Archivio per la categoria ‘Politica’

L’EREDITA’ DEGLI IGNAVI, di Mario Sechi

Pubblicato il 10 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Quando il passato metterà la giusta distanza con il presente, questa stagione italiana verrà raccontata dagli storici come l’era degli ignavi. Chi sono? Nel terzo canto della Divina Commedia Dante li piazza nell’Antinferno e sulla riva del fiume Acheronte, il luogo dove sono punite le anime «sanza ’nfamia e sanza lodo», quelli che in vita non hanno scelto né il bene né il male, scacciati dal Cielo perché ne offuscherebbero lo splendore, rifiutati dall’Inferno perché non hanno avuto neppure il coraggio di abbracciare il male: anime senza la speranza di morire. Il Parlamento corre sulla via degli ignavi, ma a differenza di Dante, che nel suo viaggio con Virgilio, udendo il loro lamento, si mise a piangere, noi non verseremo neppure una lacrima. Un Parlamento che dichiara in coro di voler fare la legge elettorale e dopo mesi non ha prodotto nient’altro che un fastidioso ronzìo di voci, merita di finire come gli ignavi. Mancano pochi mesi alla campagna elettorale e né a destra né a sinistra traspare la volontà di restituire lo scettro al popolo. Il Pdl ha ancorato – sbagliando – la riforma della legge elettorale a un’utopistica revisione della Costituzione in senso presidenziale, il Pd fa i suoi calcoli da partito con la vittoria in tasca ma il governo in forse. Il risultato è una palude su cui il Presidente della Repubblica ha lanciato ieri un sasso. L’ultima parte del settennato di Giorgio Napolitano somiglia sempre più a quella di Francesco Cossiga che aveva avvertito lo sfacelo del Palazzo prima che scoppiasse Tangentopoli e in un drammatico messaggio alle Camere chiese – inascoltato – le riforme. Vent’anni dopo, siamo punto e a capo. La lettera spedita dal Quirinale ai presidenti delle Camere è l’urlo di un uomo di Stato che vede il pericolo alle porte: la minaccia di un voto irrazionale e distruttivo, l’Armageddon della politica e l’apertura di una stagione di caos istituzionale. Invece di interrogarsi su «cosa ha in testa Napolitano» i partiti dovrebbero cogliere l’ultima possibilità che hanno per riprendere il cammino verso la democrazia. Senza una nuova legge elettorale che dia al cittadino la possibilità di scegliere i suoi candidati non ci sarà alcun futuro. I sondaggi parlano chiaro: c’è un partito anti-tutto (il Movimento 5Stelle) destinato a raccogliere vasti consensi e in mezzo l’incertezza e la confusione ideologica il cui risultato è la somma di due debolezze (il Pdl e il Pd) e un centro con qualche discreta idea ma poca forza (l’Udc di Casini) per reggere lo tsunami in arrivo. Quelli che teorizzano una larga coalizione prima del voto sbagliano, ma chi la ipotizza come soluzione per «il dopo» è vicino alla realtà. All’orizzonte c’è l’ingovernabilità. L’eredità degli ignavi. Mario Sechi, Il Tempo, 10 luglio 2012

…………Tutto giusto, meno l’accostamento di Napolitano a Cossiga. Quest’ultimo piconò il sistema senza avere nulla del  suo passato  di cui doversi dolere, anzi  fu l’unico che in un Paese di politici incollati alla  poltrona, diede prova di essere diverso: si dimise da ministro dell’Interno subito dopo l’assassinio di Aldo Moro, e di dimise da presidentre della Repubblica per tentare di dare uno scossone al sistema che stava crollando. Napolitano, che del suo passato ha tanto di cui doversi dolere, si è autoincaricato del ruolo di predicatore ma le prediche non servno a nulla, specie in materia elettroale quando si è commissariata la demiocrazia e si è  favorio l’insediamento di  un governo privo di legittimazione da parte del popolo che secondo la Csotituzione “è sovrano”.  Per il resto,  ci stupisce lo stupore di Sechi di fronte alla vacuità politica dei parlamentari, deputati e senatori, in carica  solo perchè nominati  dai capipartiti e privi del tutto di autonomia e sopratutto di fantasia. A dire il ver, e cio è ciò che maggiormente ci stupisce,  nessuno ha mai creduto che ci fosse un solo partito disponibile a modificare la legge porcata, varata dal governo Berlusconi e che reca ingiustamente il nome di Calderoli, avendola, di fatto, suggerita nel 2006 il duo Casini-Fini, perchè i capipartito di ciò che resta del sistema varato all’indomani della guerra l’ultima cosa che vogliono è rinunciare a gestire le nomine dei parlamentari per assicurarsene l’obbedienza. Naturalmente a discapito della democrazia.  Ma questa è un’altra storia. g.

ECCO I TAGLI CHE NESSUNO VUOL FARE: NIENTE TETTO ALLE “PENSIONI D’ORO”.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Ritirato l’emendamento che le riduceva a 6mila euro al mese, consentendo un risparmio di 2,3 miliardi di euro l’anno solo sulle pensioni pubbliche e se esteso al settore privato consentirebbe un risparmio di 15 miliardi l’anno. Conflitto di interessi dei ministri e sottosegretari “tecnici.”

