GOVERNO: L’ASSURDO TIRO AL BERSAGLIO

Pubblicato il 2 luglio, 2013 in Politica | Nessun commento »

Il meglio è nemico del bene. E invece in Italia la maggioranza parlamentare, anche più dell’opposizione, pullula di autorevoli esponenti che pur di avere un governo migliore minacciano di eliminare l’unico governo che abbiamo. Non che abbiano torto, nel sostenere che si può fare di più. Si vede che il governo Letta ha seri limiti congeniti, non disponendo di un programma votato dagli elettori, bussola di ogni esecutivo che si rispetti. E si vede anche che finora ha pensato più a rinviare i nodi fiscali lasciatigli in eredità dai governi precedenti che ad affrontare l’azione di tagli alla spesa pubblica che nessun governo precedente gli ha purtroppo lasciato in eredità. E però anche nella polemica politica dovrebbe vigere il principio alla base dell’istituto tedesco della «sfiducia costruttiva»: chi dice che se Letta non cambia marcia se ne va, dovrebbe anche dire per andare dove, per fare quale governo, e perché sarebbe migliore. Al momento, le due ipotesi più probabili in caso di caduta dell’esecutivo sono infatti nuove elezioni con la vecchia legge, un bis in idem , o nuova maggioranza basata sui trasformisti in uscita dal Movimento di Grillo. Chi pensa che per l’Italia una delle due soluzioni sia migliore della condizione attuale, alzi la mano.

L’ultimo aut aut è venuto dal senatore Mario Monti, che pure conosce così bene il sistema tedesco da aver chiesto al governo un Koalitionsvertrag , e cioè un vero e proprio contratto scritto come quello che regge le grandi coalizioni a Berlino. La sua iniziativa ha sorpreso tutti perché proviene da un uomo che ha prestato il suo servizio allo Stato, anche pagando un prezzo personale in termini di popolarità, proprio per garantire la stabilità politica interna e la conseguente credibilità internazionale. Ciò non di meno ha prodotto un «vertice di maggioranza» convocato per giovedì, che in Italia è sinonimo solo di maggiore confusione. Sono infatti proprio le tensioni e le divisioni dei partiti l’elemento di maggiore fragilità del governo. È da lì che nascono surreali assi tra Brunetta e Fassina, o inedite convergenze tra i falchi del Pdl e Mario Monti, oppure ancora lo stillicidio di Matteo Renzi, aspirante leader del Pd, contro i «piccoli passi» del compagno di partito che sta a Palazzo Chigi.

È evidente che il governo non ha avuto una partenza sprint, e che deve ancora trovare la sua missione in politica economica. I governi di grande coalizione servono a moltiplicare le virtù dei due partiti maggiori consentendo loro di fare le scelte dolorose che da soli non potrebbero fare, non certo a sommare le promesse demagogiche di entrambi. Al presidente del Consiglio dunque spetta di indicare al più presto degli obiettivi di riforma della spesa che giustifichino l’ambizione di ridurre la pressione fiscale, unico vero volano di crescita. Ma è altrettanto evidente che chi lo giudica dopo 60 giorni con il metro su cui hanno fallito governi che sono stati in carica per anni, lo vorrebbe balneare proprio mentre fa mostra di preoccuparsene. La durata non è tutto, per un governo. Ma senza durata non c’è niente, meno che mai le «grandi riforme» che tutti reclamano con urgenza dal governo.Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 2 luglio 2013

LA CRISI DEI PARTITI: UNA OSSESSIONE TRASVERSALE

Pubblicato il 27 giugno, 2013 in Costume, Politica | Nessun commento »

In un memorabile saggio del 1927, Carl Schmitt individuò le categorie fondamentali della politica nella coppia amico-nemico. Come nell’estetica il bello si profila in opposizione al brutto, come nella morale il buono s’oppone al cattivo, così in politica ogni identità si forgia in contrasto all’identità dell’altro, dello straniero. E lo straniero è il tuo nemico, lo specchio che ti restituisce l’immagine rovesciata di te stesso. Da qui il cemento dei popoli in armi non meno che dei partiti in piazza, da qui la rissa permanente fra destra e sinistra, che ha scandito i vent’anni del bipolarismo all’italiana. Ma dov’è, qui e oggi, il nemico? Quali sembianze assume, mentre i vecchi antagonisti siedono l’uno accanto all’altro sui banchi del governo?

