Archivio per la categoria ‘Politica’

IL DIRETTORE DI LIBERO LANCIA UN SONDAGGIO SUL PDL: DIMETTETEVI TUTTI. ECCO IL PRIMO RIULTATO

Pubblicato il 23 maggio, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

Dopo la batosta alle amministrative nessuno nel partito si prende le sue responsabilità. Secondo il direttore di Libero è ora di rivoluzionare il movimento. Siete d’accordo?

Belpietro al Pdl: "Dimettetevi tutti"

Sì, dimettetevi tutti

89%

No, non è tutto da buttare

11%

UN ALTRO ERRORE E GRILLO RINGRAZIA, di Mario Sechi

Pubblicato il 23 maggio, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

Beppe Grillo A che punto è la notte? È buio. E lo sarà a lungo. Continuo a pensare alla tragedia più breve di Shakespeare, al Macbeth, quando osservo il declino dei partiti. Scrivono la fine con le loro mani. E non se ne rendono conto. Sono attaccati al pouvoir pour le pouvoir, al potere per il potere, si accapigliano su temi insignificanti per l’elettore in tempi di crisi e non riescono a trovare una soluzione condivisa sul loro finanziamento. Da una parte chi è all’opposizione, dall’altra i governativi. Ieri la maggioranza Pdl-Pd-Udc ha bocciato tutti gli emendamenti che chiedevano l’abolizione del finanziamento pubblico. È un grave errore politico e di comunicazione. Il Parlamento dovrebbe avere il coraggio di discutere questo tema con una grande sessione, in diretta televisiva. Un referendum nel 1993 abolì il finanziamento pubblico, i partiti – con l’eccezione dei radicali – lo fecero rientrare dalla finestra con la formula del rimborso elettorale. Una legge truffa che al contribuente è costata miliardi di euro. Così si getta benzina sul fuoco, si fa un favore a Grillo. La fiducia dei cittadini nei partiti è al minimo storico (non è un’opinione, ma un fatto) e se la politica vuole essere credibile deve dire come vuole finanziarsi e non votare senza spiegare. Signori partitanti, guardate i dati Istat sulla povertà delle famiglie italiane e fatevi un esame di coscienza. Così non va. Così si allarga il fossato. Così vince chi urla di più. Penso che il finanziamento pubblico vada abolito, ma comprendo le ragioni di si oppone e dice che la plutocrazia partitocratica è un rischio. Un fatto è certo:questa rapina di Stato non può continuare. E dimezzare il rimborso non serve a niente se non si vara una riforma dei partiti, il riconoscimento della loro personalità giuridica, l’apertura di un processo di trasparenza e democrazia interna. C’è bisogno di ricordare lo scandalo della Lega e quello della Margherita?Rubavano a piene mani. E non venitemi a dire che con le società di revisione i bilanci saranno immacolati. Siamo seri. Parmalat era un’azienda a prova di bomba secondo le società di revisione, peccato che i bilanci fossero falsi. Come i partiti: fanno finta di cambiare affinché tutto resti uguale. Gattopardeschi. Senza essere romanzeschi. Mario Sechi, Il Tempo, 23 maggio 2012

