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UN PAESE DA REINVENTARE, di Mario Sechi

Pubblicato il 12 aprile, 2012 in Politica | No Comments »

Mentre il caos avanza, gli autori classici vengono in nostro soccorso con frasi che emergono dalla memoria e assumono significati fino a quel momento sconosciuti. Mentre infuria una sanguinosa battaglia politica, mentre i partiti si avviluppano nel deserto delle idee, mentre là fuori i forconi avanzano, mentre l’economia è spread e bufera, ecco farsi vicino Shakeaspeare, con il foglio animato dal turbine nero di Macbeth, metafora del potere, delle sue brame, dei suoi errori ed orrori.
Macbeth: «Vi sarà sangue, dicono: sangue vuol sangue, si è saputo di pietre che si sono mosse, e di alberi che hanno parlato; àuguri e ben intesi raccostamenti, per mezzo di piche, di gracchi e di corvi, hanno fatto scoprire l’assassino il più nascosto. A che punto è la notte?».
Lady Macbeth: «Quasi alle prese con la mattina, per decidere chi sia delle due».
A che punto è la notte dell’Italia? È quasi alle prese con la mattina, per decidere se restare buio e dissoluzione o rinascere e regalarci un’alba e un nuovo inizio. La cronaca è impietosa e i personaggi sono quelli di una tragedia.
Una delle donne del «cerchio magico», Rosi Mauro, è artefice, complice e caprio espiatorio di una storia di familismo amorale e distrazione di fondi. Non si dimette, senza misura e umanità amici e avversari la chiamano «la strega» e il Senato della Repubblica la «brucia» e sostituisce per salvaguardare «il decoro dell’istituzione», come se a Palazzo Madama tutto splendesse d’oro e d’argento. C’è un capo carismatico in declino, Umberto Bossi, che guida una gattopardesca operazione di «pulizia» del suo clan con i fedelissimi di sempre. C’è un delfino, Roberto Maroni, che nuovo non è, al fianco del capo da vent’anni, che quando parla condivide pulsioni secessioniste, mitologie posticce, ampolle, scudi e spadoni. C’è un Nord in cerca di rappresentanza, di lavoro e giustizia fiscale. C’è una nuvola grigia di comparse che va e viene sul palcoscenico, c’è la moltitudine impaurita dei partiti in cerca di un copione, di una storia nuova da raccontare, di una scena non strappata dalla scure della giustizia, un informe teatro che attende un autore che sappia dargli vita, scienza e coscienza.
C’è un Paese, l’Italia, da reinventare. Mario Sechi, Il Tempo, 12 aprile 2012

.…C’è solo da chiedersi se ci sia il tempo prima della catastrofe e chi e come  si debba fare. g.

I PARTITI NON SI TAGLIANO NEMMENO UN EURO…E INVENTANO UN’ALTRA COMMISSIONE. E INTANTO I CITTADINI PAGANO PER I LORO LUSSUOSI PASSATEMPI

Pubblicato il 12 aprile, 2012 in Politica | No Comments »

I tecnici dei tre partiti che reggono la maggioranza, dopo ore e ore di trattativa, hanno trovato l’intesa: non si toglieranno nemmeno un euro. Dopo gli scandali, dopo tesori spariti e tesorieri indagati, fondi pubblici finiti in Tanzania e rimborsi elettorali di partiti ormai morti “investiti” in prelibati piatti al caviale, dopo gli enormi sacrifici chiesti al Paese, gli “sherpa” – così sono stati chiamati, come le guide del Nepal ingaggiate per le spedizioni ad alta quota sull’Himalaya – hanno deciso che i partiti non rinunceranno a nulla. Sarà solo più facile – questo il risultato della mediazione – per i cittadini capire quanti soldi hanno. Controlli affidati a una Commissione sulla trasparenza a partire dai rendiconti del 2001, pubblicazione dei bilanci su Internet, obbligo di investire esclusivamente in titoli di Stato e impegno a trasformare l’intesa «in norma di legge nel giro di pochi giorni». Dopo giorni di discussioni e di impegni formali presi ai più alti livelli istituzionali, ecco la «storica» riforma dei finanziamenti pubblici ai partiti. Ma come? Non dovevano tagliare i rimborsi? Mettere un freno a quella mangiatoia che dal 1994 è costato ai cittadini 2,2 miliardi di euro? Almeno rinunciare a quell’ultima tranche del finanziamento che deriva dalle politiche del 2008? Si tratta di 100 milioni di euro complessivi che potrebbero essere dirottati altrove. «Per il sociale», come propone Antonio Di Pietro. Anche perché i bilanci di tutte le formazioni politiche sono in attivo. Non sarebbe un grosso sacrificio. E invece no. L’erogazione del finanziamento – così anticipa il segretario del Pd Pier Luigi Bersani – verrà rinviata a dopo il 31 luglio. Rinviata? Perché? A quando? «Si tratta di un rinvio tecnico – spiega Antonio Misiani, tecnico del Pd – la nuova commissione per la trasparenza inizierà subito il suo lavoro. Cambiando la commissione, cambiano i tecnici». Nessuna rinuncia, insomma? «Assolutamente no. Se Di Pietro vuole, che rinunci pure», è la risposta. E se è vero che per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione e le regole sul finanziamento ci si rimetterà ai tempi del calendario parlamentare già fissato – bisognerà aspettare maggio – è anche vero che quanto fatto – «è una svolta storica», dice Misiani – non convince del tutto. Una Commissione di controllo “ad hoc” composta da presidente della Corte dei Conti, presidente del Consiglio di Stato e Primo presidente della Cassazione; bilanci controllati da società di revisione riconosciute dalla Consob e pubblicati su internet; in caso di «irregolarità, i presidenti di Camera e Senato potranno applicare, su proposta della Commissione, sanzioni amministrative pecuniarie pari a tre volte» le irregolarità commesse. Sono questi alcuni dei punti centrali dell’accordo raggiunto. In più, i partiti potranno investire «esclusivamente» in titoli di Stato e dovranno rendere pubbliche tutte le donazioni che supereranno i 5mila euro. Le contribuzioni dei partiti a fondazioni, enti e istituzioni o società superiori ai 50 mila euro annui comporteranno poi l’obbligo «per questi ultimi di sottoporsi ai controlli della Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti». Tutte queste misure, assicurano in un comunicato congiunto i tecnici Gianclaudio Bressa e Antonio Misiani per il Pd, Massimo Corsaro, Donato Bruno e Rocco Crimi per il Pdl, Pino Pisicchio, Benedetto Della Vedova e Giampiero D’Alia per il Terzo Polo verranno «trasformate» in un emendamento da presentare al decreto fiscale ora all’esame della commissione Finanze della Camera. Una proposta di modifica che verrà depositata dei relatori visto che i termini per la presentazione degli emendamenti al testo è scaduto ieri. Soddisfazione viene espressa da Bressa e Pisicchio al termine della riunione. «Si è raggiunto un punto di equilibrio giusto ed efficace – commenta Bressa – in linea con le migliori esperienze europee». «A maggio – avverte il deputato dell’Api Pisicchio – ci sarà anche una netta diminuzione dei rimborsi elettorali». Speriamo. Intanto, tra le altre novità introdotte, si prevede appunto che l’attività di controllo della Commissione verrà avviata già sui rendiconti relativi al 2011 e che i bilanci dei partiti saranno pubblicati sui siti Internet delle varie forze politiche e su un’apposita sezione del sito di Montecitorio. Per quanto riguarda i partiti «che non percepiscono più rimborsi elettorali», questi «saranno comunque soggetti all’obbligo di rendicontazione (di cui alla legge 2/1997) fino al loro scioglimento». E mentre il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa avverte di aver già dato incarico a «una delle più importanti società di revisione a livello internazionale di certificare il bilancio del partito per il 2011 e per gli anni successivi», Di Pietro bolla come «accordicchio» l’intesa raggiunta. Come dire, invece di guidare i propri partiti e tutto il Paese sulla montagna (l’Himalaya), gli sherpa hanno partorito un topolino. L’ennesimo. Nadia Pietrafitta, Il Tempo, 12 aprile 2012