Fateci caso: negli ultimi mesi i partiti sono diventati afoni. L’assenza d’un nemico da combattere ne ha sfibrato il corpo, ne ha disseccato le energie, al pari dei guerrieri spartani reduci da mille battaglie, che poi tornati in patria morivano di malinconia. Vale per la maggioranza, vale – singolarmente – pure per l’opposizione. Dove il Movimento 5 Stelle è avvolto in una spirale autodistruttiva, che sommerge ogni progetto. La Lega Nord ha abbandonato Roma per rincantucciarsi nei propri territori, peraltro ormai scarsamente popolati dai suoi stessi elettori. E l’opposizione di Sel non è convinta, dunque non è nemmeno convincente. Del resto mettersi in trincea sarebbe un’impresa complicata, per un partito che si è presentato alle elezioni insieme alla principale forza di governo, e che esprime pur sempre la presidenza della Camera.

Nel silenzio dei partiti, un’unica voce risuona nei palazzi: quella del potere esecutivo. S’ascoltano dichiarazioni del premier, annunci dei ministri, promesse di decreti. È la rivincita delle istituzioni sulle segreterie politiche, che le avevano così a lungo sequestrate. Ma è anche il presagio d’uno Stato amministrativo, dove la gestione prevale sulla progettazione. E dove non c’è spazio per la politica, e non c’è nemmeno posto per i partiti politici. Loro lo sanno, o almeno ne avvertono confusamente il pericolo letale. Sicché reagiscono nell’unico modo che conoscono: cercandosi un nemico. E trovandolo, se non all’esterno, dentro le proprie fila. Ora la vitalità residua dei partiti si scarica su un nuovo bersaglio: il nemico interno.

Le prove? Scelta civica fa notizia solo per le baruffe quotidiane fra i suoi troppi colonnelli. Nella Lega il nemico è diventato Bossi, che ne era stato il fondatore. Il Movimento 5 Stelle ha già perso 6 parlamentari: un’espulsione al giorno toglie il medico di torno. Nel Pd Renzi è vissuto come una minaccia, non come una risorsa. Nel Pdl i falchi incrociano gli artigli con le colombe, ma la sentenza costituzionale sul processo Mediaset, e a seguire quella di Milano sul caso Ruby, hanno offerto all’unità del partito il suo antico nemico: il potere giudiziario. Tutto sommato Berlusconi dovrebbe ringraziare i magistrati.

C’è un che di claustrofobico in questo diffuso atteggiamento. C’è un disturbo paranoide nel concepire il tuo compagno come un sabotatore o un traditore. Ma non è forse il morbo di cui soffriamo tutti? L’anno scorso abbiamo contato 124 casi di femminicidio, per lo più fra le mura domestiche. Sono volatili gli affetti, i sodalizi culturali, i rapporti di lavoro. Perché abbiamo smarrito ogni fiducia, in noi stessi prima che negli altri. E disgraziatamente la politica non ci aiuta con l’esempio.

MACELLERIA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 25 giugno, 2013 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

C’era un solo modo per condannare Silvio Berlusconi nel processo cosiddetto Ruby: fare valere il teorema della Boccassini senza tenere conto delle risultanze processuali, in pratica cancellare le decine e decine di testimonianze che hanno affermato, in due anni di udienze, una verità assolutamente incompatibile con le accuse.

E cioè che nelle notti di Arcore non ci furono né vittime né carnefici, così come in Questura non ci furono concussi. Questo trucco era l’unica possibilità e questo è accaduto. Trenta testimoni e protagonisti della vicenda, tra i quali rispettabili parlamentari, dirigenti di questura e amici di famiglia sono stati incolpati in sentenza, cosa senza precedenti, di falsa testimonianza e dovranno risponderne in nuovi processi. Spazzate via in questo modo le prove non solo a difesa di Berlusconi ma soprattutto contrarie al teorema Boccassini, ecco spianata la strada alla condanna esemplare per il capo: sette anni più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, esattamente la stessa pronunciata nella scena finale del film Il Caimano di Nanni Moretti, in cui si immagina l’uscita di scena di Berlusconi.
Tra questa giustizia e la finzione non c’è confine. Siamo oltre l’accanimento, la sentenza emessa ieri è macelleria giudiziaria, sia per il metodo sia per l’entità. Ricorda molto, ma davvero molto, quelle che i tribunali stalinisti e nazisti usavano per fare fuori gli oppositori: i testimoni che osavano alzare un dito in difesa del disgraziato imputato di turno venivano spazzati via come vermi, bollati come complici e mentitori, andavano puniti e rieducati. Come osi, traditore – sostenevano i giudici gerarchi – mettere in dubbio la parola dello Stato padrone? Occhio, che in galera sbatto pure te.
Così, dopo Berlusconi, tocca ai berlusconiani passare sotto il giogo di questi pazzi scatenati travestiti da giudici. I quali vogliono che tutti pieghino la testa di fronte alla loro arroganza e impunità. In trenta andranno a processo per aver testimoniato la verità, raccontato ciò che hanno visto e sentito. Addio Stato di diritto, addio a una nobile tradizione giuridica, la nostra, in base alla quale il giudizio della corte si formava esclusivamente sulle verità processuali, che se acquisite sotto giuramento e salvo prova contraria erano considerate sacre.
Quanto al presidente Berlusconi, sono certo che saprà cosa fare. Se è ancora in piedi dopo 18 anni nei quali gliene hanno fatte di ogni, non sarà certo la sentenza di ieri a farlo desistere. Per quel che vale, permettetemi di dire che se avessi non dico un indizio ma un solo dubbio che il presidente abbia molestato una donna anche una sola volta in vita non sarei qui a scrivere queste righe. Frequentando un po’ l’ambiente, e avendo conosciuto l’uomo, ho assoluta certezza del contrario. Stiamo parlando di un galantuomo, mattacchione sì, ma di gran lunga moralmente più integro dei suoi accusatori e giudici. Il che rende di maggior gusto resistere a questa porcata. E alle prossime. Alessandro Sallusti, 25 giugno 2013

