Ecco una notizia che farà tremare di rabbia i sinistri di tutto il mondo:il presidente brasiliano LULA, per la cui seconda vittoria pochi mesi fa hanno versato lacrime di gioia tutti i commentatori politici di casa nostra (ovviamente di sinistra) ha proposto di abolire il diritto di sciopero per i dipendenti pubblici.
PER L’EX SINDACALISTA LULA CERTI SCIOPERI VANNO ABOLITI
di Carlo Lottieri
Nelle ultime settimane in Brasile si è sviluppato un acceso dibattito sulla proposta avanzata da Luiz Inacio Lula da Silva, il quale ha proposto di restringere il diritto di sciopero dei lavoratori pubblici. Non nuovo a sortite anticonformiste, il «presidente sindacalista» intende tutelare gli utenti dei servizi pubblici e limitare le prerogative attuali dei dipendenti dello Stato. I maggiori sindacati sono ora sul piede di guerra, ma è opinabile che stiano davvero difendendo gli interessi dei brasiliani.
Quella proposta dal governo di Brasilia, infatti, è una semplice misura di buon senso, volta a garantire che quanti forniscono in maniera monopolistica una quantità rilevante di servizi essenziali non usino la loro posizione per «tiranneggiare» la maggioranza dei cittadini e ottenere privilegi su privilegi. Ma è sorprendente che a muoversi in tal senso sia proprio Lula, che da anni è una delle icone della sinistra internazionale. Per giunta, il presidente brasiliano richiama l’attenzione su una questione politica cruciale, che va ben al di là del caso specifico. Egli mostra di aver compreso come esista una frattura radicale, in ogni società, tra quanti operano nel settore privato e l’immenso esercito dei dipendenti statali. Mentre artigiani, operai, commercianti, imprenditori, professionisti e impiegati del privato conquistano la loro posizione sociale all'interno di un «gioco» in cui svolgono un ruolo decisivo le preferenze espresse dai consumatori finali, nel settore pubblico le logiche sono completamente differenti.
Poiché i servizi statali sono prodotti in forma monopolistica o comunque entro un quadro di protezioni e privilegi, a dettare l’esito delle «contrattazioni» non è già la soddisfazione dei destinatari ultimi del lavoro stesso, ma una relazione complessa in cui a pesare in maniera decisiva sono gli interessi dei lavoratori pubblici. Nelle negoziazioni del privato, i dipendenti si confrontano con imprese motivate a limitare la crescita dei salari e la concessione di condizioni sempre migliori.
Tutto questo è nell’interesse non soltanto degli azionisti ma anche dei consumatori, che in tal modo possono ottenere beni a costi più contenuti. Non è così però nel settore pubblico, dato che qui la controparte è tutta politica. Quanti sono chiamati a interpretare gli interessi generali vedono infatti nei dipendenti statali un’ampia realtà elettorale: da blandire e soddisfare in tutti i modi. È per questo motivo che circa quindici anni fa il professor Gianfranco Miglio aveva provocatoriamente proposto di togliere il voto ai lavoratori pubblici, i quali sono al centro di un evidente «conflitto di interessi» quando si trovano a decidere - da elettori - anche sulla selezione di chi andrà a definire i loro redditi e il peso delle mansioni che devono svolgere. Contestando i privilegi della funzione pubblica Lula ha messo in discussione un tabù che è duro a resistere pure da noi. Anche per questo c’è da augurarsi che la sua battaglia giunga a buon fine.