.………L’arroganza dei politicanti nelle cui mani è fiunito il nostro povero Paese è senza limiti. Nonostante l’urlo di rabbia che sale da ogni parte d’Italia, dal centro al nord, dal nord al sud sino alle isole, da ogni parte poltiica, dalgi elettori di destra, di sinistra e di centro, nonostante gli apparenti piagnistei, i ladri di stato quali orami sono i partiti, tutti, hanno deciso di non tagliarsi nemmeno un euro dei loro cospicui finanziamenti nascosti dietro la fittizia maschera dei rimborsi elettorali. Ieri, riuniti in conclave i “tecnici2 dei partiti, merntre i loro capi si esibivano in TV, come Casini che parlava da Vespa come se lui non avesse mai fatto parte di acluna combriccola e fosse esente da responsabilità di govenro, ieri, dicevano, i tecnici hanno partorito l’ennesima begffa per i cittadini. L’accordo raggiunto, come emerge dalla attenta analisi del Il Tempo, è una presa per i fondelli che sa dell’incredibile. I poartiti si sono accordati per mettere su l’ennesima commissiuone che dovrà vagliare i bilanci dei partiti i quali pezze di appoggio ne trovano quante ne vogliono e intanto non si tagliano nemmeno un euro e anzi sono pronti a incassare la quarta rata del “rimborso” delle politiche del 2008, 100 milioni di euro, duecento milairdi delle vecchie lire, con la sola concessione del rinvio di qualche settimana rispetto alla scadena del 31 luglio 2012. Insomma, se ne infischiano dei cittadini, delle loro proteste, della loro rabbia, delle tasse che li stanno uccidendo, dello spread che alla faccia di quell’imbranato di Monti continua  a salire rendendo vani i sacrifici sin qui imposti alla gente, e imperterriti si ingrassano ancora di più. Ci pare che l’0unica rispposta a queste facce di bronzo sia ormai una sola: la lotta per mandarli via. Al più presto. g.

I PRIVILEGI DI FINI: SPESE ILLIMITATE

Pubblicato il 10 aprile, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

LA CAMERA IN TEMPI DI CRISI NON RINUNCIA AI PRIVILEGI PER PRESIDENTE, VICEPRESIDENTI E QUESTORI

Spese di rappresentanza senza limiti per il presidente della Camera. E la possibilità di accedere al fondo anche per i vice, per questori e segretari.

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini, non dovesse bastare il già cospicuo stipendio che percepisce, accumula anche un ulteriore serie di privilegi, ben superiori a quelli dei colleghi che non occupano la sua poltrona.

Li elenca ITALIA OGGI. Se ogni deputato incassa ogni mese qualcosa più di 16.000 euro, tra diaria, indennità parlamentare e rimborsi vari, a Fini ne vanno di più. Un totale che supera i 20.000 euro, se si contano 4223,83 euro di indennità d’ufficio e un rimborso ulteriore per le spese telefoniche di 154,94 euro. Non solo. Analizzando il capitolo “Prerogative” dei documenti salta poi all’occhio la dicitura “plafond illimitato”. Dunque non bastano le cifre di cui sopra. E ItaliaOggi sottolinea anche che in realtà le spese per cui Fini potrebbe avvalersi del plafond sono davvero limitate, considerando che si dota anche di un piccolo esercito di tredici persone di staff.

E se non bastasse, a usufruire del fondo spese non è soltanto il presidente della Camera. Ci sono anche i vicepresidenti (quattro), i questori (tre), i deputati segretari (tredici).

Quindi anche Antonio Leone, Rosy Bindi, Maurizio Lupi e Rocco Buttiglione. Che sebbene abbiano un’indennità d’ufficio minore, che si ferma a 2815,89 euro (e li porta a incassare poco più di 19.000 euro al mese), hanno accesso a un fondo di rappresentanza di 12.911.42 euro all’anno. E – come Fini – franchigia postale, telefonini e auto di servizio. Oltre a una segretaria e a sette addetti. Il tutto in tempi di crisi e di governo tecnico. Molto poco sobrio.Il Giornale, 10 aprile 2012

Ecco quanto scrive ITALIOGGI:

Quel plafond illimitato di Fini

di Franco Adriano


Un plafond illimitato per le spese di rappresentanza per il presidente. Quasi tredicimila euro netti per i quattro vicepresidenti e i tre questori. Diecimila euro per i 13 deputati segretari. Italia Oggi è venuto in possesso di un documento sulle prerogative interne all’Ufficio di presidenza (vice-presidenti, questori e segretari) e dei presidenti delle giunte e commissioni della Camera dei deputati, che dimostra – con gli importi netti dichiarati in bella evidenza – quanto sia ancora lontano dalla realtà il Palazzo: da chi deve stare sul mercato nel pieno di una crisi economica.

I conti in tasca all’onorevole

Ora, considerato che a un deputato semplice finiscono in tasca – netti – 5486,48 euro di indennità parlamentare (l’unica cifra su cui paga le tasse), 4003,11 euro di diaria di soggiorno, 4190 euro di rimborso spese forfettario eletto-elettore (tramite il proprio gruppo parlamentare), un rimborso spese accessorie di viaggio che va da 1107,9 euro (I fascia) a 1331,7 euro (II fascia) ed infine 258,24 euro al mese di rimborso forfettario per le spese telefoniche, per un totale – si sottolinea ancora: netto – di almeno 16.119,19 euro al mese, agli ulteriori privilegiati in questione va ben di più.