LA CONDANNA DI BERLUSCONI: HANNO FATTO UN DANNO EMORME ALLE DONNE, di Ritanna Armeni

Pubblicato il 25 giugno, 2013 in Costume, Giustizia, Il territorio, Politica | Nessun commento »

Diciamolo subito: il punto non è quello che avverrà dopo la sentenza e la condanna di Silvio Berlusconi o quali saranno le ripercussioni sul governo e sulle larghe intese, il punto è quello che è già avvenuto, quel che le decisioni dei giudici di Milano significano per il paese oggi, un minuto dopo la lettura della sentenza.

Una sentenza non ha solo un valore in sé. Non è indirizzata solo all’imputato. Certo Silvio Berlusconi è il condannato, ma dietro quei sette anni di carcere per costrizione e prostituzione minorile, dietro quell’interdizione perpetua dai pubblici uffici c’è la condanna di un intero mondo, di un modo di vivere il proprio privato, ci sono le “Olgettine”, le cattive ragazze che ricevono doni e denaro, le feste a sfondo sessuale, i divertimenti osé, le danze scabrose. Era bello quel mondo? Era squallido sicuramente, mette tristezza, fa capire tanto sui rapporti fra il potere e il sesso. Il problema è che in uno stato di diritto, in un stato che non arroga a sé il potere di dettare la morale e il comportamento sessuale dei propri cittadini, non può essere oggetto di condanna in tribunale. Invece nel processo non ha avuto alcuna importanza il fatto che, a cominciare da Ruby, quelle ragazze abbiano negato di aver avuto rapporti sessuali. Anzi la minaccia ora è l’accusa di falsa testimonianza. Non è possibile che chi ha partecipato ai giochi e alle danze non si sia prostituita, hanno, di fatto, affermato i giudici. Non è possibile che non si sia prostituita la minorenne Karima El Mahroug che ha fatto come loro. Puttane e bugiarde. Questo sono quelle ragazze e le loro parole al processo ora sono rinviate alla procura perché le esamini ulteriormente. Perché trovi ulteriori colpe contro di loro.

Non considero delle “erinni” le donne giudici di Milano che hanno letto la sentenza, non considero una “strega” Ilda Boccassini. Non mi piace il modo in cui i tanti oppositori della sentenza oggi le apostrofano, ma hanno sicuramente fatto un danno enorme alle donne. Non solo a quelle cattive ragazze che hanno tutto il diritto di essere cattive, cattivissime e anche puttane. E che non sono considerate incapaci di intendere, ma solo furbe maliziose e bugiarde. Ma anche alle altre. A quelle che pensano di essere dalla parte giusta. Perché, come la storia e la cronaca insegnano, in uno stato etico sono le donne le prime a rimetterci, buone o cattive che siano. Sono loro che in uno stato che decide il comportamento morale si trovano a rinunciare alla loro libertà. E il fatto che in tanti e in tante oggi siano felici per la condanna di quel mondo, si sentano finalmente liberate dallo squallore, dal cattivo gusto, dall’odore di stantio che da esso emana la dice lunga non solo su chi ha pronunciato la sentenza, ma anche su quella diffusa mentalità che fa il doppio errore di giudicare immorali e quindi illegali i comportamenti diversi dai propri. Possibile che un’idea di libertà, di legalità separata dall’etica, oggi debba essere rappresentata solo dalle “cattive ragazze”? Ritanna Armeni, Il Foglio quotidiano, 25 giugno 2013

