debiti sommersi, stimabili in 38 miliardi, 24 dei quali verso fornitori». In altri termini, il costi non erano (e non sono) derivanti dal servizio ai cittadini, ma dalle spese per acquistare i beni dai privati. L’ex ministro aveva visto giusto, ma non poteva certo prevedere la spirale tra spese folli e tasse che la crisi mondiale avrebbe da lì a poco innescato. Per abbattere i debiti le regioni sono infatti state obbligate ad aumentare le imposte dirette, Irpef ed Irap, con percentuali che proprio nel Lazio hanno raggiunto il record e che si sommano a quelle comunali. Una cura obbligata in mancanza di autocontrollo, ma che ha prodotto i seguenti risultati: il progressivo abbassamento degli standard sanitari in cambio del progressivo innalzamento della pressione fiscale sui cittadini. Quanto alle imprese, l’Irap, un’idea dell’ex ministro Vincenzo Visco per sostituire e regionalizzare i contributi sanitari, si è via via trasformata in una delle gabelle più odiose perché non solo va a cercare di coprire buchi che con l’attività imprenditoriale non c’entrano nulla, ma colpisce soprattutto il numero di dipendenti e il costo del lavoro. Di conseguenza non solo le regioni erogano una pessima assistenza sanitaria, ma non svolgono neppure il loro altro compito di promuovere l’attività imprenditoriale e il lavoro. Un cane che si morde la coda e che di questo passo finirà per divorare se stesso. Fin qui la sorte delle regioni brutte, sporche e cattive. Ma che dire dei virtuosi tedeschi dell’Alto Adige, anzi, pardon, del Sud-Tirolo, e dei loro cugini stretti del Trentino? Si tratta di due province autonome, i cui benefici, nel caso di Bolzano, sono addirittura sanciti da un accordo internazionale, quello del 1946 tra Alcide De Gasperi e l’allora ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, firmato a Parigi e garantito nel 1960 e ’61 da ben due risoluzioni delle Nazioni Unite. Il bilinguismo ne è solo la parte più appariscente. La vera polpa sta nella possibilità concessa agli altoatesini di trattenere il 90 per cento di tutte le imposte raccolte sul territorio, distribuendo alla popolazione e alle aziende, sotto forma di mutui a tasso zero, gli eventuali residui di cassa. Il risultato? La Provincia di Bolzano vanta un tesoretto di circa sei miliardi di euro, mentre ogni singolo abitante, dai neonati ai centenari, riceve ogni anno dallo Stato 8.500 euro di trasferimenti fiscali, rispetto ai 2.200 della Lombardia e ai 1.800 del Veneto. La Svp, il partito egemone guidato dal presidente della provincia Luis Durnwalder, che con il collega trentino si alterna anche alla testa della regione autonoma, è poi abilissimo nello sfruttare le debolezze dei governi nazionali, che certo non difettano. Quando a Prodi mancavano un paio di voti, Durnwalder lì garantì in cambio di ulteriori sconti sul carburante. Quando la stessa cosa accadde con Berlusconi ottenne mano libera (cioè proprietà e introiti) sul parco dello Stelvio. Naturalmente i trentini non vogliono sentirsi i parenti poveri. Hanno già ottenuto, per gli insegnanti ed i dipendenti pubblici, un soprassoldo del 50 per cento in conto bilinguismo. Adesso mirano a sottrarsi alla spendig review sulle spese pubbliche che invece colpirà le altre amministrazioni dello Stato, ed anche le altre regioni, ordinarie e autonome. Con tanti saluti all’irredentismo ed a Cesare Battisti: bastano un museo nel castello del Buon Consiglio a Trento. Per il resto la manna parla ovviamente tedesco, mentre i risparmi finiscono in gran parte nelle banche austriache. Nel 2008 Durnwalder risultò da un’inchiesta del quotidiano di lingua tedesca Tageszeitung il politico italiano più pagato: 25.600 euro netti al mese di stipendio. «Me li merito», disse; poi ha annunciato un taglio. Resta il fatto che in tutto il Veneto, che pure non si lamenta, è partita la corsa dei comuni che vogliono farsi annettere al Trentino-Alto Adige, o in subordine al Friuli-Venezia Giulia. Capofila dei primi è Cortina d’Ampezzo, dei secondi Sappada; entrambi in provincia di Belluno. Così come in Piemonte si chiede il passaggio alla Val d’Aosta; ed in Lombardia addirittura al Canton Ticino. La realtà è che – a parte i pochi davvero ricchi e felici – le regioni, tutte, si avviano ad essere entità ed esperienze bollite. Sono le grandi malate dell’amministrazione italiana, e non solo per i buchi della sanità. E se le province sono sostanzialmente enti inutili, le regioni si stanno rivelando un fallimento. Certo, la Sicilia dei Lombardo e dei Cuffaro lo è anche sul piano politico ed etico: per esempio con i suoi infiniti trasformismi. È prassi che chi inizia il mandato con una maggioranza lo porti a termine con lo schieramento avverso: un fenomeno che è stato studiato e nobilitato alla voce «milazzismo» da quando nel ’58 Pci e Msi si allearono per sostenere il democristiano Silvio Milazzo contro lo stesso scudocrociato. “Tutto nel nome dei superiori interessi dei siciliani” dissero in un famoso comunicato congiunto comunisti e missini. Ma se Palermo è la patologia, Roma, Perugia, Bari, perfino Venezia e Milano rischiano di essere ben presto i simboli premonitori di un’epidemia. L’Umbria ha il record delle pensioni d’invalidità civile, seguita dalla Liguria. La Puglia di Nichi Vendola, in epoca di tagli alla spesa pubblica, ha pensato bene di rimettere a carico integrale della regione il famoso Acquedotto pugliese, il più grande e inefficiente d’Europa, noto per distribuire più che l’acqua, i favori. Domanda: ma che ce ne facciamo di queste regioni? Non era meglio lo Stato napoleonico? E dire che ci avevano perfino venduto il federalismo. Ora però arriveranno un bel po’ di «città metropolitane». Teniamoci stretti, e occhio al portafoglio. Marlowe, Il Tempo, 19 luglio 2012