A Fini 20.498 euro netti al mese e rimborsi no limits

Si parte naturalmente dalla testa, ossia dalle competenze spettanti al presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Dal citato documento si vede come al netto di oltre 16mila euro mensili che finiscono in tasca a ciascun deputato, per il presidente si aggiungono 4223,83 euro di indennità d’ufficio e un ulteriore rimborso spese telefonico di 154,94 euro, per giungere ad un totale di almeno 20.497,96 euro netti al mese. L’ufficialità delle cifre dice tanto, ma non tutto. Basta soffermarsi al capitolo «Prerogative», infatti, per essere colpiti da due paroline: “Plafond illimitato” relativamente al “Fondo spese di rappresentanza”. Allora, l’autovettura di servizio, la franchigia postale e la dotazione di “apparati telefonici mobili” ad libitum, rischiano di non fare più notizia o di passare in secondo piano. Il punto è che il presidente della Camera di spese in proprio ne ha davvero poche considerato che da disposizione interna, si dota di uno staff di tredici persone: un consigliere della Camera con funzioni di Capo della segreteria, un portavoce, due addetti di V o IV livello che il presidente può scegliere anche fra estranei all’amministrazione. Se sono dipendenti della Camera guadagnano rispettivamente 4406,8 euro netti al mese e 3030,9 euro netti (la retribuizione è corrisposta per 15 mensilità e le tre mensilità aggiuntive sono di importo inferiore in quanto non comprendono l’indennità di segreteria). Vi sono, infine, sei addetti di IV, III o di II livello scelti tra i dipendenti e tre addetti scelti tra estranei alla Camera la cui retribuzione è parametrata al II livello dei dipendenti Camera (2394,84 euro netti al mese per 15 mensilità).

Anche Bindi, Buttiglione, Leone e Lupi stanno a cavallo

I vice presidenti Antonio Leone (Pdl), Rosy Bindi (Pd), Maurizio Lupi (Pdl) e Rocco Buttiglione (Udc) hanno un’indennità d’ufficio minore rispetto a Fini (2815,89 euro netti anziché 4223,83) che li porta ad incassare 19.090,02 euro netti al mese. Ma Leone, Bindi, Lupi e Buttiglione hanno anche loro un fondo spese di rappresentanza. Non con un plafond illimitato, come quello di Fini, ma mica da buttare via: si tratta di 12.911,42 euro all’anno. Almeno, incassando come qualsiasi deputato i 4190 euro di rimborso spese eletto-elettore, pagheranno i francobolli, si potrebbe pensare. E, invece, no. Come Fini hanno la franchigia postale, la dotazione di telefonini e l’auto di servizio. A ciò si aggiunga una segreteria di ben sette addetti.

I questori Albonetti, Colucci, Mazzocchi come i tesorieri

Dei questori della Camera e del Senato, dei loro alloggi di servizio e del personale a disposizione si è già detto tanto. Occupandosi dell’amministrazione di Montecitorio sono un po’ come i tesorieri del partiti: devono stare un’unghia sopra gli altri. È interessante notare, per esempio, come Francesco Colucci (Pdl), Antonio Mazzocchi (Pdl) e Gabriele Albonetti (Pd) abbiano quasi la stessa indennità d’ufficio dei vice-presidenti 2820,76 euro netti al mese contro 2815,89. Sono cinque euro, ma non sono una bazzecola: dicono chi conta concretamente di più fra le due cariche nei confini della fattoria Montecitorio.

Segretari baciati dalla fortuna

E veniamo ai 13 segretari di presidenza. Qui le motivazioni delle indennità speciali percepite, rispetto a quelle dei deputati semplici, si fanno sempre più imperscrutabili. Vabbè, devono collaborare con il presidente «per assicurare la regolarità delle votazioni in assemblea». Ma perché diavolo incassino, oltre a 2014,83 euro mensili netti come indennità d’ufficio giustificati da questa finalità, anche fino a 10.329,14 euro di rimborso annuo per le proprie spese di rappresentanza (600 euro in meno dei questori), non si capisce proprio. E, poi, come per tutti i membri dell’ufficio di presidenza hanno: almeno quattro addetti anche esterni per la loro segreteria, l’auto di servizio, la franchigia postale, telefonini. I fortunati sono: Giuseppe Fallica (Grande Sud-Ppa), Gregorio Fontana (Pdl), Donato Lamorte (Fli), Lorena Milanato (Pdl), Mimmo Lucà (Pd), Renzo Lusetti (Udc), Emilia Grazia De Biasi (Pd), Gianpiero Bocci (Pd), la storica tesoriera dell’Idv, Silvana Mura, Giacomo Stucchi e Guido Dussin (Lega Nord), Angelo Salvatore Lombardo, fratello del governatore siciliano, e Michele Pisacane (Noi Sud).

Presidenti di commissione, i più sfortunati fra i privilegiati

Apparentemente non ha senso che i deputati segretari incassino la stessa indennità d’ufficio dei presidenti di giunte e commissioni che hanno ben altre mansioni. I presidenti di commissioni e giunte, poi, hanno un fondo di rappresentanza di soli 3600 euro annui (e per di più si pagano pure le spedizioni postali a differenza dei membri di presidenza). Eh sì, tra «i più uguali degli altri» della Camera, i più sfortunati, si fa per dire, sono proprio loro: Maurizio Migliavacca, Pierluigi Castagnetti, Donato Bruno, Giulia Bongiorno, Stefano Stefani, Edmondo Cirielli, Giancarlo Giorgetti, Gianfranco Conte, Angelo Alessandri, Mario Valducci, Manuela Dal Lago, Silvano Moffa, Giuseppe Palumbo, Paolo Russo, Mario Pescante, Leoluca Orlando, Giovanni Fava.Dal punto di vista retributivo contano meno di un questore e meno di un deputato segretario. Conservano a malapena l’auto blu e il telefonino. Le loro segreterie, poi, fanno ridere rispetto a quelle dell’uffico di presidenza (tre addetti al massimo anche esterni). In media costano 237mila euro l’una complessivamente.Meglio di niente, ma la segreteria di un vice-presidente o di un questore ne costa 660mila (quella di deputato segretario 357mila). Chiaro, gli addetti alla segreteria di un presidente di commissione oltre ad essere di meno, guadagnano anche meno dei pari grado degli uffici di presidenza. Un II livello guadagna 2262,44 netti contro 2394,84. Un IV livello 2703,64 netti contro 3030,90 (le mensilità sono sempre 15). Ma il punto è che Fini, Leone, Bindi, Lupi, Buttiglione, Colucci, Mazzocchi e Albonetti possono accedere a personale di V livello (4406,8 euro se interno per 15 mensilità e 4979,31 euro netti per 13 mensilità se esterno), mentre i presidenti di commissione no.

………….Ogni commento ci sembra superfluo!

