Oggi si celebrano i 150 anni dell’Unità Nazionale. E’ quindi il giorno delle commemorazioni, non certo il momento delle polemiche, sebbene ne siamo tentati: per esempio dal proverbio secondo il quale “il troppo storpia”, oppure dalle risposte che ieri sera parlamentari di tutti i partiti hanno dato alle domande delle Iene: una fra tutte, perchè Garibaldi era definito l’eroe dei due mondi? uno ha risposto: perchè Garibaldi ha combattuto (udite, udite) al nord e al sud d’Italia, oppure, ancora dalla ipocrisia di tanti che sino a pochi anni addietro hanno pensato all’Italia come ad una piccola contrada della grande madre Russia, come i comunisti, i quali per bocca di Bersani oggi si sono definiti “i veri patrioti” e in polemica con la Lega che non ha partecipato alle manifestazioni unitarie si sono recati, dopo Napolitano, a depositare anche loro, evidentemente non identificandosi in Napolitano che rappresenta tutti, anche loro, una corona al Vittoriano, Monumento eretto dalla Nazione, nel 1911, in onore del Padre della Patria Vittorio Emanuele secondo e dove riposa per sempre il Milite Ignoto, simbolo di tutti i Caduti per la Patria che per molto tempo non fu la patria di Bersani e di quelli come lui…..e potremmo continuare ancora. Ma non è il caso. Preferiamo dedicare all’avvenimento, che va celebrato ogni anno, anno dopo anno, come fanno i popoli che si riconoscono Nazione, l’articolo che oggi scrive il direttore de Il Tempo, Mario Sechi, non a caso intitolato:VERDE BIANCO ROSSO . I Colori, i Valori, i Prinicipi cui ci siamo ispirati tutta la vita. g.
Italia. Europa. Quando penso alla nostra nazione non posso fare a meno di associarla al Vecchio Continente. È un link meno automatico di quanto si pensi, soprattutto in questo scenario contemporaneo. E lo faccio perché guardo con preoccupazione alla sorte di entrambi. Il nostro Paese festeggia i suoi 150 anni di unità mentre l’Unione europea mostra segni di cedimento e tentazioni di ripiegamento che si conciliano forse con l’interesse di qualche Stato ma non con il destino comune di noi europei. Scrivo quest’ultima parola senza enfasi, ma penso che sia fondamentale guardare al nostro passato e soprattutto al nostro futuro in un quadro globale, in un teatro più grande di quello dei nostri confini, non disgiunto dalle fortune degli altri Paesi. Questo anniversario è un’occasione unica – e spero vivamente non episodica – per riflettere sulla costruzione della nostra unità, sui suoi motivi fondanti ieri e su quelli che la possono cementare, rafforzare, rendere dinamica e creativa domani.
Centocinquant’anni di storia sono un periodo lungo per una nazione e cortissimo per la storia del mondo. Il nostro carattere in un secolo e mezzo si è forgiato su alterne fortune e biografie tragiche, uniche, scintillanti. Un amico banchiere soleva dirmi: «Le cose sono più forti degli uomini». Vero, ma solo in parte. Perché gli uomini e le donne che hanno costruito questo Paese sono quelli che hanno messo in moto «le cose», le stesse che poi prendono vita autonoma e determinano la nostra esistenza.
Non farò una carrellata di personaggi, né cadrò nella tentazione agiografica o, peggio, nella retorica. Tuttavia, come possiamo parlare di Italia senza considerare la nostra grandiosa letteratura del passato? Come possiamo immaginare lo Stivale senza conoscere chi fu Camillo Benso di Cavour e quel personaggio incredibile, controverso e lucente come la lama di una spada, Garibaldi? È semplicemente impossibile concepire l’Italia senza queste figure. Quando ero un piccolo studente, il fascino del Medioevo e del Rinascimento mi conduceva verso il sentiero di un’Italia che ancora non c’era, eppure già palpitava nei testi poetici, nelle rime perfette del Petrarca e nella cosmologia grandiosa di Dante.
La memoria mi riporta sui banchi di scuola. Ieri e oggi ritrovo nel Manzoni il talento del narratore di una società in fieri, un magma in cui il genio del Gran Lombardo forgiava la lingua della nostra unità, edificando il nostro futuro di casa comune in una lingua comune a tutti.
Ognuno di noi porta con sé i frammenti di questa Italia, forse atomizzata, certamente un po’ dimenticata e sottovalutata. Voltarsi indietro però non significa abbandonarsi al facile sentimento dei «bei tempi andati». Non è così. Il nostro Paese ha vissuto anni terribili e ha dimostrato di saper costruire il suo avvenire nella pace, nella prosperità e nella solidarietà. Questi elementi non sono persi per sempre né sono spariti. Sono vivi, hanno bisogno di uno stimolo, di un orizzonte per ritornare ad essere energia viva. Ho la fortuna, ogni giorno, di poter scrivere e rappresentare le mie idee – e quelle dei miei lettori – su questo straordinario giornale che è Il Tempo. Anche noi abbiamo una nostra storia. Dal 1944 facciamo parte del libro della storia repubblicana e della borghesia italiana. Amo pensare al nostro quotidiano come a una «forza tranquilla», un punto di riferimento per chi nella tradizione e nel coraggio delle proprie opinioni ritrova il Paese che amiamo: quello che sa pensare e costruire. Bianco. Rosso. Verde. Viva l’Italia. Mario Sechi, Il Tempo, 17 marzo 2011