OVVERO, UN PAESE DI PAZZI E DI DIOTI
di Michele Brambilla
La vicenda che Luigi Mascheroni ha raccontato ieri su questo giornale - relativa a un’offerta di Berlusconi per un’iniziativa culturale: offerta sdegnosamente rifiutata a parole ma nei fatti intascata, visto che pecunia non olet anche se il donatore puzza - può sembrare uno dei tanti casi di antiberlusconismo militante, non rari nel nostro Paese, e in particolare nel suo milieu culturale. E invece non è uno «dei tanti» casi: è un unico, anzi forse il culmine, la vetta dell’odio finalmente raggiunta dopo tanti anni di propaganda. Qual è, infatti, il vertice del male che si può compiere contro una persona odiata? Non è il colpirlo, non è il fargli del male, ma il rifiutare il bene che il tuo nemico ti fa, il non riconoscere che ti sta dando qualcosa. Che cos’è che fa l’innamorata tradita? Restituisce i regali al traditore: è così che sigilla l’addio perché è così che lo ferisce di più. Allo stesso modo si rifiutano le offerte e gli aiuti di coloro che si ritengono immeritevoli di qualsiasi riconoscenza: preferisco morire di fame o annegare che farmi salvare da te. Rifiutando il bene della persona odiata, è come se gli si dicesse: mi fai schifo a prescindere da quello che fai, non odio le tue azioni ma la tua esistenza, odio te, per me non devi esistere.
Siamo uomini di mondo, e immaginiamo già i maliziosi sorrisi di chi commenterà: ecco un articolo scritto per baciare la pantofola. Ma quel che è accaduto, e che tra poco riassumiamo, è qualcosa che va ben al di là di questo giornale e della stessa politica italiana, è qualcosa che ha a che fare con un clima di guerra che ha segnato la storia del nostro Paese negli ultimi quindici anni almeno, un clima che ha portato alla divisione tra un’Italia perbene e un’Italia che rimane permale anche quando fa qualcosa di utile e di disinteressato.
I fatti, dunque. Nel maggio del 2007 il quotidiano Libero lancia, dalle sue pagine culturali, un sos che sembra destinato a restare cosa tra addetti ai lavori: mancano i fondi per un’edizione inglese dello Zibaldone di Leopardi. A sorpresa, Silvio Berlusconi interviene scrivendo a Libero e annunciando una donazione di centomila euro, fatta s’intende a titolo personale. I soldi arrivano e lo Zibaldone in inglese si fa. Poco dopo - giugno 2007 - il capufficio stampa del Centro di studi leopardiani di Recanati, professoressa Donatella Donati, invia a tutti i membri del Comitato scientifico (e pubblica sul sito del Centro) un comunicato per riassumere la vicenda-Zibaldone. Solo nelle ultime righe ringrazia «Silvio Berlusconi e tutti coloro che con il loro aiuto hanno contribuito nel nome di Leopardi a diffondere la cultura italiana nel mondo». Non mezza parola di più.
Passano pochi giorni e la professoressa Donati viene duramente attaccata dai colleghi del Centro per quel «ringraziamento». In particolare, il professor Alberto Folin protesta per aver accettato denaro da «una delle persone più potenti d’Italia dal punto di vista politico, mediatico, finanziario» e scrive: «Non solo non ringrazio, ma respingo con forza il tentativo di appropriarsi di Leopardi di una parte politica, semplicemente attraverso il denaro». Morale: la professoressa Donati, rea di quelle poche righe di ringraziamento, dopo sei anni di lavoro per il Centro viene licenziata. Avete letto bene: licenziata.
Ripeto che siamo uomini di mondo, e accettiamo le battute sul nostro essere di parte. Ma proprio perché siamo tutti uomini di mondo, proviamo a rispondere onestamente a qualche domanda: quanti uomini «potenti dal punto di vista politico, mediatico e finanziario» fanno donazioni per la cultura? Tutta gente che strumentalizza? Ma poi: nel maggio del 2007 eravamo in campagna elettorale? E soprattutto: quanti voti porta una traduzione in inglese dello Zibaldone? Quanti elettori leggono il sito web del Centro studi leopardiano? Siamo seri. L’Italia sarà anche un regime, ma un regime in cui capita che per aver detto un «grazie» a una donazione si resti senza lavoro.