FORCONE E PORTAFOGLIO, di Mario SECHI

Pubblicato il 10 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

palazzo chigi Studiava da delfino, resterà trota. Renzo Bossi s’è dimesso. Passerà alla storia per aver affondato la Lega, insieme a un padre troppo debole per non cedere al nepotismo e a un gruppo dirigente troppo timoroso per non dire al capo che stava sbagliando. La politica non è una scienza esatta, ma prima o poi i conti tornano. Che il «cerchio magico» fosse un clan destinato a mandare fuoristrada il Carroccio si intuiva. Quando intorno al corpo del leader ballano in tanti, finisce che il mambo diventa una danza macabra. Così è andata. Non solo per la Lega. La Seconda Repubblica doveva darci partiti più leggeri, meno invadenti nella gestione della cosa pubblica, con leader carismatici insieme a una vita democratica, selezione del personale e un minimo di cultura liberale e delle istituzioni. Non è successo perché chi li guidava ha pensato a costruire intorno a sé non il consenso, ma il sì a prescindere, la realizzazione del «capo ha sempre ragione» e se ha torto comunque non glielo facciamo sapere. È questione che attraversa la vita di tutti i partiti, in maniera più o meno diversa. Per Berlusconi ha significato circondarsi spesso di enti inutili, per Bossi finire nel contrappasso dantesco che raccontiamo in questi giorni. Ognuno ha forgiato il proprio movimento politico intorno al suo nome: Fini, Casini, Di Pietro, Vendola. E perfino chi aveva una parvenza almeno formale di dibattito interno – il Partito democratico – ha impegnato tutte le sue forze nelle faide di potere, nelle lotte correntizie, dilapidando quel poco che restava di credibilità presso gli elettori. Hanno un bel dire oggi che soffia il vento dell’antipolitica. Dovrebbe soffiare il maestrale del rinnovamento, i partiti dovrebbero impegnarsi a ricostruire se stessi, in alto e in basso, a destra e a sinistra, a Nord e Sud. Invece rincorrono i sondaggi, gli scazzi interni e gli schiamazzi esterni, senza comprendere che bisogna mettersi in discussione, tirare fuori quelli che Montanelli chiamava «gli attributi», tagliare i rami secchi e confrontarsi con l’elettorato. Il maquillage a cui sono intenti non fermerà l’ondata d’indignazione. È tempo di crisi economica, i cittadini voteranno brandendo due armi: il portafoglio e il forcone. Avanti così, tanti auguri. Mario Sechi, Il Tempo, 10 aprile 2012

……………Non c’è nulla da fare. Nonostante la bufera imperversi e investa tutti, ma proprio tutti i partiti, i partiti, anzi tre di essi i cui capi ormai sono definiti i “triumviri”,   tragicomico richiamo a tempi e periuodi storici lontani, entro domani si accingono a scrivere le regole per “rendere trasparenti i finanziamenti pubblici”. Non ad eliminarli che a questo non ci pensano proprio, ma ripetere 18 anni dopo il 1994, lo stesso copione scritto dopo il referendum dei radicali,  che a furor di popolo abrogò la legge sui finanziamenti pubblici ai partiti, quando la legge abrogata fu sostituita con un’altra che chiamava  i  “rimborsi elettorali” i finanziamenti ai partiti. Dalla zuppa al pan bagnato. Ora, di fronte alla valanga di proteste con cui gli italiani ricoprono i paritit chiedendo a gran voce l’abolizione di questa ignobile legge che arricchisce i partiti mentre gli elettori sono  ridotti in miseria, i partiti, anzi i triumviri non si schiodono dalle loro logiche e dai loro interessi e astranno tentando ancora una volta di prendere per i fondelli gli italiani. C’è una sola cosa da fare.  Abrogare la legge, far restituire ai partiti i quattrini che ufficialmente risultano non spesi di quelli ricevuti e poi, soltanto poi, disciplinare il volontario finanziamento pubblico attraverso l’autonoma volontà di ogni singolo cittadino di elargire denari propri a questi voraci rapaci che sinora hanno ingoiato, dal 1974 ad oggi, circa 6 miliardi di euro per portarci dove ci hanno condotto: alla fame. g.

NESSUNO INFANGHI LA CANOTTIERA CHE CAMBIO’ IL PAESE, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 9 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

La mia parte indignata è morta, se mai sia vissuta. Non me ne importa delle lauree dei famigli, delle macchine sgargianti e rombanti, del giro della Rosi (che naturalmente deve lasciare la carica senatoriale seduta stante), della moglie arpia, dei poteva o non poteva non sapere a proposito di un uomo che è stato grande nella salute e grandioso nella malattia.

Umberto Bossi

Bossi non lo vedo da quasi vent’anni, quando mollò il primo governo Berlusconi lo chiamai in faccia in tv «la cara salma», e mai previsione fu più azzardata. Del bossismo non ho amato mai nulla, non ho mai urlato il «grazie barbari» del compianto Giorgio Bocca, non ho mai flirtato in chiave antipolitica con il cappio in Parlamento e tutto il resto di «Milano, Italia », ho sempre considerato la Lega una tribù sciamannata e una satrapia personale dai toni pagani, figuriamoci, a me piaceva il garibaldino Craxi e, se era per la Lega e i suoi tesorieri, preferivo Citaristi e la Dc. Di Roma ladrona sono figlio e abitante, ne so più di Fiorello e dei nuovi stornellatori.

Di nemesi non sono autorizzati a parlare quelli di Repubblica . Sono sempre stati, loro e il loro esercito politico di riferimento, dalla parte del giustizialismo, anche di quello duro e puro alla leghista, se era per colpire chi non rientrava nel cerchio magico dei loro interessi e pregiudizi. Troppe ne abbiamo viste, noi garantisti, di nemesi. A partire dal loro eroe preferito Di Pietro, anche lì macchine sgargianti e un partito padronale- contadino, per finire con la sinistra perbene che i suoi sistemi fatti apposta per abusare dei finanziamenti pubblici e accaparrarsi ogni tipo di finanziamento irregolare li ha messi in piedisenza pudore o, se volete, con grande ipocrisia. Però il mancato riconoscimento della vera storia di Umberto Bossi, il seppellimento sotto i lazzi e gli insulti della sua rozza ed eccezionale avventura che ha convinto un terzo degli elettori del Veneto, un quarto di quelli della Lombardia e che ha cambiato la cultura e l’incultura politica italiane, questo mi avvilisce e mi umilia come persona che ama la storia e la politica, che desidera capire le cose e non esercitare la superbia del proprio io nel gesto d’accusa.

Prima di Bossi il nord di questo Paese non esisteva, né civilmente né politicamente. Bossi nasce da una costola della sinistra, come disse una volta D’Alema. Forse. Nasce certamente da una costola del mio Paese, e chi oggi getta palate di infamia su di lui e sulla sua parabola non si rende conto di quello che dice o lo dice in perfetta malafede.

