L’ex vicepresidente è il più rumoroso e attivo oppositore di Obama sulle questioni di sicurezza nazionale. Difende le tecniche di interrogatorio sotto accusa e rilancia: mostrate i report che ne dimostrano l’efficacia
La sfida è impari, ma l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney non è uno di quelli che si tira indietro di fronte alle difficoltà. Nelle ultime settimane, l’ex misterioso, silenzioso, quasi invisibile ma influentissimo numero due di George W. Bush è diventato il più aperto, rumoroso e attivo oppositore del presidente Barack Obama sulle questioni di sicurezza nazionale. I democratici lo temono, ma sanno che con un avversario così odiato la partita è vinta prima ancora di cominciare, almeno finché il paese resta sicuro.
Cugini di ottavo grado, con parentela risalente al Settecento, Cheney e Obama non potrebbero essere più diversi. Obama è di gran lunga il politico più popolare e apprezzato d’America, mentre Cheney è in fondo a ogni classifica possibile ma è come se non gliene importasse nulla. Il Partito repubblicano è in una situazione disastrosa, senza leadership, senza idee e incapace di formulare una strategia alternativa a quella di Obama. John McCain è tornato mestamente a fare il senatore, mentre George W. Bush ha elegantemente scelto di non interferire con il suo successore (“Obama merita il mio silenzio”), come vuole una tradizione istituzionale che negli ultimi quarant’anni è stata violata soltanto da Jimmy Carter.
Gli ex vicepresidenti sono solitamente più liberi di criticare il presidente in carica, come ha fatto Al Gore dal 2003 in poi con Bush, ma la ragione spesso è un obiettivo politico, magari una futura candidatura presidenziale. Il caso di Cheney è diverso. Uno dei motivi per cui nel 2000 è stato scelto da Bush – ma in realtà il lavoro di valutazione dei candidati è stato fatto da una commissione presieduta dallo stesso Cheney – è stata proprio la sua indisponibilità a candidarsi alla Casa Bianca una volta scaduto il mandato del presidente. Considerato l’anima nera di Bush, Cheney sembrava destinato a sparire lentamente dal dibattito politico, a tornare nel suo ranch in Wyoming e a dedicarsi alla pesca e alla caccia. E invece, complice il silenzio di Bush, di Donald Rumsfeld, di Condi Rice, di Alberto Gonzales e degli altri big, sta succedendo il contrario, quasi a conferma che il vero boss fosse Cheney.
Ogni mattina alle 6, Cheney prende l’automobile, va allo Starbucks più vicino alla sua casa di McLean in Virginia, compra due tazze di caffelatte scremato, decaf per lui, normale per sua moglie Lynne, e torna a scrivere a mano le sue attesissime memorie su un quadernone giallo. Le decisioni di Obama di rendere pubblici i pareri legali del dipartimento di Giustizia sulle tecniche “intensificate” di interrogatorio della Cia, e a breve anche altri documenti e fotografie, hanno convinto Cheney a rompere il suo leggendario riserbo. Già qualche mese fa, in realtà, aveva cominciato ad avvertire il paese che Obama stava mettendo in pericolo la sicurezza nazionale dell’America con i primi annunci su Guantanamo e sull’Iran, ma quando la Casa Bianca è andata incontro alle richieste dell’ala sinistra e pacifista del suo elettorato pubblicando i documenti sugli interrogatori della Cia, Cheney non s’è più tenuto e, con l’ex stratega Karl Rove, si è trasformato nel difensore dell’Amministrazione Bush.
I suoi amici dicono che gli interessa soltanto la sicurezza nazionale, ma le polemiche di questi giorni sugli interrogatori della Cia lo riguardano anche direttamente perché secondo i resoconti di questi anni e due formidabili libri di giornalisti di sinistra (“The dark side” di Jane Mayer e “Angler” di Barton Gellman) è stato proprio Cheney l’ispiratore della complessa architettura giuridica antiterrorismo, assieme al suo consigliere legale David Addington.
Cheney è stato il primo, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, a chiedere alla Cia di togliersi i guanti per evitare altre stragi, a invocare un “dark side”, un lato segreto, necessario per combattere i guerrasantieri di Allah. Cheney difende quegli strumenti investigativi, spiegando che sono stati decisivi a fermare altre stragi islamiste sul suolo americano. E, capovolgendo la sua notoria passione per la segretezza, ha chiesto a Obama di far conoscere anche i rapporti che dimostrano l’efficacia di quelle misure.