.…………….Nel 1968 il solo MSI di Arturo Michelini, che doveva morire di lì a poco, combattè una generosa ma inutile battaglia in Parlamento contro l’istituzione delle Regioni. “No all’Italia in pillole” era lo slogan coniato per l’occasione che coincideva con le elezioni politiche di quell’anno che però registrarono un lieve arrettramento del partito che combatteva quella battaglia. Perduta, ovviamente, e vinta da quelli che predicavano la grande utilità delle regioni di cui tutti dicevano un gran bene. Si  visto quale è stato il bene, o meglio, per chi è stato un gran bene: politci trombati, burocrati inventati, esperti del nulla, consulenti di ogni specie e d’ogni risma, tutti attovogliati alle tavole regionali, con gradn dispendio di quattrini e di risorse. Sperare che si riesca a porre fine a questo bengodi è follia, visto, oltrettuo, che dopo un gran parlare, anche il governo dei tecnici (tecnici di che!?) ha alzato bandiera bianca sulla abolizione delle privincie. E ci potete scommettere, se dovessero nascere le città metropolitane, previste dalla legge 142 del 1990, cioè ben 22 anni fa,  statene certi che esse saranno un doppione delle Provincie che resteranno in piedi anche nelle 10 città che dovrebbero diventare “metropolitane”. Alla faccia delle riduzione dei costi della politica, gli unici che non saranno mai tagliati insieme alle tasse che strangolano i contribuenti italiani. g.

IN ITALIA PRESSIONE FISCALE AL 55%, E’ RECORD MONDIALE!

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Una busta paga

Nel 2012 la pressione fiscale effettiva o legale in Italia, cioe’ quella che mediamente e’ sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, e’ pari al 55%. Lo indica l’Ufficio studi di Confcommercio, precisando che si tratta di un record mondiale, e che la pressione fiscale apparente e’ al 45,2%. Il valore della pressione fiscale effettiva, precisa Confcommercio nel rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà, “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto”.

L’Italia si posiziona infatti al top della classifica davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%)e Svezia (48%). Fanalino di coda Australia (26,2%) e Messico (20,6%). “Non solo l’Italia è al primo posto” nel mondo, “ma è difficile che in un futuro prossimo saremo scavalcati” dagli altri Paesi, ha detto il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, spiegando che gli altri paesi alle spalle dell’Italia non solo stanno riducendo la pressione fiscale, ma hanno un sommerso economico molto ridotto rispetto a noi”. “Sotto il profilo aritmetico – si legge nel rapporto – il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali”.

L’Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e Pil: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto su 35 paesi considerati, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (entrambi 45,8%). Il dato è il livello più alto del periodo per il quale si dispone di statistiche attendibili, precisa il rapporto, spiegando che il balzo del 2012 “é dovuto alla strategia di restrizione fiscale che dovrebbe portare il nostro Paese al close to balance nel 2013″. Tra il 2000 e il 2012, mentre la pressione apparente media è scesa di nove decimi nell’area euro e di un punto nell’Ue27, l’Italia è tra gli unici Paesi europei ‘grandi’ ad aver innalzato il prelievo: +3,4 punti percentuali, insieme al Portogallo (+3 punti) e Francia (+0,4 punti). E anche nel mondo, dove prevale la tendenza alla riduzione, l’Italia guida la classifica, seguita dal Giappone (+2,9 punti).

Il sommerso economico in Italia è pari al 17,5% del Pil e l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). E’ quanto emerge dal rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà dell’Ufficio studi di Confcommercio, che precisa che il 17,5%, che si riferisce al 2008 ma si può ipotizzare costante fino ad oggi, posiziona l’Italia al primo posto nel mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) ma è una tendenza moderatamente alla riduzione. Fonte ANSA, 19 luglio 2012

RAI: ECCO LA SOBRIETA’ DI MONTI, UN MILIONE DI EURO PER DUE

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Roma – Super poteri (al presidente) e superstipendio (al direttore generale). Inizia con poca sobrietà la stagione Rai dei manager-banchieri in quota Monti. Il sacrificio, se c’è stato, non è stato il loro. In due fanno più di 1milione di euro di compensi: 650mila per il Dg Gubitosi, e – anticipano fonti Rai, perché lo stipendio verrà formalizzato nei prossimi giorni – circa 430mila per la presidente Tarantola (trattamento simile a quello che aveva a Bankitalia e al predecessore Garimberti).