Quando ebbe un primo attacco del male dopo un comizio, questo straordinario popolano da pizzeria, Craxi gli fece immediati auguri «perché ho bisogno di avversari sani». Nessuno come un capo socialista del sistema dei vecchi partiti era lontano dal bossismo e dalla sua versione dell’attacco alla casta romanocentrica. Ma nella vecchia cultura repubblicana il senso della storia era vivo, e anche gli avversari sapevano rispettare uno spiantato da falsa laurea capace di sollevare le valli e le città e la grande pianura padana in un’impresa che aveva effetti sismici sulla pietrificata mentalità delle vecchie istituzioni sabaude e meridionali. Siamo diventati, per quanto riguarda il linguaggio della classe snobistica che fa l’opinione e scrive sui giornali, una comunità di guardoni e uditori giudiziari, gente che non ha lo sguardo lungimirante e pietoso necessario a comprendere, che non vuol dire giustificare o chiudere un occhio, vuol dire al contrario spalancare gli occhi.Padre debole e sentimentale? Chissenefrega. Marito birbaccione rientrato e rinchiuso nell’ovile del coniugio nel momento disperato della menomazione da malattia?

Chissenefrega. Non sapeva far di conto sui nostri soldi, affidati a improbabili suoi tesorieri senza che fossero fissate regole sicure di controllo e certificazione?

Chissenefrega. Se è per questo, anche il dignitoso e non ladro Rutelli di conti se ne intendeva a quanto pare pochino, e i Lusi di tutti i partiti, tutti, sono per legge le persone più libere di peccare e incasinare i conti che ci siano al mondo.

Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio, la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro non è mai stato.

Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di parlare. Chi ha il diritto di parlare? Giuliano Ferrara, Il Giornale, 9 aprile 2012

RENZO BOSSI SI E’ DIMESSO. HA FATTO BENE, DICE IL PADRE E ANCHE NOI

Pubblicato il 9 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Renzo Bossi, coinvolto nello scandalo che ha colpito il Carroccio, fa un passo indietro e si dimette da consigliere regionale della Lega Nord. «In consiglio regionale -spiega ai microfoni di Tgcom 24- negli ultimi mesi ci sono state diverse vicende giudiziarie che hanno portato a indagare più di una persona, io non lo sono ma credo sia giusto e opportuno in questo momento per il mio movimento, fare un passo indietro».

«Ha fatto bene a dimettersi. Erano due mesi che mi diceva che era stufo di stare in regione». Questo il commento di Umberto Bossi riportato da Sky Tg24 sulle dimissioni del figlio, Renzo.

…………E anche noi siamo dello stesso avviso. Però ci corre l’obbligo di sottolineare che il Bossi jr, al di là di ogni altra considerazione, ad oggi non risulta indagato di alcunchè, salvo che dell’ondata di accuse che come sempre accade nel nostro Paesi quando si abbatte su chi sta in alto immediatamente ha ricadute mediatiche anche se  non ci sono riscontri giudiziari. Non è il caso di fare l’elenco. E però di questo elenco, lunghissimo, che comprende fior di fiori dell’una e del’altra parte, nessuno ha dato le dimissioni. Il Bossi jr lo ha fatto e ciò di certo segna un punto a suo favore. Benchè non sia uno scafato politicante un esempio lo ha dato, Ci piaccia o no, consigliato o meno dall’esperto padre. E di questo gli va dato atto. g.

NON 100, MA IN PIENA ESTATE ALTRI 200 MILIONI AI PARTITI ALLA FACCIA DELLA CRISI E DELL’AUSTERITY PER GLI ITALIANI

Pubblicato il 9 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Ora la parola d’ordine che mette tutti d’accordo, nel Palazzo, è «fare presto». Fare presto a dare un segnale che possa almeno frenare la rivolta dell’opinione pubblica contro i partiti mangia-soldi; far presto a varare nuove regole sui finanziamenti pubblici che evitino scandali come quelli scoperchiati negli ultimi mesi, dal caso Lusi al caso Lega; dalle spaghettate al caviale ai diplomi regalati a figli ripetenti e amanti recalcitranti coi soldi del contribuente.

Fare presto anche perché in piena estate, quando si suppone che i cittadini siano distratti e sotto l’ombrellone, nelle casse dei partiti pioverà un altro centinaio di milioni di euro pubblici, frutto delle nuove rate di «rimborsi» per le elezioni politiche del 2001; più circa altri 80 milioni di rata spettante per le elezioni europee e regionali. Cioè, poco meno di 200 milioni in totale.
C’è chi, come l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, per fare presto si spinge ad ipotizzare un decreto legge «ad hoc» del governo, perché «se non cambiamo presto le norme rischiamo di essere travolti tutti: le vicende di questi giorni le paga la politica intera». Il governo, però, ci va con i piedi di piombo e, come dice Mario Monti dal Libano, per ora «riflette». Il ministro Paola Severino assicura che «il governo è pronto ad intervenire, anche per decreto», poi ipotizza in alternativa una norma ad hoc nel ddl anticorruzione. In Parlamento sono molte le perplessità sullo strumento del decreto: «È una proposta puramente propagandistica, un cedimento alla piazza ma senza costrutto», spiega Gianclaudio Bressa del Pd. «Anche perché entro maggio è già calendarizzata in aula a Montecitorio la discussione delle proposte di riforma dei partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione: è quella la premessa necessaria per ridisegnare anche il sistema di regole e controlli sui bilanci delle forze politiche». E l’esponente democrat è ottimista sulla «volontà comune» di tutti i partiti di mettere finalmente mano ad una riforma che aspetta da sessant’anni di essere attuata, per dare finalmente ai partiti una connotazione giuridica più stringente.
In verità, le parole del relatore dei provvedimenti in materia di regole e trasparenza dei partiti, il rappresentante di Popolo e territorio Andrea Orsini, non sono proprio incoraggianti: «Non ci sono novità e non ce ne saranno per i prossimi quindici giorni», spiega flemmatico. Facendo insorgere il radicale Maurizio Turco, autore della prima proposta di legge depositata (prevede un rimborso di 1 euro a voto, contro i 5 attuali, ma solo a fronte di spese dimostrate e certificate): «La commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha fatto un ampio lavoro istruttorio sulla materia, ora basta giochetti e il relatore si dia una mossa: con tutto quel che sta venendo fuori non sarebbe giustificabile un ritardo ulteriore». I radicali, che hanno annunciato un nuovo referendum abrogativo del finanziamento pubblico (dopo quello già da loro promosso e vinto negli anni ’90, e successivamente ignorato dalla nuova legge sui rimborsi elettorali), bocciano le proposte che stanno circolando: «Ci manca solo una nuova Authority sui bilanci dei partiti, nominata ovviamente dai partiti», taglia corto Turco. Dal Pdl, Gaetano Quagliariello insiste anche lui sull’articolo 49: «Subito dopo Pasqua i partiti si mostrino in grado di riformarsi adeguando il proprio status giuridico alla funzione pubblica che esercitano», e propone che la riforma marci di pari passo con quella della legge elettorale. Il Giornale, 9 aprile 2012

