“Vogliamo subito deludere il lettore: non sappiamo ancora chi ha vinto le ultime elezioni politiche”.
Luca Ricolfi e Silvia Testa tornano ad avanzare seri dubbi sulla regolarità del verdetto elettorale che ha consentito a Romano Prodi di insediarsi a Palazzo Chigi. A distanza di un anno dal voto, i due ricercatori tornano ad affrontare il giallo dei “brogli” in uno dei saggi pubblicati nel volume di imminente uscita nelle librerie “Nel segreto dell’urna” (edizioni Utet, a cura di Paolo Feltrin, Paolo Natale e Luca Ricolfi).
Dati alla mano, ragionano statisticamente sulle probabilità che siano state commesse irregolarità nello scrutinio delle schede. E sulla base di dati “storici”, concludono che i brogli sono sempre esistiti. Ma, dicono, non possono essere mai stati commessi a livello centrale, cioè dal “cervellone” del Viminale (tesi avanzata dai documentari di Enrico Deaglio, il direttore di Diario, che sollevò un polverone nei mesi scorsi rivelatosi privo di fondamento e che oggi rilancia con un nuovo dvd, “Gli imbroglioni”), bensì a livello periferico.
Nelle sezioni elettorali, insomma, dove “a causa del nostro procedimento elettorale” si è “altamente vulnerabili” e si hanno “enormi difficoltà sia a scoprire sia a correggere eventuali errori”. Ciò perchè per manipolare i risultati sui computer del ministero dell’Interno “il mariuolo” di turno si sarebbe trovato costretto “ad alterare i verbali o a bloccare la pubblicazione di dati a un livello territoriale eccessivamente basso, come il Comune o la singola sezione, dal momento che a questo livello è facile per chiunque controllare se i dati analitici comunicati ufficialmente corrispondono a quel che c’è scritto nei verbali - cartacei e consultabili - custoditi presso i Comuni”.
Ci troviamo, invece, a fare i conti con “brogli periferici”, “psicologicamente molto diversi dai brogli centrali”, che si caratterizzano non per forza come “alterazioni del voto intenzionali, premeditate, o condotte in totale malafede”. Infatti, gli scrutatori “possono non conoscere la legge, interpretarla in modo tendenzioso, o chiudere un occhio su certe irregolarità”.
Ma, a livello periferico, quale tra i due poli ha più capacità di alterare l’esito dello scrutinio a proprio vantaggio? Ricolfi e Testa non hanno dubbi: la sinistra. Analizzando la riconta delle schede nulle alle regionali del Lazio del 1995, delle schede nulle alle Politiche del 2001 e di quelle contestate delle ultime elezioni, infatti, si osserva come “in sede di riconta la destra si è riappropriata di un numero di voti più che doppio rispetto alla sinistra”.
In base ai tre casi in esame, insomma, “sembra che la capacità di incidere della sinistra” sui risultati elettorali “sia un po’ maggiore di quella della destra”.
Nel dettaglio: alle Regionali del Lazio nel 1995, il candidato di centrosinistra Piero Badaloni aveva vinto con un margine di circa settemila voti (+0,21 per cento) su Alberto Michelini, candidato del centrodestra. Poi, dopo il riconteggio, il margine di vittoria di Badaloni era sceso da settemila a cinquemila preferenze (dallo 0,21 allo 0,16 per cento).
Nel caso delle Politiche del 2001 su un campione riesaminato di 337 schede 227 sono andate alla destra, 110 alla sinistra. Quindi, alle ultime Politiche, in base alle risultanze della Giunta delle elezioni della Camera, delle 1.290 schede contestate solo 499 sono state riassegnate: precisamente 340 (oltre due terzi) alla destra, 159 alla sinistra. Il rapporto di recupero in sede di riconteggio del centrodestra, insomma, risulta essere doppio di quello della sinistra (D/S= 2,1).
Nelle consultazioni in cui si è discusso di presunte irregolarità (Referendum 1946, Politiche 1953, Regionali del Lazio 1995, Politiche 1996, Comunali Torino 1997, Politiche 2001) il margine di vittoria di una coalizione è sempre stato nettamente superiore a quello con cui l’Unione avrebbe prevalso l’anno scorso: solo lo 0,06 per cento dei voti. Voti che sarebbero potuti essere aggiunti senza fare i salti mortali.
Ecco tre esempi aritmetici “sufficienti a ribaltare un risultato in cui la coalizione X batte la coalizione Y per 24 mila voti su 38 milioni di voti validi:
1.in una sezione su due gli scrutatori della coalizione Y riescono ad appropriarsi di una scheda (bianca o nulla) su 700 schede scrutinate;
2.in una sezione su dieci gli scrutatori della coalizione Y riescono a spostare da destra a sinistra un ‘pacchetto’ di tre voti (un voto spostato da una parte all’altra conta il doppio);
3.in una sezione su 100 alla coalizione Y riesce il ‘colpaccio’ di spostare 30 schede su 700 da destra a sinistra”.
Insomma, scrivono Ricolfi e Testa, se si pensa che “le sezioni elettorali sono oltre 60 mila, non occorre ipotizzare grandissime irregolarità per mettere in dubbio la vittoria dell’Unione”.