«Non riusciamo a gestire tutte le domande a disposizione». Così e in questo italiano sgangherato, Michele Santoro faceva fretta agli interlocutori, agli intervistati che non rispondevano a tono. Che cioè non confermassero l’assenza, quell’alba del 6 aprile, dello Stato, della Protezione civile, dei Vigili del fuoco, della Croce rossa e dei volontari, la mancanza di tende, di coperte, di vitto e di acqua. Ma si guardava bene di metterla, la fretta, allo studente che raccontava d’esser stato sorpreso dal sisma mentre dormiva, avendo dunque dovuto fare tutto da solo per abbandonare l’edificio e che una volta fuori, alle tre del mattino, non aveva trovato nemmeno un pompiere. Nessuna incombente «gestione di domande», in quel caso. Nemmeno quella, che verrebbe spontanea, di chiedere e chiedersi perché mai, in quel preciso momento, una squadra di Vigili del fuoco avrebbe dovuto stazionare davanti all’edificio. All’Aquila, quella notte, «non c’era l’Unità di crisi», rincara quell’oliata struttura faziosa di Annozero. Che aveva aperto con una serie di immagini dei sopravvissuti, degli sfollati, fra i quali non si scorgeva una divisa, un camice, un distintivo, un elmetto giallo, una mano che porge una coperta o un bicchiere di latte. Quando poi era impossibile non inquadrare i soccorritori e registrare la loro presenza, sono stati liquidati come un branco di perditempo che se ne stava con le mani in mano. Da un lato la povera gente che scavava fra le macerie alla ricerca di sopravvissuti, dall’altro i volontari della Protezione civile, lì a guardare.
Eppure il volontariato, l’«impegno nel sociale», è sempre stato privativa dei «sinceri democratici» quale certamente è Michele Santoro. Ha sempre rappresentato la forza motrice dell’«Italia che cambia», che «costruisce il futuro», i punti di forza della dialettica progressista. Ma se il loro impegno e il loro lavoro contribuiscono al buon esito di un’impresa logistica e umanitaria di proporzioni immense e il cui merito non può che andare al governo in carica, ecco che il volontariato piomba dalle stelle alle stalle. Ecco che perfino i Vigili del fuoco - che chissà quanti «sinceri democratici» hanno scocciato perché avevano smarrito le chiavi di casa o perché la gattina s’era arrampicata in cima a un albero - trattati da pelandroni buoni a niente. Diceva Santoro che nell’affrontare la questione del terremoto dell’Aquila era doveroso «usare parole di verità», formula verbale che appartiene allo squinternato lessico di Antonio Di Pietro e che il conduttore di Annozero ha golosamente fatto sua. E che l’uno e l’altro premettono alle intemerate dove la verità è presa e selvaggiamente sbatacchiata per conformarla a una tesi precostituita, a un pregiudizio. È, con i dovuti aggiustamenti, il «canone Pajetta», l’esponente del Pci che non ebbe vergogna di urlare, in Parlamento: «Fra la verità e la rivoluzione, scelgo la rivoluzione». Così Santoro: fra la verità e la demonizzazione di Silvio Berlusconi, sceglie quest’ultima. Anche a costo di falsare la realtà, di mostrarla - con la telecamera è facile, basta puntarla dove conviene e dare una rifinitura in sede di montaggio - quale non è. Anche a costo di buttare a mare, deridendolo fino al vilipendio, il volontariato. Una gaglioffata, questa, ancor più colpevole, ancor più indecente, ancor più odiosa perché commessa ballando sui cadaveri delle centinaia di vittime del sisma, diventate, sotto i piedi di Michele Santoro e della sua squadra, solo un pretesto per esercitare il solito ringhioso antiberlusconismo. Tutto questo alla Rai, un servizio pubblico.