Lo ricordo bene il referendum antinucleare dell’87. Lo ricordo perché è stato l’unico nell’intensa storia referendaria italiana per il quale non fu fatta (e nemmeno richiesta) alcuna campagna televisiva d’informazione. L’iniziativa di smantellare le poche centrali italiane partì da Claudio Martelli, reduce da un convegno socialista in Germania. Il 26 aprile del 1986 c’era stato l’incidente di Chernobyl (Ucraina) e s’era diffusa nel mondo una comprensibile preoccupazione. Con una differenza: gli altri paesi perfezionarono i meccanismi di protezione delle loro centrali rilevando che l’impianto ucraino era un ferrovecchio e guardandosi bene, in ogni caso, dal chiudere i propri; l’Italia fu l’unica a fare harakiri distruggendo, insieme con i propri quattro impianti, una competenza scientifica formidabile e l’intera industria nazionale del settore.
A Martelli si accodarono subito il Pci e la Dc, terrorizzati dalla campagna demagogica che si scatenò dopo Chernobyl. La lobby petrolifera fece il resto. E nel segreto dell’urna gli italiani furono chiamati a rispondere a quesiti complicatissimi che gli elettori intesero tuttavia in questo modo: volete che i vostri figli portino sul corpo le contaminazioni radioattive dei bambini ucraini? Rispondete sì o no. Si può immaginare il risultato.
Prima del referendum, fu impedito alla Rai di fare confronti tra favorevoli e contrari. Ne misi in piedi uno a scrutinio avvenuto. Franco Viezzoli, presidente dell’Enel che pure si era battuto dietro le quinte perché fosse scongiurata la follia referendaria, da quel gran navigatore che è si guardò bene dal parteciparvi. Mandò il capo del suo ufficio nucleare e le cose di buonsenso che disse questo signore bastarono a far infuriare gran parte degli ascoltatori: perché non ce le avete dette prima?
A 22 anni di distanza le conseguenze sono le seguenti. Nel 1987 l’Enel calcolò che la sostituzione dell’energia nucleare con il petrolio ci sarebbe costata 121 mila miliardi di lire. Il petrolio costava allora 10 dollari al barile, un quarto di oggi, un decimo del prezzo medio di larga parte dell’anno scorso. La sola riconversione della centrale di Montalto di Castro è costata 10 mila miliardi di lire. Nel 2008 le imprese italiane hanno pagato 11,66 euro per 100 chilowattora contro i 7,72 delle concorrenti inglesi e i poco più di 5 euro di quelle francesi. Queste differenze si ripercuotono naturalmente anche sulle nostre bollette domestiche.
La Francia, oggi nostra partner per le prime quattro nuove centrali, ha 59 impianti. Molti sono ai nostri confini. Da ovest a est siamo circondati da centrali nucleari. Se mai ci fosse un incidente, manderemmo la Guardia di finanza a bloccare le radiazioni? Gli ambientalisti inglesi più autorevoli hanno comunicato in questi giorni il loro sostegno al nuovo piano nucleare britannico. Da noi i loro colleghi si comportano esattamente come nell’87.
Non a caso Romano Prodi non ha mai potuto permettersi di aprire bocca in materia quando era al governo. «Ambientalismo coglione» definì in una nostra conversazione dell’estate scorsa l’abitudine di Alfonso Pecoraro Scanio di dire sempre no.
Adesso all’Ambiente c’è Stefania Prestigiacomo, giustamente attenta a non rovinarsi la reputazione con una politica troppo permissiva. Ma sta tornando un po’ di buonsenso. Sul nucleare, sulla politica dei rifiuti, sulle grandi opere pubbliche. S’è aperto dopo 20 anni di litigi il passante di Mestre. Si farà la Torino-Lione ad alta velocità, i cui ritardi per veti local-ambientalistici ci avevano fatto diventare lo zimbello d’Europa. E il ponte di Messina. E il completamento della Salerno-Reggio Calabria. E tanto d’altro, speriamo.