Lungi da noi dire che, nel dire no al taglio delle pensioni d’oro, i membri dell’esecutivo Monti abbiano guardato in primis alle loro tasche, presenti o future. Ma, come si dice, i numeri non mentono. E in questo caso dicono che alcuni membri dell’esecutivo si troverebbero la pensione che già percepiscono severamente decurata dal proposto tetto di 6mila euro netti al mese. E altri, secondo quanto scrive Il Fatto quotidiano, se la troverebbero in futuro, visto quanto guadagnano oggi.

L’emendamento taglia-pensioni d’oro, presentato dal parlamentare del Pdl Guido Crosetto e che consentirebbe un risparmio di 2,3 miliardi solo sulle pensioni pubbliche e di 15 se fosse applicato anche al settore privato, è stato ritirato dopo le insistenti “pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto. “Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione il sottosegratario all’economia Gianfranco Polillo. Proprio lui che è titolare di una pensione di 9.541,13 euro netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di servizio come funzionario della Camera. E che col tetto fissato a 6mila euro si troverebbe a perdere 3.541 euro al mese.

Tra i beneficiati dal mancato tetto ci sarebbe anche Elsa Fornero. Il ministro del Lavoro nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una pensione al limite della “soglia Crosetto”. Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti al mese, frutto di una lunga carriera nell’amministrazione statale con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972. Il ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria”, pari a circa 20mila euro mensili. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Massimo Vari percepisce 10.253,17 euro netti al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale. da Libero, 3 luglio 2012

PRENDELLI FINGE DI AVER VINTO: NON SI SCUSA, FA IL TROMBONE, ANZICHE’ IL TROMBATO.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Politica, Sport | No Comments »

Prandelli finge di aver vinto:  non si scusa e fa il trombone

Messaggio al commissario tecnico della nazionale di calcio, Cesare Prandelli:  all’indomani di uno 0-4 non si possono dare lezioni. Quella subita dai suoi azzurri è la più umiliante disfatta mai registrata nella storia delle finali degli Europei e dei Mondiali e senso del pudore imporrebbe di scendere dal piedistallo prima di commentarla. Così non è andata però ieri a Cracovia. Rinfrancato dagli applausi con cui i giornalisti lo hanno accolto, Cesare ha gonfiato il petto e dato fiato al trombone: «Grazie, avete capito il nostro sforzo. Sono orgoglioso. In un Paese vecchio come l’Italia, noi abbiamo avuto la forza di cambiare e di portare avanti le nostre idee senza farci condizionare dal risultato».

Eh no, questo è troppo. Intendiamoci, nessuno vuol criticare l’opera del ct: è arrivato alla finale contro ogni previsione e gli intenditori giurano che ha fatto un eccellente lavoro e pertanto merita di restare sulla panchina azzurra.  Però non è un eroe; non è ancora Pozzo, Bearzot, Lippi e neppure Valcareggi, che l’Europeo riuscì a vincerlo. Prandelli ha giocato due partite entusiasmanti contro l’Inghilterra (senza però fare neanche un gol e spuntandola a quella che vien detta «la lotteria dei rigori») e soprattutto la Germania, ma la figura di domenica sera è stata barbina e i toni del giorno dopo devono tenerne conto. Forse Cracovia è troppo lontana per avvertirlo, ma gli italiani si sentono più umiliati che «orgogliosi» di com’è andata con la Spagna. Non dico chiedere scusa; sarebbe, per usare un’espressione dello stesso Prandelli, «vecchio», eccessiva cortesia, ma almeno non parlare come se si fosse vinto, questo si poteva fare.

Anche sull’evocato «cambiamento» ci sarebbe poi da ridire. E non solo perché prima di elogiare i cambi, bisognerebbe almeno averne azzeccato uno sul campo, altrimenti si rischia il ridicolo. Ma anche perché se il cambiamento è giocare senza badare al risultato ma solo alla coerenza delle proprie idee, allora – e solo per questo – vien da chiedersi se in vista del Mondiale brasiliano del 2014 non sia il caso di ringraziare Cesare, rendergli l’onore delle armi e cambiare subito cavallo.