…….Tra tutti i commenti che oggi si possono leggere sui quotidiani a proposito della condanna inflitta ieri a Milano da un Tribunale composto da tre donne, abbiamo scelto,  per commentare una condanna che appare agli occhi di tutti, oltre che esagerata, molto discutibile (si può ancora in Italia discutere le sentenze o si corre il rischio di essere denunciati per lesa giustizia?) questo articolo di Ritanna Armeni. Che non è una giornalista al soldo di Berlusconi, nè sul suo libro paga, nè addomesticata in una delle cene di Arcore. Ritanna Armeni, che oggi scrive sul Foglio di Ferrara, è una giornalista di sinistra, anzi della sinistra extraparlamentare e di quella più agguerrita contro Berlusconi. Per questo la sua opinione ci sembra avere un peso maggiore dei tanti e delle tante che in queste ore si sono avvicendati nella “difesa2, spesso d’ufficio,  di Belrusconi. Anche perchè la Armeni senza giri di parole issa sul banco degli imputati, anzi delle imputate, le tre giudici che pur di condannare Berlusconi, si sono a loro volta issate sul cielo della difesa della etica e della morale pubblica, pretendendo di stabilire per legge se una donna, più donne, tante donne, possano o meno avere il diritto di fare del proprio corpo ciò che vogliono. Sia chiaro, non condividiamo del tutto le tesi della Armeni, ma ci pare che in  un Paese dove il femminismo è stata più che una moda e che in questi giorni, nel bel mezzo di un gran can can,  sta varando una legge che punisce la violenza contro le donne (e quella contro gli uomini da parte delle donne a quando?) è una sopresa che un Tribunale al di là di ogni altra questione si sia posto il problema di stabilire cosa una o più donmne possano fare nel proprio spazio personale del proprio corpo. C’è del fondamentalismo esasperato in questa sentenza, al di là delle colpe, ove davvero ci siano, dell’imputato al quale peraltro è stato riservato un trattamento al quale manca solo la condanna all’evirazione da eseguire sulla pubblica piazza con tanto di constatazione formale dell’avenuto taglio dell’arnese oggetto corpo del reato. Ovviamente a cura delle donne.g.

SPIATI I CONTI CORRENTI: SARANNO PUNITI SOLO GLI ONESTI

Pubblicato il 23 giugno, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

Spazi di libertà che se ne vanno. Da domani sarà operativo il SID, il nuovo sistema di anagrafe tributaria dei conti correnti.

Non si sa quanto sia voluta la scelta di un nome minaccioso (qualcuno si ricorderà che era la vecchia sigla dei Servizi Segreti italiani) ma di certo fa tremare perché tutti i dati del proprio conto corrente finiranno retroattivamente, a partire dal 2011, nelle mani di Attilio Befera. «Ma come?» Dirà qualcuno «Male non fare, paura non avere! Chi è in regola non deve temere nulla». Ahimè no, perché la storia della fiscalità italiana è costellata di vessazioni perpetrate proprio ai danni dell’onesto contribuente.

Le armi del grande evasore si chiamano Svizzera, Singapore, Cayman. I metodi di pagamento del malvivente non sono mai l’assegno o il bonifico. I grandi indagati per tangenti erano sempre stati pescati con il conto a Montecarlo o con i lingotti nell’imbottitura del puf, non si ricordano alle cronache malfattori col conto risparmio. Se ci fosse tuttavia la certezza di un utilizzo leale da parte dello Stato per combattere la famigerata evasione, la cosa potrebbe trovare giustificazione ma non è questo il caso per due motivi principali: innanzitutto un nuovo patto col contribuente fatto di punizioni esemplari e di controlli ferrei dovrebbe accompagnarsi ad una sostanziosa riduzione delle aliquote. Il concetto è difficile da digerire per l’onesto che paga tutto e che pensa che come lo può fare lui lo dovrebbero fare anche gli altri, tuttavia occorre sforzarsi e ragionare sui numeri: oggi il rapporto tra tasse incassate e Pil è ai vertici mondiali. Questo significa che se magicamente, mantenendo le aliquote attuali, tutti pagassero il dovuto, la pressione fiscale in Italia lo renderebbe il Paese più tassato del mondo di molti punti percentuali. Anche la vecchia storia del «se tutti pagassero le tasse le aliquote sarebbero più basse» è una solenne bugia perché mai ad un aumento della proporzione del gettito si è accompagnato un calo delle aliquote. Né mai succederà, tenuti presente i nostri impegni di bilancio. E qui arriviamo al secondo punto.