Gubitosi, indicato dal premier già un mese fa per la direzione generale Rai, lascia un posto (da consulente?) in Bank of America per un contrattone a vita a Viale Mazzini, tempo indeterminato, con un fisso di 400 mila euro, più 250mila per l’incarico di Dg. Vuol dire che nel momento in cui Gubitosi lascerà la poltrona di direttore generale, la Rai dovrà trovargli un’altra sistemazione interna se non vorrà pagare a vuoto mezzo milione di euro l’anno, cose che già succedono in Rai. Dopo le polemiche sul super ingaggio il Cda ha rimodulato il contratto, abbassando la parte fissa, che pesa di più sul bilancio e che inizialmente era di 500mila euro, e alzando quella variabile. Ma il totale resta sempre quello, 650mila euro. L’unico che si è astenuto sul contratto di Gubitosi è stato il consigliere del Pdl Antonio Verro, mentre gli altri hanno dato il via libera alla richiesta della Tarantola, che subito dopo la nomina del dg ha tirato fuori il contratto con cifra e inquadramento massimo, a tempo indeterminato, chiedendo al consiglio di ratificare. Ora l’unico spiraglio per un cambiamento viene da Luciano Calamaro, il magistrato della Corte dei conti che vigila sulle delibere del Cda Rai. In consiglio, l’altro giorno, Calamaro si è riservato di analizzare il caso del maxistipendio di Gubitosi e della sua assunzione in Rai. Il «Salva italia» del governo, nel caotico iter sui tetti dei manager pubblici, esclude dall’ultima versione i membri delle authority e quelli della Rai. Che dunque possono sforare il limite di 300mila euro l’anno. Ma la giurisprudenza sulla Rai è complessa, e la Corte dei conti dovrà valutare se l’acquisto a peso d’oro del neo dg Gubitosi, dopo il trucco dei 100mila euro spostati dalla parte fissa a quella variabile dello stipendio, sarà corretto in tutto e per tutto.Il caso però è già politico. Orfini, delegato del Pd per le questioni Rai, parla di un «passo falso» del Cda, e anche da Udc, Idv, Lega e sindacati arriva la stessa critica. Né i consiglieri di Pd e Udc, però, hanno avuto da ridire sul compenso di Gubitosi. Ora si passa al secondo capitolo, quello dei super poteri della Tarantola, che ieri, nel Cda, voleva chiudere subito la partita. La regola prevede però che passino 48 ore, al massimo 24 in casi urgenti, tra la consegna delle carte al Cda e il voto. Il solito Verro ha quindi chiesto di rimandare a stamattina la decisione sulle deleghe della Tarantola. Il documento che andrà in approvazione, dopo faticose limature soprattutto sulla parte delle nomine, prevede che il presidente possa decidere contratti fino a 10milioni di euro (purchè «coerenti» con le scelte del Cda); e poi che spettino a lei e al dg tutte le nomine «non editoriali» di primo e secondo livello. Che vuol dire tre quarti delle poltrone, e non solo quelle puramente «corporate»: dalle direzioni Risorse umane alla Produzione tv, dalle Risorse televisive alle Relazione Esterne. Tutte, di fatto, tranne Reti, Testate, Intrattenimento, Fiction e Teche, che parte dei consiglieri, dopo un dibattito, sono riusciti a «strappare» dal controllo della Tarantola. Ma è ovvio che il governo avrà un peso anche nelle nomine editoriali, come quelle dei tg. La Tarantola è una fiera sostenitrice delle pari opportunità per le donne. E di sicuro gradirebbe qualche donna ai vertici di reti o tg. Magari partendo dal Tg1.Il Giornale, 19 luglio 2012

.……….Eccola la sobrietà dell’era Monti: mazzate di tasse sulle spalle dei pensionati con 50o euro al mese e centinaia di migliaia di euro all’anno per i “sobri” manager di stato, ultimi in ordine di tempo la neo presidente dfella Rai e il neo direttore generale, entrambi pupilli di Monti, ai quali andranno, in due, più di un milione di euro all’anno. Alla faccia della sobrietà e del contenimento della spesa pubblica. g.

ECCO PERCHE’ IL CAVALIERE NON PUO’ ( E NON DEVE) TIRAR BIDONI

Pubblicato il 18 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Maglie: Ecco perché il Cav non può tirar bidoni

Il Cav è tornato, ma quanto è cambiato? Davvero crede che la sua faccia straordinaria e la sua disinvoltura eccezionale, tanto più se paragonate col materiale umano esistente, siano sufficienti? Non è più così, se gli dicono invece di sì gli mentono, che lo sappiano o no. Crede che basti un nome nuovo, come fecero e continuano a fare i comunisti italiani, salvo poi dimostrarsi sempre quelli che non ti fanno neanche votare? Nel suo elettorato deluso, tra i giovanotti ultra liberal che potrebbero essere la sua nuova falange, c’è chi non si ricorda nemmeno che cosa fu Forza Italia, per età o per incultura politica, per diffidenza, tant’è.  Non ha qualcosa da dirci, qualche colpa grave da ammettere esplicitamente, tasse non diminuite, riforme indispensabili mancate, bugie sulla situazione del Paese, e dunque qualche promessa per il futuro da fare giurando che stavolta non la tradirà? Non ha qualche coglione da cacciare, che poi sono parecchi, che si accomodino e facciano un nuovo partito, o anche due, dopo tanto danno fatto al suo? Lo sa che l’età non c’entra, anche perché godiamo di gagliardo presidente della Repubblica quasi novantenne, e perché il giovanilismo è l’ultimo degli imbrogli all’italiana, ma anche che l’età e l’esperienza non sono più l’alibi per imbrogliare nessuno?