…………Ieri, quando i tg davano notizia che l’anomala maggioranza che sostiene il governo Monti, PDL-PD-UDC, ha respinto gli emendamenti della opposizone tendenti ad eliminare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti, abbiamo fatto un salto sulla sedia. Avevamo appena scritto, a proposito del tonfo elettorale del PDL, che le ragioni di ciò andavano ricercare sia  sulla mancata realizzazione delle promesse elettorali, sia sulla mancata realizzazione delle attese ora più avvertite dagli elettori, e tra queste citavamo appunto l’abolizione dei finaziamenti pubblici ai partiti, scandaloso esempio di sperepero di danari pubblici, ancor più mentre la gente non solo stringe la cinghia, ma avverte, specie nel nostro Sud, i morsi della fame. Non solo. Per bocca di Alfano, il PDL, poche settimane fa, aveva annunciato la volontà di rinunciare per sempre  ai finanziamenti pubblici per dare vita ad una forma diversa e “americana” di finanziamento della politica. Invece ieri il PDL, in buona compagnia, in compagnia del PD, erede del PCI che finazniava la sua attività con rubli sovietici, e dell’UDC, che rumoreggia sulle lobbys che secondo il suo capo, l’eterno ragazzo Casini, avrebbero così nelle mani i partiti, come se egli stesso non sia più che imparentato con una delle lobby più potente d’Italia, cioè quella dell’immobiliarista  romano Caltagirone, ieri, dicevamo, il PDL si è smentito e mentre ha dimezzato la rata di luglio del finanziamento della campagna elettorale del 2008, ha bocciato l’abrogazione sic et simpliciter dei finanziamenti, proposta da Radicali, Lega e IDV, certo, queste due ultime forze politiche forse per ragioni propagandistiche in vista delle prossime elezioni politiche, ma comunque interpretando i sentimenti e ancor più la rabbia della gente che sente la parola partiti e avverte lo stomaco rivoltarsi. E’ bastato questo per vanificare, anche per i più volenterosi che avrebbero voluto credere alla buona fede di Alfano quando ieri l’altro annunciava cambiamenti radicali nel PDL, ogni speranza di cambiamento e ogni determinazione a mettere in campo idee e iniziative capaci di restituire al partito,  che ancora oggi , sebbene  sempre meno credibile,  rappresenta l’elettorato di centrodestra, il ruolo di interprete dei sentimenti di questo elettorato. E’ un peccato, e anche se non eravao fra quelli che avevano dato credito alle parole di Alfano, pure proviamo un misto di delusione e rabbia profonda dinanzi a tanta incoerente incapacità di capire il momento storico che stiamo vivendo. Anzi, ci sembra di rivedere un fil già visto. Nel 1992, mentre le fiamme della contestazione bruciavano i partiti, la DC votava la legge elettorale uninominale che sarebbe stata la sua tomba e si limitava a cambiare nome al partito, tra l’altro con un atto che una recente e ormai definitiva sentenza della Magistratura ordinaria di Roma ha dichiarato ileggittimo. Ileggittimo o meno, comunque, quell’atto non servì a nulla, anzi fu un implicito riconoscimento di responsablità morali che non erano della DC, al più di taluni suoi rappresentanti la cui responsabilità penale per fatti illeciti era meramente personale.  Così come la DC non seppe rispondere all’attacco dei suoi avversari con la determinazione e la forza della ragione nel 1992-1993, allo stesso modo il PDL, che come nel 1994 Forza Italia, rappresenta  anche gli elettori di centro che guardano a  destra, piuttosto che svincolarsi da una maggioranza che lo porterà alla tomba, insiste in una direzione sbagliata, specie se si pensa che è difficile che si ripeta oggi il fenomeno che impedi 20 anni fa  alla sinistra di conquistare il potere. Errare è peccato, perseverare è diabolico,  Peggio per chi non lo capisce. g.

SALTO DEL GRILLO. TONFO DEL PDL, di Mario Sechi

Pubblicato il 22 maggio, 2012 in Politica | No Comments »

Beppe Grillo È scomparsa anche l’orchestrina, ma il Titanic della politica continua a viaggiare contro l’iceberg, nonostante sia pieno giorno e il gigante di ghiaccio visibile. I ballottaggi confermano quel che il primo turno aveva fatto emergere: i partiti si stanno squagliando senza neppure provare a riformarsi. Scenario: pochi votanti, partiti sempre più piccoli, nuove forze emergenti. Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che elegge un sindaco con una votazione bulgara in una città borghese come Parma, conservatrice anche quando è progressista, produttrice di establishment e lontana dall’ultrapop, dimostra che gli elettori sono in libera uscita. Chi pensa a un caso isolato, sbaglia. La faccia del neo sindaco Pizzarotti trasmette un’aria di normalità e le idee non sono esoteriche. Beppe fa il saltimbanco, ma i suoi candidati sono con i piedi per terra. Se funziona là, andrà bene anche altrove. E gli altri? Sono tutti agonizzanti. Anche il Pd che canta vittoria lascia sul terreno molto sangue: a Genova, Parma e Palermo è suonato il de Profundis per i suoi candidati. I Democratici usano una vecchia tattica: fanno proprie le vittorie degli altri, ma restano le loro sconfitte. Detto questo, il Pd è ancora in piedi. Anche se per demerito altrui. Dove «l’altrui» è da leggersi come Pdl. Il partito di Berlusconi esce malissimo dal voto. È vero, non ha più l’alleanza con la Lega (che perde sette ballottaggi su sette), paga in parte l’appoggio al governo Monti, ma il Pdl così com’è non è un progetto politico spendibile. Alfano lancia una «nuova offerta». Vedremo. Non è solo un problema di nomi e vecchie file da cambiare, ma di sostanza. Vogliono «riunire i moderati» e già la parola, «moderati», fa venire in mente un’assemblea alla casa di riposo Anni Azzurri e non un partito che si rinnova. E poi quali moderati? Si pensa di riproporre lo schema di vent’anni fa? Quel mondo non esiste più. La Lega è in declino e tra il Bossi delle camicie verdi e il Maroni degli occhiali rossi qualche differenza corre, l’Udc è un partito pocket con Casini in cerca d’autore, il resto dell’allegra brigata non esiste. Manca meno di un anno al voto e il Pdl ancora non ha chiarito le seguenti cose: 1. Chi sarà il candidato a Palazzo Chigi; 2. Qual è il programma del partito; 3. Qual è l’alleanza di governo; 4. Qual è la visione per il futuro del Paese. Mi fermo qui, mi pare sufficiente. Il Pdl vota Monti – e in queste condizioni non può fare altro – ma poi tira a campare, senza sapere dove andare. Buon viaggio.Mario Sechi, Il Tempo, 2 maggio 2012

