Laura Cesaretti
Ora, come spiegava due giorni fa un preveggente Bettini, bisogna «tenere botta». Perché se la sconfitta alle politiche era già scritta, quella di Roma è una catastrofe che nessuno aveva previsto in queste dimensioni. E ora nel Pd regnano la confusione e il rimpallo delle responsabilità. Colpa di Rutelli che «non sfonda», dicono i veltroniani. Rutelli ha fatto «tutto quel che poteva fare», ribattono i dalemiani. Che sottolineano che il voto «disgiunto» tra Rutelli e Zingaretti alla provincia segnala una bocciatura mirata del «modello Roma» incarnato dal segretario e dal suo braccio destro Bettini. «Dopo la sconfitta alle politiche ci hanno spiegato che era colpa di Prodi. Ma al governo di Roma prima del voto non c’era mica Prodi», nota il parlamentare lucano Luongo. E anche il tentativo di consolarsi con le vittorie impreviste al Nord, celebrate da esponenti vicini al leader, viene bocciata: «A Vicenza abbiamo vinto solo perché il Pdl si è spaccato. E a Sondrio è tutto merito del candidato locale», assicura il bergamasco Misiani.
Veltroni ha accusato il colpo, riferisce chi ci ha parlato ieri pomeriggio, e assicura che «non ci sto a farmi cuocere a fuoco lento dai retroscena dei giornali». Non gli è piaciuta l’iniziativa del Corriere on line, che ieri sera ha lanciato un sondaggio imbarazzante: dopo la sconfitta di Roma, Veltroni si deve dimettere? Alle 22, i sì vincevano col 52,5%. Non si tratta certo di un campione scientifico, ma il segnale è inquietante. «Non si metta in discussione né il Pd né il suo segretario», avverte il sindaco di Venezia Cacciari. Ma l’ipotesi di un congresso in tempi ravvicinati ieri ha cominciato a circolare.
D’Alema, nella riunione dei big del mattino, ha taciuto. Poi si è chiuso a Palazzo Chigi, disertando l’assemblea dei parlamentari, e rifiutando interviste e partecipazioni tv. Fassino invece ha riunito i suoi: «Nessuno vuole rese dei conti o spargimenti di sangue, sarebbe da irresponsabili. Ma ora una riflessione seria va aperta, perché siamo davanti alla sconfitta politica di un quindicennio di storia», è stato il succo del suo ragionamento.
Per ora, il timore di un’implosione del partito frena tutti. E la paura che scoppi una nuova sanguinosa faida tra i Ds induce la Margherita alla massima prudenza. La prima decisione da prendere riguarda i capigruppo parlamentari, e ieri mattina Veltroni ha proposto ufficialmente il congelamento dell’assetto precedente, Soro (franceschiniano) alla Camera e Anna Finocchiaro (dalemiana, ma ora in rotta con il ministro degli Esteri, che le ha chiesto di rinunciare in favore di Bersani) al Senato. Deputati e senatori verranno consultati ad uno ad uno per dire sì o no al pacchetto. Sulla carta, i numeri sono a favore di Veltroni, ma malumori e scontentezza per una soluzione «debole» dilagano nei corridoi. Però, fa notare un dirigente Pd anti-veltroniano, «tutto dipende da cosa farà Bersani: se decide di scendere in campo si ridiscute tutto, altrimenti la linea di Veltroni passerà come un coltello nel burro». E Bersani, pur critico nel summit di ieri («basta calare dall’alto le candidature alle cariche più importanti, e imporre i vari Bibì e Bibò», «è inutile che continuiamo a spiegare che in realtà non abbiamo perso le elezioni») per ora tiene le carte coperte: «Parlerò all’assemblea del gruppo», promette.
Che stavolta non sia possibile fare «analisi autoconsolatorie» del voto, come dice Fassino, Veltroni lo sa: «È una sconfitta molto grave e pesante, che non posso non sentire con particolare acutezza e amarezza personale e politica». E ringrazia Rutelli «per il suo lavoro generoso e per il suo impegno e amore per la città». Ma ai rutelliani il ringraziamento non basta, tanto più dopo la presa di distanza di Veltroni («Non sono io il candidato sindaco») che due giorni fa aveva mandato su tutte le furie Rutelli. «È evidente che c’era nell’elettorato una richiesta di discontinuità», dice il rutelliano Milana. E il riferimento a Veltroni e al «deus ex machina» romano Bettini è tutt’altro che oscuro.