Ci ricordiamo le parole di Prodi che promise che «chi già pagava tutto non doveva temere nulla» salvo poi seppellirlo di gabelle? E soprattutto di Monti che disse che per una tassa «generalizzata» sul patrimonio occorrevano strumenti di accertamento che al momento non c’erano? Ebbene, dato che delle buone intenzioni dello Stato abbiamo imparato da tempo a diffidare e che governi di ogni colore hanno sempre calpestato i diritti dei cittadini con tasse irragionevoli e addirittura retroattive, non si può non pensare che si stia preparando l’ennesima tonnara per macellare il contribuente, magari in nome dell’Europa. Una trappola che incenerisce anche gli ultimi barlumi di privacy e che rischia di colpire ancora una volta gli onesti, lasciando gli evasori del tutto indenni al riparo dei loro conti esteri e schermati. Paradossalmente l’unica difesa del contribuente sarebbe la crisi, come dimostrato dalla recessione provocata dagli inasprimenti di Monti. Spiati, vessati e a rischio fallimento: non esattamente le migliori condizioni per un rilancio economico. Il Giornale, 23 giugno 2013

………………..Tutti, da destra a sinistra, avevano assicurato che sarebbe stato posto un freno all’invasione barbarica di Equitalia nella privacy degli italiani. Infatti da domani Equitalia e i suoi sceriffi di Nottingham potranno contare i peli dei contribuenti italiani, naturalmente di quelli onesti, che le tasse le pagano dal primo all’ultimo centesimo. Gli altri, i milioni che già  sfuggono al fisco, continueranno a farlo tranquillamente, perchè l’Himmler di Equitalia avrà altro di cui occuparsi.

IL MINISTREO IDEM EVADE LE TASSE MA DIFENDE IL ROM ASSASSINO

Pubblicato il 22 giugno, 2013 in Costume, Politica | Nessun commento »

Ricordate? Un giovane rom senza patente alla guida di un suv inve­stì volontariamente e uccise un vi­gile urbano di Milano.

Josefa Idem, ministro per le pari opportunità

Era il 12 gennaio del 2012. Poche settimane fa il ragazzo è stato condannato a 15 anni di reclusio­ne, una pene lieve se paragonata ai 26 chiesti dall’accusa. Lo sconto è stato mo­tivato dai giudici così: «È cresciuto in un contesto di vita familiare caratterizzato dalla commis­sione di illeciti da parte degli adulti di riferimento e in una so­stanziale assenza di scolarizza­zione ». Noi titolammo, sintetiz­zando la questione: «Se il killer è rom, l’omicidio è meno gra­ve», perché ci era parso che tra le righe si dicesse chiaramente che era stata riconosciuta un’attenuante specifica carat­teristica di quella etnia.

Bene, la ministra alle Pari op­portunità, Josefa Idem, ha fat­to fare dal suo dirigente un esposto all’Or­dine dei giornalisti considerando la no­stra sintesi offensiva dei rom. Punite quei razzisti, chiede la signora, politicamente corretta con noi del Giornale quando si tratta di rom assassini, ma molto scorret­ta in quanto a etica personale. Già, per­ché è lei quella che ha fatto la furba per non pagare l’Imu, inventandosi finte resi­denze in palestra e non solo. Visto che an­che io, alla pari dei rom, voglio godere di pari opportunità, le chiedo, signora: a chi mi rivolgo per non avere al governo un ministro evasore visto che io l’Imu l’ho pagata?  Alessandro Sallusti, 22 giugno 2013

…….L’antico detto secondo il quale “fai come dico io e non fare come faccio io” è sempre in voga, spercie quando si dvee gustificare se stessi o i propri amici. E comunque il caso della Idem non è isolato e purtroppo non riguarda solo chi sta in alto, ma anche e spesso chi sta in basso.

TRA MONTI E CASINI UNA ROTTURA POCO CIVICA

Pubblicato il 22 giugno, 2013 in Politica | Nessun commento »

La rapidità con cui è fallito il progetto di Scelta civica è sorprendente quasi quanto la velocità con cui si sta dissolvendo la speranza del Movimento 5 Stelle. Eppure, con tutte le loro diversità, si tratta delle due facce che la rivolta contro il sistema dei partiti aveva assunto alle elezioni di febbraio; dei vincitori (Grillo) e degli sconfitti (Monti) della cosiddetta «antipolitica». Sembra oggi di assistere alla nemesi storica dei due partitoni che, seppure ammaccati e logori, sono sopravvissuti all’assalto e si preparano a dare loro le carte di una possibile Terza Repubblica.