…………..Basta con i giochetti. Dei partiti e del signor Monti. Questo signore che se ne va spasso durante le festività pasquali in giro per il mondo a spese nostre, degli ormai strangolati contribuenti italiani, la smetta di “riflettere” con la pancia piena, rientri in Italia, convochi i suoi professoroni e metta mano all’abrogazione immediata della legge sui rimborsi elettorali dei partiti, blocchi gli ulteriori finanziamenti, obblighi i partiti a restituire alle casse dello Stato il miliardo e 700 milioni ricevuti e non spesi, riduca drasticamente gli stipendi dei parlamentari e dei dirigenti dello stato. Il tutto con decreto legge e poi vediamo con che faccia i parlamentari avrannno il coraggio di non ratificarlo. A proposito,  che fine ha fatto il ciarliero presidente della Repubblica? Da un paio di giorni non ci annoia con le sue consuete predicazioni. Perchè non “ordina” al suo Monti di rientrare in Italia e di fare ciò che deve? Con  due miliardi (1miliardo e 700 mlioni da restituire e i 200 milioni da non erogare ai partiti) il signor Monti può evitare ulteriori oppressive tassazioni a carico delle affamate famiglie italiane  e tentare di rilanciare la crescita del Paese che tuttora, nonostate le intemerate del signor Monti,  è solo una  chimera. g.
P.S. Al sondaggio de Il Giornale sulla abrogazione dei rimborsi elettorali ai partiti, il 99% ha risposto di si. Ne tengano conto sia il segretario che il capogruppo alla Camera del PDL, perchè il 100% dei lettori de Il Giornale sono elettori del PDL!

I PARTITI SI DIANO UNA MOSSA:LA LEGGE “TRUFFA” VA CANCELLATA

Pubblicato il 7 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Per trovare la norma dello scandalo ci vuole molta pazienza. Bisogna tuffarsi nella legge milleproroghe del 23 febbraio 2006, lanciarsi in un defatigante slalom fra articoli che parlano di varia umanità, dall’università Carlo Bo di Urbino all’accatastamento di immobili del ministero della difesa, fino all’adeguamento alle prescrizioni antincendio per le strutture ricettive, e avere dimestichezza con la lingua latina.

Sì, perché senza un minimo di confidenza con l’idioma di Cicerone si rischia di non arrivare all’articolo 39 quaterdicies dove finalmente sono indicate le modifiche alle precedenti leggi sul finanziamento ai partiti. Una leggina mimetizzata che più mimetizzata non si può: il testo fu votato al Senato in piena notte, fra il 2 e il 3 febbraio 2006. Il governo Berlusconi aveva posto la fiducia, l’opposizione strepitò. Il capogruppo della Margherita, Willer Bordon, tuonò contro «lo schiaffo in faccia ai cittadini».
Sappiamo com’è andata a finire: proprio la Margherita, che era defunta, è risorta attingendo a piene mani al bancomat pubblico finché le spese folli del tesoriere Lusi non hanno alzato il coperchio sullo scempio. Poi è arrivata la Lega e si è ricapito quel che già si sapeva: la legge dà ai cassieri la combinazione giusta, poi loro si regolano come gli pare. O meglio i rimborsi – guai a chiamarli finanziamenti dopo il referendum che li aveva aboliti a furor di popolo nel ’93 – sono quattro o cinque volte superiori alle spese sostenute. Per capirci e per capire le cifre dell’indignazione, i partiti hanno speso fra il ’94 e il 2008, 570 milioni, ne hanno recuperati 2 miliardi e 250 milioni. Nemmeno Pinocchio sotto l’albero dei miracoli avrebbe sognato di meglio. Non c’è neanche bisogno di innaffiare gli zecchini: la pianta cresce da sola. Altissima. Nel 2008, quando gli italiani sono tornati al voto, destra, centro e sinistra si sono ingozzati con una doppia razione per la vecchia legislatura troncata e per quella appena iniziata.
Ora i tesorieri, come ai tempi di Tangentopoli, rischiano la parte del parafulmine. E corrono ai ripari o predicano sventure. Ugo Sposetti, ultimo cassiere dei Ds, vede in un’intervista all’Espresso un cielo scuro scuro: «Ma come, ora i revisori dei conti si svegliano e scrivono al presidente della Camera che le verifiche sono solo formali? Poi c’è Rutelli: ha spiegato che i bilanci dei partiti sono facilmente falsificabili. E uno dei revisori della Camera, Tommaso di Tano, in tv agli Intoccabili ha affermato che lui e i suoi colleghi quando arriva un bilancio si mettono a ridere. Fra sei mesi i partiti non esisteranno più». C’è davvero aria di tempesta. Stefano Stefani, il Cireneo che ha preso fra le mani le casse della Lega, mette le mani avanti: «Per prima cosa porterò le carte in procura. Voglio muovermi in tranquillità».
Forse sarebbe bene correre ad approvare una nuova norma. Più equilibrata. O meglio, meno vergognosa in tutte le sue perfide pieghe. Perché l’ABC della politica italiana, l’ABC che in un modo o nell’altro ha varato la riforma delle pensioni e tante altre leggi fino a ieri impensabili, non si siede intorno a un tavolo e scrive un testo purificato nel fonte battesimale della decenza?
Nei giorni scorsi Bersani ha sfidato Casini e Alfano invitandoli a rompere insieme il salvadanaio. Non sarebbe male evitare meline e impaludamenti, sarebbe bene evitare il ricorso a sofisticate ed estenuanti discussioni che si concludono, di solito, con magheggi e trucchi da avanspettacolo. La legge «truffa» del 2006 convertiva in legge, come si legge in archivio, un precedente decreto del 30 dicembre 2005. Ottima idea: perché non ricorrere al decreto per sanare la ferita? Se la troika trova l’accordo, è fatta: in un amen si può chiudere il rubinetto e togliere il bancomat alle tesorerie dei partiti che banchettano mandando in rosso noi cittadini.

Anche l’Europa, che spesso mette il naso a sproposito in casa nostra, ci ha dato un avvertimento sacrosanto: cambiate in fretta. Schivando, please, una pagliacciata come quella andata in scena sulla riduzione degli stipendi dei parlamentari. Che sono ancora quelli di prima. Stefano Zurlo, Il Giornale, 7 aprile 2012

ABOLIAMO LO SCANDALO DEI RIMBORSI AI PARTITI. DA SUBITO. DA ORA.

