Di Cristiano GATTI – IL GIORNALE DEL 3.3.2008
Fino ad oggi non sono mai stato in galera. Qualcosa però mi dice che ogni ora trascorsa in galera sia molto pesante. Soprattutto se è un’ora immeritata. Se è gratis. Ecco: queste ore, che appaiono sempre più gratuite e immeritate, cominciano ad essere troppe anche per Filippo Pappalardi. Persino per Filippo Pappalardi. Il suo nome, la sua storia, il suo profilo sono ormai tristemente popolari in tutta Italia: è il papà, in tante occasioni il padre padrone, di Ciccio e Tore, i due piccoli martiri di Gravina. Mentre tutti quanti noi, fuori, ci stiamo chiarendo le idee sulla più angosciosa disgrazia degli ultimi anni, lui sta marcendo in galera. Se ancora ne siamo capaci, se ancora crediamo in una giustizia equa e umana, è il momento di chiederci: quanto dovrà restarci, ancora, a titolo gratuito?
Da lunedì scorso, da quando un terzo bambino è volato nella cisterna, le accuse contro Pappalardi subiscono colpi pesanti. Tutte le perizie, tutte le ricostruzioni si avviano ormai verso un’unica soluzione: Ciccio e Tore sono povere vittime di un incidente. Se poi vogliamo allargare un poco il discorso, possiamo tranquillamente aggiungere che sono vittime dell’incoscienza. La loro, certo: che però è veniale, trovandosi ancora entrambi nel pieno dell’età incosciente. Più grave, molto più grave e imperdonabile, è quella degli adulti. Lo ammettono loro stessi, adesso, con ammirevoli manifesti pubblici, appesi ai muri del paese. E’ il grande momento del rimorso e dei sensi di colpa. Doverosi, inevitabili. Non è il caso di infierire, ma la verità non va nascosta: i bambini di Gravina giocavano da anni in luoghi luridi, osceni, e ovviamente molto pericolosi. Il lugubre palazzo di via Consolazione era da tempo la squallida ludoteca comunale. Tutti lo sapevano, nessuno ha mosso un dito. Tra la faciloneria e la leggerezza di tanti genitori allo stato brado, tra il disinteresse colpevole dei proprietari di questi stabili-gruviera, i piccoli giocavano con il buio, con i rottami di biliardo, con i primi mozziconi di sigaretta, ma soprattutto con la morte. Nessuno, comprese le cosiddette autorità competenti, si è mai sentito in dovere di barricare il pericolo. La contabilità di tanta sciatteria è presto fatta: in un anno e mezzo, sono caduti in tre nella stessa cisterna. Adesso è tutto un pellegrinaggio. La gente porta fiori e biglietti. Ci piange sopra. Inevitabile: quando muoiono degli innocenti, la responsabilità ci frana addosso. E finalmente l’affrontiamo. Ma mentre noi ce la raccontiamo, al grido di mai più una cosa simile, là dentro c’è sempre un tizio che sconta ore, giorni, settimane di galera. Inutile nasconderlo: non è un tizio che risulti subito simpatico. Non è quel genere d’uomo col quale andare amabilmente al caffè. Tanto meno, al quale affidare i propri figli per un pic-nic in campagna. Tutti quanti in paese lo conoscono come persona a dir poco irascibile. Se non brutale. Anche con i figli, come negarlo.
E’ evidente: nessuno, in Italia, sfilerebbe per strada portando striscioni con scritto “Filippo libero“. Ma quando c’è di mezzo la galera bisogna fare le persone serie. Se cominciamo a chiudere in cella tutti gli antipatici e gli irascibili, se la personalità sgradevole diventa un motivo valido per buttare via la chiave, significa che qualcosa di molto brutale sta succedendo anche qui fuori. Inutile raccontarci favole: la sensazione che Pappalardi stia trascorrendo in modo gratuito troppe ore in galera resta netta. La sensazione è che ce lo tengano lì per motivi, diciamo così, di opportunità. Che se la stiano prendendo un po’ comoda (vai a sapere, c’era di mezzo pure il week-end). Per una certa mentalità istituzionale e notarile, che non ammette la possibilità di ammettere un errore (difatti, anche le ricerche sono risultate perfette...), liberare subito Pappalardi avrebbe inevitabilmente assunto il sapore della bruciante sconfitta. Meglio - più opportuno - arrivarci per gradi. Un poco per volta. Perizia dopo perizia. Infine, quando le acque saranno più calme, si potrà finalmente lasciar trionfare la giustizia. L’errore sembrerà meno eclatante. Intanto, quello marcisce in galera. E’ un problema? Via, visto il tipo che è, qualche ora in più può fargli solo bene.
Così però non ci siamo. Anche davanti a un tipo come Pappalardi, bisogna trovare la forza per invocare il massimo della velocità. Non esistono ma, se, però. Metti pure che abbia inseguito minacciosamente Tore e Ciccio, inducendoli a scappare verso il pericolo: nemmeno questo, per quanto odioso, lo rende un assassino. Anche la constatazione che sia uscito da un ambiente degradato, che non fosse un padre tenero e compassionevole: niente, non significa nulla. Se è innocente, sta sopportando qualcosa di disumano: la perdita di due figli, più l’accusa di averli uccisi con le sue mani. C’è qualcosa di più ingiusto? Non so perchè, ma vengono in mente certi imputati eccellenti premurosamente trasferiti agli arresti domiciliari. S’era detto che davanti alla legge siamo tutti uguali. Per caso, vale ancora?