.……………Non avremmo saputo descrivere meglio l’agonia di quello che fu un grande partito e prima ancora un grande sogno. Il PDL ieri ha ricevuto l’estrema unzione dagli elettori che stanchi di aspettare ripensamenti e/0 cambimenti di rotta,  hanno deciso o di non andare a votare o di votare ad altri, e non è il caso di discettare se hanno votato Grillo o altri, anche la sinistra.  Magari turandosi il naso, perchè Grillo, in primo luogo,  non è una soluzione, è solo un moschetto, ma lo hanno fatto. Senza che nessuno li abbia teleguidati perchè è finito il tempo delle teleguide, ora gli elettori non ne hanno davvero bisogno. Gli elettori del PDL al 70% sono contrari al governo Monti e  in questi mesi non hanno nascosto il loro disappunto, e nonostante ciò il PDL ha continuato a sostenere il governo dei dilettanti allo sbaraglio, buono solo a tassare, tassare, e ancora tassare, oppure a lasciare soli i cittadini dinanzi alle calamità, come si è appreso l’altro ieri, quando sulla testa dei terremotati dell’Emilia si è abbattuta come una  doccia fredda la notizia che nella riforma della Protezione Civile, voluta da Monti,   smantellata e privata di autonomia finanziaria, è previsto che lo Stato non risarcirà più i cittadini per i danni subiti da terremoti o altre calamità naturali,ma al massimo consentirà uno sconto fiscale sulle assicurazioni contro i danni che i cittadini dovranno stipulare con le compagnie assicurative a chissà quali costi per tutelarsi dalle calamità atmosferiche. A prescindere dal solito e ulteriore regalo alle assicurazioni (parenti strettissime delle Banche)  non v’è dubbio che questa è una decisione che non può non ulteriormente falcidiare la residua fiducia dei cittadini nello Stato. Torniamo al PDL. Frastornato dalla batosta elettorale, il segretario del PDL, Alfano,si è affrettato a dire che il PDL deve cambiare e ha proposto, come ricorda Sechi, l’unione dei moderati. Questa è retorica spicciola da mercato rionale. Il problema, anzi i problemi,  sono altri, e di certo non possono essere risolti con le solite e ormai desuete formulette con le quali anche nel recente passato si sono abbagliati gli elettori. Gli elettori del centrodestra, che a milioni, avevano dato fiducia al PDL hanno visto vanificato il loro voto e tradite le loro attese che erano quelle di vedere uno Stato riformato nelle istituzioni,  una burocrazia meno invasiva, un sistema fiscale più equo,  un sistema giustizia velocizzato e rispettoso dei diritti dei cittadini, una classe dirigente scelta dagli elettori e non nominati dall’alto, il costo della politica drasticamente ridotto senza se e senza ma, ad incominciare dagli enormi finanziamenti pubblici che hanno consentito ruberie e profitti illeciti. Le istanze tradite sono state il detonatore della fuga dal PDL, non dal centrodestra, degli elettori che lo avevano copiosamente votato nel 2008 e sino al 2008. A  questi elettori l’unica risposta che ha saputo dare Alfano è quella riposta nella formula “magica” della unione dei moderati, magica quanto vuota. Come vuota è l’idea di cambiare nome al partito, avanzata da altri esponenti del PDL. Il problema non è il nome, fatto meramente formale, ma sono i fatti, ad incominciare dalla prosecuzione di un esperimento di governo che non ha prodotto alcun risultato, salvo le vacue affermazioni di Monti, cui si accompagna come un cantante stonato il gran capo Napolitano,  che “il Paese ce la farà“. A quale prezzo? E sopratutto come ci arriveranno gli italiani al traguardo il cui orizzonte si sposta in avanti ogni volta che un qualsiasi  evento non previsto si verifica? Certo la  cura da cavallo di Monti, alla lunga, potrebbe  pure dare un risultato  più o meno positivo (il pareggio di  bilancio in due anni, di un disavanzo pazzesco creato in 50 anni),  ma potrebbe accadere che nel frattempo l’ammalato, guarito , muoia, magari sano, ma muoia, epilogo farsesco di un tragedia “greca”. E qui che si misura la classe dirigente di un grande partito, che altrimenti non è. g.

L’80 % DEI PROVENTI DI EQUITALIA VENGONO DAI LAVORATORI A REDDITO FISSO

Pubblicato il 19 maggio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »


Ricordate i “botti” fiscali di Capodanno per festeggiare (in anticipo) i primi cento giorni del neo premier Rigor Montis? Con la perla delle Dolomiti, Cortina d’Ampezzo, presa d’assalto dai cacciatori di scontrini fiscali. E con i grandi giornali a brindare all’inconsueta messinscena pirotecnica. Anche se Lor signori della carta(straccia), e i suoi direttori, più che applaudire al blitz degli esattori facevano festa per una ragione assai meno nobile: lo scampato pericolo di una patrimoniale secca che avrebbe colpito le tasche dei loro editori.