O forse no: basta non prender troppo sul serio quelle parole. O meglio, prenderle per quel che sono: l’autodifesa di un onesto lavoratore di talento portato su dalle sue molte qualità e da un pizzico di fortuna e schiantatosi rovinosamente contro qualcosa di più grande di lui, un avversario e un evento che l’hanno travolto e non gli hanno fatto capire più nulla. Da qui, il «vecchio» vizio italico di cercare di trasformare una sconfitta in una vittoria e di giustificare la debacle con la moralità delle idee. Uno spettacolo più da politici che da sportivi, anche quando Prandelli scarica le sue responsabilità sui giocatori e afferma: «Dovevo cambiare formazione ma avrei mancato di rispetto a chi mi aveva portato fin lì»;  come a dire «avrei saputo cosa fare ma son troppo gentiluomo…». Ma più che da gentiluomo sembrano parole da marpione navigato, che alla vigilia con il vento in poppa detta le condizioni e minaccia: «Non so se resto» ma quando il sogno è finito raccoglie i cocci e scivola sulla palta come nulla fosse: «Fatemi lavorare, ho rivoluzionato il calcio italiano». Un’incoerenza, un gioco di parole, una finzione, come quella della Nazionale etica che ci ha venduto per due anni ma che sul campo schierava uno scommettitore  in porta, un indagato in difesa e due svitati in attacco che prima di arrivare a Varsavia ne hanno combinate di ogni. Poco male, non è certo per questo che Prandelli è da cacciare; a patto che da domani smetta di pontificare e di voler rieducare l’Italia attraverso il calcio e inizi a inseguire il risultato almeno quanto le sue idee. Libero, Pietro Senaldi, 3 luglio 2012

…………….Peggio di Prandelli solo un altro trombettiere, cioè il Presidente della Repubblica che prima ancora dellla partita aveva fissato per lunedì sera il ricevimento al Quirinale per i reduci da Kiev.  In cuor suo Napolitano,   che è ormai diventato un alfiere della retorica più bolsa, suggestionato dal risultato con la Germania, aveva di certo sognato di ricevere i campioni di Europa, invece ha ricevuto i birilli che nel campo di Kiev se le sono fatte dare di santa ragione senza neppure tentare di opporsi. E siccome la retorica, benchè, orrore!,  retaggio fascista,  è l’ultima a morire, Napolitano li ha ricevuto ugualmente, i birilli, al Qurinale per dir loro che “essi sono come l’Italia…. da rifare”, facendo il verso a Prandelli che a sua volta, ha accusato l’Italia di essere vecchia. Proprio come Napolitano che a 87 anni suonati  vuole apparire un ragazzino di primo pelo. g.

MONTI, MENAGRAMO, E’ ANDATO A KIEV PER NON CANTARE L’INNO NAZIONALE. PERCHE’ NON E’ RIMASTO A CASA?

Pubblicato il 2 luglio, 2012 in Politica, Sport | No Comments »

La gioia non si addice a Mario Monti. Il premier ha voluto essere a Kiev pur essendo notoriamente allergico al pallone, e qui giunto non ha dovuto nemmeno indossare il sorriso trionfale portato per l’occasione.

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei
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Chi era curioso di conoscere la versione esultante del professore dovrà aspettare un’altra occasione. E per il poverino la sentenza sui social network è già scritta: porta sfiga. Una condanna che Monti si è anche andato un po’ a cercare senza ribellarsi al suo destino. Seduto vicino a Michel Platini, presidente dell’Uefa, il Prof ha ascoltato l’inno senza cantarlo, ma muovendo un po’ la bocca tanto per, poi ha assistito alla disfatta degli azzurri con l’aria cupa del prozio invitato al battesimo del nipotino che rimugina su chi glielo ha fatto fare e su quanto gli è costato il regalo.

Il medagliere di Euro 2012 è questo: alla Spagna l’oro,all’Italia l’argento, agli esponenti del governo italico il bronzo delle loro facce. Perché se avessero avuto mezzo etto della coerenza mostrata nei due anni da ct da Cesare Prandelli, Monti e il suo ministro Piero Gnudi allo stadio Olimpico di Kiev non avrebbero dovuto mettere piede. Monti è l’uomo che al termine del match con la Spagna ha accettato in dono la maglia di Balotelli, ma è lo stesso che il 29 maggio, dopo gli arresti di calciatori invischiati nel calcioscommesse, propose uno stop al calcio di due o tre anni, confessando di trovare «inammissibile che vengano usati soldi pubblici per ripianare i debiti delle società » e meritandosi la piccata replica del presidente della Figc Giancarlo Abete: «Il calcio professionistico non riceve un euro di fondi pubblici». Monti, che nel suo smunto curriculum di tifoso vanta solo una tiepida militanza milanista nella immaginiamo turbinosa giovinezza, è sempre quello che il 15 giugno, per dimostrare il suo sovrano disprezzo per le sorti azzurre, non si preoccupò di sovrapporre il vertice bilaterale con il presidente francese François Hollande alla partita Italia- Croazia e si infastidì non poco al sommesso boato dei giornalisti alla notizia del gol di Pirlo che interruppe per pochi secondi la successiva conferenza stampa, porgendo imbarazzate scuse all’inquilino dell’Eliseo. Monti è di nuovo quello di cui la ministra Elsa Fornero alla vigilia di Italia-Germania disse che non sapeva per chi avrebbe tifato. Una battuta. Forse.