Ma mentre la crisi dei grillini avviene sotto gli occhi del pubblico come in una telenovela sudamericana, quella del partito di Monti si è avviluppata invece in bizantinismi incomprensibili, in una litigiosità tra correnti e personalità che stride con la modestia dei numeri e ricorda le battute sulla scissione dell’atomo. Non ci addentreremo dunque nelle ragioni per cui Monti e Casini stanno per divorziare (anche se in realtà il loro è piuttosto un matrimonio rato e non consumato, e in quanto tale spera di ottenere un più discreto annullamento). Ma è interessante capire che cosa è andato storto, perché tre milioni di italiani, e non i più impulsivi o disinformati tra gli elettori, avevano dato fiducia a Scelta civica nelle urne. Consegnandole un risultato che, seppure non un successo, era pur sempre una base accettabile per contare qualcosa.

Gli avversari dicono che il tentativo di Monti è fallito perché «tecnocratico». Ma è più probabile che abbia invece pagato proprio un eccesso di politicismo. La sua decisione di candidarsi alle elezioni è stata l’opposto di una scelta tecnocratica: ha chiesto all’elettorato il mandato a governare. Il Professore sarebbe stato più furbo, ma non più corretto, se avesse aspettato in panchina un pareggio elettorale per poter tornare a fare l’arbitro. Però Monti è entrato in campo portandosi addosso la soma della vecchia politica. In primo luogo accettando il ruolo di possibile stampella di una vittoria mutilata della sinistra. Chi ha rifiutato il governo di Bersani e Vendola ha dunque rifiutato anche lui, e questo ha chiuso a chiave il forziere dei voti moderati, così riconsegnati al redivivo Berlusconi. Il secondo handicap, forse anche più esiziale, è stato l’alleanza elettorale con i frammenti più vetusti del big bang della Seconda Repubblica, che ha spogliato Scelta civica di ogni credibilità come fulcro di un radicale rinnovamento del sistema.

L’errore nelle alleanze è stato così grave da aver prodotto effetti anche dopo il voto. Ciò che in natura non può stare assieme, prima o poi si divide. Quello che sta accadendo è la riprova che Monti e Casini non potevano e non dovevano stare insieme. ANTONIO POLITO, Il Corriere della Sera, 22 giugno 2013

LA SENTENZA CONTRO BERLUSCONI: AD UN PASSO DALLA FINE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 20 giugno, 2013 in Politica | Nessun commento »

Tutto come previsto. Ora tra la vita e la morte politica di Silvio Berlusconi c’è solo un passo, una sentenza della Cassazione.

È quella sul processo diritti Mediaset che dovrà confermare o no, entro l’autunno, la condanna a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici inflitta in secondo grado al leader del Pdl.

come chiesto dalla difesa – sostenendo che un Consiglio dei ministri convocato d’urgenza (su pressione dell’Europa) dall’allora premier Silvio Berlusconi non poteva valere come legittimo impedimento a partecipare a un’udienza (che i giudici svolsero senza l’imputato).

In sintesi: dei giudici che decidono che cosa è utile, necessario per un governo e quindi per il Paese. Un’arrogante interferenza di un potere dello Stato (la magistratura) nei confronti di un altro potere (l’esecutivo), ultimo atto di una persecuzione formale e sostanziale iniziata all’indomani della famosa discesa in campo. Tra pochi mesi, quindi, il leader del Pdl perderà l’agibilità politica. Non uso il condizionale perché sono sicuro che la sentenza di morte è in realtà già scritta. Non c’è motivo perché la casta dei magistrati, se lasciata libera di scorrazzare, si fermi sul più bello. So che non pochi, dentro il Pdl e nella corte, consigliano Berlusconi di stare fermo immobile perché in qualche modo le cose ancora si possono aggiustare. Sono le famose colombe, le stesse che garantivano il buon esito della sentenza di ieri. Io non sono contrario alle mediazioni, ma ai fallimenti sì. Colomba è colui che fa la spola portando avanti e indietro un ramoscello di pace. Mi pare che le nostre colombe invece partano col ramoscello e tornino regolarmente a zampe vuote. Cioè sono inutili, direi dannose come i piccioni.
Berlusconi se la cava alla grande quando dà retta solo a se stesso, al massimo all’umore del suo elettorato. E non credo proprio che gli elettori del Pdl siano felici di vederlo uscire di scena silente e umiliato. Perché è chiaro che, via lui, il Pdl si scioglierà come neve al sole. E non è un mistero che già qualcuno dei colonnelli per salvarsi si stia spalmando crema protettiva gentilmente offerta da finti amici (la stessa usata da Fini al tempo del tentato golpe).
Tre mesi. Questo il tempo per stanare il presidente Napolitano, duro nel sostenere il governo di larghe intese ma ambiguo nel garantire l’agibilità politica di uno dei due soci. Non so se la sentenza di ieri inciderà sulla tenuta del governo (Berlusconi dice di no). Ma so che andare a braccetto e spianare la strada a chi ti vuole morto non è da colombe. O è da fessi o da doppiogiochisti
. Alessandro Ssallusti, 20 giugno 2013