Già, i Poteri marci che, rispetto ai lavoratori dipendenti, non hanno il prelievo alla “fonte” (dalla busta paga) e a volte godono pure dell’Iva al 4%. Oltre a poter schierare, sul campo fiscale, agguerriti tributaristi. Nel caso di controversie con l’agenzia delle entrate. Lusso che non un artigiano o un bottegaio di paese.

L’Italia del commercio non è soltanto Cortina o via Montenapoleone.
Storia vecchia, si dirà, ma finora non si era mai visto un governo composto di tanti garruli Superciuk. Stiamo parlando dell’antieroe dei fumetti creato da Max Bunker, l’opposto di Robin Hood, che ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Nel suo pamphlet sui contribuenti-sudditi “La mano che prende, la mano che dà“, edito da Raffaello Cortina, il filoso tedesco Peter Sloterdijk, osserva che il giornalismo politico dei nostri giorni “riformula in mille varianti quattro luoghi comuni”. E tra questi “luoghi comuni” c’è, da parte della stampa, quello di sollevare solo polveroni.

“E il buon uso dello scandalo – osserva Sloterdijk – diventa uno strumento per tenere in vita il potenziale utopico del modo di vivere politico chiamato democrazia”.

Nell’Italia degli Indignados à la carte (dei padroni) c’era, addirittura, chi parlava di “rivoluzione delle tasse” dopo aver assistito ai fuochi fatui accesi dalle fiamme gialle nel ricco presepe ampezzano. Senza nemmeno aver dato una sbirciatina su come funziona e opera davvero la burocratica macchina trita-contribuenti avviata dai vari governi della cosiddetta seconda Repubblica.

Una struttura dai costi di gestione mostruosi: oltre un miliardo di euro l’anno. Pagati ovviamente, dai poveri tartassati di turno.
I ricavi di Equitalia? Qualche spicciolo di milione.
Del resto, sosteneva l’ex presidente americano Ronald Reagan “chi paga le tasse è uno che lavora per lo Stato senza essere un impiegato statale”.

Così, nell’ubriacatura (fiscale) di fine anno qualcuno anche a sinistra-sinistra (il Fatto) scambiava pure l’amministratore di Equitalia, il puffo Attila Befera, per un Lenin dell’aggio (altrui).Tant’è, che il Signorotto delle imposte con “tassi di usura” (9%), attratto dal profumo d’incenso che lo stava avvolgendo, si è presentato davanti alla folla di adulatori (i media) per promuovere il marchio Equitalia. Che grazie agli exploit televisivi di Befera, rovesciando lo slogan di una ditta di cucine, ben presto è diventato il più odiato dagli italiani.

E il risultato più grave e negativo delle performance di Attila è stato soltanto uno: nel giro di pochi giorni l’agenzia delle entrate, e i suoi solerti dirigenti, sono diventati un simbolo del male e l’obiettivo sconsiderato di violente e ingiustificate contestazioni.
Tutte azioni condannabili senza se e senza ma.

A tirare sassi contro le vetrine di Equitalia non erano però i proprietari di auto Suv o i bottegai infedeli, come avevano immaginato i soloni di carta(straccia).
A gridare la propria protesta erano i milioni di cittadini a reddito fisso. Lavoratori la cui dichiarazione fiscale è fatta, tra l’altro, dai propri datori di lavoro.

Secondo alcune stime, mai smentite dai gabellieri di Stato, l’80% degli incassi di Equitalia proviene dalle tasche dei salariati dipendenti, pensionati e da piccoli professionisti.
Spesso vessati per qualche centinaio di euro (il mancato pagamento del canone Rai) con ganasce alla propria auto o l’iscrizione d’ipoteche sulle abitazioni.

I Grandi Profitti, invece, possono dormire sonni tranquilli anche sotto il governo di Rigor Montis e del suo scudiero (fiscale) Attila Befera.
Così nel panorama dell’informazione, che dovrebbe rappresentare l’opinione pubblica, ancora una volta sono stati i propri lettori a far cambiare registro ai giornali.
E poi gli editori si lamentano della perdita di copie in edicola!

Una valanga di lettere spedite alle redazioni ha fatto giustizia su come funziona davvero (In)Equitalia.
Eppure, facciamo l’esempio del Corrierore guidato stancamente dal disincantato Flebuccio de Bortoli, aveva sotto mano la coppia di Gabibbo alle vongole, i mitici Stella&Rizzo, per andare a dare almeno un’occhiatina su come funziona e opera la burocratica macchina da guerra pilotata da Attila Befera.
Niente, invece.

Dei due Indignados à la carte (dei padroni) uno era impegnato a fare le bucce a qualche disgraziato delle comunità montane; l’altro a difendere l’ing. Giuseppe Orsi, amministratore di Finmeccanica, che è accusato di “riciclaggio internazionale” dai giudici di Napoli.
Se fosse stato un parlamentare con un simile fardello (inquisitorio) sulle spalle, Sergio Rizzo, ne avrebbe chiesta la decapitazione sulla piazza del Parlamento.

