di Mario Cervi
Le relazioni con cui viene inaugurato, presenti quasi al completo le massime autorità dello Stato, l’anno giudiziario, somigliano molto a epigrafi poste sopra una pietra tombale: sotto la quale giace la giustizia italiana. Nonostante i corazzieri, gli ermellini, le toghe, gli ori e i velluti, la cerimonia è dunque mesta (gli intervenuti riescono peraltro a nascondere, con facce di circostanza, il senso di vergogna che immagino li attanagli. Non è che il naufragio del diritto in quella che dovrebbe esserne la patria sia una novità del 2009. Da quando è nata la Repubblica - con un progressivo e inarrestabile aggravamento - l’universo dei tribunali è malato di lentezza, di inefficienza, di cavillosità cartacea, di rinvii, di prescrizioni.
Capita a volte che dall’Associazione nazionale magistrati si alzino patetici accenni a lodi estere per il nostro sistema giudiziario. Mirabile infatti. In tema di processo civile abbiamo il 156° posto, dopo il Gabon e poco prima di Gibuti. Tutti gli altri Paesi europei stanno nei primi cinquanta, con l’eccezione della Spagna che tuttavia si classifica cinquantaquattresima. Può darsi che il sistema piaccia abbastanza ai delinquenti e a quanti, in una causa civile, hanno torto marcio: il tempo e le procedure lavorano per loro. Gli onesti e gli innocenti sono invece disperati.
Di questo hanno dato atto ieri il Primo presidente e il procuratore generale della Cassazione. Ma, sia detto con tutto il rispetto, di dotte diagnosi ne abbiamo avute abbastanza per riempire una biblioteca. Quel che occorre è la terapia, non un’ennesima diagnosi. Ho l’impressione che in maggioranza i magistrati mostrino maggior zelo nel difendere il loro fortilizio corporativo che nel rinnovarlo, i tanti avvocati presenti in Parlamento non mi pare abbiano dato un buon contributo, nel corso dei decenni, a curare la giustizia quasi in coma. Il bla bla bla, anche se nobile, ci ha stancati, e quando Nicola Mancino sostiene che «la riforma deve essere praticabile e condivisa» formula il solito auspicio.
Il governo una sua strategia per la ristrutturazione della giustizia ce l’ha. Non è detto che il progetto sia senza difetti, su alcuni punti ho io pure dei dubbi. Ma la riforma, qualsiasi riforma, è urgente perché peggio di come va la giustizia italiana non potrà in nessun caso andare. Si discuta, ma in tempi brevi e senza ubriacare gli italiani di chiacchiere. E si decida, presto. Mal che vada, alla prossima inaugurazione potremo magari essere davanti all’Angola e alla Guinea.