Potrebbe essere il mantra dei prossimi mesi, ma sarebbe meglio se la domanda e il tormentone si esaurissero invece nel giro di qualche settimana al massimo. La cosa è possibile solo con una risposta seria, e la risposta può darla solo lui, il Cav, possibilmente mettendoci la faccia e la voce, non affidandosi a intervista, nemmeno se a giornale straniero prestigioso, tantomeno a esegeta o guru del giorno, badanti please astenersi, possibilmente evitando l’effetto “un passo avanti e due indietro”, causato da rettifiche e o smentite del giorno seguente.

Il momento è grave e solenne, a nessuno in realtà viene in mente di irridere sul serio al ritorno del Cav. Chi lo fa, quanto chi si indigna, nasconde un timore neanche tanto sottile. Chi, chiamandosi Pierluigi Bersani, ovvero essendo un leader agghiacciante di un partito abbastanza esposto al freddo, dichiari che il ritorno del Cav è appunto agghiacciante, dovrebbe almeno cambiare ghost writer, o acquisirne infine uno degno di questo nome. Ma ripresentarsi non basta, questo al Cav dovrebbe essere chiaro, né basta un sondaggio o il rispolvero di un vecchio nome che nacque glorioso e liberale, e quando fu buttato sotto un predellino, era già stato allegramente sepolto dal tax and spend,  spreca denaro pubblico e intanto fregali aumentando le tasse, di cui i democristiani e i comunisti sono sempre stati maestri, ma che lui aveva lasciato rientrare dalla porta principale. Forza Italia non basta evocarla, bisogna volerla , bisogna aver capito che se è sempre stato l’unico modo etico di governare, oggi è da una parte l’unica via d’uscita, dall’altra l’unico momento propizio per farlo digerire agli italiani statalisti e assenteisti, l’ultimo momento possibile per ridare fiducia agli italiani imprenditori piccoli e medi, sui grandi stendiamo un velo pietoso, comunque si stiano riciclando.

Se non è così, se non intende scusarsi profondamente e intimamente, se non è pronto a provare a far credere che gli è tornata la voglia liberale, liberista e libertaria grazie alla quale salvò il Paese, ma anche sé stesso e i suoi affari, dalla morsa gelida e vischiosa di Tangentopoli tanti anni fa, allora lasci perdere. Avrà solo delusioni, farà brutte figure.  Ha tenuto in piedi un governo imbelle   acquistando voti e dando strapotere agli ex An rimasti dopo il tradimento di Fini, non ha chiesto le elezioni quando doveva e poteva, non ha fatto la faccia feroce a Merkel e Sarkò, perfino la Libia si è trangugiato, ed è stata amara, infine ha fatto un passo indietro non dovuto, si è fatto intortare da un bel complottone internazionale ma anche da grandi e piccoli congiurati della sua corte, ha lasciato al delfino sbagliato, democristiano e talmente provinciale da non avere nello staff nemmeno uno che non fosse di Agrigento, fan del solito Casini e del calderone democristiano, che francamente non se ne può più.

Oggi il Cav deve parlare, essere chiaro, delineare se ce la fa un soggetto politico completamente nuovo, poi lo chiami come gli pare. Gli servono persone nuove, contenuti forti, ideologia leggera, speranza da iniettare in un corpo agonizzante.

Gli serve anche un po’ di populismo,  come ridurre il numero dei parlamentari e i loro privilegi; sappiamo tutti che è poca roba, ma è giusto in linea di principio e scava la fossa a Grillo. Scelga quale che sia il porcellum persone credibili, popolari, esperte, anche se nuove alla politica, a casa gli sputtanati di ogni sesso. Il programma dica poche cose: riduzione della spesa pubblica, riduzione delle imposte, liberalizzazioni, riforma della scuola e dell’università, sistema pensionistico a capitalizzazione privata, riforma sanitaria, possibilità di fare impresa subito e con poca burocrazia, decentramento dei poteri. Infine, se gli riesce ancora, parli al cuore delle persone, che oggi è in un inverno perenne. Dica loro che c’è ancora un progetto per l’Italia. Sennò ci lasci al nostro destino. di Maria Giovanna Maglie, Libero, 18 luglio 2012