E Gnudi? Anche il ministro del Turismo e dello Sport avrebbe fatto miglior figura a restare a Roma. L’11 giugno visitando il quartier generale degli azzurri a Cracovia, valutando l’improbabilità di una controprova, fece il duro e puro: «Chi offende la democrazia, offende i cittadini», disse a proposito del governo ucraino che tiene in galera l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. E quindi scolpì nel marmo delle agenzie queste improvvide parole: «Quanto alla partecipazione alle partite che l’Italia potrebbe giocare in Ucraina, io sono intenzionato a rinunciare». Ops. Del resto Gnudi avrebbe preferito evitare questa patata bollente. Lo si arguisce da una lettura psicanaliticamente piuttosto elementare di una sua dichiarazione-lapsus rilasciata alle televisioni alla vigilia della semifinale con la Germania: «Stiamo facendo un bellissimo europeo e sono sicuro che stasera lo concluderemo nel migliore dei modi». Concluderemo? Ariops. In attesa all’ultima fermata del carro dei vincitori poi soppresso, Monti e Gnudi hanno smentito loro stessi e sono saliti su quell’aereo per Kiev. Mal gliene incolse: hanno dovuto parlare di «magnifica avventura» e di un secondo posto «che all’inizio avremmo sottoscritto al buio». Poi certo, c’era da salvare un po’ la faccia.

Così Monti ha escogitato un viaggio lampo (come se le gaffe si misurassero con l’orologio) e soprattutto si è inventato con il collega spagnolo Mariano Rajoy una lettera al presidente ucraino, Viktor Yanukovich, per trasmettere«il continuo sostegno sia dell’Italia che della Spagna alle aspirazioni europee dell’Ucraina» con tanto di richiesta di «visitare la signora Tymoshenko».

Dopo la partita, il Prof ha spiegato che «non c’era ragione per non venire a Kiev: è stata l’occasione per richiamare l’Ucraina a doveri di civiltà». Per non sembrar troppo maleducati, Monti e Rajoy hanno ringraziato nella loro missiva «il popolo ucraino per la calorosa accoglienza riservata alle nazionali e ai tifosi». Il Giornale, 2 luglio 2012

Riceviamo da Toronto:

Chi e’ stato l’idiota che ha invitato Monti allo stadio. Appena l’hanno inquadrato subito dopo l’Inno Nazionale mi sono reso conto che avremmo perso. Infatti i nostri hanno giocato con una totale mancanza di riflessi. Pareva fossero stonati cosi come Monti pareva di esserlo.

Quando tutti applaudivano il nostro Inno,  lui e’ sembrato come un pesce fuori dall’acqua. Un becchino qualsiasi avrebbe fatto una piu’ bella figura.  Carissimi, la prossima volta tenetevelo a casa.

Indubbiamente gli Spagnoli hanno meritato di vincere anche se in campo, dall’altra parte,  non c’era nessuno!

Nick Pinto

RUTELLI SCRIVE A FELTRI: LUSI E’ UN LADRO. E FELTRI REPLICA: IO NON INVITO I LADRI IN CASA

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

RUTELLI, IL BELLO GUAGLIONE DI PRODIANA MEMORIA, HA SCRITTO UNA LETTERA A VITTORIO FELTRI GRONDANTE INSIGNAZIONE E DISPERAZIONE PER LA VICENDA LUSI CHE SI E’ RIVELATO, SCRIVFE RUTELLI, UN TRADITORE E UN LADRO. LA REPLICA DI FELTRI CONCISA E IRONICA: IO NON HO MAI INVITAT I LADRI IN CASA. ECCO LA LETTERA DI RUTELLI E LA REPLICA DI FELTRI

Caro Feltri,
anche quando dissento da te – non capita di rado – ti leggo volentieri. La tua «Barzelletta dei vertici tenuti all’oscuro», pubblicata ieri, mi permette almeno di farti sorgere un dubbio.

Francesco Rutelli

Scrivi: «Il denaro è troppo importante per essere affidato a un furfante qualsiasi », a proposito dei milioni rubati dal tesoriere Lusi alla Margherita. Ma il punto è proprio questo: Lusi – dirigente scout, magistrato onorario, rompicoglioni ossessivo, capace di portare a casa dei bilanci del partito cospicuamente in attivo non si è dimostrato un furfante qualsiasi. Tutti gli atti giudiziari (si trovano anche su www. margheritaonline.com) attestano un’attività micidiale di artefazione e manomissione che ha tradito non solo tutti noi dirigenti politici, ma un illustre collegio di Revisori, il Comitato di tesoreria, la banca, il controllo successivo della Camera dei deputati. Controlli superficiali, dirai, a causa di norme permissive. È vero (mi batterò per rafforzarli ulteriormente, al Senato, quando approveremo la riforma del finanziamento dei partiti). Ma in un’inchiesta giudiziaria, ci sono gli imputati e ci sono le vittime. Noi siamo le vittime.
Grazie agli inquirenti, la Margherita è e sarà il primo partito politico a restituire allo Stato l’intero avanzo di bilancio (alla fine, circa 20 milioni di euro). Sappiamo che abbiamo sbagliato a scegliere Lusi, e che per questo ladrocinio subìto io per primo sto pagando un prezzo assai doloroso. So che subire tradimento, furto, diffamazione e dileggio può far parte del gioco. Eppure sono determinatissimo a uscirne con l’onore intatto: sono un politico che vive nella casa di famiglia, non si è arricchito, ed è tracciabile al centesimo.
Chi è Lusi? È un ladro.Confesso.Un traditore di chi ha avuto fiducia in lui. E il calunniatore delle sue stesse vittime. Almeno tu, caro Feltri, aiutaci perché non sia trasformato in una specie di giustiziere della politica. Grazie, con un saluto molto cordiale.
Francesco Rutelli