Pubblicato il 7 aprile, 2012 in Politica | No Comments »

Una “paccata di soldi”, direbbe la Fornero. Uno sperpero scandaloso, diciamo noi. Li chiamano rimborsi elettorali ma, di fatto, sono i vecchi finanziamenti pubblici ai partiti.

Sì, proprio quelli là, quelli che avete abolito diciannove anni fa. Gli sprechi hanno sette vite come i gatti. Il finanziamento pubblico ai partiti è stato formalmente abrogato con un referendum nel 1993. Un referendum che non doveva lasciare nessun margine alla furia interpretativa dei politici: il 90 per cento degli italiani aveva detto basta a questo sperpero. Una percentuale bulgara che corrisponde all’incirca a 31 milioni di elettori.

Raramente così tanti italiani si mettono d’accordo. Sforzo vano. Già l’anno successivo i “finanziamenti” usciti dal Palazzo a calci nel sedere rientravano silenziosamente dalla finestra con una legge ad hoc che li ribattezzava, appunto, come “contributi alle spese elettorali”.

La mole dei rimborsi è aumentata esponenzialmente nel corso degli anni. Nel 1993 i contributi venivano calcolati moltiplicando 800 lire per il numero degli abitanti del Paese, nel 1999 il monte è stato portato a 4mila lire e poi convertito a 5 euro per ogni voto racimolato dal partito. Alla faccia dell’inflazione. Per fare qualche numero: all’ultima tornata elettorale, quella del 2008, sono stati distribuiti 503 milioni di euro ai vari partiti. Una montagna di soldi. Ma non finisce qui. Secondo la Corte dei Conti dal 1993 al 2009 i partiti hanno incassato 2.254 milioni di euro, a fronte di una spesa totale di 579 milioni di euro. Sì, perché i partiti ci guadagnano sempre e se spendono un euro ne incassano 4,5. E ai due miliardi e rotti calcolati dalla Corte dei Conti mancano i rimborsi per le elezioni europee del 2009 e regionali del 2010, per essere precisi. Una marea di soldi. Come se non bastasse, oltre al danno c’è anche la beffa. Le ultime inchieste che hanno coinvolto Luigi Lusi e Francesco Belsito, tesorieri della Margherita e della Lega Nord, hanno portato nuovamente alla ribalta il tema della trasparenza dei bilanci dei partiti e dei “rimborsi”. I due tesorieri hanno maneggiato decine di milioni di euro di soldi incassati regolarmente dai loro partiti. Una pioggia di contributi che hanno investito in modi più o meno leciti (lo deciderà la magistratura) e più o meno morali (lo decideranno gli elettori), protetti dall’opacità dei bilanci dei partiti, imperscrutabili buchi neri. Nel corso degli anni i movimenti sono diventati delle macchine fabbrica soldi e ora è arrivato il momento di chiudere i rubinetti.

Certo, anche in molti altri paesi i governi foraggiano le spese elettorali dei movimenti politici. Ma a confronto con il mare di soldi che erogano le nostre casse sono solo noccioline. Per intenderci: in Germania ai partiti vengono rimborsati 0,85 centesimi di euro per ogni iscritto nelle liste elettorali. Da noi 5 per ogni voto. Qualche giorno fa sul nostro quotidiano Vittorio Sgarbi ha lanciato una provocazione che ha raccolto molto successo tra i lettori: la vera truffa non è quella dei tesorieri, ma quella dello Stato. Uno scandalo che, specialmente in questo periodo di crisi, pressione fiscale e sacrifici economici, è diventato intollerabile. Non sarebbe il momento di arrestare questa emorragia di soldi pubblici dalle casse dello Stato? Se sei d’accordo con noi manda una mail al presidente del Consiglio Mario Monti e ai presidenti delle camere Renato Schifani e Gianfranco Fini per chiedere la fine di questo sperpero. Francesco Maria Vigo, 7 aprile 2012

…………… Sopratutto a Monti sfidiamolo a convocare immediatamente il  Consiglio dei Ministri per approvare un decreto legge che abolisca da subito la legge sui rimborsi elettorali e imponga ai partiti di restituire la plusvalenza dei rimborsi rispetto alle spese sostenute. Si tratta di un miliardo e 700 milioni che debbono  essere destinati ad alleviare la pressione fiscale su lavoratori e pensionati. g.

Questo un possibile testo della lettera DA INVIARE AI SEGUENTI INDIRIZZI:

fini_g@camera.it;renato.schifani@senato.it;segreteria.ministero@tesoro.it

Signori presidente del Senato Renato Schifani, presidente della Camera Gianfranco Fini e presidente del Consiglio Mario Monti, con la presente e.mail chiedo l’eliminazione dei rimborsi elettorali ai partiti. Le ultime inchieste che hanno investito il parlamento possono essere colte come occasione per chiudere il rubinetto dei soldi pubblici alle forze politiche. Una riforma in tal senso non solo rappresenterebbe l’occasione per ridare fiducia agli elettori, ma servirebbe anche a fare chiarezza su quei finanziamenti che, oggi come non mai, richiedono maggiore trasparenza. In particolare chiedo al presidente del consiglio di rientrare immediatamente a Roma, per approvare un decreto legge con il quale abolire con efficacia immediata la legge sui rimborsi elettorali ai partiti e imponga ai partiti di restituire allo Stato la plus valenza introitata dai partiti dal 1994 ad oggi – circa 1 miliardo e 700 milioni – rispetto alle spese sostenute, destinandola ad alleviare la pressione fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati. FIRMA

