sulla vicenda del presidente diessino della Regione Liguria ecco un amaro commento di Mario Cervi
Non si tratta, questa volta, d’un giovinastro disorientato dagli spinelli che, all’uscita dalla discoteca, si mette al volante e ne combina di tutti i colori. Nemmeno si tratta d’un extracomunitario avvinazzato che, preso dal demone della velocità, mette a rischio la propria pelle e quella degli altri. Il guidatore che procedeva contromano su un’arteria importante, che per miracolo non ha causato uno scontro frontale, e che dopo tutto questo s’è cortesemente congedato da una pattuglia della polizia stradale, dalla pattuglia con rispettosa cortesia salutato - lo ha raccontatoRepubblica di ieri - era un pezzo grosso della politica italiana.
Claudio Burlando, anni 54, è stato sindaco di Genova, è stato deputato diessino, è stato ministro dei Trasporti, attualmente «governa» la Regione Liguria. Da un personaggio di questo calibro ci si può aspettare, quando incappi in una disavventura seria, o un rispetto rigoroso delle norme di convivenza civile o l’arroganza dei privilegiati: spesso favorita, purtroppo, da una certa acquiescenza di chi deve far rispettare la legge. In un primo momento, mi pare non ci siano dubbi in proposito, è prevalsa l’arroganza. Infatti Burlando, data la clamorosa gravità della sua infrazione e l’indignazione dei malcapitati automobilisti che in lui s’erano imbattuti, ha sùbito avuto a che fare con gli agenti della stradale: e qui è cominciata una strana catena di dimenticanze del governatore e in parallelo - questa è la mia impressione, senza voler offendere nessuno - di dimenticanze delle forze dell’ordine. Ho la convinzione che al reduce dalla discoteca e all’extracomunitario sarebbe stato riservato, nonostante il buonismo d’alcuni magistrati, un trattamento diverso.
I fatti. Burlando non ha con sé la patente. Burlando può esibire, come unico documento, un tesserino scaduto della Camera dei deputati. Burlando usa il telefonino mentre procede in senso vietato. Nonostante questo insieme di circostanze non gli viene contestata la multa, né viene ventilato il ritiro della patente, né viene sottoposto alla prova del palloncino. Raccontata così - ma non è facile raccontarla in altro modo - questa storiella somiglia alla trama d’un film di Alberto Sordi o a un racconto amaro di Vitaliano Brancati. Solo che Sordi, prima d’arrendersi al servilismo, tentava se ricordo bene d’essere rigoroso. A Genova è mancato non solo il rigore, ma anche il conato del rigore. Lontana da me l’idea di volere che volino gli stracci, ossia che le colpe finiscano per ricadere sui poliziotti (per fortuna difesi, finora, dai loro superiori); poliziotti che si sono trovati di fronte a una faccia ben nota, e molto autorevole, e a un tesserino la cui esibizione non aggiunge credibilità morale a chi ne è in possesso, ma lo indica come appartenente alla Nomenklatura.
Poi, deflagrato lo scandalo, Burlando ha spiegato che s’era battuto in ogni modo perché gli infliggessero le più terribili sanzioni, che invoca e attende con ansia una giusta punizione. Commovente il suo grido di dolore, in un colloquio con il Questore: «Voglio la multa massima». Magari adesso l’accontenteranno anche, per tacitare i maligni. Prefetto e Questore si scopriranno inflessibili. Ma dopo, sempre dopo. Se la faccenda fosse stata messa a tacere - gran merito quello della stampa, quando impedisce gli insabbiamenti - sarebbero più tranquilli sia Burlando sia le Autorità chiamate in causa. È andata diversamente, per le maggiori fortune di Beppe Grillo.