***

Caro Rutelli,
anche a me è capitato di essere vittima dei ladri, ma ti giuro che non li avevo invitati io a casa.Vittorio Feltri.

da Il Giornale del 26 giugno 2012

CASINI SI SCHIERA, UNA SALUTARE LEZIONE PER IL PDL, di Mario Sechi

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Politica | No Comments »

Il centro sbanda a sinistra. Questa potrebbe essere la brutale sintesi dell’annuncio di Pier Ferdinando Casini di allearsi con «i progressisti» (leggere alla voce Bersani e Vendola) in vista delle elezioni. Il fuoco incrociato è partito un secondo dopo. Ma non risolve il problema: cosa ne sarà dei conservatori italiani? Il futuro di un blocco sociale che è maggioranza nel Paese e più che mai in cerca di una rappresentanza credibile, è ancora tutto da scrivere. E la mossa di Casini in realtà potrebbe essere un’occasione da cogliere. Provo a spiegare perché. Casini è il leader di un partito che fino a poco tempo fa aveva coltivato l’idea di costruire un Terzo Polo, capace di attrarre i voti degli elettori delusi dal Pdl e dal Pd. Ma le prove tecniche con Fini e Rutelli sono state deludenti. I risultati delle elezioni amministrative hanno imposto a Pier un cambio di rotta. Una lieve correzione in realtà, perché questo è sempre stato il proiettile d’oro pronto all’uso nella cartucciera di Casini. E chi lo critica per la sua alleanza con il Partito Popolare in Europa e la sinistra hollandista di Bersani in Italia, purtroppo ha le polveri bagnate. Il Pdl ha offerto a Casini straordinari argomenti per giustificare la sua scelta: un percorso più che accidentato verso il postberlusconismo, una linea di stop and go sul sostegno al governo Monti, un progetto di scomposizione del Pdl che è una pietra tombale sull’idea di «riunire i moderati» e, dulcis in fundo, le esternazioni «no euro» del Cavaliere, un inseguimento del grillismo che allontana il Pdl dal centro della scena per scagliarlo verso l’ignoto. Con queste premesse, Casini ha ora gioco facile a presentare la sua scelta come quella della «responsabilità». Pier sarà un ottimo manovratore delle operazioni nel centrosinistra «devastizzato» (Di Pietro così è out), ma la sua scelta di campo libera uno spazio politico potenziale proprio dove lui ha navigato in questi anni: il centro. È lo spazio ideale per un partito conservatore forte, ben costruito, democratico, con una leadership rinnovata, aperto alla competizione che non ha paura di abbattere gli stereotipi della destra italiana. In questo momento quel partito non esiste, ma c’è un’esperienza, quella del Pdl, che deve essere salvata, rinnovata e rilanciata. Non è un’operazione-predellino, ma un progetto politico di medio periodo che prevede la sconfitta, la traversata nel deserto e la rinascita. I conservatori inglesi di David Cameron hanno dovuto aspettare più di un decennio prima di rimettersi in pista. Avevano la Thatcher, poi hanno sbagliato tutto con John Major e sono stati messi in quarantena nel 1997 dalla straordinaria leadership del laburista Tony Blair durata fino al 2007. Blair è uscito dalla scena politica a 54 anni. Il coraggio è quello di accettare la fine di un ciclo e farsi da parte. Mario Sechi, Il Tempo, 26 giugno 2012

………….Ma, purtroppoc’è un “ma” grande quanto un macigno. Il PDL, o quello che rimane di una idea che raccolse milioni di voti con una cospicua   maggioranza relativa appena 4 anni fa, non è il partiro conservatore iglese, anzi non è nemmeno un partito. Alla prova dei fatti e sopratutto delle traversie che l’hanno trafitto, il PDL ha mostrato tutti i suoi limiti, e tutta la sua fragilità di partito nato dall’alto che mai si è agamalgato in maniera tale da costituire un blocco che al momento opportuno e quando è necessario sa essere uno, unito e compatto. Proprio quando è sotto attacco mostra tutta la sua incapacità a reagire come fosse un unico corpo e una unica voce. Anzi, quanto più i suoi esponenti (da ultimo Formigoni..) sono sotto tiro, tanto più appare disordinatamente disperso rispetto agli avversari. Un partito,  anzi un non partito siffatto, non può essere lo strumento cui fa cenno e ripone fiducia il direttore Sechi. Se la manovra tutta  frutto di calcolata ingegneria personale di Casini andrà in port,  non basteranno dieci anni e non potranno essere gli attuali esponenti di centrodestra a guidare la dura attraversata del deserto, ma dovrà attendersi  l’arrivo di un nuovo condottiero che su un miracoloso cavallo bianco possa riportare alla vittoria il grande popolo di centrodestra, in un Paese che nel frattempo distruggerà ogni traccia  di  ciò che sembra destinato a rimanere  un grande sogno mai avverato. g.