UN BILANCIO (QUELLO DELLA REGIONE SICILIA) DA FILM HORROR, di Mario Sechi Sechi

Pubblicato il 18 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Crac. Ci stiamo preoccupando della Grecia – e facciamo bene – ma la nostra guerra del Peloponneso finanziario ce l’abbiamo in casa e si chiama Sicilia. Passato lo Stretto, il bilancio si fa largo, larghissimo, fino a trasformarsi in un buco leggendario: quello della Regione governata da Raffaele Lombardo e una giunta che sembra un’armata Brancaleone. Mario Monti ha scritto al presidente: caro, di grazia, mi fai sapere se ti dimetti o no entro il 31 luglio come hai annunciato urbi et orbi? Sai, i conti del tuo ente sono un colabrodo, c’è il rischio di un default e se dobbiamo intervenire da Roma, forse è il caso di sapere con chi parlare… Alt! Quelli del consiglio regionale, un’idrovora del bilancio pubblico e dei soldi dei contribuenti, si sono indignati: è stata offesa la nostra autonomia. Autonomia? Non scherziamo. La Sicilia – che è in buona compagnia – è una tragedia finanziaria e politica che pesa sulle spalle dei contribuenti. Consiglio alla pattuglia degli offesi e ai lettori che hanno voglia di saperne di più, la lettura della Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto della Regione siciliana per l’esercizio 2011: un film horror. Bastano le prime cinque righe delle considerazioni generali del Presidente della Corte: «Il rendiconto generale relativo all’esercizio finanziario 2011 registra una situazione di notevole, preoccupante deterioramento: tutti o quasi i saldi fondamentali di bilancio presentano valori negativi. Così per il saldo netto da finanziare e per il ricorso al mercato, mentre crescono a dismisura le obbligazioni da onorare in esercizi futuri in corrispondenza con un volume di residui passivi cresciuti da 5 a 7 miliardi di euro». Non scendo nei dettagli, ma vi assicuro che la lettura dei bilanci potrebbe farvi diventare leghisti. E questo non vale solo per la Sicilia, ma per quasi tutte le Regioni italiane. Sono un pozzo di spesa senza fine e gestiscono la voce di bilancio più delicata: la Sanità. Vedendo i loro conti, ho maturato l’idea che senza una classe dirigente all’altezza, la devoluzione di poteri è solo una moltiplicazione della spesa. Vogliono il federalismo? Allora le Regioni che non tengono i conti in ordine dovranno fare crac. E chi lo provoca farà la fine dei bancarottieri: andrà in cella. Mario Sechi, Il Tempo, 18 luglio 2012

.…………….Il guaio è proprio questo: che nessuno va in cella. O meglio in cella ci vanno i pirla, compreso tra questi Calisto Tanzi, l’ex patron della Parmalat nei cui confronti la Magistratura si è mostrata particlarmente dura e intransigente. Giusto! Ma altrettanto fura e intransigente dovrebbe o avrebbe dovuto essere la Magistratura nei confronti ei tanti politici e dei banchieri che assecondando Tanzi favoriorno il crac ella Parmalat e tutto ciò che ne conseguì. Così per la Sicilia. Lombardo e insieme a lui i tanti disinvolti amministratori siciliani di ogni colore, da destra a sinistra, passando per il centro, e di ogni tempo,  responsabili della allegra finanza siciliana, quella che ha consentito il dilagare di una spesa pubblica senza precedenti, con l’ assunzione di migliaia e migliaia di dipendenti nella pubblica amministraizone, tra cui le decine di migliaia di guardiaboschi il cui numero è pari alla moltiplicazione per dieci del totale dei guardiaboschi  di tutte le altre regioni italiane messe insieme, e che ha favorito il pensionamento d’oro di altre decine di migliaia di dipendenti pubblici attraverso  provvedimenti legislativi asssunti in virtù della cosiddetta autonomia statutaria che si è trasformata in autonomia di commettere abusi,  dovrebbero essere assocaiti alle pubbliche galere per rispondere dello spreco dei soldi pubblici a danno non solo dei contribuenti siciliani, ma di tutti i cntribuenti italiani, chiamati ora a far fronte allao scandaloso disavanzo procurato da anni di allegra gestione. Invece la magistratura siciliana, è notizia i queste ore, apre un nuovo procedimento contro il senatore Dell’Utri, sotto schiaffo dal 1996, per, udite, udite, estorsione nei confronti di Berlusconi, il che è evidentemente una bufala di proporzioni pazzesche, non foss’altro per i rapporti intercorrenti tra lo stesso Berlusconi e Dell’Utri. Ma siccome in Italia al ridicolo non c’è mai limite, ecco spuntare questa nuova indagine, appendice a quella sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia che ha lambito addirittura il presidente della Repubblica…………… e come si può sperare che i ladri  finiscano in galera quando la magistratura si occupa di inseguire fantasmi e fantasie di quaklche decennil addietro,  impegnando tempo, uomini e materiali, distratti dalla lotta ai disastri dell’oggi? Poveri noi, e povera Italia, nave senza nocchiero, non donna di provincia,  ma di bordello...g

INTERCETTAZIONI: NAPOLITANO CONTRO I PM DI PALERMO SOLLEVA IL CONFLITTO TRA POTERI DELLO STATO DINANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE

Pubblicato il 16 luglio, 2012 in Giustizia, Politica | No Comments »

Dopo le polemiche delle ultime settimane per la mancata distruzione delle intercettazioni delle telefonate con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, passa al contrattacco.  Il Capo dello Stato dà incarico all’Avvocato Generale dello Stato di rappresentare il Quirinale nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, per le decisioni che questa ha assunto sulle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato.

Decisioni, queste, che il Presidente considera lesive delle prerogative attribuitegli dalla Costituzione.

Alla decisione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è arrivato perché considera “dovere del Presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”.

