Francesco Giavazzi
Dal prossimo gennaio si potrà andare in pensione con 35 anni di contributi e soli 58 anni di età: due in meno di quanto prevedeva la legge Maroni. Per ritornare sul sentiero previsto da quella legge occorre ora attendere sino al 2011. Il fatto che siano stati trovati, nelle pieghe del bilancio dell’Inps, fondi sufficienti per far fronte alla maggiore spesa pensionistica non cambia il messaggio che il governo ha dato ai cittadini. In una società in cui si vive ormai ben oltre gli ottant’anni, si può continuare a lavorare 35 anni e poi trascorrerne altri 30 gravando sulle spalle dei giovani. È una decisione che va nella direzione opposta rispetto a quanto sta accadendo in Europa e nel mondo. In Spagna e Olanda non si va in pensione prima di aver compiuto 65 anni; in Svezia sono richiesti 65 anni di età e 40 anni di contributi; in Germania 63 anni e 35 di contributi; in Francia, dal primo gennaio, si dovrà aver versato 40 anni di contributi; in Svizzera 65 anni e 44 di contributi. Ancora una volta i sindacati sono riusciti a far prevalere l’interesse di una piccola minoranza — i lavoratori vicini alla pensione — sugli interessi generali, in primis dei giovani, i quali dovranno continuare a pagare contributi salati per consentire all’Inps di erogare pensioni a una minoranza di fortunati.
I sindacati hanno «vinto» anche sulla data alla quale si passerà ai 60 anni: il governo chiedeva il 2010. Hanno anche ottenuto che non si rivedessero i parametri che verranno applicati (non oggi, fra dieci anni) a chi andrà in pensione con il metodo contributivo, nonostante la legge Dini imponesse di farlo quest’anno. I dirigenti sindacali avevano l’occasione per dimostrare che non sono una delle tante lobby che difendono i privilegi di pochi fortunati, l’hanno sprecata. È quasi impietoso ricordare alministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ciò che egli scriveva solo pochi anni fa, quando era un membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea: «Deve essere innalzata l’età effettiva di pensionamento ... che, nonostante il continuo aumento della speranza di vita, negli ultimi decenni si è ridotta. Attualmente, nell’area dell’euro l’età media effettiva di cessazione dell’attività lavorativa per gli uomini è compresa tra i 58 e i 64 anni; le donne vanno in pensione prima. Di conseguenza, il tempo medio che i pensionati trascorrono in pensione è salito a circa 20 anni, contro i 13 degli anni Sessanta» (Bollettino Bce, aprile 2003). Signor Ministro, Lei ed io apparteniamo ad una generazione di privilegiati, che ancora una volta questa «riforma» ha protetto.
Ma i nostri figli hanno il diritto di sapere perché Lei, in soli quattro anni, ha cambiato così radicalmente idea. Un mese fa a TorinoWalter Veltroni ha detto, citando Vittorio Foa, «la destra è figlia legittima degli interessi egoistici dell'oggi. La sinistra è figlia legittima degli interessi di quelli che non sono ancora nati. Dobbiamo essere conseguenti nell'uso del nostro tempo: dedichiamo almeno un'ora al giorno a discutere se si debba andare in pensione a 57, a 58 o a 60 anni, ma solo qualche secondo a progettare una risposta al fatto che continua ad aumentare il numero dei bambini che vivono in famiglie al di sotto della linea di povertà relativa. C’è un patto fra le generazioni che dobbiamo avere il coraggio di non dimenticare ». Parole sagge. Ma il sindaco di Roma e le schiere di intellettuali, politici, artisti, economisti che firmano appelli a sostegno della sua candidatura alla guida del Partito democratico devono spiegarci che cosa pensano della capitolazione del governo e soprattutto che cosa avrebbero fatto fossero stati al suo posto.Altrimenti la costruzione del Partito democratico continuerà ad essere un esercizio della «vecchia politica »: belle parole per non prendere alcun impegno preciso.