CASINI VUOLE L’AMMUCCHIATA

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Politica | No Comments »

Tira aria di grande ammucchiata. Da Vendola a Casini, passando per Bersani e forse Di Pietro. Ma non solo. Una sorta di balena rossa è pronta a ergersi a salvatrice del Paese.

Vendola, Bersani, Casini, Di Pietro

Con l’ambiziosa convinzione di poter garantire stabilità a un eventuale governo del dopo Monti.

Casini ha gettato la maschera: vuol salire sull’arca di Bersani. E il segretario democratico non ha atteso un attimo ad accettare gongolante e a siglare un “patto” tra progressisti e moderati. Che non sembra altro che l’aggiornamento linguistico e temporale del vecchio compromesso storico tra comunisti e cattolici.

Qui nessuno deve fare la plastica facciale: Massimo D’Alema è Massimo D’Alema, è la sua storia, la sua presenza nel partito comunista, io sono un democratico cristiano che nella prima repubblica è stato alternativo al Partito comunista, ma arrivano momenti nella storia dei Paesi in cui è necessario mettere da parte l’orgogliosa rivendicazione delle proprie identità, dei propri passati e delle proprie radici e c’è la necessità di collaborare per il bene del Paese“, ha cercato di giustificare la sua scelta il leader dell’Udc.

Che ha subito raccolto anche il sostegno di D’Alema che, in un’intervista all’Unità, ha detto “sì al patto con i moderati, perché va sconfitto chi vuole impedire che si esca dalla crisi con uno spostamento a sinistra“.

Insomma, anche per l’ex diessino è necessario “un asse forte per il dopo Monti per dare stabilità all’unica prospettiva realistica per il Paese”. Difficile scommettere sulle garanzie di stabilità assicurate da una ammucchiata che vedrebbe ultracattolici e ultralaici scontrarsi su temi scottanti come l’aborto, l’eutanasia, le coppie di fatto, i matrimoni tra omosessuali, per non parlare poi di politica estera, sicurezza e via dicendo. Ma al momento né a Casini né a diversi esponenti del Pd questo rischio pare dar pensiero.

Quello che conta è stare insieme. Almeno sulla carta e assicurarsi un posto in Parlamento. La pensa così anche il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che in una intervista al Mattino si dice fautore di “un grande patto costituente tra progressisti e moderati che escluda dal governo i populismi di Grillo, Berlusconi e Di Pietro“.

A giudizio di Letta, l’alleanza con Nichi Vendolaè nella logica delle cose ma dipende dal progetto, non si possono proporre alleanze prescindendo dai programmi, occorre una chiara coesione sulle cose da fare“.

Insomma, Vendola sì, Di Pietro ni. Pare essere questa l’idea di Letta. Idea suffragata anche da Dario Franceschini, secondo il quale Vendola è “imprescindibile, è una persona responsabile, conosce bene la situazione del Paese e sa che potrebbe avere grande spazio per far sentire le proprie ragioni“, mentre Di Pietro “si è costruito un suo percorso con altri criteri. O tira le cannonate e insegue Grillo e il vento dell’antipolitica per incassare qualcosa; o si colloca nella prospettiva di governo”. O l’ex pm si allinea o rimarrà fuori dai giochi: sembra essere il messaggio indiretto del capogruppo Pd alla Camera.

Che poi spiega che “da molto tempo lavoriamo all’ipotesi di una asse tra progressisti e moderati perché serve un consenso sociale il più largo possibile, serve avere dietro sindacati e imprenditori, laici e cattolici, pensionati e giovani delle partite Iva“. E già questa dichiarazione sembra la certificazione del calderone priva di una valutazione dei rischi di tenuta e di scontro che si manifesterebbero.

Se c’erano ancora dubbi, adesso vengono fugati: la foto di Vasto va definitivamente in cantina. O se volete, si allarga. Con Casini che siede alla destra di Bersani e Vendola alla sua sinistra. Di Pietro rischia di essere tagliato fuori. E Fini?

Ripudiato, emarginato e non menzionato. Nella sua apertura al patto con i progressisti, Casini infatti non lo ha nemmeno nominato per sbaglio. Tanto che Carmelo Briguglio si è sfogato su Twitter così: “A Palermo Fli si prese i fulmini di Casini perché scaricammo Costa che accettò il Pdl con cui poi l’Udc si alleò contro di noi. Ora Casini scarica il Pdl e annuncia il patto col Pd. Ok e Fini?”. Non menzionato, appunto. Il Giornale, 26 giugno 2012

.………..Povero Fini, da principe ereditario o delfino designato di Berlusconi, a capo di u grande partito di centrodestra, a miserabile mendicante di un posto in Parlamento. Con il rischio, assai concreto, di fare la fine di Bertinotti, suo immediato predecessore sullo scranno più alto di Montecitoiro. Pure lui passò dallo scranno più alto alla più clamorosa trombatura. g.