.……………La notizia non sarbbe neppure una notizia se non fosse che a sollevare il conflitto tra  poteri  (Presidenza della Repubblica e procura di Palermo) sia stato in prima persona proprio lui, Giorgio Napolitano, che in tutti questi anni dinanzi alle sconcezze di tante procure d’Italia che non hanno esitato a sciorinare al vento le intercettazioni telefoniche, spesso neppure utili e talvolta del tutto irrilevanti ai fini delle indagini, non ha mai trovato il tempo sia di condannarle, sia di favorire il varo di u na legge che mettesse fine alla barbarie di vite distrutte dalla pubblicazione di intercettazioni, spesso uscite chissà come dai cassetti dei tribunali d’Italia. Ora che la sconcezza ha lambito proprio lui, il grande capo, Napolitano s’arma di sciabola e pugnale e scende in campo. Meglio tardi che mai, potremmo dire, ma non possiamo non sottolienare la doppiezza ipocrita di chi scopre solo quando la cosa lo riguarda,  quanto grave sia stato l’uso indiscriminato da parte di disinvolti magistrati delle intercettazioni telefoniche. E ‘ proprio vero: non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te! g.

CRONACHE DELL’ISTITUTO LUCE, di Mario Sechi

Pubblicato il 16 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

È domenica. E la politica italiana mostra il suo «lato b» occupandosi di molte cose che stanno in cima all’agenda politica e nella testa degli italiani. Fa un caldo terribile e la prova non è nel termometro, ma nelle dichiarazioni e nei fatti del Palazzo. Quando il sole batte sulle zucche, i risultati di sceneggiatura e plot narrativo raggiungono livelli straordinari. Ecco un florilegio autentico della giornata festiva sulle notizie d’agenzia. Il segretario del Pdl Angelino Alfano si impegna nella titanica lotta per defenestrare la signora Nicole Minetti dal Consiglio regionale della Lombardia. Antonio Di Pietro scende dalla mietitrebbia e dichiara con il suo modo maschio di essere favorevole ai matrimoni gay. Anche Grillo fa sapere di essere d’accordo. Lamberto Dini – classe 1931 – informa il popolo trepidante di appoggiare in futuro sempre Berlusconi. Il democristiano per sempre Gianfranco Rotondi chiede al Cavaliere di potersi prendere cura del Pdl in caso di rottamazione. Si cerca lo sfasciacarrozze più economico. Berlusconi deve scrivere una nota ufficiale per dire a uno sconosciuto da lui conosciuto, tal Volpe Pasini, di non spacciarsi per suo consigliere e di non spargere programmi politici in giro per il Palazzo. Giancarlo Lehner, onorevole del Pdl, chiede le dimissioni di Alfano. Altero Matteoli, onorevole del Pdl, applaude Alfano. Il quale dice di non avere notizie di un addio di Giulio Tremonti al Pdl. Matteo Renzi non crede che Montezemolo correrà. Mentre Renzi corre, ma Bersani non lo fa correre. Adriana Poli Bortone attacca «gli ingrati» che non capiscono la generosità del Cav quando ha deciso di ricandidarsi. Rocco Buttiglione nel frattempo assicura il suo impegno per la grande coalizione. I radicali assicurano il loro impegno per disciplinare orari e luoghi della prostituzione. Samuele Piccolo, consigliere del Pdl a Roma si dimette dalla vicepresidenza dell’assemblea della Capitale. I pm sostengono che è un furbo che ruba. Carmelo Briguglio twitta e si lancia in voli politico-pindarici che capisce solo lui: «Inserire la preferenza unica e il Porcellum si trasforma in magnifico Cavallo alato, basta questo». Osvaldo Napoli, parlamentare del Pdl, lancia il suo messaggio imperdibile: «Ottimale il ritorno di Forza Italia». Giorgia Meloni, ex ministro del Pdl, ha un punto di vista non proprio osvaldonapoliano: «Vorrei segnalare a quegli apologeti del ritorno al passato, che in queste ore propongono la ricostituzione di Forza Italia, che in tutta la sua storia quel partito ha ottenuto al massimo il 21% dei consensi, a fronte del 38% raggiunto al suo debutto, nel 2008, dal Pdl». Daniela Santanchè, onorevole del partito Santanchè, dà l’interpretazione autentica del pensiero del Cav: «Il nuovo partito si chiamerà Forza Italia». Ma non c’era già nel 1994? Francesco Storace twitta più chiaramente di Briguglio e sfodera il suo pensiero sul tema dei temi: «Ci sono gay che non arrivano alla fine del mese. Pensano più a come campare che a sposarsi. Evidentemente quelli del Pd sono ricchi». Cronache dell’Istituto Luce: «Il presidente di Confindustria in bici sullo Stelvio batte l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi». Davvero interessante, ma l’Italia che pedala è un’altra. E anche questa domenica, complice il caldo, nelle dichiarazioni del Palazzo quel Paese che lavora e tira a campare non c’è mai. Si va di Minetti in peggio.  Mario Sechi, Il Tempo, 16 luglio 2012

.……………….Non è il caldo che dà alla testa, è la confusione  (che regna sovrana)  a  spargere calore, avvolgendo nelle fiamme del terrore quelli che avevano vissuto all’ombra di Berlusconi ed ora si accorgono di esser nudi, più loro che il re! g.