PARTITI CON LE CASSE PIENE E CITTADINI SEMPRE PIU’ POVERI

Pubblicato il 7 aprile, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Luigi Lusi in una foto del 2008 presa dal suo sito Prendiamo per ora solo i quattro anni di crisi. Nel 2008 i partiti italiani hanno ricevuto 503 milioni di euro di rimborsi. Hanno dichiarato spese per 136. Trecentosessantasette milioni sono rimasti nelle loro cassaforti non proprio blindate, affidati a tesorieri dalla mente aguzza e dal conto corrente veloce. Si tratta di un arricchimento netto del 456 per cento. Nello stesso periodo, come ha documentato la Banca d’Italia, il reddito delle famiglie italiane è diminuito del 6 per cento, quello degli individui del 7,5. La quota di famiglie giovani nella fascia di povertà è aumentata del cinque. Ora il Capo dello Stato chiede ai partiti una autoriforma, tanto più indispensabile mentre il resto del Paese è a stecchetto. Il presidente del Senato, Renato Schifani, e quello della Camera, Gianfranco Fini, rispondono invocando il primo «uno scatto d’orgoglio» delle forze parlamentari, il secondo un decreto «per il quale serve però l’accordo dei leader» dei partiti stessi. Con tutto il rispetto, le stesse promesse sono state fatte sulla riduzione del numero dei parlamentari, sull’abolizione delle province, sul taglio di indennità e benefici vari di deputati e senatori. Nessuna mantenuta. Sul primo fronte siamo ad un accordo di massima del format ABC (Alfano-Bersani-Casini), quando tutti sanno che in un anno di legislatura la riforma costituzionale ha zero probabilità di attuazione. Sul secondo, solo ieri è stato depositato un disegno di legge del governo che non abolisce affatto le province ma stabilisce solo che presidenti e consiglieri dovranno essere eletti da sindaci e consiglieri comunali delle aree amministrate. Elezioni di secondo livello, peraltro già contestate dall’Unione province italiane che lamenta «l’abbandono dei territori con la scusa della crisi e dell’antipolitica». E chiede al Parlamento di sanare il terribile errore: non dubitiamo che lo farà. Se ci sono due parole che si dovrebbero evitare sono proprio “crisi” e “antipolitica”. La prima, quasi ce la fossimo inventata. La seconda, eterno alibi per non cambiare nulla e nascondere gli scheletri nell’armadio, finché non vengono giù come per il tesoriere della Lega, Belsito (un nome molto romano), e quello della Margherita, Lusi. Ma non ci siamo dimenticati del terzo fronte di lotta e di governo, il taglio di emolumenti e benefit dei parlamentari: qui la commissione incaricata di allinearli alla media dei sei maggiori paesi dell’euro ha alzato bandiera bianca dichiarando l’impossibilità di raffronti omogenei. Per Enrico Giovannini, presidente dell’Istituto nazionale di statistica e capo della commissione, la statistica pare dunque materia off limits. E per capirlo ci ha impiegato quasi un anno: l’arduo compito gli era stato affidato dal governo Berlusconi nel luglio 2011. Dunque di quale autoriforma stiamo parlando? Curioso che per raddoppiare la tassa sulle case basti un decreto, mentre ogni volta che ci si avventura nei territori della politica si debba chiedere agli interessati la cortesia di provvedere a se stessi. Come ha ricordato Mario Sechi, dal 1994 al 2008 i partiti, rispetto a spese documentate di 579 milioni, hanno ricevuto 2,25 miliardi dei contribuenti. Più di quanto costeranno nel 2013 le nuove misure sul mercato del lavoro, esattamente quanto incideranno una volta andate a regime, e per le quali dovremo sobbarcarci altre tasse: sulle case date in affitto, sulle auto aziendali, sulle imposte d’imbarco all’aeroporto. Non ne possiamo davvero più: è giunto il momento di chiedere indietro dei soldi alla politica. Soprattutto se questi denari pubblici risultano regali ai partiti per i loro comodi. Per ogni euro speso ne incassano, in questa legislatura, 4,5. Il record è appunto della Lega (un euro speso, 11 presi), a seguire i Democratici: un euro ogni dieci presi. Il Pdl si attesta sul rapporto di uno a tre. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, che tuona contro lo scandalo, incassa 3,75 euro per ognuno di spese documentate. Ma anche quando scriviamo “documentate”, bisogna intendersi. Luigi Lusi, ex senatore del Pd ed ex tesoriere della Margherita autore di un imboscamento di 20 milioni, avrebbe sottoposto il bilancio ad un organismo interno che però non si è mai riunito. Chi aveva avvertito da anni puzza di bruciato, come il prodiano Arturo Parisi, fa sapere di essersene andato «sbattendo la porta». Già, ma perché non ha invece bussato a quella di qualche organo giudiziario? Impressiona anche l’oscillazione nel rapporto tra dare e giustificare. Nel ‘94, forse sulla scia del rinnovamento, si era partiti bassi (si fa per dire): la plusvalenza fu di “appena” il 130 per cento. Con le regionali del ‘95 eravamo già al 420. Il top è delle politiche 2001: circa il mille per cento. Poi un calo, fino alla nuova impennata di questa legislatura. Credere quindi che i partiti si autoriformino è quanto meno ingenuo. E, sia detto senza offesa, nello stesso richiamo di Giorgio Napolitano c’è qualcosa che non convince. Si invoca pulizia per evitare che i cittadini «si estranino con disgusto, il che può sfociare nella fine della democrazia e della libertà». No: la pulizia va fatta non per tutelare i politici dal disgusto, ma in primo luogo per tutelare noi contribuenti, visto che i soldi sono nostri. Del resto lo stesso capo dello Stato cita l’articolo 49 della Costituzione. Ma, come lo stesso Quirinale fa notare, quell’articolo stabilisce «il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Non parla affatto di finanziamenti. Che del resto, nella forma diretta, vennero aboliti con il referendum del ‘93, e prontamente sostituiti con i rimborsi elettorali. Dunque se il diritto diventa un abuso, e l’abuso un furto, non c’è altra via che togliere ai beneficiari la possibilità del coltello dalla parte del manico. Anche qui bisogna guardare all’estero: dove non mancano certo gli scandali, e tuttavia è giusto ricordare che il presidente tedesco Christian Wulff si è dimesso per un prestito agevolato al 4 per cento, ed una vacanza pagata da 800 euro. La Germania, dunque, ha contributi pubblici ai partiti di 133 milioni l’anno, rispetto ai nostri 285. La Francia di 80 milioni. La Gran Bretagna di cinque. Gli Usa di zero: le campagne elettorali sono finanziate da privati ed aziende, con obbligo (penale) di dichiarazione dei fondi versati, e di restituzione da parte dei candidati non eletti. In Italia si è sempre obiettato che quel sistema favorisce i ricchi. Eppure Bill Clinton, da governatore del povero Arkansas, riuscì a sconfiggere il ricchissimo George Bush senior, tra l’altro presidente in carica. Ma se non vogliamo il modello privato americano proviamo almeno ad avvicinarci a quello pubblico inglese: dove Margaret Thatcher, che era nata figlia di un droghiere, battè il laburista Lord Leonard James Callaghan, barone di Cardiff e cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera. Ridateci i nostri soldi. Marlowe, Il Tempo, 7 aprile 2012

………………Lo abbbiamo già detto e lo ripetiamo. Ecco un banco di prova della fermezza di Monti. Domani mattina, giorno di Pasqua, riunisca il suo consiglio di facoltà, ed emetta un decreto legge con cui faccia due cose: 1. abolisca la legge sui rimborsi elettorali; 2. ordini ai partiti di restituire immediatamente allo Stato i soldi, un miliardo e 700 milioni, incassati dal 1994 ad oggi a titolo di rimborso spese e non utilizzati per le campagne elettorali. Così per un verso metterà alla prova se stesso e in secondo luogo metterà alla prova i partiti il quali o ubbidiscono, approvando il decreto, o lo cacciano con gli stivali chiodati.  E metterà alla prova il signor Giorgio Napolitano che nella serata di domani  deve controfrimare il decreto. Domani vedremo. g.