……..Non ci sembra che siano alternative, nè che quanto sostiene Sallusti sulla sentenza già scritta dalla Cassazione sia campato in aria. Potremmo limitarci a sottolineare che quel che accade oggi è la conseguenza delle incertezze degli anni trascorsi dinanzi al problema giustizia e alla necessità di riformarla, senza che si sia mai tentato davvero di farlo. Ma diserteremmo dinanzi al problema che realisticamente evidenzia la prosa scarna ma efficace di Sallusti: il rischio che certa magistratura possa di fatto dettare le regole del gioco per i prossimi decenni e che nei prossimi decenni quel che resta della destra italiana ( bella o brutta che sia, fallace o meno che possa essere stata a parere di Antonio Polito  in  un suo recente  saggio sui fallimenti della destra italiana negli ultimi cent’anni) sia costretta a fare tappezzeria e i suoi esponenti – colombe o falchi – ad accontetarsi del ruolo di maggiordomi, è talmente alto e sopratutto inaccettabile, tanto da indurci a considerare unica alternativa ciò che sotto sotto Sallusti propone: far saltare il tavolo e giocare il tutto per tutto delle elezioni anticipate, con tutti i rischi che ciò comporta. Ma dinanzi all’inelluttabile, occorre far di ragion virtù. Del resto l’alternativa è  vedere che le cosiddette colombe, con l’aggiunta dei falchi che a loro volta, per salvarsi il c…o, si trasformeranno anch’essi in colombe, piangeranno lacrime di coccodrillo nel mentre  si appresteranno  a riciclarsi nel panorama che verrà. E’ un film già visto, purtroppo, e tante volte, nel corso della breve storia del nostro Paese, dal postunità a  tangentopoli.  Con buona pace di Berlusocni che ha trasformato tanti asini in cavalli e li ha issati sugli scranni più alti della Repubblica, come neppure Caligola aveva fatto che senatore ne fece solo uno. g.

L’ELEMOSINA AGLI ITALIANI DEL GOVENRO LETTA: 5 EURO DI RIPARMIO IN TUTTO IL 2013 SULLE BOLLETTE ENEL

Pubblicato il 18 giugno, 2013 in Economia, Politica | Nessun commento »

ROMA – Quattro-cinque euro annui in meno sulla bolletta della luce del 2013, il doppio l’anno prossimo. Tanto dovrebbe valere per le famiglie italiane (che ogni anno pagano in media 511 euro di luce) la riduzione, pari a 550 milioni, del prezzo dell’energia elettrica, deliberata dal governo Letta nel decreto «Fare».
Il condizionale è d’obbligo, visto che ieri i tecnici dei ministeri competenti erano ancora al lavoro per «cifrare» il decreto e nelle ultime ore è circolata l’indiscrezione di 150 milioni di euro, di cui ora dispone l’Erario, provenienti dalla cosiddetta componente A2 della bolletta (oneri per la messa in sicurezza del nucleare), e che potrebbero essere destinati al taglio delle bollette. Se queste risorse fossero risorse aggiuntive, genererebbero un ulteriore sconto quest’anno di due euro, ma potrebbero anche essere soltanto sostitutive di qualche altra voce.Fonte ANSA, 18 GIGUNO 2013

……………Insomma il decreto del “fare” ha partorito per gli italiani l’ennesimo topolino o, se si vuole, l’ennesima presa in giro. Letta, nella conferenza stampa di presentazione del decreto legge, annunciava,  tutto giulivo, che le bollette della luce sarebbero state diminuite nell’anno 2013. A conti fatti si tratta di 5 euro all’anno, che potrebbero salire a 7 ma non di più. Cioè quanto gli italiani di buona volontà fanno cadere nel cestino delle offerte durante la messa domenicale. Quindi una elemosina all’anno quella del governo delle larghe intese a fronte delle esosissime tasse che gli italiani pagano per mantenere in vita un sistema che fa acqua da tutte le parti. g.

I PARTITI E IL GOVERNO: UNA ANOMALA FRAGILITA’

Pubblicato il 16 giugno, 2013 in Politica | Nessun commento »

Ma in Italia esistono ancora i partiti? Dietro le etichette sopravvissute alla tempesta del voto, all’elezione del presidente della Repubblica e alla nascita di un governo vissuto come una camicia di forza è rimasto un vuoto politico, organizzativo e di leadership che ha pochi precedenti nella storia della Repubblica. Un deserto che va dalla formazione di Vendola all’ex destra di An, dal Pd a ciò che resta del Pdl. Per non parlare di Scelta Civica svanita nel nulla e della Lega sconfitta e messa alle corde perfino da Umberto Bossi.