E nemmeno una riga si è letta su chi oggi guida la politica fiscale dell’Italia.
Il premier Rigor Montis o Attila Befera?
Dopo la sciagurata soppressione del ministero delle Finanze per creare un superministero dell’Economia – accorpando insieme Tesoro e Bilancio -, la delega nel campo dei tributi è stata lasciata dal governo dei bocconiani, come ha ricordato il professor Enrico De Mita sul “Sole 24 Ore”, all’Agenzia delle entrate.
Con i risultati politici, economici e sociali che sono sotto gli occhi di tutti.

E sorprende che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, scrupoloso garante della Costituzione non si sia accorto, come osserva ancora Enrico De Mita, che è proprio la carta repubblicana che “affida concretamente e non apparentemente la politica tributaria al Governo e al Parlamento”.

Altrimenti, in assenza di un’azione istituzionale, si finisce sotto la scure del gabelliere-riscossore Attila Befera.
E gli italiani onesti, per citare nuovamente il filosofo Peter Sloterdijk, sono trasformati “da cittadini di uno Stato a titolari di un codice fiscale”. 19 maggio 2012

.……….Scriveva Svetonio che “il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle”

GOVERNO MONTI: LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI CROLLA AL 35%, LA META’ DI NOVEMBRE

Pubblicato il 19 maggio, 2012 in Politica | No Comments »

    Il premier Mario Monti La luna di miele con il Professore è già finita. Mentre Mario Monti si prepara a presentare al G8 un’Italia verso la guarigione e «con le carte in regola per chiedere la crescita», nei confini nazionali il consenso per il suo governo crolla ai minimi storici. I dati sono quelli dell’istituto di ricerca Swg e fotografano un Paese che vede sempre meno in Monti l’uomo della provvidenza: solo il 35% degli intervistati, infatti, dichiara di avere ancora fiducia nel Premier. Una perdita di tre punti percentuali rispetto a una settimana fa, addirittura un dimezzamento dei consensi rispetto all’impressionante 71% di apprezzamento di cui disponeva il presidente del Consiglio lo scorso 17 novembre, il giorno dopo aver prestato giuramento con la sua squadra dal Capo dello Stato. Gli italiani non si fidano più di Monti, e il dato è tanto più significativo se si pensa che persino al momento delle prime riforme impopolari, a partire da quella delle pensioni, il consenso del Professore aveva mantenuto dei livelli record. Tra gennaio e marzo, infatti, la percentuale di chi appoggiava il capo del governo era stabilmente tra il 57 e il 59% degli intervistati. Merito dello sbandierato decreto sulle liberalizzazioni, poi in parte svuotato dopo estenuanti trattative con i partiti, ma merito soprattutto di un’economia che sembrava avviarsi verso la ripresa, con gli indici dello spread che si riavvicinavano ai livelli ante crisi. Il mondo internazionale appluadiva Monti, Time gli dedicava addirittura la copertina chiedendosi se fosse proprio lui l’uomo in grado di salvare l’Europa dal declino. Poi sono arrivati altri provvedimenti impopolari, il pasticcio dell’Imu (quanto si pagherà? Nessuno ancora sa dirlo) e la risalita dello spread. «Il problema – spiega il vicepresidente di Swg, Maurizio Pessato – è che non si vede via d’uscita. L’immensa attesa riposta nel governo non è stata soddisfatta. Si teme che anche questo esecutivo sia destinato al galleggiamento. Ad esempio, quando si parla di un tema sensibile come la legge elettorale, il fatto che il governo si dichiari incompetente e demandi tutto al Parlamento finisce col trasmettere un’immagine di impotenza». Immagine che non può non travolgere gli stessi partiti che sostengono Monti. Nelle intenzioni di voto, il Pdl è in caduta libera (18%, altri due punti in meno rispetto a sette giorni fa) e anche il Pd non se la cava bene: 24%, un punto in meno di quanto poteva vantare prima delle amministrative. Crescono in maniera esponenziale i grillini, che arrivano a sfiorare il 14% e si consolidano come terzo partito italiano. Ma a descrivere la sfiducia degli italiani rispetto all’attuale agone politico è soprattutto un altro dato, quello dell’area non voto. Quasi un elettore su due, il 43.7%, non esprime gradimento per nessun partito. In parte perché ha intenzione di astenersi alle prossime politiche (21.1%), in parte perché indeciso (22.6). «È la fotografia di una proposta politica vecchia – conclude Pessato – incapace di fornire le giuste risposte ai problemi dei cittadini. Non è un caso se il solo partito a registrare una vera crescita sia il Movimento Cinque Stelle, l’unica novità attualmente in campo».Carlantonio Solimene, Il Tempo, 19 maggio 2012

    LA CORSA ALLO SPORTELLO IN GRECIA E IN SPAGNA. E’ LA FINE? SPERIAMO DI NO.