IL PROBLEMA DEL PDL? MANCANO LE IDEE, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | No Comments »

Da anni siamo accusati di essere servi di Silvio Berlusconi e non abbiamo modo di difenderci. I nostri argomenti non sono presi in considerazione. Adesso che quelli di Repubblica , Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro in testa, fondano un partito (o lista civica o come lo si voglia chiamare) dichiaratamente di sinistra, destinato a fiancheggiare o dirigere il Pd, dipende dai punti di vista, ci domandiamo: sono anche loro servi di qualcuno, magari di Pier Luigi Bersani, o questi è un servo del giornale romano? Misteri della stampa italiana.

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Comunque ci sentiamo meno soli. E andremmo avanti per la nostra strada, se ne avessimo una. Invece assistiamo sbigottiti alla lotta per le primarie. Già. Le primarie. Un tempo non piacevano a nessuno, ora piacciono a tutti, specialmente nelle maggiori (si fa per dire: occhio a Grillo) forze politiche. Il Pd le ha adottate subito con risultati punto entusiasmanti per i propri candidati, regolarmente battuti da gente estranea alla nomenclatura: Giuliano Pisapia e Marco Doria, per citare due personaggi di peso. Anche il Pdl recentemente ha deciso di regalarsi questo tipo di avanspettacolo elettorale, nella speranza di divertire i propri aficionados, sempre meno numerosi, stando almeno ai sondaggi di cui il Cavaliere è stato un anticipatore nell’utilizzo finale. Un eccesso di democrazia non disturba mai: si facciano le primarie, così siamo tutti felici e contenti. Ma siamo sicuri che i candidati sia del Pd sia del Pdl abbiano ciascuno un programma idoneo a incantare gli elettori? Non sembra.

Nella presente congiuntura abbiamo l’impressione che i partiti si preoccupino poco o niente delle cose da fare e molto delle poltrone, forse perché, a differenza dei problemi, sono in via d’estinzione. Infatti, i consensi per la destra e per la sinistra calano. Di conseguenza, in caso di consultazioni, caleranno anche, e di parecchio, i seggi disponibili per entrambi gli schieramenti. Dei quali farà quindi incetta il Movimento 5 stelle, come si evince dalle ricerche demoscopiche. I progressisti hanno qualche idea, pur sbagliata e in contrasto con la loro tradizione: si sono venduti ai banchieri sostenitori dell’Unione europea e dell’euro, le cui finalità sono note; la principale, distruggere le peculiarità culturali delle nazioni e promuovere la finanza predatoria, affinché questa diventi il motore del mondo. D’altronde,lacrisi è stata provocata dalle banche dispensatrici di titoli tossici e di bolle. La destra, invece, annaspa nel vago. Non ha capito che se i ricchi stanno con la sinistra, c’è qualcosa che non va nei ricchi o nella sinistra. Un’alleanza scellerata. I dirigenti del Popolo della libertà, anziché tenere il piede in due scarpe (europeismo e antieuropeismo), dovrebbero scegliere una linea politica antitetica rispetto a quella degli avversari, prendendo atto che la stragrande maggioranza degli italiani non ne può più dell’euro e dei suoi stolti padrini. Un partito che non interpreti il comune sentire del proprio elettorato si apparecchia per non avere successo.

Un Pdl né carne né pesce, incerto e litigioso al proprio interno, dove trionfano i cacciatori di poltrone di risulta, non è in grado di guadagnare punti, ma si predispone a perderne ulteriormente. In mancanza di una scelta netta contro una Ue senza capo né coda, esso agevola soltanto Beppe Grillo, il quale ha davanti a sé una prateria da occupare, non avendo concorrenti. Lasciare a lui l’esclusiva dell’antieuropeismo ( e non solo) significa per i berlusconiani rinunciare a essere alternativi al Pd e ai neoservi che lo sostengono. Non è una novità: in politica è competitivo un gruppo ben connotato, distinguibile dalla massa grigia che tira a campare. E non è opponendosi al divorzio breve e al matrimonio fra gay che il Pdl riconquista i propri elettori o ne raccoglie di nuovi.

Figuriamoci, in un periodo come questo, quando anche la Chiesa è in disarmo a causa delle risapute vicende, reggere la coda ai preti non paga, forse addirittura penalizza. È comico definirsi liberali ma poi non essere indipendenti nell’aprire la società a richieste pressanti provenienti dal basso e altrove accolte, guardando al Vaticano come se fosse un faro in materia di diritti civili. Il problema, caro Angelino Alfano, è darsi una politica originale e convincente nei suoi principi, non selezionare un candidato premier che, con questi chiari di luna, e con un partito malconcio, non potrebbe mai vincere alle urne. Vittorio Feltri, Il Giornale, 20 giugno 2012

..…………….Feltri è in odore di candidatura nel PDL, ma se va avanti di qusto passo, nel dire la verità sul PDL, la stessa che noi andiamo dicendo da mesi e che hanno detto da ultimo gli elettori che l’hanno abandonato  è difficile che la candidatura ci sarà davvero. Ma forse la cosa importa poco a Feltri che, speriamo, intende continuare a dire e a fare ciò che fa e dice da sempre: la nuda verità, appunto! g.