Se dai partiti si passa a quello che orgogliosamente si considera un «movimento di cittadini» il panorama non cambia: dopo il successo del 24 febbraio i 5 Stelle hanno vissuto una serie interminabile di abbandoni, processi ai dissidenti, liti su soldi e scontrini. Ora siamo all’atto finale: tanti eletti sono pronti ad abbandonare il gruppo mettendo in discussione la figura di Grillo, trasformatosi da trascinatore dell’Italia ribelle in capo autoritario e bizzoso.

Ma è quello che accade nel Pd e nel Popolo della Libertà che deve più preoccupare. Il Paese ha bisogno di un’alleanza di governo che duri il tempo necessario a promuovere le misure contro la crisi. Riforme radicali per liberare le risorse utili alla crescita, promuovere l’innovazione, creare opportunità di lavoro per i giovani, rendere efficiente la pubblica amministrazione, cambiare le istituzioni e la legge elettorale. Compito al limite dell’impossibile.

Il Partito democratico è invece ancora immerso in una resa dei conti interni senza fine. È arduo seguire la scomposizione delle vecchie correnti e la nascita delle nuove, decifrare il dibattito sulla scelta del segretario e sul metodo per eleggerlo. C’è un unico punto certo: rendere più complicata la corsa di Matteo Renzi, leader popolare ma alieno alle liturgie degli ex comunisti. Si avverte l’assenza di una linea politica comune, la tentazione di buttare a mare le larghe intese per tornare ai lidi tranquilli di un’identità di sinistra rafforzata dall’iniezione di grillini dissidenti.

Ancora più indecifrabile è il confronto in corso nel Pdl. Da un anno si litiga sul ritorno a Forza Italia, una questione irrilevante dopo l’addio dei politici provenienti da An. Ci si accapiglia tra falchi e colombe filogovernative senza rispondere alle vere domande: come sopravviverà il partito senza la leadership (scossa dalle inchieste e calante nella presa elettorale) di Silvio Berlusconi? Quali dirigenti saranno in grado di interpretare le aspirazioni di un elettorato moderato in fuga verso l’astensione? E come potrà convivere il populismo movimentista con il progetto di una forza legata ai popolari europei?

Partiti seri, consapevoli della sfiducia totale del Paese approfitterebbero dell’attuale tregua per ripensare se stessi, ricostruire la credibilità perduta, promuovere nuove classi dirigenti. Invece non sanno neppure riconoscere che sono loro i malati gravi, scaricano sull’esecutivo tensioni e movimenti scomposti. La speranza di una «democrazia normale», con due poli (progressista e conservatore) che competono per conquistare il consenso degli elettori è sempre più lontana. Luciano Fontana, Il Corriere della Sera, 16 giugno 2013

…………………..Non nutra speranza l’autore di questo editoriale: i partiti, quel che resta di ciò che essi furono nel passato, nel bene e nel male, i protagonisti della rinascita nazionale, della trasformazione di un Paese demolito, non solo materialmente, dalla guerra al Paese che si rimboccava le maniche, ricostruiva il futuro, conquistava obiettivi e guardava lontano, quei partiti non esistono più e non esisteranno più neppure nel futuro. Tutti, nessuno escluso, sono ormai  conventicole che si rinchiudono in se stesse allo scopo, neppure tanto nascosto, di eternare ciascuno la propria  la classe dirigente costruita non come nel passato,  attraverso la selezione dal basso, ma attraverso cooptazioni e chiamate dall’alto. Anche per i  livelli più bassi dell’apparato, e ciò è caratteristica sia dei piccoli, sia dei grandi partiti, dal Pd al PDL. In quest’ultimo, poi cresce, ad onta dell’uragano che sempre più si avvicina,  una nuova  classe di “ras” che considerano i territori come conquiste da trattare come personali capisaldi da affidare ai peggiori  figuri che abbiano la caratteristica d essere assolutamente imbecilli. Di questo  passo è ovvio che  si scade nel nulla e si aggrava la malattia di cui i partiti sono affetti: la miopia, anzi la più totale cecità. Tanto da non accorgersi di essere sempre più impopolari e sempre più individuati come le vere calamità dell’attuale situazione socio-economica-politica-morale e quindi come l’emblema di ciò che deve essere rimosso, spazzato via.  Come potrà avvenire la rimozione è difficile pronosticarlo: ma avverrà. g.