di Filippo Facci
Se il sindaco Iervolino si è scagliata contro l'immagine data a Napoli da Matrix, ieri, è perché evidentemente ritiene che Napoli abbia un’immagine: qualcosa di diverso dalla sporcizia, dalla criminalità, dalla disoccupazione, dall’indolenza e dal fallimento politico di un partito che spadroneggia sin dal 1993; qualcosa di diverso da una trasversalità politica e affaristica e non di rado criminale, di ogni colore, che ha perso ogni saldatura democratica con il consenso.
A Napoli c’è una cupola che non è la Camorra, e c’è una spazzatura che nessuno ha ancora portato via: ma il quadro clinico va aggiornato. L’ex assessore Giorgio Nugnes si è suicidato per motivi inconoscibili ma certo non disgiunti da un provvedimento che il parroco delle esequie, Don Carlo, ha definito «infame»: l’ex assessore è passato dagli arresti domiciliari al divieto di risiedere in famiglia per più di tre giorni la settimana, norma applicata ai pedofili. L’ordine d’arresto, con intercettazioni allegate, consentì a Nugnes di comprendere che c’era in gioco un’altra inchiesta più corposa già condotta dalla procura antimafia: contratti per milioni di euro e l’implicazione nazionale di politici, manager, boss e via appaltando.
Un’inchiesta nell’inchiesta in un intreccio senza fine, perché l’apertura di un fascicolo per istigazione al suicidio ora consentirebbe di acquisire nuovi file e tabulati dell’ex assessore: il groviera di Palazzo di Giustizia non attende altro, anche se è l’inchiesta sugli appalti a prospettare una tempesta che a Napoli aspettano senza nessuna quiete.
La racconta, all’interno, Gian Marco Chiocci: una lobby trasversale avrebbe gestito affari del Comune con il coinvolgimento di uomini di ogni livello. I magistrati hanno intercettato anche le utenze dei vertici delle forze dell’ordine: dall’ex questore di Napoli sino a importanti ufficiali dei Carabinieri e della Guardia di finanza. L’inchiesta oltretutto ha come epicentro Mauro Mautone, uomo di fiducia dell’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, da lui fortemente voluto alla direzione dell’edilizia statale: una carica che fu rinnovata proprio il giorno prima che cadesse il governo Prodi. Mautone era già saltato fuori per presunte raccomandazioni che gli avrebbe sottoposto Cristiano Di Pietro, figlio di Antonio, ma ai magistrati interessa che da provveditore delle opere di Campania e Molise gestiva il denaro che alimentava gli appalti dell’amministrazione della Iervolino: si tratta di capire quanto fosse all’oscuro di colossali e accertate malagestioni. Sollecitato, Di Pietro non ha ancora aperto bocca. È persona nota per misura e riservatezza.