VA IN ONDA LA SOAP DELLE LIBERTA’ di Mario Sechi

Pubblicato il 14 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Sono trascorse appena 48 ore dal vertice del Pdl che ha confermato ufficialmente la ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi. Due giorni sufficienti per dare alla soap delle libertà tutti gli ingredienti di un’opera un po’ scosciata e rifatta, un misto tra le gesta di Pierino e le acrobazie chirurgiche del sordiano dottor Guido Tersilli, primario della clinica Villa Celeste. La politica ha bisogno di una gran sceneggiatura per reggere il confronto del botteghino quando un divo tenta di tornare sulle scene dopo uno stop. Berlusconi tenta il rientro in pista mentre è in corso il Gran Premio Monti. Scelta che non condivido perché penso che per il Cavaliere ci sia molto da perdere e ben poco da guadagnare, ma so che difficilmente tornerà sui suoi passi. Ha deciso di affrontare un’altra sfida, ma l’ha cominciata male. Giuliano Ferrara, una delle poche persone che con Berlusconi usa il fosforo, ha già spiegato che un ritorno non prevede lo stesso menù degli ultimi anni: serve moderazione, un sacco di “tienimi da conto Monti”, una linea politica ferma e autorevole con l’Europa, l’abbandono delle tentazioni grillesche e dei Tea Party che intorno al Pdl assumono irrimediabilmente il tono di sbronze collettive. Insomma, il direttore del Foglio ha tracciato un programma minimo per non far naufragare l’ultima traversata di Silvio non sugli scogli, ma in qualcosa di più temibile: il ridicolo. Dalle parti di Palazzo Grazioli dovranno applicarsi parecchio, perché la partenza è un disastro. E la narrazione ricalca finora tutti i «luoghi» dell’ultima parte dell’avventura di Berlusconi a Palazzo Chigi. Così nel partitone sono scattate le interviste di consiglieri e dame di potere, parole sconnesse dal cervello, ma volete mettere l’emozione. E si riparla di donne, in due versioni. La prima nella parte della lady che dovrebbe affiancare Silvio nella campagna elettorale del 2013. Il famoso ticket con l’Angelino non c’è, si cerca l’Angelina Jolie de’ noantri. L’identikit della Dominatrix dagli occhi magnetici cattura-voti è la cosa più gettonata nel Palazzo e tra i furbastri del sottobosco azzurrino è già partito il gioco del cerino: fare il nome di una candidata al ruolo, significa bruciarla dalla pellicola azzurrina o tricolore che sia. La seconda parte della rappresentazione appena iniziata è quella della signora Minetti, le cui dimissioni fantasma e mancate testimonianze in tribunale sono fonte di imbarazzo più dei suoi travestimenti privati. Accanto al totalizzatore delle scommesse in rosa, si è aperta una fiera campionaria di nomi, simboli, invenzioni, pozioni e animazioni da spiaggia sul nome e il logo del nuovo partito, il Pdl che fu, figlio del trapasso di Forza Italia e del matrimonio fallito con i destri di An. Da cherchez la femme a cercate un simbolo disperatamente, il copione dell’improvvisazione continua, con in scena jolly di corte e ciarlatani di strada. Il risultato è quello che ci vuole per confondere anche il più granitico degli elettori: ascoltiamo Alfano parlare di tutto senza poter più dire niente, mentre Berlusconi pensa bene di disertare una riunione di arzilli sostenitori perché la riscossa di un Cavaliere non può essere annunciata dall’ospizio che se applaude fa giusto tremare le dentiere. Avanti così. Tutto fila liscio come l’olio. Bollente. Mario Sechi, Il Tempo, 14 luglio 2012

.…………….Irriverente, irridente, irrispettoso, anche insolente e sconveniente, questo commento all’acido sulfureo di Mario Sechi,  direttore de Il Tempo, un giornalista e un giornale non certo sospettabili di complicità con la sinistra, sull’annunciata (ri)discesa in campo di Berlusconi, ma non lontano dal vero e, quel che è peggio, non troppo lontano dal comune sentire degli elettori di centro destra del nostro Paese. I quali, non v’è dubbio, sono disorientati e spaventati,  mentre si avvicina, inesorabile, il momento del big ben, cioè del ritorno alle urne e quindi delle decisioni di tutti e di ciascuno, dalle quali dipenderà il futuro prossimo,  e non solo,  dell’Italia e delle generazioni future. A questi elettori, che sono milioni, e che sono la maggioranza degli elettori italiani, non si può pensare di offrire, come soluzione “nuova”,   la medesima  proposta politica che pochi mesi fa ha gettato la spugna, si è arresa senza combattere,  secondo alcuni (tra cui  chi scrive) ha disertato,   lasciando  sul campo promesse non mantenute, impegni non onorati, bandiere e valori dimenticati, talvolta traditi. Questi milioni di elettori, giovani e meno giovani,  uomini e donne, dai meno colti  a quelli cui non fa difetto il sapere,   hanno diritto in primo luogo a non essere considerati un “esercito di bambini vestiti da cretini”  come si diceva  dei boy scouts, e perciò la proposta politica da offrire loro deve avere il carattere dell’eccezionalità, quale il momento richiede, coniugata con il carattere della novità che non significa necessariamente nuovo ma almeno fresco. Ebbene,  questa riproposizone di Berlusconi, salutata troppo veloecemente dai giullari di corte come assolutamente percorribile,  si caratterizza, dopo tutto ciò che è accaduto in questi mesi,  proprio per mancanza di eccezionalità e di freschezza,  e perciò destinata a non scuotere più di tanto l’elettorato cui essa si propone.    Ciò non  vuole in alcun modo costituire  dimenticanza del ruolo che Berlusconi ha svolto nel corso di questi ultimi 18 anni, ruolo straordinario ed eccezionale che proprio per questo deve avere   continuità ideale con una proposta politica che abbia gli stessi caratteri che ebbe quella di Berlusconi 18 anni fa: appunto, eccezionalità e freschezza. Altrimenti i milioni di voti dell’elettorato di centrodestra si disperderanno consentendo alla attuale  modesta macchina da guerra della sinistra di fare ciò che non le fu possibile fare 18 anni fa. g.