    Pubblicato il 18 maggio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

    Quando il popolo corre allo sportello, le cose cominciano a prendere una piega incontrollabile perché a dominare è la paura. In Grecia e Spagna siamo a questo punto: i correntisti chiedono il cash perché non hanno fiducia nelle banche. Atene torna alla Dracma? Si ritirano euro per evitare la svalutazione. Bankia viene salvata dal governo spagnolo? Todos caballeros, ma meglio non fidarsi di chi sta in piedi con i soldi pubblici. Questo è il sentimento irrazionale che anima i mercati.
    È un film già visto nella storia dell’economia mondiale. Quello che fa scuola è il crac del 1929. La lezione degli anni Venti è grandiosa e terribile. Rileggere il «Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith è più che un tuffo nel passato, un’emersione straordinaria nel presente: in quelle pagine ci sono tutti gli attori di oggi. Le Borse che guadagnano e perdono punti a raffica da un giorno all’altro, i politici che guardano, litigano, ma non capiscono cosa sta succedendo, gli speculatori che ci marciano alla grande e il popolo – ah, il popolo – che pensa alla crescita esponenziale, al guadagno infinito e facile. Irrazionalità. Azzardo. Casinò. Al punto da far scrivere a Galbraith: «Nessuno fu responsabile del grande crollo di Wall Street. Nessuno manovrò la speculazione che lo precedette. Entrambi furono il prodotto della libera scelta e della libera decisione di migliaia di individui. Questi non furono condotti al macello. Vi furono spinti dalla latente follia che ha sempre travolto la gente presa dall’idea di poter diventare ricchissima». Accadde con la speculazione sui tulipani. Figuriamoci, la storia si ripete. E mentre i governi non trovano una soluzione cartesiana al caos finanziario che sta uccidendo l’economia europea, i popoli trovano nell’irrazionalità la risposta: la fila allo sportello. Quando ieri sui terminali dei computer è comparsa la notizia della corsa al contante in Spagna, ero in compagnia di due signori che la finanza la conoscono fin troppo bene. Ragionavamo sulla possibile rottura dell’Eurozona. Eravamo fermi alla guerra del Peloponneso. Ma il fumo che saliva era quello del vulcano iberico. Ci siamo guardati in faccia. Frase sottintesa: «È finita». Poi sono rientrato in redazione e mi sono chiesto: è davvero il game over? Una cosa è discutere del «Grexit», dell’uscita di Atene dall’Euro, un’altra è ipotizzare un contagio continentale che parte con la corrida. Un punto è indiscutibile: senza risposte credibili dei governi, il panico prenderà il timone della nave. E la condurrà sugli scogli.
    Sulla nave ci siamo anche noi italiani. Bisognerebbe ricordarlo ai politici.Mario Sechi, Il Tempo, 18 maggio 2012

    ALLA REGIONE SICILIA ASSUNTI “30 CAMMINATORI”. E ARRIVA A QUOTA 17.200 DIPENDENTI, SEI VLTE LA LOMBARDIA

    Pubblicato il 17 maggio, 2012 in Cronaca, Politica | No Comments »

    camminatori,sicilia,costi della politicaCome la Germania, la pubblica amministrazione della Regione Sicilia non conosce la crisi e assume alla grande: via libera a 157 posti da chauffeur, 55 da sorveglianti di musei per Palermo, che si aggiungono ai 1600 (sic) già esistenti, e ora anche 30 “camminatori” per portare i documenti da un ufficio all’altro della Regione. Sì, avete capito bene.

    Definizione di “camminatore”: “fattorino per commissioni; usciere che, in ministeri o uffici amministrativi, è incaricato di recpaitare letter circolari, plichi, ecc. da un ufficio all’altro”. La voce è tratta dal dizionario Treccani e la riporta, al fondo del suo pezzo, Mattia Feltri che su La Stampa fa le pulci ai 17.200 dipendenti pubblici siciliani, una cifra enorme, quasi 6 volte maggiore di quella della Lombardia.

    E sui camminatori, Feltri commenta che saranno retribuiti “in cambio dell’instancabile opera delle loro gambe che li condurranno da una stanza all’altra di palazzo d’Orleans (la sede della Regione) a trasferire documenti, cartellette, incartamenti, faldoni, pratiche, fascicoli e dossier dal mittente X al destinatario Y, poiché il mittente X e il destinatario Y hanno già il loro bel daffare. Una mansione certamente di responsabilità, ma anche piuttosto suggestiva in tempi di crisi e di Internet”. E se mandassimo tutti quanti il nostro CV? Peraltro, camminare fa bene alla salute. Fonte Virgilio.it, 17 MAGGIO 2012

    ALL’AQUILA IL PARTITO DI FINI VENDE VOTI IN CAMBIO DI POLTRONE

    Pubblicato il 17 maggio, 2012 in Politica | No Comments »

