Comunque vada a finire questa «bolla» di protesta che scuote le mura del Palazzo e del Senato, avremo acquisito almeno un paio di certezze. La prima, e più scontata: nel mondo della scuola nulla deve cambiare.
E se qualcuno si azzarda a farlo, la Casta più Casta che c'è sale sulle barricate e spara a palle incatenate. Se poi il riformatore è Berlusconi, allora i cannoni diventano missili. Malizia? Forse.
Ma se pensiamo che sotto il precedente Governo sono stati rivoluzionati due pilastri dell'istruzione con il ripristino degli esami di riparazione e la composizione esterna delle commissioni di maturità, senza che sia volato nemmeno un coriandolo, beh, allora siamo certi che i ragazzi che sfilano non hanno nessun input politico (ci mancherebbe!), ma siamo altrettanto sicuri che la loro protesta si colloca infelice sintonia con la strategia dell'attuale opposizione.
Seconda certezza. La protesta delle Università e l'indignazione dei rettori pronti a dimissioni di massa, hanno scoperchiato un pentolone ribollente di sprechi e inefficienze: facoltà con un paio di studenti, corsi di laurea che si potrebbero tenere al tavolino di un bar visto il numero dei partecipanti.
E siccome sono gli stessi rettori a dirsi pronti a ipotizzare risparmi, sorge spontanea una domanda: perché non l'avete fatto prima? Già, perché avete moltiplicato cattedre e clientele? Perché spendete in molti casi più del 100% dei budget solo per il personale? Colpa di Tremonti e della Gelmini se siete al collasso, se la ricerca langue? Intendiamoci, non è colpa neppure di Fioroni, anche se la Finanziaria di Prodi prevedeva più o meno lo stesso volume di tagli.
Forse, più semplicemente, la colpa è di tanti, anche di questa falange indignata di dimissionari, messa di fronte all'esigenza di far quadrare i conti educativi e finanziati.
Il problema è che in Italia serve sempre uno choc per andare in ospedale. Ma quando il medico opera, non lo/a mai con il bisturi giusto. Anzi, siccome si deve risparmiare, ecco che la facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma scrive alle famiglie dei 15mila (!) iscritti per spiegare che con questa riforma «l'Università sarà accessibile solo ai figli delle famiglie benestanti... e sarà ridotto il patrimonio di competenza dell'Università e dell'intero Paese». Quindicimila (!) missive per propagandare il comizietto loro.
Domanda. Chi paga il tempo e il denaro spesi per questa iniziativa da probiviri del buonsenso? Noi, ovviamente. E loro? Loro incrociano le braccia. E spesso, scaldano una sedia.