BERLUSCONI SCENDE SUL CAMPO MINATO, di Mario Sechi

Pubblicato il 12 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Ha giurato di non ritornare a fare il candidato premier e in realtà ci sta lavorando. Silvio Berlusconi di professione continua a fare lo spiazzista. I suoi avversari se lo ritroveranno in mezzo al guado per Palazzo Chigi, ma stavolta anche il suo partito avrà il problema del leader che non vuol mollare la presa. Il tema ha precedenti storici illustri: il generale De Gaulle e i gollisti, la Thatcher e i tories, la saga dei Kennedy e i democratici, la famiglia Bush e i repubblicani. Con una differenza: in quei casi, il sistema democratico ha vinto le resistenze dei leader e prodotto la successione. Dalla nomina di Alfano ad oggi, si è sprecato un anno senza creare un’alternativa. I sondaggi del Pdl con Angelino candidato non sono buoni, per cui Berlusconi usa le vie brevi: ci riprova lui, nella speranza di mobilitare un blocco di elettori che sta alla finestra. Invece di scegliere la via logica e virtuosa delle elezioni primarie, invece di aprirsi all’imprevisto, cioè alla nascita di un nuovo leader «dal basso», il Cavaliere rilancia se stesso. Gli conviene? Ho i miei dubbi. E provo a spiegare perché. In realtà questa mossa moltiplica il fattore motivazione a sinistra: un Pd che non cresce nei sondaggi, ritroverà slancio perché riappare il suo avversario di sempre, la figura che fino a ieri ne aveva giustificato l’esistenza. Gli elettori di sinistra che si sentivano in libera uscita verso Grillo torneranno a casa per votare contro il «mostro». Altre conseguenze : la macchina giudiziaria – ora in standby – si rimetterà in moto a pieno regime, mentre i mercati cominceranno ad assestare colpi di spread sull’incerta governance dell’Italia, danneggiando Monti. Con Berlusconi di nuovo nell’arena, inoltre, la tentazione di votare con l’attuale legge elettorale per Bersani e soci diventerà un’opzione concreta: con l’alleanza di Vasto, infatti, gli anti- resuscitati dal ritorno del Cav hanno i numeri per governare sia la Camera che il Senato. Dulcis in fundo, Casini, avrà una formidabile motivazione per allearsi anche con una forza politica culturalmente distante. Può darsi che Berlusconi abbia valutato questi fattori, ma resta la domanda chiave: si candida per fare cosa? Vuole tornare in pista nel 2013 pensando di giocare la partita del governo di larghe intese con Monti che fa il bis? Vuole contaminare il “montismo” con una politica pragmatica e seria come quella proposta da Giuliano Ferrara? O con le proteste fiscali (flop) di Daniela Santanchè? E la classe dirigente del Pdl che fa? Sta a guardare cosa decide il capo o mette qualche idea sul tavolo della politica? Senza risposte chiare, il Pdl nel 2013 rischia di confinarsi nell’ombra di un’opposizione senza idee, confusa e senza numeri. Mario Sechi, Il Tempo, 12 luglio 2012

.……………Sopratutto senza numeri, come è accaduto un pò ovunque in Italia alle scorse amministrative, con l’  ex grande partito di centrodestra, il PDL,  costretto a fare il figurante sulla scena della politica dove la faceva da padrone un guitto come Grillo. Ma quel che è peggio è che questo ex grande partito è senza idee e  quelle poche che ha,  sono,  ome dice Sechi, abbastanza confuse. La prova è la Gazzetta del Mezzogiorno di questa mattina, che nelle pagine regionali pubblica la opinione dei big del PDL di Puglia sulla ridiscesa in campo di Berlusconi: ce ne fosse stato uno che abbia dissentito …tutti, ma proprio tutti a dirsi più che felici dell’annuncio, e a dichiararsi convinti che questa ridiscesa in campo è la mossa giusta per riprendere fiato e…voti. Eppure, pochi giorni fa, l’ex ministro Fitto, a cui si rifannotutti  i big pugliersi del PDL, salvo qualcuno,  intervistato (prima che Berlusconi  annunziasse il ritorno in campo) sulle primarie per scegliere il  candidato premier del PLD, si diceva più che convinto della opportunità di questo percorso, precisando che Berlusconi avrebbe dovuto svolgere nel futuro il ruolo del “padre nobile” , lasciando ad Alfano o a chiunque altro fosse stato scelto dalla base come leader,  il ruolo di primo attore. Ha cambiato idea Fitto? Non è dato sapere, ma nel frattempo i tanti suoi sottoposti   si sono affrettati a dirsi più che felici del nuovo (vecchio) corso del PDL. Magari in attesa di qualche nuovo colpo di scena, o, come avrebbe chiosato l’indimenticato Govannino Guareschi, : “contrordine compagni……”. g.