    Il sindaco de L'Aquila Cialente Una città devastata dal terremoto, dal lutto, da una ricostruzione difficile, da una corruzione che emerge tra mattoni vecchi e nuovi, da una crisi che si accanisce contro la rinascita, meriterebbe una politica dal volto umano, un impegno diverso dei partiti, una trasparenza non solo dichiarata ma praticata. E invece no. All’Aquila sembra che neanche questo elementare impegno sia possibile. A tre giorni dal ballottaggio per eleggere il sindaco della città, emerge un carteggio davvero istruttivo tra i partiti. I protagonisti sono il Pd e Futuro e Libertà i quali in campagna elettorale sbandierano «alti ideali», propositi di rinascita, ricostruzione, rilancio morale e via discorrendo. Poi si spengono i microfoni e torna la realtà. Quella delle poltrone e dei posti di comando barattati per l’appoggio al secondo turno, con tanto di scambio di lettere, protocolli d’intesa e manuale Cencelli. I più cinici diranno che si usa così, ma vedere in un luogo simbolico come L’Aquila esponenti del Partito Democratico offrire posti per avere voti, francamente, è troppo anche per uno allenato a vederne di ogni colore. I duri e puri di Futuro e Libertà trattavano il loro gruzzolo di consensi in cambio dei seguenti incarichi: un assessore, la presidenza di una municipalizzata, un consigliere d’amministrazione nella Asm, la presidenza di una commissione consiliare, la presidenza del collegio dei revisori dell’Ama, un posto nel collegio dei revisori del Comune, un consigliere d’amministrazione nella Gran Sasso Acque, un membro nel consorzio dei Beni Culturali, un pacchetto di consulenze e contratti part-time. Tutto ciò conferma che il Paese ha bisogno di un nuovo inizio. Finché i partiti non la smetteranno di occupare e lottizzare ciò che va assegnato per merito e non per cooptazione di regime, l’Italia non farà alcun passo in avanti. Il candidato sindaco Cialente dirà che quell’accordo non si è realizzato materialmente, è saltato. Solo formalmente – per l’opposizione di altre liste – visto che dai carteggi emerge un impegno a dare contropartita in nomine in cambio di appoggio elettorale sottobanco da parte di Fli. Non siamo di fronte a un fatto di provincia, ma alla metafora dell’Italia. Un suk politico che suscita una profonda rabbia e tristezza. Nella città dove la ricostruzione post-terremoto ha visto gli sciacalli in azione, si consumano commerci politici da basso impero e i partiti continuano a fare e disfare come in questi mesi nulla fosse successo e tutto va bene madama la marchesa. Sì, L’Aquila è ferita, ma gli avvoltoi volano ancora in alto. Mario Sechi, Il Tempo, 17 maggio 2012

    ………………..Che il PD, che della questione morale ha sempre fatto il suo cavallo di battaglia e che della sua immacolatezza abbia fatto sfoggio ad ogni occasione, compreso l’altra sera in TV con Bersani che più che un aspirante premier ci sembrava un buon venditore di tappeti, abbia mercanteggiato l’appoggio di altri partiti al ballottaggio di domenica all’Aquila,  non meraviglia. Non meraviglia perchè è da un pezzo che il PD, ex Pci, ex Pds, ex Ds, ha gettato la falsa maschera di perbenismo per mostrarsi del tutto uguale agli altri partiti, nè, in fondo meraviglia la notizia in se, perchè è da un pezzo che tutti i partiti, nessuno escluso, hanno trasformato la politica in un grande, immenso mercato perr trarre vantaggi per sè e per i propri cari.I casi della  ex Margherita e della Lega, esplosi e riesplosi in questi giorni, anzi in quesste ore, sono significativi e riguardano tutti. Nè meraviglia che nel mercato dell’Aquila, uno dei contraenti dell’affare sia il partito dei cosiddetti duri e puri del FLI, tutti o quasi tutti ex An, tutti o quasi tutti ex MSI. Non meraviglia pechè la fuoruscita dal PDL di Fini e camerati (ormai “compagni” a tutti gli effetti) non fu affatto determinata da ragioni di cuore ma da ragioni di posti, presenti e futuri. Sopratutto futuri. Però la realtà fu abilmente mascherata, cosicchè si tentò di far passare la spaccatura tra Fini e Berluscojni come un ritorno alla “fede” antica, a quella missina. Non era vero. Lo abbiamo sempre saputo e questa squallida vicenda dell’Aquila lo conferma. Come conferma che per il FLI, cioè Futuro e Libertà, cioè Fini,  nell’oscurità della notte tutti i gatti sono bigi, cioè si può passare sopra a tutto,  e andare da destra a sinistra, senza alcuna remora nè morale nè politica, pur di guadagnarsi un posto al sole.Salvo gli incidenti di percorso come la pubblicaizone del prezzo concordato per il sostegno al candidato di sinistra all’Aquila, così come prezzo  ampiamente pubblicizzato per il sostegno del FLI barese al sindaco Emiliano a Bari doveva essere un assessorato nella Giunta di sinistra, accordo anche questo saltato per l’imponderabile intervento di una tonnellata di cozze pelose. Dovremmo dolerci per questa inqualificabile caduta di stile di ex militanti della destra  missina, ma non ce n’è bisogno visto che secondo gli ultimi sondaggi del FLI e di Fini e dei suoi camerati-compagni tra poco meno di un anno non si sentirà più parlare. g.

