E' partita quella che da molti «riformisti» del centrosinistra dovrebbe identificarsi con la tanto acclamata «fase due», quella che è stata dipinta come una fase di riforme ma che, in realtà, rappresenta l'ultima chance che l'ala moderata dell'Unione ha per tentare di arginare l'emorragia di consensi che la Finanziaria ha determinato nel suo elettorato. Persa la credibilità politica, Ds e Margherita si adoperano per recuperare il terreno perduto in vista dell'appuntamento, denso di significato politico, delle amministrative. Obiettivo: evitare che la slot machine delle consultazioni di Primavera rischi di essere manomessa dalla politica del ricatto tanto cara alle componenti massimaliste della sua coalizione. Come? Attraverso un'operazione demagogica e populista.
Sì, perchè le liberalizzazioni di Bersani non rappresentano altro che un artificio volto a fare breccia sul «popolo», un popolo che viene considerato consumatore solo in quegli ambiti che non vanno a cozzare con i grandi interessi precostituiti. La «lenzuolata» di liberalizzazioni approvata in Con-siglio dei ministri vorrebbe far credere ai cittadini, attraverso l'abitudine cara alla sinistra, quella della mistificazione della realtà, che finalmente il nostro Paese sarà libero da tutti quei lacci e lacciuoli che si frappongono ad una libera concorrenza.
Ecco che provvedimenti come quelli che aboliscono la tassa sulle ricariche (che comporterà sicuramente, da parte degli operatori telefonici, un conseguente aumento delle tariffe telefoniche), o quelli che aprono il mercato relativo alla rivendita di carburante al dettaglio (di cui, guardacaso, si avvantaggeranno soprattutto le coop) e alla distribuzione dei giornali anche da parte di altri punti vendita, come i supermercati (le coop sono sempre le protagoniste) si inseriscono in una logica ben precisa, quella di recuperare popolarità. E così parrucchieri ed estetisti avranno la libertà di licenza, basterà fare una dichiarazione di inizio attività, oltre a dimostrare di avere i «requisiti morali e le capacità finanziarie» per poter aprire la loro attività. Queste e altre misure ancora sono, per la sinistra «riformista», il fiore all'occhiello che dovrebbe far recuperare, agli occhi dell'opinione pubblica, la credibilità politica perduta in pochi mesi. Peccato che, con questa operazione «di superficie», non si vadano assolutamente a ledere i grandi potentati monopolistici del nostro Paese.
Sembra che, in questa operazione di liberalizzazioni di facciata, abbia prevalso, sopra qualsiasi interesse che salvaguardi il cittadino, la volontà di salvaguardare micro e macro interessi precostituiti, legati al peso di talune corporazioni. Il cittadino, come detto, è considerato, a sinistra, alla stregua di un oggetto passivo, ossia di un cittadino-consumatore e non produttore di valore aggiunto. E' sulla scorta di questa convinzione ideologica che è stata partorita la Finanziaria, che non ha fatto altro che colpire le maglie produttive del nostro Paese, quelle legate alla piccola e media impresa. Ed è sempre sulla scorta di questa convinzione, che vede il cittadino debole di fronte allo Stato e che lo considera, di conseguenza, incapace di discernere la reale consistenza di provvedimenti che dovrebbero favorirlo, che l'operazione di facciata delle liberalizzazioni dovrebbe farsi strumento di manipolazione dell'opinione pubblica e di recupero dei consensi.
Come mai i veri nodi del Sistema Paese, ad esempio quelli relativi all'elevato costo delle bollette del gas, sono stati rimandati a data da destinarsi? L'abbattimento di una posizione dominante sul mercato del gas come quella ricoperta da Eni, che ancora detiene la proprietà di Snam Rete Gas, non è assolutamente gradita a quelle lobbies collaterali alla politica che sono appoggiate sia da esponenti di Rifondazione, che hanno ribadito il loro no allo scorporo, sia da alcuni rappresentanti dell'Ulivo, anch'essi contrari ad un'operazione che potrebbe nuocere loro politicamente.
Come mai le liberalizzazioni di Bersani e company non vanno a colpire problemi nevralgici per rilanciare la concorrenza come quelli che vedono le ex municipalizzate delle giunte locali rosse comportarsi come delle vere e proprie holding nel tessuto socio-economico del Paese? Perché un settore come quello delle Poste, organizzato secondo un regime di monopolio, un comparto che potrebbe aprirsi alle potenzialità di numerose aziende, non è stato toccato da Bersani? Forse il ministro dello Sviluppo ritiene che, per dare più respiro all'economia del nostro Paese, basti accontentare i cittadini italiani risarcendo loro una parte di quelle buste spedite e non giunte a destinazione.
Per finire, l'ultima chicca del provvedimento varato ieri in Consiglio dei ministri è quella che ha visto inserire nel decreto legge quella controriforma della scuola che Fioroni non era riuscito a portare avanti in Parlamento: il decreto legge di ieri, con una pennellata di bianchetto, cancella la riforma innovativa della scuola che Letizia Moratti aveva varato durante la precedente legislatura, una riforma che aveva trasformato tutte le scuole superiori in licei. Si ritornerà, dunque, all'antica divisione tra licei tradizionali e istituti tecnici. Un altro tassello alle riforme realizzate dal Governo Berlusconi viene dunque meno, in ottemperanza all'unico diktat che guida il percorso di questo governo: distruggere quanto costruito da Berlusconi.
A cura di Aurora Franceschelli