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 LO SGAMBETTO ISTITUZIONALE Data: 16/05/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
A proposito del legge sul conflitto di interessi che si vorrebbe varare a danno del solo Berlusconi, pubblichiamo un articolo di di Maurizio Belpietro ripreso dal Giornale.


John KENNEDY non sarebbe mai potuto diventare presidente degli Stati Uniti. Se negli Usa fosse esistita una legge simile a quella che gli amici di Prodi s’apprestano ad approvare nel tentativo di fermare Silvio Berlusconi, l’uomo che incarnò il sogno americano, essendo di famiglia ricca, sarebbe stato costretto a rinunciare alla Casa Bianca oppure a spogliarsi del proprio patrimonio. Ma con le norme che in Italia si vorrebbero introdurre ispirandosi a un presunto modello d’oltreoceano, non avrebbe potuto ambire alla stanza ovale neppure John Kerry, l’altro democratico amato da Fassino e Rutelli che sfidò George W. Bush nel 2004: oltre al suo patrimonio, a renderlo incompatibile con l’incarico presidenziale sarebbe stata la moglie Teresa Heinz, erede del magnate del ketchup. Se esistesse una legge come quella che si vuol varare in Italia, alcuni dei più importanti uomini politici statunitensi non potrebbero ricoprire cariche pubbliche. Ma la norma, per il bene della democrazia americana, non esiste. Per eliminare il capo dell’opposizione, la sinistra spaccia per democratico, liberal e perfino made in Usa ciò che al massimo è fatto nell’ex Unione Sovietica.
In America non esiste alcuna legge federale che impedisca a un imprenditore o a un uomo d’affari di candidarsi o di assumere incarichi pubblici. E neppure esiste una norma che obblighi il presidente degli Stati Uniti a vendere le sue proprietà o a metterle in un blind trust, il cosiddetto fondo cieco. I politici americani devono solo dichiarare a grandi linee ciò che possiedono e un’autorità indipendente vigila sugli eventuali rischi di conflitto d’interessi. Non c’è una regola fissa, ma disposizioni pragmatiche che si valutano caso per caso. Come spiega in questa stessa pagina il nostro Guido Mattioni, George Bush e il suo vice Dick Cheney, non hanno alcun obbligo di affidare i propri soldi a terzi e non c’è ente o giudice che possa imporre la vendita dei loro beni. Sono loro a scegliere se affidare a un blind trust il proprio patrimonio e sempre loro decidono chi dovrà occuparsi dei loro affari. Bush e Cheney hanno optato volontariamente per il fondo cieco, ma attenzione – e qui sta la sorpresa – non per tutti i loro averi. Bush ha messo nel blind trust solo un milione di dollari, un ventesimo di ciò che possiede: il resto, titoli di Stato compresi, continua a essere in mano sua. Il vicepresidente Usa, che ha un patrimonio personale di oltre 90 milioni di dollari, ha affidato al blind trust un quinto della sua ricchezza e conserva la disponibilità del denaro investito in fondi comuni e compagnie assicurative. Che il fondo cieco non sia un obbligo lo dimostra il fatto che Bill Clinton per un certo periodo del suo mandato non mise neanche un cent in mano ad altri.
Quando Prodi, Fassino e Violante dicono che sul conflitto d’interessi si sono ispirati a una legge degli Stati Uniti raccontano dunque una colossale panzana. Il loro obiettivo non è regolare il conflitto d’interessi, ma sgambettare Berlusconi, impedirgli di tornare al governo. E per ottenere questo risultato sono pronti a qualsiasi cosa. Anche a varare una legge incostituzionale, contraria all’articolo 51 che garantisce a tutti i cittadini la possibilità di candidarsi ed essere eletti. Se il disegno di legge verrà approvato così com’è, chi è ricco, chi abbia parenti, affini o un convivente milionario non potrà assumere incarichi di governo. Solo una casta di politici allevati nelle sezioni di partito avrà a questo punto accesso al governo del Paese. Gli altri, anche se uomini di successo nelle imprese o nelle professioni, saranno solo dei paria. E la chiamano democrazia.

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