Cronaca tra il serio e il faceto di una giornata del centrosinistra a a cura di Luca Telese, giornaliusta e scrittore (tra gli altri libri, Cuori Neri, la storia deella violenza contro i giovani di destra negli anni 60 e 70).
Premessa: l’allergia alla banalità e il rispetto per la caratura della persona, ci impongono di scartare l’ipotesi più facile, quella che il ministro sia vittima di un colpo di sole. D’accordo. Ma allora la domanda è: che diamine gli ha preso ieri a Giuliano Amato? Il quesito non è peregrino, perché l’esternazione-choc del ministro dell’Interno sulle violenze «siculo-pakistane», contro le donne (con tutte le polemiche che ovviamente ha prodotto) implica una riflessione più ampia e si collega alla cronaca di una giornata in cui molti nel governo sono riusciti a dare «il meglio» di sé, con effetti para-demenziali. La catena di ciò che in un solo giorno è accaduto fra Palazzo Chigi e Montecitorio, infatti, è una sceneggiatura perfetta per il filone dei film da arena estiva (se avete presente la serie l’Aereo più pazzo del mondo e affini). Insomma, ieri «il governo più pazzo del mondo» ha dato prova non felicissima di sé, e lo strafalcione di Amato che butta all’aria anni di posizionamenti politicamente corretti, è interessante perché è il simbolo di un malessere più profondo. Solo per ricapitolare: apri i giornali e trovi il ministro Bersani che spiega in una lenzuolata le ottime motivazioni di una propria candidatura alla guida del Partito Democratico (a cui però - sia detto per completezza - proprio con quell’intervista rinuncia). Strano, dici: ma nel governo più pazzo del mondo, invece, è normale. Sfogli la pagina successiva e trovi un’altra bella intervistona, quella del ministro Di Pietro sulla riforma della giustizia: «Con queste norme sciagurate vince la politica di Berlusconi». Caspita. L’ex Pm delinea uno scenario da cataclisma: «Si rischia di chiudere un ciclo nel quale minando l’indipendenza della magistratura si è cercato di smantellare lo stato di diritto unico e ultimo baluardo della legalità». Accipicchia. Con queste motivazioni saremmo portati ad aspettarci il passaggio del ministro alla resistenza armata. E invece, siccome siamo nel governo più pazzo del mondo, subito Di Pietro rassicura tutti: voterebbe in ogni caso una eventuale fiducia. Si prosegue con una appendice magistrale su Padoa-Schioppa che ricorre ad una classica citazione di Keynes: «Nel lungo periodo siamo tutti morti». Solo che il padre del welfare utilizzava il suo aforisma per esorcizzare il pessimismo con il gusto del paradosso. Invece Padoa-Schioppa, forse confuso dall’estenuante trattativa con i sindacati, aggiunge che «il lungo periodo è davanti a noi» (ed ovviamente i più si toccano). A proposito: non è fantastica la storia di questa trattativa previdenziale? La mitica trattativa sulle pensioni iniziò due settimane fa con l’annuncio di un accordo che era già certo e siglato, dopo due giorni non era più sicuro, il terzo giorno era tutto per aria. Ieri si è annunciata di nuovo un’intesa (ma non è su ciò che divide). Il vero nodo infatti resta lo «scalone» (su cui, ovviamente, né il premier in carica né quello designato si pronunciano). E così lo «scalone» sale e scende di ora in ora, si riduce a «scalino», sale e scende come l’ormai mitologico extra gettito fiscale che potrebbe alimentare una rubrica meteoro-economica del tipo «Che tesoretto fa». Tutto è transitorio, tutto è relativo, tutto è disperato ma non serio. Ed è avvincente ripercorrere la giornata di Amato, che prima infila la sua perla etnologica facendo il verso allo stile di certi leghisti della prima ora («Nessun Dio autorizza un uomo a picchiare la donna, ma c’è una tradizione siculo-pakistana che vuole far credere il contrario»), poi torna ad inforcare gli occhiali da accademico della contaminazione multietnica («Sono una minoranza ma comunque sono troppi, mi spiace dirlo, i miei concittadini che in nome dei valori cristiani vogliono respingere gli altri»), e poi - per metterci una pezza - tira fuori dall’araldo la «mamma siciliana» e spiega che lui parlava di «una Sicilia che non esiste più».
E poi che cosa fantastica questo romanzone «pistarolo» e un po’ gotico sui servizi segreti deviati e no, sul Sismi, su Pollari e su Pio Pompa. Dunque, un mese fa Repubblica annunciava solennemente che era una nuova P2. E solo due giorni fa, bisognava giustamente preoccuparsi per la dichiarazione del ministro Mastella che spiegava quanto fosse drammatico quell’allarme: «Bisogna arrivare all’accertamento della verità e a questo punto la commissione d’inchiesta è indispensabile». Diamine, non auspicabile o opportuna: proprio in-dis-pen-sa-bi-le. E ancora: «Non voglio storie di ricatti, di ombre, e di penombre». Ebbene, ieri Prodi in persona cambiava improvvisamente rotta: «Il presidente del Consiglio - si leggeva in una nota di Palazzo Chigi - ha avuto conferma che da parte del Sismi non vengono effettuate attività di dossieraggio nei confronti di politici, magistrati e giornalisti» (l’ha avuta dal Sismi, forse). Non solo: «Il presidente ha inoltre confermato che sulla documentazione acquisita nell’ambito dell’indagine della Procura di Roma sull’attività di Pio Pompa non ha a tutt’oggi apposto il Segreto di Stato». Ma di che cosa si parla, allora, da una settimana? Il miglior commento alla vicenda, forse, è quello amabilmente feroce di Jena, su La Stampa: «Prodi autorizza Pollari a parlare: generale, lei è libero di dire tutto quel che vuole contro Berlusconi». Delizioso. Così come la candida affermazione di Nicodemo Filippelli, responsabile dell’Udeur per il voto degli italiani all’Estero. Ma caspita, lui lo sapeva benissimo che c’era un video sui brogli! «Però, visto che Berlusconi chiedeva tutti i giorni l’annullamento del voto, non era proprio il caso di aggiungere carne al fuoco».
In tutto questo scenario l’aereo dell’Unione si avvita nel vuoto senza che l’opposizione debba fare nulla. La più grande manifestazione di opposizione non è organizzata dalla Cisnal a Littoria, ma dalla Coldiretti a Bologna (!). Per mesi gli ulivisti avevano riciclato il vecchio adagio del «non ci fanno lavorare», denunciando l’ingovernabilità causata dal centrodestra al Senato? Bene, ieri il governo è andato sotto ben due volte per 241 voti a 229, proprio alla Camera, dove può contare su una maggioranza di oltre cento voti (!). Sì, non dev’essere stato un colpo di sole, quello di Amato. Ma un governo in cui tutti parlano tranne il premier deve stare molto attento agli scherzi dell’estate. I vecchi governi «balneari» democristiani erano traballanti e inaffondabili. Mentre in questa arena estiva, per passare dal filone demenziale a quello catastrofista basta il capriccio di un senatore che si sveglia male. Magari Giulio Andreotti, che promuove o affonda a seconda degli umori. O magari, chissà, proprio un senatore siculo-pakistano. E terribilmente permaloso.Luca Telese