    IL PIANTO GRECO SUL MURO TEDFESCO, di Mario Monti

    Pubblicato il 16 maggio, 2012 in Politica | No Comments »

    Grecia al voto E adesso cosa succede? A sentire i panzer di Berlino, niente. Il ministro delle Finanze tedesco Schauble ieri ha subito confermato che il nuovo voto in Grecia «non cambia la situazione e Atene deve attuare il suo programma per rimanere nell’Euro». Il seguito delle dichiarazioni di Schauble è rivelatore: «La Grecia deve eleggere un governo che rispetti i termini di salvataggio internazionale per rimanere nell’Euro». Traduzione: i greci devono eleggere non il loro esecutivo, ma quello che piace a Berlino. È questa la plastica rappresentazione della «germanizzazione» dell’Europa e le sue conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. In realtà, con buona pace del falco Schauble, in Europa sta succedendo di tutto e il percorso dell’Euro è più che mai a rischio. Atene avrà un suo governo provvisorio, nel frattempo il quadro economico peggiorerà per effetto della cura «brussellese» che sta sfasciando l’economia e bruciando un’intera generazione: oggi la Grecia ha il 51% dei giovani disoccupati. I tedeschi proveranno a giocare duro, con l’arma della minaccia e facendo leva sulla paura, per sollecitare un voto «pro-Euro», ma a Berlino non brillano per fantasia e infatti è probabile la proliferazione del caos e la crescita ulteriore delle liste di estrema destra e sinistra, un massiccio avanzamento dell’area «fasciocomunista». Il partito di estrema sinistra, Syriza, da solo dovrebbe conquistare secondo gli ultimi sondaggi altri 50 seggi in Parlamento. Il trionfo del «no Euro». Politicamente la situazione rotola verso l’uscita della Grecia dall’Eurozona entro l’estate. La vera domanda da porsi a questo punto è se il default debba avvenire subito o più tardi. Non a caso ieri il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, evocava un’uscita «ordinata» dall’Eurozona. Soluzione che a Washington hanno studiato da tempo. In ogni caso il Fondo e l’Unione Europea di aprire un ombrello, ma nella totale incertezza sugli effetti collaterali del default. Un problema risolvibile qualche anno fa con l’iniezione di 50 miliardi di euro, rischia di diventare la pietra tombale della moneta unica. L’Ecofin di ieri, d’altronde, è la metafora della situazione: un flop. Perfettamente in linea con l’incertezza middleuropea. Cosa fare? Bisognerebbe riprendere l’iniziativa politica, cambiare il memorandum dell’intesa con la Grecia e far leva sulle difficoltà di Atene non per strangolare il suo popolo. Quali? Uscire dall’Euro significa tornare alla Dracma: i greci sono in grado di farlo? Ne dubito. Il kaos (alla greca) è assicurato. Ma oltre ai dipendenti pubblici di Atene (strangolati) finiamo per pagarlo noi al posto dei tedeschi. Morire per Berlino no, salvare Atene sì. Mario Sechi, Il Tempo,  16/05/2012

    ..……………..Ma non può essere il governo del germanofilo Monti a salvare Atene mandando a picco l’alleanza con la Germania, anzi la sottomissione italiana ai diktat della neonazista Angela Merkel. Una ragione di più per mandare all’aria il governo Monti, restituendo alla poltica il suolo ruolo e la sua responsabilità, previo elezioni anticipate. g.

    COLLOQUIO TELEFONICO TRA MONTI E OBAMA: CHISSA’ SE MONTI HA RIFERITO A OBAMA CHE LO SPREAD IERI HA TOCCATO 450 PUNTI

    Pubblicato il 16 maggio, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

    Mario Monti-Barack Obama (Washington, 9 febbraio 2012)

    Colloquio telefonico tra il premier italiano e il capo della Casa Bianca in cui si è parlato della situazione economica in Europa e della necessità di intensificare gli sforzi per promuovere crescita e occupazione.

    .….Lo riferisce l’ANSA questa mattina, naturalmente fornendo notizie diramate dall’ufficio stampa del premier italiano, lo stesso ufficio che, smentito clamorosamente, aveva dato notizia di un presunto ringraziamento di Obama a Monti qualche settimana fa, risultato falso. Comunque, quel che l’Ansa non riferisce è se Monti abbia riferito  a Obama  durante la telefonata che ieri lo spread tra i titoli di stato italiano e quelli tedeschi ha toccato i 450 punti, risalendo ai picchi dello scorso novembre in virtù dei quali fu chiamato in veste di salvatore della Patria. Sarebbe interessante sapere a chi abbia dato la colpa Monti di questa nuova impennata dello spread, ma c’è da giurare che secondo Monti  la colpa è dei mercati, mentre prima era di Berlusconi. g.