COMPRERESTI UN’AUTO USATA DA LORO? di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | No Comments »

Qualcuno ricorderà lo slogan coniato contro Nixon, il presidente pasticcione, intrallazzone e incapace di risolvere i problemi degli americani, dai suoi rivali democratici: «Comprereste una macchina usata da quest’uomo?».

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È la stessa domanda che mi viene in mente guardando la solita foto ricordo dei grandi del mondo scattata al termine dell’ennesimo inconcludente vertice: comprereste una macchina usata da gente che dopo averci trascinato, a vario titolo, in questo casino planetario ora non ha la più pallida idea di come tirarci fuori? In questi anni i cosiddetti grandi del mondo non ne hanno azzeccata una. Grazie anche all’impuntatura della Merkel non hanno salvato la Grecia quando farlo sarebbe costato poco o nulla, più o meno tutti hanno consegnato i loro paesi nelle mani di banchieri e finanzieri che in cambio di appoggi elettorali hanno avuto mani libere contro di noi, con la benedizione di Obama hanno tagliato la gola a Gheddafi, l’unico amico che l’Europa aveva in Nordafrica, spianato la strada all’insediamento di regimi islamico-integralisti, pensato di fermare la carneficina siriana con l’invio di osservatori disarmati. L’elenco sarebbe lungo e alcuni dei responsabili, come Zapatero e Sarkozy, non sorridono più di fronte ai fotografi accreditati. Ma le macerie restano e i loro successori si guardano bene dal rimuoverle. Discutono, si riuniscono ormai ogni settimana ma la ricetta non arriva. Anni fa ci spacciarono l’euro come il nostro Eldorado. Stiamo provando sulla pelle che rischia di essere la tomba, almeno per noi. Cosa ancora stanno aspettando a mettere tutte le carte in tavola lo sanno solo loro. Proprio come i venditori di auto usate. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 20 giugno 2012

L’OROLOGIO DEI PARTITI E’ SEMPRE FERMO, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 giugno, 2012 in Politica | No Comments »

La politica può essere fuori dalla storia? No, ma alcuni soggetti che la costituiscono possono subirla fino ad esserne espulsi. È quel che sta capitando al sistema dei partiti italiani. Nonostante le differenze, i movimenti politici provano lo stesso senso di smarrimento. Sentono di essere con un piede fuori dalla storia e stanno disperatamente cercando la mossa per rientrarvi. Nessuno dei grandi partiti che ha solcato le acque mosse della politica italiana negli ultimi vent’anni è in grado di offrire una narrazione convincente del presente e una visione del futuro. Il Pdl è piombato in una crisi d’identità causata dal passo indietro di Berlusconi, il fondatore; il Pd è stato trascinato nella crisi dai vortici causati dall’affondamento del governo di centrodestra. Finita la stagione dell’anti- i democratici si sono ritrovati senza una missione. Il Centro come spazio politico di manovra ben presto s’è mostrato un’illusione, un miraggio nel deserto del consenso in dispersione, astensione e libera uscita dai due blocchi originati dalla crisi del 1992. Costretti a inseguire l’avvenimento del giorno, un’agenda confusa che non controllano, i partiti sembrano rabdomanti ciechi a caccia dell’acqua, i voti perduti. Milioni. A pochi mesi dalle elezioni, con un governo tecnico in caduta libera di consensi, stretto tra «esodati» e «spread», prigioniero di un linguaggio che ne mostra la modesta cifra politica, il Paese non sa nulla di programmi, coalizioni, proposte per il domani e perfino la legge elettorale è una enorme nebulosa. Nel frattempo la crisi economica si sta mangiando il lavoro, sta consumando pezzi importanti di realtà produttiva, sta spostando la ricchezza finanziaria verso altri Paesi. L’impatto della contemporaneità sull’establishment italiano è stato devastante: un sistema cristalizzato, con una gerontocrazia somigliante a quella dei mandarini cinesi, uno Stato onnipresente e vorace, improvvisamente scricchiolano fin dalle fondamenta. Tutto cambia, ma niente gattopardescamente potrebbe cambiare. Per una ragione semplice:non ci sono regole per competere, ma sistemi per cooptare e nominare. Le eccezioni confermano la regola e, quando serve, la «combine» sistema tutto. Accade per le elezioni primarie nei partiti (attendo con ansia i contorcimenti nella scrittura del regolamento per quelle del Pdl), accade per le nomine della Rai (dove la «società civile» del Pd è una mascherata ultramilitanza), accade perfino per le richieste d’arresto di parlamentari inquisiti (esemplare sarà oggi il voto sul caso del senatore Lusi). Accade, in Italia. Ci sarà una nuova narrazione?Faccio fatica a vederne una costruttiva. Le lancette dell’orologio sono ancora ferme all’ora del piccone. Mario Sechi, Il Tempo, 20 giugno 2012